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Corte appello Milano sez. IV, 01/10/2021, n. 2808

Massima

In tema di appalto, la speciale garanzia prevista dagli artt. 1667 e 1668 c.c. viene applicata solo nell’ipotesi in cui l’opera appaltata sia stata completata. Al contrario, quando l’opera non sia ultimata, per la parte eseguita che eventualmente risulti difettosa, la disciplina applicabile è quella generale in materia di inadempimento contrattuale, con i termini di prescrizione ordinari decennali propri di quest’ultima azione.

Supporto alla lettura

Risoluzione contratto

La risoluzione del contratto è un istituto che trova la propria compiuta disciplina agli articoli 1453 e seguenti del codice civile. Gli effetti della risoluzione di un contratto possono tanto ottenersi con una domanda giudiziale quanto di diritto, cioè automaticamente, quando sussistono determinati presupposti.  La risoluzione determina lo scioglimento del vincolo contrattuale per il verificarsi di eventi successivi alla stipulazione che incidono sul vincolo sinallagmatico rendendo necessaria o quanto meno opportuna la sua rimozione. Questa forma di risoluzione, cosiddetta rimediale, ha dunque lo scopo di reagire a un malfunzionamento del contratto e si distingue dalle risoluzioni non rimediali che rispondono alla diversa logica di consentire a una delle parti di liberarsi dal vincolo in forza di una pattuizione prevista dallo stesso contratto, come ad esempio nelle ipotesi in cui sia prevista una condizione risolutiva. La risoluzione rimediale ha invece sempre fonte legale e può operare o automaticamente, come nell’ipotesi di scadenza del termina essenziale ex art. 1457 c.c., e di risoluzione per impossibilità sopravvenuta ex art. 1463 c.c., o per sentenza come la risoluzione per inadempimento ex art. 1453 c.c. e per eccessiva onerosità sopravvenuta ex art. 1467 c.c., o ancora tramite manifestazione di volontà negoziale, come nell’ipotesi di diffida ad adempiere ex art. 1454 c.c.. Sembra invece avere una collocazione ibrida la clausola risolutiva espressa ex art. 1456 c.c, che da un lato assume una funzione rimediale reagendo a un malfunzionamento del contratto, dall’altro poiché dà risalto alla volontà delle parti di considerare determinante l’inadempimento di una determinata obbligazione, sembra colorarsi anche di una funzione non rimediale. Preventivamente le parti possono inserire nel contratto una clausola penale. Rappresenta l’espressione del patto con il quale in via forfettaria e preventiva, si determina l’ammontare del risarcimento del danno che causano l’inadempimento delle obbligazioni o il ritardo nell’adempimento. Nel vigente codice civile italiano la clausola penale è disciplinata agli articoli 1382 – 1384 e la sua nozione è strettamente collegata alla funzione che le viene riconosciuta. La prestazione dedotta nella clausola penale è dovuta indipendentemente dalla prova del danno, dice la legge, il creditore non ha quindi l’onere di provare il pregiudizio subito e, sempre a tenore di codice, non può pretendere il risarcimento del danno ulteriore se non è stato così espressamente stabilito. La clausola penale limita il risarcimento alla prestazione promessa. Quindi, il creditore non può esigere il risarcimento del danno ulteriore, salvo patto contrario.

Ambito oggettivo di applicazione

Con citazione notificata in data 20.02.2017 Po. Ra., Po. Ce., Ta. En. Fi. Il. e Po. En. convenivano in giudizio innanzi al Tribunale di Como, la Termoisover-ind s.r.l. e l’arch. Pe. Re., esponendo: di aver stipulato in data 12.11.2004 un contratto di appalto con la predetta società per la costruzione al rustico di una villetta in Novedrate, secondo il progetto e con la direzione dei lavori dell’arch. Pe.; che tale contratto prevedeva, per la ultimazione, il termine del 15.07.2015; che in data 12.07.2015 avevano contestato a entrambi i convenuti il ritardo ingiustificato nella realizzazione delle opere, diffidandoli (da ultimo anche in data 22.12.2005) all’ultimazione entro il 30.01.2006, a pena di risoluzione del contratto; che le opere realizzate presentavano altresì numerosi e gravi vizi costruttivi..

Chiedevano quindi, previo accertamento della congiunta rinuncia a deferire in arbitri le controversie, nascenti dal contratto de quo, dichiaralo risolto ex art. 1454 c.c. per inadempimento ascrivibile ai convenuti e condannarli, in solido, al risarcimento dei danni ex art. 1669 c.c. (ovvero in subordine ex art. 2043 c.c.) pari ai costi per l’eliminazione dei vizi con riguardo a quelli relativi all’acustica (ovvero, nel caso in cui gli stessi non fossero eliminabili, quantificando il deprezzamento economico); quanto agli altri aspetti tecnici, pari ad E 101.183,70, oltre ai costi per il rilascio dell’agibilità con riserva di successiva quantificazione; il tutto oltre al danno non patrimoniale quantificato in E 30.000,00 anche per il patito disagio abitativo.

Si costituiva la Termoisover-ind s.r.l. chiedendo il rigetto delle domande attoree e comunque di esser manlevata dall’ arch. Pe. Re. nonché, in via riconvenzionale, il pagamento del saldo ancora dovutole pari (calcolati gli acconti già versati per 196.000,00) ad E 154.218,76.

Anche quest’ultimo si costituiva, chiedendo preliminarmente accertarsi non esser a lui opponibile la rinuncia all’arbitrato, e comunque nel merito, il rigetto sia della domanda principale sia di quella in garanzia.

Quindi il Tribunale, istruita la causa mediante c.t.u., con sentenza n. 1450/2019 resa ai sensi dell’art. 281sexies c.p.c. all’udienza del 11/12/2019, così decideva ‘Dichiara il difetto di legittimazione attiva in capo a Po. En., Ta. En. e Fi. Il. 2) Dichiara risolto il contratto di appalto oggetto di giudizio. 3) Dichiara inammissibili tutte le domande di risarcimento del danno presentate dagli attori e le conseguenti domande presentate dalla convenuta Termoisover-Ind srl nei confronti del Pe. Re.. 4) Respinge tutte le altre domande ed eccezioni presentate dalle parti in causa. 5) Dichiara integralmente compensate le spese di giudizio. 6) Pone le spese di CTU a carico delle tre parti in causa nella misura di un terzo per ciascuna’.

Avverso tale sentenza ha proposto appello la Termoisover-ind s.r.l chiedendone la riforma per i motivi in seguito esposti.

Si sono costituiti Po. Ra., Po. Ce., Ta. En. Fi. Il. e Po. En., insistendo per il rigetto del gravame.

Si è altresì costituito Pe. Re. che ha parimenti chiesto il rigetto dell’appello.

Quindi la causa, sulle conclusioni come in atti precisate, all’udienza del 20.5.2021 è stata posta in decisione con l’assegnazione termini per il deposito di memorie conclusionali e repliche.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il Tribunale, previa declaratoria di difetto di legittimazione attiva in capo agli attori Ta. En. Fi. Il. e Po. En. (in quanto non parti contraenti), ha dichiarato risolto il contratto d’appalto in oggetto ex art. 1454 c.c. per mancata ultimazione dei lavori da parte della Termoisover nonostante la diffida ad adempiere inviatale dai committenti in data 22.12.2005, nonché, ex art.1453 c.c. stante la gravità dei vizi riscontrati dal c.t.u.; ha poi tuttavia respinto le domande risarcitorie dei committenti perché contraddittoriamente fondate su una responsabilità extracontrattuale a fronte di precedente domanda di risoluzione contrattuale; ha inoltre rigettato la domanda riconvenzionale di pagamento del saldo formulata dall’impresa perché incompatibile con la pronunciata risoluzione.

L’appellante Termoisover-ind s.r.l. critica tale decisione sostenendo, col primo motivo, che ha errato il primo decidente ad omettere ogni pronuncia in merito alle eccezioni di prescrizione e decadenza, e in specie a non aver considerato maturato il termine biennale ex art 1667 c.c. o comunque quello decennale ex art.1669 c.c. posto che :la citazione è stata notificata nel febbraio 2017 e che la prescrizione dell’azione di risoluzione può esser utilmente interrotta solo dalla proposizione della domanda.

Col secondo motivo, lamenta che il primo giudice avrebbe dovuto constatare l’avvenuta implicita rinuncia dei committenti ad avvalersi della diffida del 22.12.2005, avendo essi, pur dopo l’invio della stessa, consentito la prosecuzione dei lavori offrendo a saldo delle opere effettuate la somma di E 50.000,00.

Col terzo motivo criticano l’affermata esistenza e gravità dell’inadempimento stante che il ritardo era addebitale a problemi non previsti in progetto, varianti in corso d’opera, intervento di imprese terze, ed opere extra per oltre un terzo del totale, considerato che l’ammontare finale dei lavori è stato determinato dal c.t.u. in complessivi E 330.000,00 (rispetto ai E 240.000,00 iniziali); inoltre che i vizi effettivamente ascrivibili ad essa appellante, come da c.t.u., ammontavano al più ad E 23.382,27 oltre iva a fronte di lavori complessivi per E 330.000,00.

Col quarto motivo lamentano l’omesso esame della domanda riconvenzionale di pagamento del saldo, dovuto, anche in ipotesi di risoluzione, a titolo restitutorio (per equivalente) delle opere eseguite, pari ad E 133.723,46 e – decurtati i vizi (per l’importo indicato dal c.t.u. decurtato di E 12.196,25 per le voci condense lesioni ed infiltrazioni)- ridotto ad E 121.527,21.

Col quinto ed ultimo motivo critica, infine, l’avvenuta integrale compensazione delle spese.

L’appellato arch. Pe. chiede, in via incidentale, dando atto di rinunciare alla chiesta estromissione dal processo, accogliersi le preliminari eccezioni di decadenza e prescrizione oltre alle rifusione delle spese e restituzione di quanto già corrisposto in esecuzione della sentenza di primo grado, evidenziando che gli originari attori hanno posto come causa petendi la risoluzione per inadempimento e al contempo richiesto il risarcimento conseguente ad inadempimento di un contratto d’appalto non concluso, donde era necessario rispettare il termine previsto per la garanzia, quindi il biennio, fermo restando che in tema di azione costitutiva la prescrizione può essere interrotta solo con l’azione giudiziale; dunque la domanda degli attori è da considerarsi improcedibile perché prescritta nel biennio dal 14.07.2005 o al limite dal 30.01.2006 e che comunque ad esso progettista e direttore lavori avrebbero potuto essere addossate responsabilità per vizi per una spesa non superiore E 10.000,00

Gli appellati originari attori hanno a loro volta proposto appello incidentale chiedendo, col primo e terzo motivo, riformarsi la sentenza laddove ha rigettato la domanda risarcitoria da essi proposta ex art.1669 c.c., invero non incompatibile con la chiesta risoluzione, con danni quantificabili in E 155.000,00 quanto all’aspetto acustico ed E 101.183,70 quanto all’aspetto tecnico, entrambi oltre accessori di legge

Col secondo motivo dichiararsi l’erroneità del dichiarato difetto di legittimazione attiva di Ta. En., Fi. Il. e Po. En., posto che la domanda risarcitoria svolta dagli stessi, pur estranei al contratto d’appalto, afferisce alla compromessa godibilità dell’unità immobiliare in cui hanno abitato per effetto dei gravi vizi accertati dal CTU, tali da aver arrecato loro un danno non patrimoniale.

All’udienza del 09/07/2020 l’appellante Termoisover ha eccepito la tardività dell’appello incidentale formulato dagli appellati Po.-Ta.-Fi..

L’appello principale è fondato.

Il Tribunale, con la carente ed erronea pronunzia emessa, non ha esaminato l’eccezione di prescrizione avanzata dagli originari convenuti.

In linea di principio va sul punto chiarito che la speciale garanzia prevista dagli artt. 1667,1668 c.c. trova applicazione solo nell’ipotesi in cui l’opera sia stata completata; in caso diverso, anche se questa, per la parte eseguita, risulti difettosa la disciplina applicabile è quella generale in materia di inadempimento contrattuale, con i termini di prescrizione ordinari propri di questa (Cass.n. 4511/2019; n. 9198/2018 e n. 1186/2015).

Nella specie, trattandosi pacificamente (anche in esito alla c.t.u.) di opera non ultimata, ai fini della domanda di risoluzione non viene quindi in considerazione il termine biennale di prescrizione di cui all’1667 c.c. (valevole in teoria anche per la risoluzione, come chiarito da Cass. n. 3199/2016) bensì quello ordinario decennale, che può esser utilmente interrotto, stante la sua natura costitutiva, solo dall’azione giudiziale.

Termine, nel caso in esame, ampiamente maturato, giacché la diffida ad adempiere ex art.1454 c.c. veniva a scadere in data 30.01.2006, data dalla quale dunque il diritto ad aver riconosciuta la risoluzione poteva esser fatto valere: poiché la domanda di risoluzione è stata notificata oltre 11 anni dopo (20.02.2017) il diritto alla risoluzione ex art.1454 c.c. citato è prescritto (cfr Cass. n.6386/2018 che nell’analogo caso di sentenza dichiarativa per clausola risolutiva afferma: ‘Il diritto potestativo di risolvere il rapporto, in conseguenza dell’inadempimento di una parte, quando sia prevista la clausola risolutiva espressa, diritto che si esercita mediante la manifestazione di volontà di avvalersi della clausola stessa (art. 1456, comma 2, c.c.), è soggetto a prescrizione ai sensi dell’art. 2934 c.c., non trattandosi di diritto indisponibile o comunque di situazione giuridica soggettiva per cui tale causa di estinzione sia esclusa dalla legge, e l’inizio della decorrenza della prescrizione coincide, secondo la regola generale dettata dall’art. 2935 c.c., con il momento in cui il diritto stesso può essere fatto valere e cioè con il verificarsi del primo inadempimento in caso di prestazioni periodiche’).

Discorso diverso vale per la domanda di risoluzione ex art.1453 c.c. pur introdotta oltre 11 anni dopo la cessazione di ogni rapporto con la Termoisover (terminato nell’anno 2006).

Agli effetti previsti dall’art. 2935 c.c. il termine di prescrizione del diritto alla risoluzione del contratto ed al risarcimento del danno decorre, infatti, dal momento in cui ha luogo l’inadempimento e si concreta la manifestazione oggettiva del danno, avendo, cioè, riguardo all’epoca di accadimento del fatto lesivo per come obiettivamente percepibile e riconoscibile (non quindi conoscenza soggettiva che potrebbe essere colpevolmente ritardata per incuria del medesimo titolare del diritto – Cass. n.1889/2018).

Nel caso che ci occupa tale indagine appare tuttavia superflua poiché, applicando il principio della soluzione più liquida, deve rilevarsi che, a prescindere dalla verifica dell’epoca in cui l’inadempimento è divenuto obiettivamente percepibile, resta il fatto che – diversamente da quanto affermato dal primo decidente- detto inadempimento non può in ogni caso considerarsi così grave da comportare, ex art.1455 c.c., la risoluzione del contratto.

Al riguardo i basti considerare che i vizi effettivamente ascrivibili alla Termoisover, come accertati dal c.t.u., ammontano al più ad E 23.382,27 oltre iva, a fronte di lavori complessivi per E 330.000,00 e quindi per una percentuale inferiore al 10% del valore degli stessi.

Va quindi, in riforma, rigettata la domanda di risoluzione del contratto d’appalto in danno della Termoisover.

Con essa va altresì rigettata (per ragioni diverse da quelle enucleate dal primo decidente) la – connessa – domanda risarcitoria per vizi, proposta dai committenti (ed in questa sede ribadita con appello incidentale) con riferimento alle stesse difformità fatte valere per la risoluzione.

Ciò in base al principio per cui ‘In tema di risoluzione del contratto per difformità o vizi dell’opera, qualora il committente abbia chiesto il risarcimento del danno in correlazione con la risoluzione e i vizi dell’opera non siano risultati tali da renderla del tutto inadatta alla sua destinazione, così da giustificare lo scioglimento del contratto, la richiesta risarcitoria non può essere accolta per mancanza dei presupposti della pretesa azionata, che si deve fondare sulla medesima “causa petendi” della domanda di risoluzione’- Cass 13/07/2018, n.18578 e nello stesso senso Cass 04/03/2015, n.4366 in cui i danni di cui si era chiesto il risarcimento erano collegati agli stessi fatti posti a base della domanda di risoluzione.

Né può sostenersi nella specie il difetto di ‘collegamento’ tra domanda di risoluzione e quella risarcitoria (che rimanendo sganciata dalla prima potrebbe esser accolta a prescindere) sol perché si è invocato l’art.1669 c.c. notoriamente di natura extracontrattuale.

Il collegio infatti intende far proprio il più recente arresto della S.C (ord. n. 4511 del 14/02/2019) che in contrasto con Cass.n. n. 28233/2017 (‘La responsabilità regolata dall’art. 1669 c.c. ha natura non contrattuale, derivando da un fatto idoneo a produrre obbligazioni in conformità dell’ordinamento giuridico, ex art. 1173 c.c. ed è, pertanto, esclusivamente a tale disciplina – e non alle norme generali dettate in tema di risoluzione del contratto per inadempimento, ex artt. 1453 ss. c.c. – che occorre fare riferimento in caso di rovina e difetti di immobili, anche laddove l’opera appaltata non sia stata ultimata’) – afferma che in caso di opera non ultimata, restando l’appaltatore inadempiente all’obbligazione contrattuale assunta, si applicano le norme generali in tema di risoluzione per inadempimento ex artt. 1453 e ss. c.c. e non la speciale garanzia prevista dagli artt. 1667,1668 e 1669 c.c., i quali trovano applicazione solo nella diversa ipotesi in cui l’opera sia stata portata a termine, e ciò pur ove appunto venga invocato l’art.1669 c.c.. (o l’art. 2043 c.c. di cui è sottospecie) la cui disciplina, lungi dal porsi come strutturalmente incompatibile con la disciplina dei precedenti artt. 1667 e 1668 c.c., la integra, sicché non è ‘nucleata alcuna ragione che giustifichi la esclusione, in caso di ” pericolo di rovina o di gravi difetti, della indiscussa soluzione giurisprudenziale favorevole alla applicabilità della disciplina generale in tema di inadempimento, nel caso di opera non ultimata’,

Rigettata la domanda di risoluzione, nessun ostacolo si pone alla pretesa dell’impresa ad ottenere il corrispettivo ancora dovuto per le opere effettivamente eseguite, che peraltro le sarebbe spettato a titolo ‘restitutorio’ anche ove fosse stata confermato lo scioglimento del rapporto (stante il consolidato principio per cui ‘nel contratto di appalto non potendo l’appaltatore trattenere l’opera realizzata avrà diritto (ai fini di riequilibrare i patrimoni dei contraenti) ad una somma pari al valore dell’opera realizzata fino al momento della risoluzione, e/o, comunque, alla parte di corrispettivo corrispondente all’opera realizzata’- Cass.n.12187/2017).

Corrispettivo che ammonta, in base a quanto accertato con indagine immune da censure dal c.t.u., in complessivi E 133.723,46 iva compresa, somma al pagamento della quale va condannati in solido i committenti Po. Ra. e Po. Ce. agli interessi legali dalla domanda al soddisfo.

Tardivo è poi l’appello incidentale di Ta. En., Fi. Il. e Po. En., il cui difetto di legittimazione attiva essi avrebbero dovuto contestare nei termini ordinari con appello autonomo poiché ‘L’impugnazione incidentale tardiva è sempre ammissibile, a tutela della reale utilità della parte, ove l’impugnazione principale metta in discussione l’assetto d’interessi derivante dalla sentenza cui la parte non impugnante aveva prestato acquiescenza, atteso che l’interesse ad impugnare sorge, anche nelle cause scindibili, dall’eventualità che l’accoglimento dell’impugnazione principale modifichi tale assetto giuridico’ (Cass. n. 1879/18), mentre nella specie l’assetto d’interessi dei predetti – la cui pretesa risarcitoria è stata rigettata in primo grado- non è stato messo in discussione dall’appello, con cui si chiede il rigetto della domanda di risoluzione del contratto d’appalto cui gli stessi sono estranei.

In sostanza l’interesse degli stessi all’impugnazione non è sorto per effetto dell’appello – non diretto contro di loro- sicché non potevano giovarsi dell’impugnazione incidentale tardiva ex art.334 c.p.c., ‘operando le forme e i termini stabiliti da questa norma esclusivamente per l’impugnazione incidentale in senso stretto, ossia per quella proveniente dalla parte “contro” la quale è stata proposta l’impugnazione principale, o per quella chiamata ad integrare il contraddittorio a norma dell’art.331 c.p.c.’ (Cass. n. 17614 del 24/08/2020 e da ultimo Sez. Un. n. 23903 del 29/10/2020).

La sentenza che ha definito il Giudizio di primo grado è stata notificata proprio dalla difesa Po./Ta./Fi. in data 21.12.2019 e da tale data decorreva il termine breve per l’impugnazione anche per i notificanti, che invece hanno proposto appello incidentale solo con la comparsa di risposta, successiva al decorso di detto termine breve.

In ogni caso la pretesa di danno non patrimoniale fondata sui presunti vizi dell’appalto sul presupposto della dedotta compromessa godibilità dell’unità immobiliare è priva di fondamento, posto che siffatto pregiudizio si traduce, al più, in danno patrimoniale per non aver potuto sfruttare appieno il bene e che può esser fatto valere solo dai titolari del diritto reale.

Quanto alla posizione processuale del Direttore Lavori. arch. Pe. va rilevato che, a ben vedere, il Tribunale ha dichiarato risolto solo il contratto d’appalto, nulla dicendo sul – distinto- contratto d’opera intellettuale con detto professionista, che dunque è privo d’interesse alla riforma, né è stato formulato o accolto gravame che possa incidere sulla detta posizione.

Va peraltro accolta la sua domanda di restituzione di quanto versato a titolo di spese in esecuzione della sentenza impugnata.

Le spese del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza e vanno poste a carico degli appellati Po. -Ta.-Fi., con esclusione della fase istruttoria di questo grado.

Va infine dichiarata la sussistenza dei presupposti per il pagamento da parte degli appellante incidentali dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13 co 1 quater D.M. 115/2002 e successive modificazioni

P.Q.M.

La Corte, definitivamente decidendo, in accoglimento dell’appello principale proposto da Termoisover-ind s.r.l. avverso la sentenza n. 1450/2019 resa dal Tribunale di Como, in riforma della stessa, così provvede:

rigetta la domanda di risoluzione e risarcimento danni proposta dagli odierni appellati Po. Ra. e Po. Ce.;

dichiara inammissibile l’appello incidentale proposto dagli appellati Ta. En., Fi. Il. e Po. En., così confermando il loro difetto di legittimazione attiva;

condanna Po. Ra. e Po. Ce. al pagamento in favore dell’appellante Termoisover-ind s.r.l. della somma di E 133.723,46 oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo.

Condanna gli appellati Po. Ra., Po. Ce., Ta. En. Fi. Il. e Po. En., in solido, al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio che liquida, ai sensi del D.M. 55/2014 (scaglione da E 52.001,00 a E 260.000,00), in favore di ciascuno degli originari convenuti, per il primo grado, in complessivi E 13.430,00 altresì ponendo definitivamente a loro carico le spese di c.t.u.; per il presente grado, in complessivi E 9.515,00 oltre al rimborso spese contributo unificato; oltre per entrambi i gradi IVA e CPA e rimborso spese forfetarie ex art. 1, comma 2 stesso decreto nella percentuale del 15%, del compenso totale per la prestazione.

Condanna altresì gli stessi appellati a restituire quanto ricevuto in esecuzione della sentenza di primo grado dalle altre parti in causa.

Dichiara la sussistenza dei presupposti per il pagamento da parte degli appellanti incidentali Po. Ra., Po. Ce., Ta. En. Fi. Il. e Po. En. dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13 co 1 quater D.M. 115/2002

Così deciso in Milano il 22.9.2021

Depositata in cancelleria il 01/10/2021

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