Con atto di citazione notificato il 27.02.2015 il Banco di Napoli S.p.a., con sede in Napoli, esponeva: che era creditrice nei confronti della Coesi S.r.l. e dei suoi quattro fideiussori (C. D., amministratore unico della società; C. A., coniuge del C. D. e socia al 50%; L. S., procuratore speciale a tempo indeterminato della società; M. D., coniuge del L. S. e socia per il restante 50%) dell’importo di € 82.564,89 (a titolo di capitale in scadenza, rate non pagate e mora, in relazione al contratto di mutuo chirografario n. ..), dell’importo di € 45.028,92 (a titolo di scoperto sul conto corrente n. ..), dell’importo di € 172.907,37 (per esposizione sul conto anticipi fatture n. ..), nonché dell’importo di € 28.972,93 (per l’estinzione anticipata di un contratto di interest rate swap); che aveva comunicato la revoca delle linee di credito sin dal 10.10.2013; che C. D., C. A., L. S. e M. D., in virtù di atti stipulati l’11.5.2009 e il 23.11.2011, si erano costituiti garanti della Coesi S.r.l. fino alla concorrenza dell’importo di € 300.000,00 e, in forza di fideiussione specifica del 17.12.2009, si erano costituiti fideiussori della medesima società fino alla concorrenza della ulteriore somma di € 250.000,00; che, frattanto, la Coesi S.r.l. aveva presentato domanda di concordato preventivo e che né la debitrice principale, né i fideiussori avevano provveduto al pagamento del dovuto; che i fideiussori, volendo sottrarsi alle garanzie prestate ed all’adempimento delle proprie obbligazioni, con due atti rogati dal medesimo notaio in pari data (27.3.2013), avevano costituito altrettanti fondi patrimoniali, in cui ciascuna coppia di coniugi aveva fatto confluire tutti gli immobili di loro proprietà; che, alla data della stipula dell’atto dispositivo, il credito della Banca era già esistente e che esso era stato portato a conoscenza della debitrice principale e dei garanti con missive del 31.07.2012 e del 5.08.2013; che sussistevano entrambi i presupposti per la declaratoria di inefficacia ex art. 2901 c.c., nei confronti del Banco di Napoli, dell’atto di disposizione dei coniugi L. S.-M. D. (circa la ricorrenza dell’eventus damni, l’attrice riferiva la circostanza per cui i coniugi, mediante la costituzione del fondo, avevano sottratto alla garanzia del credito tutti i loro cespiti; circa la ricorrenza della scientia damni, veniva sottolineata la particolare relazione che legava ciascun fideiussore alla società debitrice e la sussistenza di legami personali tra di essi, ciò integrando presunzioni gravi, precise e concordanti, in uno alla successione temporale degli eventi, della piena conoscenza e consapevolezza del carattere strumentale dell’atto di disposizione); che rivestiva rilevanza anche la circostanza che si fosse in presenza di atti a titolo gratuito.
Tanto premesso, l’attrice conveniva dinanzi al Tribunale di Bari L. S. e M. D. chiedendo la declaratoria di inefficacia nei propri confronti, ai sensi dell’art. 2901 c.c., dell’atto per Notaio P. D.M. di Bari del 27.03.2013, con cui i coniugi L. S.-M. D. avevano costituito un fondo patrimoniale destinandovi la proprietà di tutto il loro patrimonio immobiliare, con ordine al Conservatore dei Registri Immobiliari di Bari di eseguire le relative annotazioni e trascrizioni e condanna dei convenuti al pagamento delle spese e competenze processuali.
Si costituivano in giudizio L. S. e M. D., deducendo: la nullità dei contratti bancari stipulati tra il Banco di Napoli e la Coesi per omessa consegna dell’informativa precontrattuale e di quella periodica; la nullità delle obbligazioni fideiussorie per difetto di buona fede nell’esecuzione del rapporto; la nullità dei contratti bancari per usurarietà dei tassi di interesse ed anatocismo; l’infondatezza dell’azione revocatoria, atteso che con la costituzione del fondo patrimoniale essi avevano risposto alle esigenze di tutela del loro figlio, affetto da problemi di salute.
I convenuti concludevano per il rigetto della domanda ex art. 2901 c.c. e spiegavano a loro volta domanda riconvenzionale, chiedendo dichiararsi la nullità di tutti i contratti o, in subordine, delle clausole a loro dire vessatorie.
All’udienza di prima comparizione del 6.07.2015 il Banco di Napoli S.p.a. svolgeva reconventio reconventionis nei confronti dei convenuti, formulando domanda di condanna di L. S. e M. D., nella loro qualità di fideiussori della Coesi S.r.l., al pagamento di quanto spettantegli nei limiti delle prestate fideiussioni.
All’esito della fase istruttoria (con acquisizione di prove documentali ed espletamento di prova testimoniale), l’adito Tribunale di Bari, in composizione monocratica, con sentenza n. 491/2020 del 4.2.2020, così decideva:
“1) accoglie la domanda revocatoria dell’attore e, per l’effetto, dichiara inefficace nei confronti di Banco di Napoli S.p.A. l’atto di costituzione di fondo patrimoniale stipulato per Notar P. D.M. in Bari il 27.03.2013, Rep. Racc.: …45480, e trascritto presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari di Bari con nota n. 136 del 10.04.2013, Reg. Gen. 13315, Reg. Part. 10068;
2) rigetta ogni altra domanda;
3) condanna L. S. e M. D., in solido, alla rifusione in favore dell’attore di spese e competenze di giudizio (…)“.
A fondamento della decisione, il Giudice di primo grado ha ritenuto:
– che fosse infondata la domanda riconvenzionale di accertamento della nullità dei contratti bancari sottoscritti dalla Coesi S.r.l. e delle fideiussioni per violazione, da parte della banca, dei doveri informativi, documentalmente risultando o l’assolvimento ai propri doveri da parte dell’istituto (come nel caso del contratto di conto corrente con apertura, relativamente al quale sono stati gli stessi convenuti ad aver prodotto sia i documenti di sintesi ricevuti in consegna e sottoscritti dalla Coesi S.r.l., sia la dichiarazione della società di non voler avvalersi del diritto all’informativa precontrattuale, o nel caso del contratto swap, in riferimento al quale il deposito della documentazione informativa sottoscritta dalla società è stato eseguito dalla banca), o l’espressa rinuncia da parte dei clienti ad avvalersi del diritto all’informativa, mediante sottoscrizione di apposite dichiarazioni (come nella già vista ipotesi dell’informativa precontrattuale del conto corrente, nel caso del conto per anticipo fatture, la cui dichiarazione è stata depositata dagli stessi convenuti, o nel caso del mutuo chirografario);
– che fosse infondata anche l’eccezione di nullità dei contratti di fideiussione per omessa consegna ai garanti della prescritta informativa precontrattuale, risultando per atti che anche i fideiussori avevano espressamente dichiarato di non voler avvalersi di tale diritto;
– che fosse irrilevante l’eccezione di nullità dei contratti di fideiussione per difetto di buona fede esecutiva, in quanto tale doglianza non sarebbe valsa ad invalidare il negozio;
– che fosse infondata la domanda riconvenzionale di accertamento della nullità dei contratti per usurarietà e capitalizzazione anatocistica, sia perché i vizi dedotti afferivano a singole clausole contrattuali e non ai negozi nella loro interezza (con la conseguenza che, anche in ipotesi di fondatezza delle domande, si sarebbe potuto pronunciare la nullità delle sole singole clausole e non dei contratti), sia per la genericità delle doglianze, sia perché i deducenti non avevano provato la contrarietà alla legge delle previsioni contrattuali relative alla capitalizzazione degli interessi e ai tassi di interesse, limitandosi a semplici afferma-zioni, con ciò risultando puramente esplorativa ogni richiesta di indagine peritale;
– che la reconventio reconventionis formulata dalla banca fosse inammissibile, difettando del necessario nesso di consequenzialità con la riconvenzionale e le eccezioni proposte dai convenuti, poiché le loro difese avevano costituito la mera occasione per la proposizione di una domanda che l’attore avrebbe potuto far valere dall’inizio;
– che la domanda principale fosse fondata, essendo dimostrata la ricorrenza dei presupposti necessari ai fini dell’utile esperimento dell’azione revocatoria, risultando il credito della banca, essendovi prova dell’eventus damni (poiché, con la costituzione del fondo patrimoniale, i convenuti avevano vincolato i beni che costituivano la totalità del loro patrimonio immobiliare, così ledendo irrimediabilmente la garanzia patrimoniale generica del creditore), essendovi prova della scientia damni (ricavabile mediante presunzioni: la posteriorità dell’atto dispositivo rispetto all’insorgenza del credito; la conoscenza, da parte dei disponenti, avendo essi ruoli attivi nella compagine sociale, del credito vantato dal Banco di Napoli; la costituzione, in pari data, di analogo fondo patrimoniale da parte dell’altra coppia di coniugi-fideiussori; la constatazione che, nonostante i coniugi L. S.-M. D. si fossero sposati nel 1987, essi avessero avvertito l’esigenza di costituire un fondo solo nel 2013; la conferma, avuta in sede di prova orale, che i disturbi di salute attribuiti al figlio della coppia non costituissero una vera e propria patologia, sostanziandosi invece in un mero malessere che non giustificava di per sé solo l’operazione di costituzione del fondo).
Avverso tale decisione hanno proposto appello innanzi a questa Corte, con atto di citazione del 5.03.2020, L. S. e M. D. chiedendo, per i motivi di seguito indicati ed in riforma dell’impugnata sentenza, l’accoglimento delle seguenti conclusioni:
“1. Riconoscere, ritenere e dichiarare illegittima e/o comunque errata la sentenza impugnata per le causali e i motivi di impugnazione espressi nella narrativa del presente atto di appello, quindi annullarla e/o comunque riformarla rigettando, poiché inammissibile, illegittima, insussistente ed infondata, ogni avversa domanda proposta e quindi rigettare la domanda ex art. 2901 c.c. proposta dal Banco di Napoli confermare il rigetto della reconventio reconventionis proposta sempre da quest’ultimo istituto bancario;
2. inoltre, accertare, riconoscere e dichiarare la responsabilità precontrattuale e contrattuale della Banca per tutti i motivi indicati nella narrativa del presente atto e, di conseguenza, dichiarare affetti da nullità i contratti bancari sottoscritti dalla Coesi s.r.l. e le fideiussioni prestate dagli odierni appellanti;
3. riconoscere e dichiarare l’usurarietà degli interessi applicati dalla Banca, nonché l’applica-zione di interessi anatocistici;
4. gradatamente, riconoscere e dichiarare nulle le clausole vessatorie ed abusive riportate nei contratti bancari sottoscritti dal debitore principale;
5. in via istruttoria, in considerazione delle omissioni istruttorie del Giudice di prime cure che ha respinto ogni istanza di parte in ordine a prove e CTU nonostante lo specifico ed innegabile profilo tecnico della controversia, disporre l’espletamento della CTU richiesta nel primo grado;
6. pronunciarsi anche con altra statuizione comunque idonea a produrre l’effetto di riformare la sentenza appellata riconoscendo le ragioni degli appellanti;
7. con vittoria di spese e compensi dei due gradi di giudizio“.
Con comparsa di costituzione e risposta del 17.07.2020 si è costituita in giudizio Penelope SPV S.r.l., nella sua qualità di cessionaria ex L. n. 130/1999 del Banco di Napoli S.p.a., la quale ha resistito all’impugnazione chiedendone il rigetto siccome infondata, con vittoria di spese.
Il Banco di Napoli S.p.a., pur ritualmente evocato in appello, non si è costituito, ragion per cui ne va dichiarata la contumacia.
Preliminarmente, pur non essendo sorte contestazioni in merito, la Corte rileva la necessità di verificare la sussistenza della legittimazione processuale di Penelope SPV, costituitasi sin dalla prima fase del presente grado in qualità di cessionaria del Banco di Napoli.
Da un lato, per costante giurisprudenza, si afferma che con la cessione del credito in corso di causa si determina la successione a titolo particolare del cessionario nel diritto controverso, cui consegue ai sensi dell’art. 111 c.p.c. la valida prosecuzione del giudizio tra le parti originarie e la conservazione della legittimazione da parte del cedente, in qualità di sostituto processuale del cessionario (art. 81 c.p.c.). Ciò vale anche nell’ipotesi di intervento di quest’ultimo, sino alla formale estromissione del primo dal giudizio, attuabile solo con provvedimento giudiziale e previo consenso di tutte le parti (cfr. Cass. civ., sez. III, 23 ottobre 2014, n. 22503; Cass. civ., sez. I, 22 ottobre 2009, n. 22424). La Suprema Corte ha pure precisato che “la parte che agisca affermandosi successore a titolo particolare del creditore originario, in virtù di un’operazione di cessione in blocco secondo la speciale disciplina di cui all’art. 58 del d.lgs. n. 385 del 1993, ha anche l’onere di dimostrare l’inclusione del credito medesimo in detta operazione, in tal modo fornendo la prova documentale della propria legittimazione sostanziale, salvo che il resistente non l’abbia esplicitamente o implicitamente riconosciuta” (così Cass. civ., sez. VI, 5 novembre 2020, n. 24798). Detto principio è comunemente applicato anche nella più particolare ipotesi di cessione ex L. 130/1999.
La particolarità del caso di specie è però costituita dalla circostanza che la domanda originaria non attiene all’accertamento del credito ceduto o alla condanna al suo pagamento, donde l’esigenza di chiarire se possa sussistere la legittimazione processuale del cessionario anche in ipotesi di domande meramente strumentali rispetto alla tutela del credito.
Sul punto soccorre un recentissimo contributo della Suprema Corte, la quale, in un’ipotesi del tutto simile alla presente (di cessione in blocco disciplinata dalla legge n. 130/1999 e di partecipazione del cessionario ad un’azione ex art. 2901 c.c.), ha affermato che “il credito tutelato con l’azione revocatoria si trasferisce per effetto della cessione e … anche il cessionario acquista ipso iure il diritto di promuovere l’azione esecutiva a norma dell’art. 2902 c.c., che non sarebbe concepibile scisso dal credito ceduto e dunque il diritto di appellare“, sicchè “qualora la parte attrice ceda il proprio credito durante la controversia, il cessionario può intervenire nel processo ai sensi dell’art. 111 c.p.c. quale successore nel diritto affermato in giudizio, poiché con la domanda ex articolo 2901 c.c. si esplica la facoltà del creditore – che costituisce contenuto proprio del suo diritto di credito (presupposto e riferimento ultimo dell’azione esercitata) – di soddisfarsi su un determinato bene nel patrimonio del creditore” (così Cass. civ., sez. III, 29 agosto 2013, n. 25424; cfr. anche Cass. civ. n. 5649/2023).
Pertanto, essendo pacifica e non contestata la qualità di cessionaria di Penelope SPV, alla luce di quanto sopra riferito, deve farsi discendere l’affermazione della sua legittimazione processuale e dell’ammissibilità, ex art. 111 c.p.c., della sua costituzione in giudizio.
Occorre, a questo punto, tornare sulla posizione del Banco di Napoli S.p.a., dovendo delibarsi la questione, anch’essa non sollevata dalle parti, della sua estromissione dal giudizio dal momento che, come visto, la posizione sostanziale è stata unicamente coltivata da Penelope SPV.
Poiché neppure sotto quest’ulteriore profilo sono state mosse contestazioni, può ritenersi implicitamente acquisito il consenso richiesto dall’art. 111 c.p.c. ai fini della declaratoria di estromissione del cedente.
In conclusione, ai sensi dell’art. 111 c.p.c., va dichiarata l’estromissione dal giudizio del Banco di Napoli S.p.a., con integrale compensazione delle spese di questo grado nel rapporto processuale con le altre parti.
I motivi primo, secondo e terzo, poiché tra loro logicamente connessi, si prestano ad una tratta-zione congiunta.
Con il primo motivo di appello viene lamentata la violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 111 Cost., nonché degli artt. 166,167 e 132, co. 2, n. 4, c.p.c., per aver il primo giudice disatteso la richiesta di c.t.u. contabile (sul presupposto che essa non fosse supportata da adeguata prova) e le altre richieste istruttorie.
Per gli appellanti, al fine dell’ammissione della c.t.u. era sufficiente la semplice allegazione della contrarietà a legge delle previsioni contrattuali su tassi di interesse e loro capitalizzazione, ed inoltre – essendo l’istruttoria tecnica sempre necessaria in materie complesse come quella bancaria – la sua mancata ammissione nonostante l’espressa richiesta di parte, costituirebbe ragione di nullità della sentenza per motivazione apparente. Analoghi addebiti vengono formulati in ordine al rigetto delle altre richieste istruttorie (vale a dire la prova testimoniale, mirante – nelle intenzioni degli appellanti – a dimostrare l’omessa consegna dell’informativa precontrattuale, il riempimento abusivo dei moduli informativi, la consapevolezza della banca delle difficoltà economico-finanziarie della Coesi al momento della stipula dei contratti e, quindi, dello stato di costrizione dei coniugi L. S.-M. D. nel rilascio delle fideiussioni).
Con il secondo motivo di appello si lamenta la nullità dei contratti bancari per omessa consegna dell’informativa precontrattuale alla cliente e ai fideiussori, per difetto di informazione periodica e mancanza di trasparenza, e si deduce l’errata valutazione delle prove. Si afferma l’abusivo riempi-mento dei moduli informativi da parte della banca ed anche che la stessa banca non ha fornito né al debitore principale né ai fideiussori la prescritta informativa precontrattuale prima della sottoscrizione dei relativi negozi e della pretesa garanzia.
Con il terzo motivo di appello viene denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 117 e 125 bis T.U.B, nonché degli artt. 1175,1375,1813,1938,1956 c.c. e dell’art. 475 c.p.c. e, in parti-colare, viene lamentata la nullità dei contratti per superamento della soglia usuraria in relazione ai tassi applicati, per applicazione della capitalizzazione trimestrale.
Sul punto gli appellanti deducono che la banca avrebbe “illegittimamente variato nei contratti bancari sottoscritti il tasso di interesse debitore al punto da farlo divenire esorbitante, ultralegale, nonché usurario …” e riportano, per ciascuno dei contratti, calcoli che giustificherebbero dette censure.
I motivi sono inammissibili.
Essi, infatti, risultano formulati in modo del tutto generico e non supportati da adeguata motiva-zione. Inoltre non contengono le necessarie specifiche confutazioni delle rationes decidendi poste a fondamento della decisione. Dunque, non si comprende quali siano i contenuti delle doglianze che possano rilevare ai sensi dell’art. 342 c.p.c.
In ambito applicativo è ormai invalso il principio per cui l’art. 342 c.p.c. – modificato dal d.l. n. 83/2012 (conv. con modif. dalla l. n. 1347/2012) – vada inteso nel senso che l’atto d’impugnazione debba contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della decisione gravata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che contrasti le ragioni addotte dal primo giudice (impianto controfattuale), ancorché senza l’impiego di particolari forme sacramentali, ovvero senza che l’appellante sia gravato della redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado (cfr. Cass. civ. n. 27199/2017).
L’appellante è, quindi, tenuto a offrire una concreta confutazione del percorso motivazionale scelto dal giudice di primo grado, precisando sotto quali aspetti la decisione sia censurabile, quale critica possa essere mossa all’iter logico seguito dal giudice, nonché quale modifica si renda necessaria.
Nei punti in esame, l’impugnazione non soddisfa i requisiti prescritti dalla norma processuale.
Infatti, da un lato, il primo giudice ha congruamente motivato il rigetto della richiesta di c.t.u. e degli altri mezzi istruttori ritenendo, con riguardo alla c.t.u., che i deducenti erano tenuti a fornire un principio di prova o a illustrare in maniera dettagliata e precisa – e non genericamente, come è stato invece fatto – le proprie doglianze, perché in quel caso la richiesta di c.t.u. si sarebbe rivelata esplorativa; dall’altro, con riferimento alle altre istanze istruttorie disattese, non è stato specificamente dedotto in che modo l’eventuale loro ammissione, ed il loro esito, avrebbero potuto contribuire alla riforma della decisione impugnata.
Con riferimento, poi, alla dedotta nullità per violazione del diritto di informazione, a fronte della motivazione della decisione di primo grado (in cui il tribunale ha chiaramente riferito che dalla documentazione in atti – in alcuni casi depositata dagli stessi convenuti! – emergeva o che la banca avesse ottemperato ai propri doveri, o che i clienti avessero espressamente rinunziato alle loro prerogative), gli appellanti si sono limitati a riprodurre – quasi pedissequamente – il contenuto delle loro prime difese.
Sotto l’ultimo profilo, riguardante le nullità contrattuali per superamento della soglia usuraria ed applicazione della capitalizzazione trimestrale, gli appellanti non hanno ritenuto di dover confutare il rilievo del mancato rispetto degli oneri probatori, profondendosi – invece – in affermazioni generiche e riportando calcoli che restano privi di riscontro e di supporto documentale (ad esempio, non sono stati depositati neppure i decreti ministeriali riportanti la rilevazione trimestrale dei tassi soglia).
Da tanto non può che derivare la declaratoria di inammissibilità di tutti i predetti motivi.
Con il quarto motivo di appello si deduce la nullità della fideiussione sia per violazione del principio di buona fede, avendo la banca concesso ulteriori linee di credito alla Coesi nonostante fosse a conoscenza della sua situazione di difficoltà economica (circostanza che sarebbe dimostrata dal fatto che, immediatamente dopo la concessione delle anticipazioni su fatture, la banca avrebbe inteso tutelarsi in data 22.03.2012 con un contratto di interest rate swap in funzione di copertura del rischio legato ai tassi di interesse relativo alla posizione debitoria della Coesi, ma che si sarebbe rivelato solo un ulteriore espediente della banca per lucrare interessi), sia perché redatte in conformità allo schema ABI, in attuazione di un’intesa anticoncorrenziale.
Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.
Nella parte in cui si invoca la violazione del canone di buona il motivo è inammissibile poiché, anche in questo caso, gli appellanti non hanno inteso contestare specificamente la ratio decidendi adoperata dal giudice di primo grado, ritenendo unicamente di ribadire quanto esposto in primo grado.
Con riferimento, invece, alla dedotta nullità della fideiussione per conformità allo schema ABI, il motivo è infondato per difetto di interesse al suo rilievo, non essendo chiara la finalizzazione con-creta della invocata declaratoria di nullità.
Le ragioni sulla nullità delle fideiussioni per violazione della normativa antitrust sono state dai deducenti esposte nel prosieguo processuale, mediante il richiamo alla rilevabilità d’ufficio della nullità delle fideiussioni predisposte in conformità allo schema ABI, pratica censurata dall’Autorità garante e in giurisprudenza poiché attuativa di intese restrittive della concorrenza. Sul punto, attesa la rilevabilità d’ufficio dei vizi in oggetto, non può parlarsi di violazione dell’art. 345, co. 2, c.p.c..
Nel merito va osservato che, con provvedimento n. 55 del 2005, la Banca d’Italia, quale Autorità garante della concorrenza tra gli istituti di credito, ha ritenuto in contrasto con l’art. 2, co. 2, lett. a, della l. 287/90 le clausole sub artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale di fideiussione a garanzia di operazioni bancarie (c.d. fideiussione omnibus) predisposto dall’ABI, ritenuto prodotto di un’intesa anticoncorrenziale. Le clausole nulle per violazione della normativa antitrust, che, a giudizio della Banca d’Italia, comportavano un ingiustificato aggravio della posizione del fideiussore, addossandogli le conseguenze negative derivanti dall’inosservanza degli obblighi di diligenza della banca (art. 6) ovvero dall’invalidità o dall’inefficacia dell’obbligazione principale e degli atti estintivi della stessa (artt. 2 e 8), erano: la clausola cd. di reviviscenza, secondo cui il fideiussore è tenuto a rimborsare alla Banca le somme dalla stessa incassate in pagamento di obbligazioni garantite ma successivamente restituite a seguito di annullamento, inefficacia e revoca dei detti pagamenti, o per qualsiasi altro motivo (art. 2); la clausola di rinuncia ai termini ex art. 1957 c.c., in forza della quale “i diritti derivanti alla banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore, senza che essa sia tenuta ad escutere il debitore o il fideiussore medesimi o qualsiasi altro coobbligato o garante entro i termini previsti, a seconda dei casi, dall’art. 1957 c.c., che si intende derogato” (art. 6); la cd. clausola di sopravvivenza, a termini della quale “qualora le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide, la fideiussione garantisce comunque l’obbligo del debitore di restituire le somme allo stesso erogate” (art. 8).
Che questo fosse il contenuto del deliberato della Banca d’Italia è pacifico, oltre ad essere affermato nelle numerose pronunce della Cassazione, cui è stato devoluto l’esame dell’eccezione di nullità delle fideiussioni riproduttive delle tre clausole dello schema ABI per violazione della normativa antitrust.
La questione è stata definita dalle Sezioni Unite, con l’enunciazione del principio di diritto – al quale questa Corte intende dare continuità – secondo cui “i contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, comma 2, lett. a) della legge n. 287 del 1990 e 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, comma 3, della legge succitata e dell’art. 1419 cod. civ., in relazione alle sole clausole che riproducano quelle dello schema uni-laterale costituente l’intesa vietata“, salvo che la parte interessata alla caducazione dell’intero asset-to negoziale dimostri la interdipendenza del resto del contratto dalla clausola o dalla parte nulla, restando precluso al giudice rilevare d’ufficio l’effetto estensivo della nullità parziale all’intero contratto (v. Cass. civ., sez. un., 30 dicembre 2021, n. 41994; Cass. civ., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044). Ne discende che, in assenza di prova, da parte degli appellanti, dei presupposti per la caducazione dell’intero contratto, la nullità non può estendersi oltre la clausola che deroga all’art. 1957 c.c., del tutto conforme allo schema anticoncorrenziale.
Ciò posto, calando il tema della rilevata nullità parziale dei contratti di fideiussione al caso concreto, va rilevato tuttavia che alcun interesse hanno gli appellanti all’accertamento della nullità della sola clausola ex art. 6, poiché, in assenza di una formale e valida richiesta di pagamento da parte della banca (la quale, tra l’altro, non ha inteso impugnare il capo della sentenza che ha dichiarato inammissibile la reconventio reconventionis), essi non potrebbero comunque ricavare l’effetto di essere liberati dalla garanzia, né altro risultato utile (neppure prospettato).
Con il quinto motivo di appello, vengono dedotti, da un lato, l’insussistenza delle condizioni ex art. 2901 c.c. e perciò il mancato assolvimento da parte della banca degli oneri probatori su di essa gravanti e, dall’altro lato, la sussistenza di una condizione che integrava gli estremi del dovere morale, costituita dalla patologia da cui era affetto il figlio della coppia (circostanza che sarebbe stata confermata dal dr. Giovanni Matera in sede di prova testimoniale), ed il proposito del solvens di adempiere unicamente a detto dovere.
Il motivo è inammissibile.
Giova qui richiamare quanto già evidenziato in ordine agli oneri di specifica contestazione che l’art. 342 c.p.c. pone in capo a chi impugna una decisione di primo grado.
Ebbene, questa Corte rileva come, anche con riferimento a quel che attiene l’oggetto specifico della presente azione, gli appellanti si siano limitati a riproporre il contenuto delle difese svolte in primo grado, prescindendo dalla confutazione specifica delle rationes decidendi poste dal giudice di primo grado a fondamento della propria decisione, tra cui l’accertamento della ricorrenza dei presupposti richiesti dalla norma (eventus damni e scientia damni) e la irrilevanza della presunta patologia sofferta dal figlio della coppia.
Poiché su nessuno di tali aspetti gli appellanti hanno sviluppato idonei motivi di impugnazione, limitandosi piuttosto a riproporre il contenuto delle difese di primo grado, il motivo deve essere dichiarato inammissibile.
Secondo l’ordinario criterio di soccombenza ex art. 91 c.p.c. L. S. e M. D. vanno condannati, tra loro in solido, al pagamento in favore di Penelope SPV delle spese e competenze del presente grado di giudizio, liquidate come in dispositivo.
Alcun provvedimento sulle spese va adottato, per contro, nel rapporto processuale tra gli appellanti e la Banco di Napoli S.p.a., rimasta contumace.
Trattandosi di appello proposto dopo il 30.1.2013, trova applicazione l’art. 13, co. 1 quater, D.P.R. n. 115/2002 (introdotto dall’art. 1, co. 17, L. 228/2012, c.d. “Legge di stabilità”), che obbliga la parte proponente un’impugnazione inammissibile, improcedibile o totalmente infondata, a pagare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
La Corte d’Appello di Bari, Seconda Sezione Civile, definitivamente pronunciando sull’appello proposto, con atto di citazione del 5.03.2020, da L. S. e M. D. avverso la sentenza n. 491/2020 emessa in data 4.02.2020 dal Tribunale di Bari, in composizione monocratica, tra la Banco di Napoli S.p.a. e gli appellanti così provvede:
1) dichiara la contumacia della Banco di Napoli S.p.a.;
2) dichiara l’estromissione dal presente giudizio della Banco di Napoli S.p.a.;
3) dichiara l’inammissibilità dell’appello in relazione ai motivi primo, secondo, terzo e quinto;
4) rigetta l’appello in relazione al motivo quarto;
5) condanna gli appellanti L. S. e M. D., tra loro in solido, al pagamento in favore della Penelope SPV S.r.l. delle spese e competenze del presente grado di giudizio, liquidate in complessivi € 9.000,00 per compenso professionale, oltre al rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed agli accessori come per legge;
6) nulla per le spese tra gli appellanti e la Banco di Napoli S.p.a.;
7) dà atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, a carico degli appellanti, in osservanza dell’art. 13, co. 1 quater, D.P.R. n. 115/2002 (nel testo inserito dall’art. 1, co. 17, L. 228/2012, c.d. “Legge di stabilità”).
Così decisa il 15 settembre 2023 nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile.
