Massima

Le spese per il noleggio delle apparecchiature per intercettazioni telefoniche e ambientali sono considerate spese straordinarie di giustizia, liquidate con decreto del magistrato. Queste spese possono essere contestate solo tramite gli strumenti previsti dal d.P.R. n. 115 del 2002. Non essendo una transazione commerciale con la pubblica amministrazione, non si applicano le normative sugli interessi moratori del d.lg. n. 231 del 2002.

Supporto alla lettura

INTERCETTAZIONI 

Le intercettazioni sono uno dei mezzi di ricerca della prova disciplinati dal codice di procedura penale  (Libro III, Titolo III, Capo IV, artt. 266-271). In assenza di una definizione legislativa, la giurisprudenza è intervenuta per colmare tale lacuna, stabilendo che le intercettazioni sono  captazioni occulte e contestuali di una comunicazione o conversazione tra due o più soggetti che agiscono con l’intenzione di escludere altri e con modalità oggettivamente idonee a tale scopo, attuate da un soggetto estraneo alla conversazione mediante strumenti tecnici di precisione tali da vanificare le cautele poste a protezione del carattere riservato della comunicazione

Le intercettazioni possono essere:

  • telefoniche, se consistono nell’acquisizione di telecomunicazioni attraverso il telefono o altre forme di trasmissione;
  • ambientali, se si indirizzano a colloqui tra presenti all’insaputa di almeno uno degli interessati;
  • informatiche, se si intercetta il flusso di comunicazioni relativo a sistemi informatici o telematici.

Ai sensi dell’ art. 267 c.p.p., la richiesta del PM al GIP del decreto motivato che autorizza le intercettazioni deve basarsi sui seguenti presupposti:

  • devono essere presenti gravi indizi di reato
  • l’intercettazione deve risultare assolutamente indispensabile per la prosecuzione delle indagini. L’indagine investigativa non può trarre origine dall’intercettazione.

Da ultimo, la legge 9 agosto 2024, n. 114 “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale, all’ordinamento giudiziario e al codice dell’ordinamento militare (Riforma Nordio)” ha modificato anche la disciplina relativa alle intercettazioni (si veda, ad esempio, l’ introduzione dell’obbligo di interrogatorio dell’indagato prima di disporre la misura cautelaresalvo che sia necessario l’effetto sorpresa, che deve essere documentato integralmente con riproduzione audiovisiva o fonografica a pena di inutilizzabilità, mentre esso è escluso se c’è pericolo di fuga o di inquinamento delle prove.

Si distinguono dalle intercettazioni, i tabulati telefonici che, invece, contengono l’elenco di tutte le chiamate effettuate da un telefono in un certo intervallo di tempo e consentono solamente di verificare se una conversazione telefonica v’è stata o meno, senza poter conoscere in alcun modo il contenuto della telefonata. In altri termini, solo l’intercettazione consente di “sentire” ciò che gli intercettati si stanno dicendo.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione ritualmente notificato, il Ministero della Giustizia proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 1391/2011, emesso dal Tribunale di Messina in data 14.09.2011, depositato in data 29.09.2011, con il quale, su ricorso della (omissis) S.r.l., veniva ingiunto nei suoi confronti il pagamento della somma di E 89.969,87, a titolo di residuo credito capitale, oltre interessi fino al soddisfo, per la fornitura alle Procure della Repubblica di Barcellona P.G., Palmi, Messina, Catania, Palermo, Reggio Calabria, Patti e Ragusa, di attrezzature per la radiolocalizzazione ed il monitoraggio ambientale.

Con l’atto di citazione in opposizione, il Ministero eccepiva, in particolare, l’inesigibilità del credito per l’adozione di metodi di quantificazione errati e l’insufficienza della documentazione esibita al fine di risalire alle date di emissione, da parte degli Uffici Giudiziari, dei decreti di liquidazione e stabilire così con certezza il momento di decorrenza degli interessi.

Si costituiva in giudizio la (omissis) S.r.l., deducendo che, essendosi in presenza di un rapporto instaurato iure privatorum dalla Pubblica amministrazione, dovesse applicarsi il d.lgs. 231/2002, con le connesse conseguenze in tema di decorrenza degli interessi moratori.

Con ordinanza dell’11.07.2012, il G.I. concedeva la provvisoria esecuzione del titolo monitorio opposto.

Successivamente, con sentenza n. 2120/2017, emessa in data 27.07.2017 e pubblicata in data 04.08.2017, il Tribunale di Messina: rigettava l’opposizione e, per l’effetto confermava il decreto ingiuntivo n. 1391/2011; condannava il Ministero opponente al pagamento, in favore dell’opposta, delle spese di lite.

Con atto di citazione notificato, il Ministero della Giustizia proponeva appello avverso la predetta sentenza, preliminarmente chiedendone la sospensione dell’efficacia esecutiva.

Con comparsa di costituzione e risposta, si costituiva in giudizio la (omissis) S.r.l., instando per il rigetto del gravame.

La Corte, con ordinanza del 16.07.2018, sciogliendo la riserva precedentemente assunta, …ritenuto che non possa essere emessa ordinanza di inammissibilità ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c. …; ritenuto che l’istanza di sospensione dell’esecutività possa essere accolta…, sospendeva l’esecutività della sentenza appellata e rinviava all’udienza del 07.10.2019 per la precisazione delle conclusioni.

Dopo vari rinvii, all’udienza del 04.11.2022 la causa veniva posta in decisione, previa la concessione dei termini di rito per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica.

Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
1- Con unico motivo di gravame, l’appellante censura la sentenza gravata nella parte in cui il primo giudicante ha ritenuto che il rapporto instauratosi tra le parti, avente ad oggetto la locazione di apparecchiature per le intercettazioni, non potesse inquadrarsi nella fattispecie della relazione tra giudice e suo ausiliario, ma dovesse di contro qualificarsi in termini di transazione commerciale ai sensi del d.lgs. 231/2002.

Nello specifico, il primo giudicante ha ritenuto che nel caso oggetto di giudizio il calcolo degli interessi di mora dovesse essere effettuato ai sensi dell’art. 4, comma 1, del d.lgs. 231/2002 e, su tale presupposto, ha rigettato l’opposizione articolata dal Ministero.

L’appellante sostiene che tale statuizione debba essere sostituita con altra che – affermata l’applicabilità del T.U.S.G. (D.p.r. 115/2002); dato atto che la società ricorrente aveva ammesso il pagamento del compenso per le prestazioni rese; dato atto, altresì, che il Ministero aveva prodotto (all’udienza del 14.06.2012) la documentazione comprovante l’emissione di ordinativi di pagamento per un ammontare complessivo di circa E 40.000,00 – accerti che nulla è dovuto all’appellata (omissis) S.r.l. Evidenzia che il decreto ingiuntivo opposto non ha ad oggetto il pagamento dei crediti scaturenti dall’esecuzione delle prestazioni, ma solo gli interessi per ritardato pagamento su di essi maturati. Ciò in quanto la (omissis) S.r.l., nel ricorso per decreto ingiuntivo, aveva dato atto dell’avvenuto pagamento, da parte del Ministero, dei citati crediti, sostenendo, tuttavia, che esso fosse intervenuto tardivamente.

L’appellante, di conseguenza, deduce l’inesistenza di prova in ordine alla decorrenza iniziale di eventuali interessi e l’erroneità del loro computo, sottolineando l’inidoneità della documentazione prodotta da controparte al fine di risalire alla data di emissione dei decreti di liquidazione.

Sostiene che il primo giudicante abbia errato a ritenere che gli interessi fossero dovuti al tasso previsto dal d.lgs. 231/2002 e che decorressero dal trentesimo giorno successivo all’esecuzione delle prestazioni. Afferma, difatti, che la prestazione funzionale all’esecuzione delle intercettazioni e del monitoraggio ambientale debba qualificarsi come attività imposta unilateralmente, rientrante non nel novero delle transazioni commerciali, ma delle prestazioni obbligatorie ripetibili come spese di giustizia ai sensi dell’art. 5, comma 1, lettera i-bis D.p.r. n. 115/2002.

Sottolinea, al riguardo, che il conferimento dell’incarico avviene per decreto dell’ufficio di procura e non all’esito di pubblica gara o di trattativa privata; la fonte del rapporto instaurato con le imprese munite di attrezzature tecniche specialistiche, pertanto, non sarebbe contrattuale o negoziale, ma provvedimentale, versandosi nell’ambito dell’attività processuale e giudiziaria, in quanto la prestazione obbligatoria imposta all’impresa è indispensabile per la prosecuzione delle indagini.

Evidenzia, a riprova del fatto che il rapporto oggetto di giudizio non trovi fondamento in un contratto, che l’eventuale titolo negoziale avrebbe dovuto essere stipulato in forma scritta, come tutti i contratti di cui e parte una P.A.

Sostiene, dunque, che non possano trovare applicazione nel caso di specie le disposizioni di cui all’art. 4 e 5 del D.lgs. 231/2002. I pagamenti effettuati dal Ministero, pertanto, non possono considerarsi effettuati in ritardo, né essere imputati ad interessi.

Deduce, di contro, che le prestazioni effettuate da parte appellata (rientrando tra quelle da rendere a fini di giustizia, e, come tali, definite obbligatorie dal legislatore) debbano essere disciplinate dall’art. 70 del T.U. sulle spese di giustizia, con conseguente soggezione all’iter di liquidazione del compenso ivi stabilito. Nel caso di specie, pertanto, il fatto costitutivo del credito vantato dall’appellata non sarebbe costituito dalle fatture, ma dal decreto di liquidazione emesso a conclusione della procedura amministrativa disciplinata dal citato T.U. all’art. 168. Solo a seguito dell’emanazione del decreto di liquidazione, difatti, l’importo del credito diverrebbe certo, liquido ed esigibile.

Alla luce di quanto argomentato, l’appellante sostiene che, stante l’inapplicabilità del D.lgs. 231/2002, il diritto di credito sia esigibile solo dall’emissione dei decreti di liquidazione ex art. 168 T.U.S.G., mai prodotti da parte appellata. Evidenzia che quest’ultima non solo ha quantificato arbitrariamente il capitale utilizzando le fatture, ma ha anche preteso interessi non dovuti a un tasso non dovuto, ai quali ha poi erroneamente imputato i pagamenti del capitale effettuati dall’amministrazione.

L’appellante, pertanto, sostiene in conclusione che la documentazione prodotta da controparte sia insufficiente a dimostrare l’esistenza e l’entità del credito.

L’appello è fondato per le ragioni di seguito illustrate.

Appare utile richiamare i principi enucleati dalla Suprema Corte in tema di noleggio di apparecchiature per intercettazioni telefoniche e ambientali prestato da società private in favore delle Procure della Repubblica. I giudici di legittimità, difatti, con plurime e conformi pronunce, hanno avuto modo di specificare che le spese per il noleggio delle citate apparecchiature devono qualificarsi come spese straordinarie di giustizia, liquidate con decreto del magistrato disponente, opponibili esclusivamente con gli strumenti predisposti a tale scopo dal D.P.R. n. 115 del 2002; esse, pertanto, non integrano una transazione commerciale con la P.A., sicché non risulta applicabile, quanto agli interessi moratori, la disciplina contenuta nel D.Lgs. n. 231 del 2002 (cfr. Cass. civ., n. 12111/2020; Cass. civ., n. 27013/2022; Cass. civ., n. 35690/2022).

Per una migliore intellezione dei menzionati principi è fondamentale ricostruire, sulla scorta degli arresti giurisprudenziali menzionati, il quadro normativo di riferimento.

Orbene, fino al 2004 era pacifico che le spese per il noleggio di apparecchiature necessarie per le intercettazioni telefoniche ed ambientali non fossero espressamente previste come spese di giustizia dal D.P.R. n. 115 del 2002; tutto si riduceva, pertanto, ad un’alternativa: considerarle oppure no spese straordinarie di giustizia.

In seguito, la L. 30 dicembre 2004, n. 311, ha modificato l’art. 1 del D.P.R. n. 115 del 2002, includendo espressamente tra le spese ripetibili dall’Erario, che le ha anticipate, quelle relative alle prestazioni di cui all’art. 96 del Codice delle comunicazioni elettroniche (D.Lgs. 10 agosto 2003, n. 259) e, per quel che più interessa nella vicenda oggetto di giudizio, quelle “funzionali all’utilizzo delle prestazioni medesime” (art. 5, comma 1, lett. i-bis, come modificato dalla L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 326). Proprio tra queste ultime “devono ritenersi comprese anche quelle per il noleggio delle apparecchiature necessarie alla captazione e alla registrazione” (Cass. civ., n. 12111/2020).

Sulla materia è ulteriormente intervenuto l’art. 168 bis del D.P.R. n. 115/2002 (introdotto dal D.Lgs. 2 ottobre 2018, n. 120, in vigore dal 10.11.2018), il quale ha previsto espressamente che le spese relative alle prestazioni obbligatorie a fini di giustizia, effettuate a fronte di richieste di intercettazioni e di informazioni da parte delle competenti autorità giudiziarie, e quelle funzionali all’utilizzo delle prestazioni medesime, debbano essere liquidate con decreto giudiziale ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 168, individuando esclusivamente nel Pubblico Ministero, che ha eseguito o richiesto l’autorizzazione a disporre le operazioni captative, il soggetto competente ad emettere tale decreto.

Orbene, deve precisarsi che sebbene tale norma non risulti applicabile ratione temporis alla fattispecie concreta (essendo entrata in vigore a partire dal 10.11.2018, quindi successivamente ai fatti che costituiscono l’oggetto del presente giudizio), già prima della sua entrata in vigore, e nella vigenza della precedente normativa, era invalso nella giurisprudenza il principio, condiviso da questa Corte di Appello, secondo cui la liquidazione del compenso per il noleggio ad una Procura della Repubblica di apparecchiature destinate ad intercettazioni telefoniche ed ambientali, intendendosi con ciò la messa a disposizione delle menzionate apparecchiature e, se del caso, del personale addetto al loro funzionamento, dovesse essere effettuata ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 168, trattandosi di una spesa straordinaria di giustizia sottratta alla libera contrattazione e connotata da un rilievo pubblicistico (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 208 del 09/01/2020; Sez. 3, Sentenza n. 33765 del 19/12/2019; Sez. 3, Sentenza n. 21973 del 03/09/2019; Sez. 1, Sentenza n. 2074 del 24/01/2019).

In questa prospettiva – di rilevanza determinante ai fini della decisione -, l’introduzione dell’art. 168 bis del D.P.R. n. 115/2002 comprova ancor di più, da una parte, la volontà del legislatore di attrarre le spese per le intercettazioni nel novero di quelle di giustizia (anche relativamente alle modalità di liquidazione) e, dall’altra, quella di disciplinare con le stesse modalità sia i costi per le prestazioni obbligatorie cui sono tenuti gli operatori delle comunicazioni telefoniche, sia quelli per la locazione dei macchinari da soggetti privati (cfr. Cass. civ., n. 2074/2019; Cass. civ., n. 22159/2019).

Ciò detto, alla luce dell’iter normativo attraverso il quale si addiviene alla liquidazione delle spese di noleggio (dettato, come detto, dal D.P.R. n. 115/2002), è evidente che le fatture sono sottoposte ad un vaglio di congruità e di regolarità, perciò il credito acquista i caratteri della certezza, della liquidità e della esigibilità solo con il decreto di pagamento del D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 168 (Cass. civ., n. 12111/2020).

La Suprema Corte, sulla base dei principi illustrati, ha dunque ritenuto (pure in fattispecie precedenti l’introduzione del citato art. 168 bis DPR 115/02) che le spese per il noleggio, da una società privata, di apparecchiature necessarie per le intercettazioni telefoniche e ambientali, qualificandosi come spese straordinarie di giustizia, sono connotate da un rilievo pubblicistico. Pertanto, il noleggio delle apparecchiature deve ritenersi sottratto alla libera contrattazione (cfr. Cass. civ., n. 35690/2022). Più nel dettaglio, le prestazioni di noleggio di apparecchiature private da utilizzarsi per intercettazioni telefoniche non sono, in astratto, sottratte alla libera contrattazione, ma l’autorizzazione all’utilizzo rilasciata dal P.M. non costituisce accettazione di una proposta contrattuale del noleggiatore poiché essa proviene da un organo che non ha capacità di impegnare contrattualmente il Ministero della Giustizia e la sua funzione è piuttosto di rendere utilizzabili nel processo le intercettazioni effettuate con strumenti privati. Peraltro, in difetto di una utilizzazione pattuita, l’uso di tali apparecchiature è rimborsabile nei termini indicati dall’art. 168 del d.P.R. n. 115 del 2002, disposizione di chiusura che consente il rimborso di tutte le spese, non espressamente previste, effettuate nel corso del processo per situazioni straordinarie (Cfr. Cass. civ., n.14242/2020).

Tale ricostruzione consente di ritenere superate le tesi prospettate da parte opposta, la quale lamenta che l’applicazione alla fattispecie oggetto di giudizio della disciplina di cui al D.P.R. n. 115/2002 determinerebbe una violazione del diritto dell’Unione Europea, non garantendo l’operatività delle direttive 200/35/CE e 2011/7/UE (e delle relative discipline nazionali di recepimento, i D.Lgs. 231/2002 e 192/2012). Ed infatti, la circostanza che il credito della società noleggiatrice trovi causa in una spesa straordinaria di giustizia, e non in una transazione commerciale con la P.A., connotandosi, pertanto, per il suo rilievo pubblicistico, consente di escludere qualsiasi dubbio di contrasto con la disciplina comunitaria in tema di transazioni commerciali, inerendo il credito in questione, appunto, ad un rapporto di tipo pubblicistico (Cfr. sul punto: Cass. civ., n. 12111/2020).

Alla luce delle considerazioni svolte, deve pertanto riconoscersi, in definitiva: che il corrispettivo dovuto alla (omissis) S.r.l. per il noleggio di apparecchiature utilizzate per le intercettazioni ambientali presenta un’innegabile connotazione pubblicistica; che la sua determinazione non è affidata alla libera contrattazione (non venendosi ad instaurare tra il Ministero e la società di noleggio un rapporto di diritto privato); che il titolo di pagamento è costituito esclusivamente dal decreto di liquidazione del magistrato, adottato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 168, incompatibile con l’applicazione del citato decreto legislativo n. 231/2002. Il credito della società noleggiatrice, parimenti, trovando causa in una spesa straordinaria di giustizia e non in una transazione commerciale con la P.A. – cui applicare, quanto agli interessi moratori, la disciplina contenuta nel d.lgs. n. 231/2002+ – si connota per il suo rilievo pubblicistico, come tale sottratto alla libera contrattazione.

A monte, quindi, della doglianza di parte appellante volta a denunciare l’insufficienza della documentazione prodotta da controparte per dimostrare l’esistenza e l’entità del credito, deve rilevarsi che il credito stesso non avrebbe potuto esser azionato in via monitoria, essendo interamente sottoposto alla procedura prevista dal D.P.R. n. 115 del 2002 (Cass. civ., n. 12111/2020).

Difatti, poiché la pretesa creditoria azionata ricade nel novero delle spese di giustizia, la cui procedura di liquidazione avrebbe dovuto seguire il procedimento di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, all’esito della liquidazione del magistrato procedente, il relativo provvedimento sarebbe stato impugnabile solo nelle forme di cui all’art. 170 del citato testo unico (Cass. civ., n. 35690/2022).

Nella fattispecie, invece, la POMA s.r.l. dopo aver ottenuto i decreti di liquidazione e di pagamento ex art. 168 DPR 115/02 ha azionato un ordinario giudizio monitorio per ottenere il pagamento del residuo della sorte capitale (avendo autonomamente imputato ad interessi i pagamenti effettuati dal Ministero a seguito degli emessi decreti di liquidazione), invece di avvalersi del rimedio speciale dell’opposizione espressamente previsto dall’art. 170 citato DPR 115/02, e di conseguenza la relativa domanda deve ritenersi improponibile in questa sede.

Alla luce di quanto sopra esposto, inoltre, esula dalla presente disamina quanto invocato da parte appellata ossia l’integrazione del T.U. 115/02 (spese di giustizia) in un’ottica interpretativa orientata al rispetto del diritto dell’UE con tutte quelle previsioni di ascendenza comunitaria, che sanciscono la fissazione inderogabile del dies a quo per il maturare degli interessi moratori legali, la misura degli interessi, il termine per l’espletamento delle procedure di verifica non riscontrabili nella normativa nazionale o la chiesta rimessione degli atti alla Corte di Giustizia della UE ai sensi dell’art. 267, II° comma, TFUE.

Per le ragioni supra illustrate, ed in accoglimento dell’appello proposto dal Ministero della Giustizia, deve dunque essere accolta l’opposizione al decreto ingiuntivo n. 1391/2011, il quale, per l’effetto, deve essere revocato.

L’accoglimento dell’appello impone di rivedere il regime delle spese processuali di primo e secondo grado in base ad un giudizio unitario, che tenga conto, secondo pacifica giurisprudenza, della globalità della contesa e del suo esito complessivo.

In questa prospettiva, stante la novità della questione trattata, la quale è stata affrontata dalla giurisprudenza di legittimità solo a partire dal 2019, ritiene equo la Corte compensare tra le parti 1/2 delle spese processuali di primo e di secondo grado, mentre l’altra parte – nella misura come sotto quantificata -va posta a carico dell’appellata, (omissis) S.r.l. Si precisa che non ricorrono i presupposti per compensare integralmente le spese di lite tra le parti in quanto, nonostante la richiamata novità della questione, essa risulta di pacifica risoluzione, appalesandosi del tutto univoci, in materia, gli arresti della Suprema Corte.

Ciò posto, la metà dei compensi, devono liquidarsi, per entrambi i gradi di giudizio, in base ai parametri di cui al D.M. n. 55/2014, come parzialmente modificato, da ultimo, con D.M. n. 147/2022 (in vigore dal 23 ottobre 2022) – qui applicabile ratione temporis -, in linea con il principio affermato dalla Suprema Corte, cui va data continuità in questa sede, secondo il quale in tema di spese processuali, i parametri introdotti dal D. M. n. 55 del 2014, cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti, trovano applicazione ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto, ancorché la prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta nella vigenza della pregressa regolamentazione, purché a tale data la prestazione professionale non sia stata ancora completata. Ne consegue che, qualora il giudizio di primo grado si sia concluso con sentenza prima della entrata in vigore del detto D. M., non operano i nuovi parametri di liquidazione, dovendo le prestazioni professionali ritenersi esaurite con la sentenza, sia pure limitatamente a quel grado; nondimeno, in caso di riforma della decisione, il giudice dell’impugnazione, investito ai sensi dell’art. 336 c. p. c. anche della liquidazione delle spese del grado precedente, deve applicare la disciplina vigente al momento della sentenza d’appello, atteso che l’accezione omnicomprensiva di <<compenso>> evoca la nozione di un corrispettivo unitario per l’opera prestata nella sua interezza (così Cass. Civ., n. 31884/2018).

Ne discende che per il primo grado, avuto riguardo al valore della controversia ed applicando i parametri tariffari minimi in considerazione dell’entità delle questioni trattate e della rilevanza delle relative prestazioni defensionali, la metà delle spettanze si determina in complessivi E 3.526,00 (di cui E 638,00 per fase di studio; E 407,00 per fase introduttiva; E 1.417,00 per fase istruttoria; E 1.063,5 per fase decisionale), oltre rimborso spese generali nella misura di legge, cpa ed iva.

Per il secondo grado, avuto riguardo al valore della controversia ed applicando i parametri tariffari minimi in considerazione dell’entità delle questioni trattate e della rilevanza delle relative prestazioni defensionali, la metà delle spettanze si determina in complessivi E 2.498,5 (di cui E 744,5 per fase di studio; E 478,00 per fase introduttiva; E 1.276,00 per fase decisionale), oltre rimborso spese generali nella misura di legge, cpa ed iva.

P.Q.M.
La Corte di Appello di Messina, prima sezione civile, come sopra composta, uditi i procuratori delle parti, disattesa ogni contraria istanza, difesa e/o eccezione, definitivamente pronunciando sull’appello proposto dal Ministero della Giustizia avverso la sentenza n. 2120/2017, emessa dal Tribunale di Messina in data 27.07.2017 e pubblicata in data 04.08.2017, così provvede:1) in accoglimento dell’appello ed in riforma della sentenza gravata, accoglie l’opposizione proposta in primo grado dal Ministero della Giustizia e, per l’effetto, revoca il decreto ingiuntivo n. 1391/2011 emesso dal Tribunale di Messina; 2) Condanna la (omissis) S.r.l. alla rifusione della metà spese del giudizio di primo grado in favore del Ministero della Giustizia, liquidate in complessivi E 3.526,00 (di cui E 638,00 per fase di studio; E 407,00 per fase introduttiva; E 1.417,00 per fase istruttoria; E 1.063,5 per fase decisionale), oltre rimborso spese generali nella misura di legge, cpa ed iva. Dichiara compensate tra le parti la rimanente metà delle spese processuali di primo grado; 3) Condanna la (omissis) S.r.l. alla rifusione della metà spese del giudizio di secondo grado in favore del Ministero della Giustizia, liquidate in complessivi E 2.498,5 (di cui E 744,5 per fase di studio; E 478,00 per fase introduttiva; E 1.276,00 per fase decisionale), oltre rimborso spese generali nella misura di legge, cpa ed iva. Dichiara compensate tra le parti la rimante metà delle spese processuali di secondo grado;

Manda alla Cancelleria per quanto di competenza.

Così deciso in Messina, in esito alla Camera di Consiglio (svoltasi da remoto) del 14 aprile 2023.

Depositata in cancelleria il 19/04/2023.

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