Va premesso, in fatto, che in data 21/12/2012, A. O., nato a Serracapriola il .., lamentando dolori irradiati all’arto superiore sinistro, si recava in compagnia del figlio S. O., alle ore 23:50, presso la Guardia Medica di Serracapriola, ove era di turno il dott. G. B., il quale effettuava indagine diagnostica a mezzo di ECG con esito di “ritmo sinusale”, refertava il “riferito dolore al braccio sinistro in iperteso in trattamento” e somministrava “IV + IV gtt di nifedipina per via sublinguale”; tornato al domicilio, A. O. avvertiva dolore al petto e, pertanto, il figlio A. F. lo accompagnava nuovamente alle ore 1.45 presso la Guardia Medica di Serracapriola, ove il dott. G. B. lo avrebbe rassicurato sul suo stato di salute e consigliato di recarsi presso l’Ospedale di Torremaggiore.
In base alla prospettazione dei fatti degli attori-odierni appellanti, F. O., avrebbe richiesto al medico di provvedere al trasporto del proprio genitore a mezzo di ambulanza, ma il dott. G. B. avrebbe declinato la richiesta, dichiarando che l’ambulanza sarebbe stata riservata alle urgenze. Durante il tragitto verso l’Ospedale di Torremaggiore, nei pressi del cimitero di S. Paolo Civitate, la situazione precipitava, tant’è che A. F. allertava il 118 e sopraggiungeva una pattuglia di Carabinieri che scortava l’infermo, ancora in vita, al 118 di Torremaggiore ove veniva constatato il suo decesso per arresto cardiorespiratorio. Al momento del decesso, A. O., di anni 62, iperteso da molti anni, in trattamento con beta bloccanti sartani, calcioantagonisti, era altresì affetto da ateromasia dell’aorta addominale con lieve dilatazione nel tratto sottorenale; nel 2004, aveva subito un infortunio sul lavoro per effetto del quale aveva riportato uno schiacciamento toraco-addominale complicato da fratture costali multiple all’emitorace dx, da volet toracico laterale dx e da uno pneumotorace; aveva una lacerazione del V segmento epatico, un’ematoma renale dx e un’artrosi polidistrettuale; in 04/02/2009 era stato sottoposto ad intervento chirurgico di artroprotesi al ginocchio destro per gonartrosi (e sottoposto a ECG, gli veniva diagnosticata bradicardia sinusale). In data 27/12/2012, il de cuius A. O. veniva sottoposto ad autopsia. Sul fronte dell’eziologia, gli attori sostenevano che il decesso di A. O. dovesse essere ascritto all’imperizia e alla negligenza del sanitario di turno presso la Guardia Medica di Serracapriola, che con una diagnosi errata e una terapia inadeguata, in presenza di sindrome coronarica acuta aveva concausato l’evento morte. Sulla base di tali premesse, la coniuge di A. O., L.F. P., nonché i figli F. O. (convivente), S. O. (non convivente) e M. O. (non convivente), il genitore F. O. e il germano A. O., convenivano in giudizio, innanzi al Tribunale di Foggia, l’A.S.L. di Foggia per sentirla condannare al risarcimento del danno c.d. da perdita del rapporto parentale e, pertanto, al pagamento: “a) della somma di € 300.000,00 in favore della sig.ra L.F. P. per danno da perdita parentale, oltre interessi moratori e rivalutazione monetaria dalla data del decesso all’effettivo soddisfo, ovvero della diversa e/o maggiore somma che Codesto On. Tribunale dovesse ritenere di giustizia; b) della somma di € 300.000,00 in favore del figlio convivente F. O. per danno da perdita parentale, oltre interessi moratori e rivalutazione monetaria dalla data del decesso all’effettivo soddisfo, ovvero della diversa e/o maggiore somma che Codesto On. Tribunale dovesse ritenere di giustizia; c) della somma di € 270.000,00 in favore del figlio non convivente S. O. per danno da perdita parentale, oltre interessi moratori e rivalutazione monetaria dalla data del decesso all’effettivo soddisfo, ovvero della diversa e/o maggiore somma che Codesto Tribunale dovesse ritenere di giustizia; d) della somma di € 270.000,00 in favore del figlio non convivente M. O. per danno da perdita parentale, oltre interessi moratori e rivalutazione monetaria dalla data del decesso all’effettivo soddisfo, ovvero della diversa e/o maggiore somma che Codesto Tribunale dovesse ritenere di giustizia; e) della somma di € 200.000,00 in favore del genitore F. O. per danno da perdita parentale, oltre interessi moratori e rivalutazione monetaria dalla data del decesso all’effettivo soddisfo, ovvero della diversa e/o maggiore somma che Codesto Tribunale dovesse ritenere di giustizia; f) della somma di € 100.000,00 in favore del fratello A. O. per danno da perdita parentale, oltre interessi moratori e rivalutazione monetaria dalla data del decesso all’effettivo soddisfo, ovvero della diversa e/o maggiore somma che Codesto Tribunale dovesse ritenere di giustizia; g) condannare, infine, la convenuta alla rifusione di spese, diritti e onorari di procedura”.
Si costituiva l’A.S.L. di Foggia, concludendo per il rigetto delle domande avversarie, deducendo: la genericità delle allegazioni avversarie, non potendo muoversi alcun rimprovero di scarsa diligenza o imperizia all’A.S.L., avendo la Guardia Medica di Serracapriola e successivamente il Pronto Soccorso di Torremaggiore diligentemente accolto il paziente all’interno della propria struttura seguendo i rituali protocolli e in ottemperanza alle Linee Guida dell’Istituto Superiore di Sanità; che la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Foggia aveva prontamente disposto l’esame autoptico della salma, eseguito il 27/12/2014, alla quale era seguita la relazione tecnica della consulente della Procura, Prof.ssa M. N., la quale aveva escluso che la morte di A. O. fosse da imputare ai sanitari della struttura sanitaria; che, conseguentemente, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Foggia (ex Lucera) aveva richiesto l’archiviazione con la seguente motivazione “rilevato che le indagini svolte dai Carabinieri di Serracapriola e soprattutto la relazione del consulente medico legale sulle cause della morte di A. O., deceduto il 22/12/2012, attestano la sostanziale mancanza di responsabilità di terzi in tale evento mortale in particolare il decesso è avvenuto per insufficienza cardiaca acutissima sostenuta da una grave patologia, come tale del tutto causalmente estranea risulta la condotta dei sanitari che ebbero in cura il soggetto e che peraltro in maniera congrua e conforme alle arti mediche fornirono una assistenza priva di omissioni comportamentali. La ricostruzione clinica, infatti, non consente di poter asserire che vi furono omissioni diagnostiche e comunque nessuna omissione in tal senso emerge nella valutazione medico-legale dei comportamenti sanitari, sicché il fatto non sussiste o comunque non costituisce reato, per totale carenza di seri indizi di responsabilità, sia per l’ipotesi di omicidio colposo sia a maggior ragione per la lamentata omissione dolosa e volontaria in capo all’indagato” e il G.I.P. aveva disposto in data 22/01/2014 l’archiviazione condividendo l’assunto del p.m. sottolineando che: ” 1) quanto all’addebito di omicidio colposo, il referto di ECG delle ore 1:18 del 22/12/2012 escludeva problematiche cardiologiche a carico di A. O.; 2) quanto all’addebito di rifiuto di atti di ufficio, la decisione della G.M. di Serracapriola di inviare il paziente c/o l’ospedale di San Severo a mezzo del 118 ed il rifiuto dello stesso A. O. di essere ivi trasportato”.
Senza alcuna attività istruttoria, con la sentenza gravata n.81/2022. il Tribunale di Foggia, seconda sezione civile, in composizione monocratica, ha rigettato la domanda proposta da L.F. P. , S. O. , F. O. (C.F. ..) F. O. (C.F. ..), M. O., A. O. nei confronti della ASL FG e condannato gli attori alla rifusione delle spese processuali in favore dell’ente convenuto.
Avverso tale sentenza hanno interposto appello, con atto di citazione notificato il 15.03.2022, gli appellanti in epigrafe indicati, chiedendo, per i motivi di seguito indicati, accogliersi le seguenti conclusioni: “…previa sospensione della sentenza di prime cure, nella parte in cui, a dispetto di quanto è realmente accaduto, gli appellanti hanno patito una clamorosa condanna alle spese. Nel merito, riformare e/o annullare la sentenza di primo grado n. 81/2022 depositata il 9 gennaio 2022 dal Tribunale di Foggia e notificata in data 14 febbraio 2022 e conseguentemente condannare la Asl Foggia – in persona del legale rappresentante p.t. – al risarcimento dei danni patiti dal Sig. A. F. e conseguentemente dai suoi eredi appellanti, nella misura che Codesta Ecc.ma Corte di Appello riterrà di riconoscere loro. Con vittoria di spese, diritti ed onorari di giudizio”.
Si è costituita in giudizio la Asl Foggia – in persona del legale rappresentante p.t. chiedendo in via preliminare, accertare e dichiarare l’inammissibilità dell’appello in applicazione degli artt. 342 e 348 bis c.p.c. e, nel merito, rigettare l’appello in quanto infondato in fatto e in diritto e, per l’effetto, confermare integralmente la sentenza impugnata, con vittoria di spese.
Con ordinanza del 24.05.2023, la causa è stata riservata per la decisione con assegnazione alle parti dei termini ex art. 190 c.p.c., per il deposito di memorie conclusionali ed eventuali note di replica.
A fondamento della decisione, il giudice di prime cure, previo inquadramento della fattispecie nell’ambito della responsabilità della struttura sanitaria ex art.1218 c.c., ha ritenuto che gli attori non avessero fornito la prova del nesso di causalità materiale tra la condotta dei sanitari e l’evento dannoso. In particolare, il Tribunale ha evidenziato che il dott. G. B. aveva riportato nel registro “riferito dolore toracico in pz non valutab., al controllo PA 104/68 mmHg. Si invita il paz a recarsi in PS ospedaliero per gli esami special., avendo rifiutato il trasporto con ambulanza del 118” (copia del registro è inserito nel corpo della C.T. della Prof.ssa M. N.) e che tale referto, nella parte relativa alle notizie anamnestiche, rivestisse natura di atto pubblico munito di fede privilegiata di cui all’art. 2700 cod. civ.. Il rifiuto del trasporto con ambulanza da parte del paziente era stato, tra l’altro, confermato dal teste B. V., dipendente dell’A.S.L., il quale nella notte tra il 21 e il 22 dicembre 2012 si trovava nella stanza adiacente all’ambulatorio della Guardia medica di Serracapriola. Ai fini dell’accertamento e valutazione tecnica dei fatti occorsi nella notte tra il 21 e il 22 dicembre 2012, il giudice di prime cure riteneva decisiva la relazione resa dal Consulente tecnico nominato dal P.M., resa dalla Professoressa M. N., aggregato di medicina legale presso l’Università degli Studi di Foggia, che aveva escluso la sussistenza del nesso causale fra l’operato del sanitario e la patologia che aveva dato luogo al decesso. Il consulente della Procura aveva, infatti, concluso che “la morte che incolse l’A. O. il 22/12/2012 è ascrivibile ad una insufficienza cardiaca acutissima sostenuta da una grave coronaropatia ed inquadrabile come una morte improvvisa cardiaca e, cioè, come un evento rapido, inatteso ed imprevedibile sia soggettivamente che oggettivamente, che avviene in soggetti apparentemente sani… anche laddove l’A. O. fosse stato avviato verso una struttura ospedaliera già al momento del primo contatto con il sanitario del Servizio di Guardia Medica, considerata la peculiarità della patologia infartuale e la estrema concentrazione cronologica degli eventi, non possiamo affermare che la morte sarebbe stata, con certezza o con elevata probabilità logica, evitata”. Pertanto, il consulente non avrebbe neppure ipotizzato un comportamento alternativo diverso rispetto a quello in concreto tenuto che avrebbe potuto diversamente orientare il percorso fenomenologico. Ha quindi escluso che vi fossero state, da parte del sanitario che ebbe in cura A. O. nella notte tra il 21 e il 22 dicembre 2012, violazioni di leges artis che avessero assunto una qualche efficienza causale o concausale nell’aggravamento delle condizioni di salute e nel conseguente decesso.
I. Con l’atto di impugnazione, gli appellanti hanno reiterato tutte le argomentazioni difensive spiegate in prime cure, lamentando, in particolare, che, il sanitario della guardia medica , sin dal primo accesso alle h. 23.50, non avrebbe dovuto rimandare a casa il paziente, somministrandogli alcune gocce di nifedipina, ma, in considerazione del quadro clinico che evidenziava l’esistenza di un infarto già in corso, avrebbe dovuto sottoporlo ad adeguati esami ematochimici e provvedere all’immeditato trasporto in autombulanza presso una sede idonea, ove avrebbe dovuto essere sottoposto a coronarografia urgente ed a successiva angioplastica. Tanto risulterebbe, dalla c.t.p. redatta dalla dott.ssa C. S., specialista in criminologia clinica (allegata nel proprio fascicolo di parte di primo grado), dalla quale emergerebbero tutte le carenze non solo diagnostiche ma anche terapeutiche che avrebbero avuto un ruolo decisivo nel determinismo del decesso. Detto c.t.p. aveva evidenziato che i risultati negativi dell’ECG non sarebbero sufficienti ad escludere la diagnosi di S.C.A. (sindrome coronarica acuta) poichè, in alcuna casi, come nella specie, l’ECG potrebbe non presentare alcuna alterazione, nonostante la presenza della suddetta sindrome. Hanno precisato che la richiesta di archiviazione da parte del PM non sarebbe stata loro notificata privandoli della facoltà di opporvisi e che, in ogni caso, le conclusioni alle quali era giunta la Consulente del P.M., prof.ssa M. N., sarebbero state adeguatamente confutate dalla dr.ssa C. S., C.T.P. delle parti appellanti, la quale era giunta a tutt’altro divisamento. Gli appellanti hanno ribadito, inoltre, la versione dei fatti riportata dal figlio del de cuius, F. O., che quella notte accompagnò il padre all’ospedale di Torremaggiore, in occasione del secondo accesso presso la Guardia Medica, secondo la quale, il Dott. G. B. avrebbe invitato l’A. O. a recarsi in ospedale senza concedergli il “lusso” del trasporto in ambulanza. Hanno concluso sostenendo che il Dott. G. B., non avrebbe svolto nessuna delle attività previste dall’art.12 D.P.R. 41/1991, “tanto da mandar via il Sig. A. O. senza neanche “offrirgli” il trasporto in autoambulanza”.
II. In via preliminare, rileva la Corte che le censure, così come formulate, non soddisfino il requisito di specificità prescritto dall’ art.342 c.p.c. nel testo formulato dal d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 134 del 2012, applicabile ratione temporis . In base alla interpretazione della suddetta norma ritenuta preferibile dalle Sezioni Unite della Suprema Corte, “l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata “( Cassazione civile, sez. un., 16/11/2017, n. 27199).
Premesso, quindi, che la specificità dei motivi debba essere correlata al tenore e alla portata delle argomentazioni della decisione impugnata, deve constatarsi che, nel caso concreto, nei motivi di appello, è assente qualsiasi specifico accenno critico alla motivazione contenuta nella sentenza impugnata, essendosi gli appellanti limitati ad un mero richiamo alle argomentazioni difensive assunte in primo grado ( Cassazione civile, sez. un., 06/04/2017, n. 8895, Cassazione civile sez. III, 29/01/2018, n.2062).
Va, infatti, considerato che gli appellanti non hanno affatto contestato la sentenza nella parte in cui ha accertato che la certificazione riportata dal dott. G. B. nel registro – “riferito dolore toracico in pz non valutab., al controllo PA 104/68 mmHg. Si invita il paz a recarsi in PS ospedaliero per gli esami special., avendo rifiutato il trasporto con ambulanza del 118” rivestisse natura di atto pubblico munito di fede privilegiata di cui all’art. 2700 cod. civ.. Tanto “alla stregua del principio secondo il quale le attestazioni contenute in una cartella clinica, redatta da un’azienda ospedaliera pubblica, o da ente convenzionato con il servizio sanitario pubblico, hanno natura di certificazione amministrativa, cui è applicabile lo speciale regime di cui agli artt. 2699 e segg. cod. civ., per quanto attiene alle trascrizioni delle attività espletate nel corso di una terapia o di un intervento (Cass. Civ. n. 25568/2011; Corte App. Bari, n. 324/2017)”. Essi si sono limitati a sostenere inammissibilmente che il dott. G. B. sarebbe venuto meno all’obbligo del trasporto del paziente in autombulanza ignorando la sentenza che aveva attribuito natura di atto pubblico munito di fede privilegiata al referto che ha attestato il rifiuto del trasporto in autombulanza da parte del paziente. Peraltro , il Tribunale di Foggia ha altresì accertato, con motivazione non oggetto di alcuna specifica censura, che ” Il rifiuto del trasporto con ambulanza da parte del paziente era stato, tra l’altro confermato dal teste B. V., dipendente dell’A.S.L., il quale nella notte tra il 21 e il 22 dicembre 2012 si trovava nella stanza adiacente all’ambulatorio della Guardia medica di Serracapriola: “confermo che le stesse persone che si erano già recate un’ora prima, ma che preciso di non aver visto, si erano recate nuovamente alla Guardia medica di Serracapriola… posso confermare di aver udito che il dott. G. B. voleva attivare il servizio di emergenza-urgenza del 118 o di recarsi con mezzo proprio in ospedale per ulteriori controlli. Ricordo che il paziente rifiutava il servizio 118 in quanto non lo riteneva necessario… Preciso che il dott. G. B. ha insistito affinché venisse attivato il servizio di emergenza-urgenza 118 e il paziente rifiutava tale intervento andando via” (v. verbale di udienza del 12/11/2018)”.
Nel merito, in ordine all’assenza di responsabilità del sanitario della guardia medica , il giudice di prime cure ha condiviso le valutazioni del consulente della Procura , il quale aveva concluso che “la morte che incolse l’A. O. il 22/12/2012 è ascrivibile ad una insufficienza cardiaca acutissima sostenuta da una grave coronaropatia ed inquadrabile come una morte improvvisa cardiaca e, cioè, come un evento rapido, inatteso ed imprevedibile sia soggettivamente che oggettivamente, che avviene in soggetti apparentemente sani… anche laddove l’A. O. fosse stato avviato verso una struttura ospedaliera già al momento del primo contatto con il sanitario del Servizio di Guardia Medica, considerata la peculiarità della patologia infartuale e la estrema concentrazione cronologica degli eventi, non possiamo affermare che la morte sarebbe stata, con certezza o con elevata probabilità logica, evitata”. In altri termini, la causa “più probabile che non” che provocò il decesso di A. O. fu la patologia infartuale acuta da cui era affetto tanto il consulente della Procura non aveva neanche ipotizzato un comportamento alternativo diverso rispetto a quello in concreto tenuto che avrebbe potuto diversamente orientare il percorso fenomenologico. Di conseguenza, condividendo le suddette conclusioni, il giudice di prime cure ha escluso che vi siano state, da parte del sanitario che ebbe in cura A. O. nella notte tra il 21 e il 22 dicembre 2012, violazioni di leges artis che abbiano assunto una qualche efficienza causale o concausale nell’aggravamento delle condizioni di salute e nel conseguente decesso (v., ex multis, Cass. Civ. n. 122/2020).
Orbene, anche con riguardo al cd. giudizio controfattuale, gli appellanti non hanno specificamente contestato le conclusioni del consulente del P.M. fatte proprie dal giudice di primo grado, né hanno allegato una specifica condotta omessa dal sanitario che se compiuta avrebbe, con certezza o elevata probabilità, evitato il decesso, essendosi limitati genericamente a richiamare la c.t.p. della dottoressa C. S., la quale ultima sarebbe giunta a conclusioni opposte a quelle della prof.ssa M. N.. Tuttavia, anche nella relazione della dott.ssa C. S. non risulta espresso alcun giudizio controfattuale, essendosi detta c.t.p. limitata ad affermare genericamente che ” … è certo che se il sanitario avesse posto la giusta diagnosi avrebbe potuto prevedere l’evoluzione della malattia verso lo shock e gli avrebbe consentito di prendere le adeguate protezioni ” ( v. pag.12) e “… ex post possiamo pertanto convenire che per il defunto A. O. meglio sarebbe stato se avesse affrontato un viaggio diretto vero il più vicino presidio ospedaliero e ciò dicasi in termini di diagnosi e di terapia” ( v. pg.14 c.t.p.).
Gli appellanti si sono, poi, lamentati del fatto che il giudice di prime cure avrebbe fondato la propria decisione solo ed esclusivamente sull’epilogo del processo penale , senza tener conto del mancato avviso alle parti offese e danneggiate del provvedimento di archiviazione che non avrebbe consentito alle stesse di opporsi e senza considerare quanto emerso dall’esame dei testi escussi in sede civile.
Invero, la questione dell’omessa notifica della richiesta di archiviazione, oltre che nuova è irrilevante poichè gli attori hanno avuto la possibilità di contestare gli esiti della consulenza del P.M. nel giudizio di civile , e del pari irrilevanti si appalesano le prove testimoniali assunte nel giudizio di primo grado, a parte la deposizione del teste B. V. , dipendente della ASL, richiamata nella sentenza gravata con motivazione non oggetto di alcuna censura. L’altra testimonianza, richiamata nell’atto di gravame , è stata resa da N. D.N. , amico del sig. S. O. , il quale , avendo accompagnato la sera del 21.12.2012, insieme all’amico, il padre di quest’ultimo presso la Guardia medica, pur non assistendo alla visita medica, avrebbe appreso dal sig A. O., che il medico gli avrebbe riferito che non si trattava di una cosa grave e che poteva tornare a casa. Lo stesso teste ha poi riferito di aver nuovamente accompagnato, verso le h.3.00, insieme questa volta a F. O., A. O. presso la Guardia medica ed ancora una volta questi sarebbe uscito dicendo che non era una cosa grave e che potevano tornare a casa, circostanza quest’ultima evidentemente contrastante con il referto medico e con la deposizione del teste B. V. della quale si è già detto.
Va, aggiunto che, con riguardo alle lamentate omissione diagnostiche, la professoressa M. N. ha così concluso “… La ricostruzione clinica, infatti , non consente di poter asserire che vi furono omissioni diagnostiche in quanto sebbene il quadro clinico-sintomatologico, dolore al braccio sinistro, potesse suggerire la diagnosi differenziale con una patologie ischemica del miocardio in atti, tale evenienza che , di fatto, si concretizzo conducendo a morte l’A. O. stesso, venne comunque presa in attenta considerazione , sin dal primo accesso presso la Guardia Medica di Serracapriola delle ore 23.50 del 21.12.2012, nel percorso diagnostico differenziale da parte dei sanitari ed esclusa solo al momento dell’acclarata negatività dell’ECG, e comunque al secondo accesso presso la Guardia Medica di Serracapriola delle ore 01.45 del 22.12.2012, il medico di servizio provvide ad inviare l’A. O. presso l’Ospedale più vicino di San Severo … a mezzo di autombulanza del 118, modalità di trasporto rifiutata dall’A. O.”.
D’altra parte, anche a voler considerare l’osservazione del c.t.p. degli attori-appellanti secondo cui l’acclarata negatività dell’ECG non sarebbe decisiva al fine di escludere la SCA, deve tuttavia obbiettarsi che “la tumultuosa ed improvvisa evoluzione negativa delle condizioni cliniche dell’A. O. , la estrema concentrazione cronologica dello svolgere degli eventi ( circa due ore e cinquanta minuti) il prognostico che ab initio, grava su tale tipo di patologia escludono ogni rilevanza causale delle condotte sanitarie attuate presso il servizio di guardia medica …nel determinismo dell’evento patologico che condusse a morte l’A. O. ” ( cfr. pag.99 consulenza della professoressa M. N. ). Si ribadisce, poi, che decisivo è il rilievo del predetto consulente sul giudizio controfattuale, fatto proprio dal primo giudice con motivazione non oggetto di specifica censura, secondo cui “anche laddove l’A. O. fosse stato avviato verso una struttura ospedaliera già al momento del primo contatto con il sanitario del Servizio di Guardia Medica, considerata la peculiarità della patologia infartuale e la estrema concentrazione cronologica degli eventi, non possiamo affermare che la morte sarebbe stata, con certezza o con elevata probabilità logica, evitata”.
Pertanto, pur evidenziando che, in base alla più recente giurisprudenza della Suprema Corte, la responsabilità della struttura sanitaria per i danni da perdita del rapporto parentale, invocati “iure proprio” dai congiunti di un paziente deceduto, sia qualificabile come extracontrattuale (v. Cassazione civile sez. VI, 26/07/2021, n.21404), ritiene questa Corte che il Tribunale di Foggia abbia operato una corretta applicazione del principio secondo cui incombe sulla parte che agisce per il risarcimento del danno l’onere di provare il nesso di causalità tra la insorgenza di una nuova malattia e l’azione o la omissione dei sanitari, mentre, ove il danneggiato abbia assolto a tale onere, spetta alla struttura dimostrare la impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l’inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile e inevitabile con la ordinaria diligenza (cfr. ex multis Cassazione civile sez. III, 11/11/2019, n.28989, Cassazione civile sez. III, 20/11/2018, n.29853). In conclusione, per quanto innanzi evidenziato, devono condividersi la motivazione del Tribunale secondo la quale, nella fattispecie concreta, non vi siano state, da parte del sanitario che ebbe in cura A. O. nella notte tra il 21 e il 22 dicembre 2012, violazioni di leges artis che abbiano assunto una qualche efficienza causale o concausale nell’aggravamento delle condizioni di salute e nel conseguente decesso (v., ex multis, Cass. Civ. n. 122/2020).
Ne consegue che l’appello debba ritenersi anche infondato nel merito, non avendo peraltro gli appellanti neanche sollecitato l’ammissione di una c.t.u., che alla stregua delle considerazioni innanzi esposte, risulterebbe a carattere meramente esplorativo. Infatti, correttamente il giudice di merito ha fondato la propria decisione sulla base della consulenza espletata nel procedimento penale, ben potendo il giudice di merito “utilizzare, in mancanza di qualsiasi divieto di legge, anche prove prodotte in diverso giudizio fra le stesse o altre parti, potendo, altresì , avvalersi anche di una consulenza tecnica ammessa ed espletata in diverso procedimento, valutandone liberamente gli accertamenti ed i suggerimenti una volta che la relativa relazione peritale sia stata ritualmente prodotta dalla parte interessata” ( cfr.Cassazione civile sez. I, 08/03/2023, n.6929). Una volta escluso il nesso causale tra il danno alla salute ed il dedotto inadempimento della struttura sanitaria e quindi la configurabilità dell’an della responsabilità dell’ente convenuto, diventa superfluo l’esame della quantificazione del danno, con conseguente rigetto integrale della appello e conferma della sentenza impugnata .
Gli appellanti sono tenuti alla rifusione delle spese del presente grado di giudizio in favore della parte appellata in base al principio della soccombenza, spese che sono liquidate in applicazione dei parametri medi del D.M. 147 del 13.08.2022 in vigore dal 23.10.2022, in considerazione del valore della causa (indeterminato medio) e dell’attività difensiva svolta ( per tre fasi processuali, esclusa quella istruttoria).
Per effetto dell’odierna decisione (rigetto integrale d’appello), sussistono, inoltre, i presupposti di cui all’art. 13 comma 1-quater d.P.R. 115/2002, per il versamento da parte dell’appellante dell’ulteriore contributo unificato di cui all’art. 13 comma 1 bis d.P.R. 115/2002 .
P.Q.M.
La Corte d’Appello di Bari, III Sezione Civile, definitivamente pronunciando sull’appello proposto con atto di citazione notificato il 15.03.2022, da L.F. P., F. O. ( nato il ..), S. O. , M. O. , A. O., avverso la sentenza n. 81/2022, emessa dal Tribunale di Foggia notificata il 14.02.2022 , nei confronti della ASL di Foggia in persona del Direttore generale e legale rappresentante p.t., reietta ogni ulteriore e contraria istanza ed eccezione, così provvede:
1) Rigetta l’appello e per l’effetto, conferma la gravata sentenza;
2) Condanna gli appellanti alla rifusione in favore della parte appellata delle spese di questo grado di giudizio, spese che liquida, in €.8.470,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfettarie del 15%, I.V.A. e C.A.P. come per legge;
3) dichiara che per effetto dell’odierna decisione (rigetto integrale d’appello), sussistono, inoltre, i presupposti di cui all’art. 13 comma 1-quater d.P.R. 115/2002, per il versamento a carico dell’appellante dell’ulteriore contributo unificato di cui all’art. 13 comma 1 bis d.P.R. 115/2002.
Così deciso in Bari, nella camera di consiglio del 18 settembre 2023