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Corte d’ appello Cagliari sez. I, 26/09/2024, n.911

Massima

Sono responsabili di bancarotta fraudolenta gli amministratori della società che per un’immobile, rimasto di proprietà dell’originaria venditrice, era stato accollato alla società un debito (avente a oggetto il pagamento del prezzo residuo dello stabile) essendo indubbio che gli imputati fossero consapevoli di concorrere all’ aggravamento del dissesto, essendo quest’ultimo un effetto necessario e inevitabile dell’operazione da essi compiuta.

Supporto alla lettura

BANCAROTTA

La bancarotta è un reato che consiste nella dissimulazione o destabilizzazione del proprio patrimonio diretta a realizzare un’insolvenza, anche apparente, nei confronti dei creditori.

I reati di bancarotta,  originariamente contemplati all’interno della Legge Fallimentare (Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267), in seguito riscritta dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali), sono confluiti all’ interno del Titolo IX del nuovo  “Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza”. 

Il reato di bancarotta può essere di due tipi:

  • bancarotta propria: riguarda l’imprenditore
  • bancarotta impropria: riguarda la società   

Entrambe le fattispecie si dividono in:

  • bancarotta fraudolenta: l’ agente opera con intento fraudolento e si realizza quando l’imprenditore distrae, occulta, dissimula, distrugge o dissipa in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, espone passività inesistenti ( bancarotta fraudolenta patrimoniale); oppure quando sottrae, distrugge o falsifica, in tutto o in parte, in modo tale da procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li tiene in modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari (bancarotta fraudolenta documentale), oppure ancora, a scopo di favorire taluni creditori rispetto ad altri esegue pagamenti o simula titoli di prelazione (è la bancarotta fraudolenta preferenziale).
  • bancarotta semplice: l’ agente opera senza dolo, ma in modo avventato e imprudente, facendo spese personali o per la famiglia eccessive rispetto alla sua condizione economica; oppure ha consumato una notevole parte del suo patrimonio in operazioni manifestamente imprudenti, ha compiuto operazioni di grave imprudenza per ritardare il fallimento; ha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento o non ha soddisfatto le obbligazioni assunte in un precedente concordato preventivo o fallimentare. Responsabile di bancarotta semplice è anche il fallito che nei tre anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento, ovvero dall’inizio dell’impresa se questa ha avuto una minore durata, non ha tenuto i libri e le altre scritture contabili prescritti dalla legge, oppure li ha tenuti in maniera irregolare o incompleta.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Con sentenza pronunciata 27 aprile 2023, il Tribunale di Cagliari ha, per quanto ancora interessa, dichiarato (omissis) e la di lui moglie (omissis), nella loro veste di soci e amministratori della società (omissis) S.r.l., colpevoli del reato di cui agli artt. 110 del cod. pen. e 223, comma 2, seconda ipotesi, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, e li ha condannati alla pena di tre anni e sei mesi di reclusione ciascuno, oltre ad accessori.

Il Giudice ha accertato:

– Che, il 18 ottobre 2011, gli imputati avevano acquistato da tale Gr.An. un appartamento, facente parte di uno stabile ubicato in questo viale (…), da destinare (ed effettivamente destinato) a loro prima casa;

– Che, secondo gli accordi inter partes, il corrispettivo del prezzo avrebbe dovuto essere pagato in rate mensili dell’importo di Euro 4.772,95 ciascuna, fino alla concorrenza di Euro 572.754,00, e il trasferimento della proprietà sarebbe avvenuto al momento del versamento dell’ultima rata;

– Che, successivamente, con atto in data 28 dicembre 2012, i due coniugi, in sede di ricostituzione del capitale della nominata società ex art. 2482 bis del cod. civ., vi avevano conferito l’immobile de quo, nel quale erano rimasti a risiedere, pagando alla società stessa, peraltro saltuariamente, un canone di Euro 1.000,00 mensili;

– Che il valore del conferimento era stato stimato in Euro 47.844,73, pari alla differenza tra il valore del bene, stimato in Euro 450.000,00, e l’ammontare delle rate già pagate;

– Che, in conseguenza dell’operazione, la società, già gravata da un’esposizione di circa un milione e duecentomila euro, si era accollata il debito residuo di oltre quattrocentomila euro, pari all’importo complessivo delle rate in scadenza, senza acquistare il diritto di proprietà dell’immobile, rimasto nel patrimonio della venditrice Gr.;

– Che, stanti le non buone condizioni economiche della società, i pagamenti delle rate in favore della stessa (omissis)  si erano interrotti nel 2014;

– Che, infine, con sentenza in data 26 maggio 2017, il Tribunale di Cagliari aveva dichiarato il fallimento della società.

Su tali basi il Tribunale ha dunque ritenuto che, mediante la suddetta operazione di conferimento, il (omissis) e la (omissis) avessero consapevolmente concorso ad aggravare il dissesto della società e che, pertanto, fossero rimasti integrati tutti gli estremi del reato contestato.

Avverso la sentenza hanno proposto appello i difensori degli imputati.

Col primo motivo, hanno dedotto che, anche a detta del curatore del fallimento, il deficit economico della società aveva soltanto nell’anno 2015 raggiunto dimensioni rilevanti e anomale, nondimeno attenuate dal versamento, nelle casse sociali, da parte degli imputati, della somma di Euro 480.000,00, ricavata dalla vendita di un immobile appartenente alla società medesima, con la conseguenza che gli effetti negativi dell’operazione in esame erano stati in seguito neutralizzati. Inoltre, sempre a detta del curatore, la causa del fallimento poteva essere individuata “nelle evidenti e diffuse inefficienze economiche della gestione caratteristica”, onde il conferimento in questione non aveva assunto alcuna efficienza causale rispetto al fallimento.

Col secondo motivo, hanno dedotto che i loro assistiti non potevano prevedere che il conferimento de quo avrebbe concorso a causare il dissesto della Life, essendo invece vero che essi intendevano adibire l’appartamento a show room, al fine di incrementare il giro d’affari dell’impresa, a nulla rilevando che, poi, tale progetto non si fosse realizzato.

Col terzo, infine, hanno lamentato il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, la cui sussistenza era stata ingiustamente negala dal Tribunale sul solo rilievo che i loro assistiti, pur avendo mostrato di voler collaborare con la Procedura, avevano tuttavia mentito sul fatto che fosse loro intenzione adibire a show room l’appartamento conferito, e senza considerare che, dalle indagini svolte dal curatore, non erano emerse (altre) condotte connotate da mala fede.

Pertanto, hanno sollecitato l’assoluzione degli imputati con la formula “perché il fatto non sussiste” o “perché non costituisce reato” e, in subordine, che, previa concessione delle attenuanti indeterminate, la congrua riduzione della pena inflitta.

Ad avviso della Corte, l’appello è privo di giuridico fondamento.

Invero, deve preliminarmente puntualizzarsi che, secondo consolidata giurisprudenza (da ultimo, Cass. 15 maggio 2024, Nasti e altro, ma v. già Cass., 28 marzo 2003, Negro), la bancarotta c.d. impropria, di cui all’art. 223, comma secondo, n. 2, della L. Fall. è integrata anche quando l’operazione compiuta abbia aggravato in modo significativo una situazione di dissesto già esistente: “il dissesto riflette il substrato economico-patrimoniale dell’insolvenza, lo squilibrio tra attività e passività, sicché, deteriorando il relativo rapporto, si cagiona o aggrava il dissesto (stesso)”.

Esattamente come accaduto nella fattispecie giudiziaria in disamina, in cui, col conferimento dell’immobile, rimasto di proprietà dell’originaria venditrice, era stato accollato alla società un debito (avente a oggetto il pagamento del prezzo residuo dello stabile) che aveva determinato un incremento di oltre un terzo dell’indebitamento complessivo, in una situazione in cui la società stessa già registrava significativi deficit economici, tanto è vero che il conferimento era stato deliberato proprio in seguito alla perdita di oltre un terzo del capitale sociale, in presenza della quale si poneva esclusivamente l’alternativa tra la ricapitalizzazione e la messa in liquidazione.

Indubbio è, poi, che gli imputati fossero consapevoli di concorrere all’aggravamento del dissesto, essendo quest’ultimo un effetto necessario e inevitabile dell’operazione da essi compiuta.

Né l’elemento psicologico può essere escluso per il fatto che essi intendessero, a loro detta, adibire l’appartamento a show room, in modo da incrementare il giro d’affari dell’impresa, perché della concretezza di tale intenzione non è stata fornita (ga va sans dire) la minima prova: né una delibera del consiglio d’amministrazione, né uno studio di fattibilità, né un preventivo dei lavori necessari, né la richiesta al Comune della modifica della destinazione d’uso dell’immobile e via di seguito.

Ciò che, invece, è rimasto provato, è che il (omissis), i quali avevano acquistato la loro prima casa d’abitazione, assumendo l’onere di versare ogni mese per dieci anni una rata di quasi cinquemila euro, avevano elegantemente trasferito alla società, già pesantemente indebitata, l’intera loro esposizione debitoria, riducendo di fatto a soli mille Euro al mese l’importo delle rate a loro carico, versate quando capitava, e conservando la detenzione dell’immobile, ove avevano continuato a risiedere, senza che, si ripete, l’evocata intenzione di realizzare lo show room nell’interesse della società fosse accompagnata da progetti o iniziative destinate a effettivamente realizzarla e senza che i creditori sociali potessero rivalersi sull’immobile, da loro non aggreditole perché, si sottolinea ancora, rimasto nel patrimonio della Gr.

E, infatti, al momento della dichiarazione di fallimento, il debito verso la Gr. medesima era ancora praticamente pari al suo importo iniziale.

Per tali motivi, ricorrendo tutti i requisiti di legge, l’affermazione della responsabilità degli imputati non può che essere ribadita anche in questa sede.

Bene, infine, il Tribunale ha ritenuto l’insussistenza delle attenuanti generiche, in considerazione della spregiudicatezza dell’operazione, da apprezzare anche alla luce del fatto che gli imputati avevano continuato a percepire lauti emolumenti per lo svolgimento delle cariche rivestite, nonostante la gravità delle condizioni economiche della società; del grave pregiudizio subito dai creditori sociali, trovatisi a concorrere con la venditrice dell’immobile, e dalla mancanza di qualsiasi gesto finalizzato a ristorare i danni causati, elementi i quali, nel loro complesso, devono essere considerati prevalenti rispetto alla “collaborazione prestata a favore del curatore” (dovuta per legge); al successivo conferimento nelle casse della società del corrispettivo della vendita di un altro immobile (già appartenete alla società stessa, pensa che sforzo) e all’unicità dell’illecito, unicità peraltro discutibile, dato che la percezione, da parte dell’amministratore, di compensi elevati in presenza di una situazione di dissesto può configurare varie fattispecie di reato (ad esempio, di bancarotta per distrazione o preferenziale).

Per tali ragioni, stante la complessiva infondatezza di tutti i motivi d’appello, la sentenza dev’essere integralmente confermata.

Segue, per legge, la condanna degli imputati al pagamento delle spese di questo grado del giudizio.

P.Q.M.
Visti gli artt. 592 e 599 c.p.p., conferma la sentenza impugnata e condanna (omissis) alle spese di questo grado del giudizio.Indica per deposito della sentenza il termine di 90 giorni.

Così deciso in Cagliari il 17 settembre 2024.

Depositato in Cancelleria il 26 settembre 2024.

Allegati

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