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Consiglio di Stato sez. VII, 23/01/2025, n.514

Massima

Il provvedimento amministrativo di demolizione per abusi edilizi è un atto vincolato che l’amministrazione deve adottare senza margini di discrezionalità, quando le opere sono realizzate in difformità rispetto al permesso di costruire, e non può essere annullato o sospeso sulla base di una domanda di condono presentata da un occupante sine titulo, privo di legittimazione per richiederla.

Supporto alla lettura

ORDINANZA DI DEMOLIZIONE

L’ordinanza di demolizione (o ingiunzione di demolizione), rappresenta un atto amministrativo mediante il quale il Comune, ordina la demolizione di un edificio non autorizzato, realizzato in modo abusivo o non conforme alla normativa edilizia vigente.

Nell’ambito delle pratiche abusive nel settore edilizio, vi sono diverse tipologie di infrazioni che possono portare all’emissione di un’ordinanza di demolizione:

  • lottizzazione abusiva: divisione di terreni in lotti edificabili senza autorizzazione;
  • lavori eseguiti senza permesso o in difformità edilizia: casi in cui vengono eseguiti lavori edilizi senza ottenere il permesso necessario o in totale difformità da esso senza rispettare la normativa vigente;
  • interventi abusivi su terreni pubblici: interventi eseguiti su terreni di proprietà pubblica senza autorizzazione, che compromettono l’utilizzo corretto del territorio destinato a fini pubblici;
  • difformità delle norme urbanistiche: qualsiasi intervento edilizio realizzato in difformità dalle norme urbanistiche e dai piani regolatori vigenti;
  • violazione di vincoli edilizi: opere eseguite in violazione dei vincoli edilizi imposti da leggi statali, regionali o da altre norme urbanistiche, che possono riguardare la destinazione d’uso del terreno, il rispetto di zone inedificabili o la salvaguardia di aree di particolare interesse storico o ambientale.

Secondo quanto stabilito dall’art. 31 del D.P.R. 380/01, è compito del dirigente o del responsabile dell’ufficio comunale esercitare il potere di vigilanza sull’attività urbanistica ed edilizia. Dopo aver accertato l’abuso edilizio, il Comune emette un’ordinanza di demolizione, pubblicata sul sito istituzionale e comunicata anche al Prefetto.

Il destinatario ha 60 giorni per impugnare l’ordinanza davanti al T.A.R. o presentare una richiesta di sanatoria. Se non viene avviato alcun procedimento di sanatoria nei 90 giorni successivi, la Polizia Municipale verifica l’adempimento dell’ordinanza.

Data la natura dell’ordinanza, che impone la demolizione entro 90 giorni e il cui termine, se non prorogato, porta alla confisca automatica del bene, la fase cautelare durante il processo di impugnazione riveste un ruolo fondamentale, infatti, il decorso dei 90 giorni previsti dalla legge, può essere interrotto solo mediante sospensione decisa dal giudice amministrativo su richiesta della parte ricorrente. Questa sospensione congela il termine e impedisce la confisca automatica del bene non demolito.

L’ordinanza di demolizione non sempre viene immediatamente eseguita, e ciò può determinare una serie di implicazioni e difficoltà di cui è essenziale essere consapevoli. Una delle prime conseguenze che possono manifestarsi in caso di mancata esecuzione dell’ordine di demolizione è l’applicazione di sanzioni pecuniarie. Inoltre, secondo quanto sancito dall’art. 31 comma 3 del D.P.R. 380/01, se il responsabile dell’abuso non demolisce conripristino dello stato dei luoghi entro 90 giorni dalla notifica, il bene e l’area su cui è stato costruito illegalmente diventano proprietà gratuita del Comune.

In caso di accertamento di inottemperanza, ossia se l’abuso edilizio non viene rimosso entro il termine di 90 giorni fissato dall’ordinanza demolitoria, le sanzioni pecuniarie previste dal D.P.R. 380/2001 (T.U. Edilizia) possono variare da 2.000 a 20.000 euro.

Dopo aver ricevuto l’ordine di demolizione, è possibile presentare un’istanza di sanatoria per l’abuso edilizio (o accertamento di conformità), per ottenere il permesso di costruire in sanatoria o per richiedere la Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA in sanatoria) o la CILA tardiva.

L’istanza di sanatoria può essere presentata anche se è già stato presentato un ricorso al Giudice Amministrativo contro l’ordine di demolizione, entro un termine di 60 giorni dalla notifica del provvedimento. In questo caso, l’ordine di demolizione viene temporaneamente sospeso in attesa del completamento del nuovo e separato procedimento relativo alla sanatoria dell’abuso edilizio.

Le situazioni in cui un’ordinanza di demolizione può decadere sono le seguenti:

  • se l’ordine di demolizione risulta sproporzionato rispetto alla gravità dell’abuso commesso;
  • se è in corso un processo di regolarizzazione (sanatoria), la demolizione può essere sospesa e poi annullata;
  • in casi in cui il ripristino dello stato originario risulta impossibile senza danneggiare irreparabilmente la parte dell’edificio costruita correttamente (fiscalizzazione dell’abuso edilizio

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
1. La sentenza impugnata ha rigettato il ricorso proposto dall’odierno appellante contro il provvedimento del comune di Pozzuoli n. 20272 del 2015, di ingiunzione a demolire alcuni lavori eseguiti sul manufatto di sua proprietà, sito in via (Omissis).

Avverso la decisione sono dedotti i seguenti motivi di appello:

a) ECCESSO DI POTERE PER VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DI LEGGE – ERRORE IN IUDICANDO – VIOLAZIONE DI LEGGE – VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 27 DEL. D.P.R. 380/2001 – VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 36 E 37 DEL. D.P.R. 380/2001 IN RELAZIONE ALL’ART. 27 S.L. – VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 43 DELLA LEGGE DELLA REGIONE CAMPANIA n. 16 DEL 22 DICEMBRE 2004 – VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 167 E 181 DEL D.LGS. 22.01.2004 N. 42 – VIOLAZIONE DEL GIUSTO PROCEDIMENTO – ECCESSO DI POTERE PER OMESSA PONDERAZIONE DELLA SITUAZIONE CONTEMPLATA – ECCESSO DI POTERE PER DIFETTO DI ISTRUTTORIA E DI MOTIVAZIONE – MANIFESTA INGIUSTIZIA.

b) ECCESSO DI POTERE PER VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DI LEGGE – ERRORE IN IUDICANDO ECCESSO VIOLAZIONE E VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 27 DEL D.P.R. 06.06.2001 n. 380 IN RELAZIONE AGLI ARTT. 3,6,10,2233,36 E 37 DEL D.P.R. 06.06.2001 N. 380 – VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 2 DELLA L.R. 28.11.2001 n. 19 – VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 149 del D. Lgs. n° 42 del 2004 – VIOLAZIONE DEL GIUSTO PROCEDIMENTO – ECCESSO DI POTERE PER ERRORE DI FATTO E DI DIRITTO – ECCESSO DI POTERE PER DIFETTO DI ISTRUTTORIA DEI PRESUPPOSTI E DI MOTIVAZIONE – OMESSA PONDERAZIONE DELLA SITUAZIONE CONTEMPLATA – TRAVISAMENTO – ILLOGICITÀ – CONTRADDITTORIETÀ – PERPLESSITÀ – MANIFESTA INGIUSTIZIA – ALTRI PROFILI.

c) ECCESSO DI POTERE PER VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DI LEGGE – ERRORE IN IUDICANDO ECCESSO DI POTERE PER OMESSA ISTRUTTORIA – PER OMESSA MOTIVAZIONE – PER OMESSA PONDERAZIONE DELLA SITUAZIONE CONTEMPLATA – VIOLAZIONE DEL DPR 380/01 ED IN PARTICOLARE DEGLI ARTT. 34 – 36 – 37 – VIOLAZIONE DI LEGGE – VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 31 DEL D.P.R. 06.06.2001 N. 380 – VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 10 DEL D.P.R. 06.06.2001 N. 380 IN RELAZIONE AGLI ARTT. 3, 6, 10, 22 33, 34, 36 E 37 DEL MEDESIMO T.U. – ECCESSO DI POTERE PER ERRONEITÀ’ DEI PRESUPPOSTI DI FATTO E DI DIRITTO – VIOLAZIONE DEL GIUSTO PROCEDIMENTO – ECCESSO DI POTERE PER DIFETTO DI ISTRUTTORIA E DI MOTIVAZIONE.

2. Si è costituita in giudizio l’amministrazione comunale di Pozzuoli, contestando l’avverso dedotto e chiedendo il rigetto del gravame.

Diritto
3. Gli interventi contestati, consistono nell’essere, l’appartamento in questione – detenuto sine titulo dell’odierno appellante, ma in proprietà del comune, al quale non è stato notificato alcun atto di cessione – il risultato di un frazionamento di un’originaria unità immobiliare, destinata ad attività di commercio, di circa mq. 80,00, con cambio di destinazione del volume così ottenuto ad uso abitativo, e creazione di due diversi accessi.

Infatti, al volume che resta, si accede dal (Omissis), viceversa al nuovo volume creato si accede mediante il civico 106, la cui facciata è stata modificata.

Né il frazionamento, né il cambio di destinazione risultano essere stati legittimamente autorizzati.

Tali opere hanno inoltre apportato una trasformazione del primo ingresso in un portoncino che creava una piccola corte aperta e di un secondo ingresso trasformato in una grande finestra.

Di conseguenza l’amministrazione comunale ha contestato alla parte appellante, oltre la carenza di titolo per la detenzione dell’immobile pubblico, anche di aver realizzato opere su immobili soggetti a vincoli imposti da leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali, in assenza di titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle norme di tutela del paesaggio.

4. Il primo motivo d’appello contesta quanto statuito dal primo giudice in ordine alla carenza di legittimazione della parte appellante, alla presentazione della richiesta di accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36 del D.P.R. n. 380 del 2001.

Al contrario l’appellante sostiene di essere titolato a presentare la relativa istanza e che, dal momento del deposito, l’amministrazione appellata avrebbe dovuto dichiarare caducato l’ordine di demolizione, con conseguente necessità di rieditare ex novo l’esercizio del potere, una volta decorsi i termini di trenta giorni per la formazione del silenzio-diniego, previsti dall’art. 36 del D.P.R. n. 380 del 2001.

4.1. Il motivo è infondato perché omette di considerare che la parte appellante, non era né legittimo possessore né tanto meno legittimo detentore del bene di cui si discute.

Infatti, dall’annotazione di servizio del Comando di Polizia Locale III Settore del 4 marzo del 2015, prot. n. 50, agli atti del fascicolo di primo grado, si può agevolmente ricostruire la storia giuridico-amministrativa dell’immobile in questione, come detto in proprietà del comune di Pozzuoli.

4.1.1. Il bene era stato originariamente assegnato, in corrispettivo di un canone mensile, alla signora (omissis), che, il 17 dicembre del 2007, aveva costituito una società in accomandita semplice con il sig. (omissis), società dalla quale la medesima è uscita il 3 novembre del 2008, cedendo la quota all’altro socio.

Quest’ultimo, l’11 novembre del 2013, ha ceduto il ramo d’azienda a (omissis), che, a sua volta, dopo averlo frazionato senza autorizzazione, il 19 dicembre del 2014 ha ceduto a (omissis) esclusivamente i volumi relativi ai civici nn. (Omissis), conservando in un primo momento, il civico (Omissis).

In sostanza il (omissis), con un primo atto, ha ceduto alla parte appellante il ramo d’azienda in riferimento ai soli civici nn. (Omissis); successivamente ha ceduto anche il civico n. 105, corrispondente ad un volume di circa mq. 80,00, all’appellante, il quale, cambiandone la destinazione, lo ha adibito ad uso abitativo.

Peraltro, anche quest’ultimo ha eseguito interventi abusivi sul bene, modificando il prospetto anteriore del fabbricato, trasformato in ingresso dell’abitazione e creando, inoltre, una piccola corte interna aperta di 2 metri lineari per 1, dove ha collocato il portoncino di ingresso, corrispondente al civico (Omissis). Infine ha sostituito il secondo ingresso all’attività commerciale del civico (Omissis), collocando al suo posto una nuova finestra dell’abitazione.

4.1.2. Dunque, a tacer del resto, egli non è il solo responsabile degli abusi in questione, e soprattutto, in quanto occupante sine titulo, non era legittimato a chiederne la sanatoria.

A maggior ragione considerato che vi era una morosità dei canoni risalente al 2002, che avrebbe giustificato l’esercizio del potere di sfratto da parte dell’ente proprietario.

4.2. Anche il sub-motivo con cui la parte fa valere l’effetto impeditivo dell’efficacia, connesso alla presentazione della domanda di accertamento in conformità ai sensi dell’art. 36 del D.P.R. m. 380 del 2001 è infondato, anche a non voler considerare che la parte, da non legittimata, non potrebbe sollevare la relativa eccezione.

Invero, aderendo all’ordinamento largamente maggioritario di questo plesso giurisdizionale, ritiene il Collegio che “l’obbligo di riesaminare l’abusività delle opere provocato dalla domanda di condono con la riadozione dei provvedimenti repressivi ha senso solo in presenza di un intervento astrattamente sanabile, ossia quando, per effetto della formazione di un nuovo provvedimento esplicito e per il suo concreto contenuto, risulti definitivamente vanificata l’operatività del precedente provvedimento demolitorio, adottato senza tener conto della (astratta) condonabilità del bene” (Consiglio di Stato, VI, 8 aprile 2022, n. 2596).

Di conseguenza non può dirsi affatto essersi verificata la pretesa inefficacia sopravvenuta dell’originaria ordinanza di demolizione, al contrario quest’ultima è rimasta solo sospesa nelle more del decorso del termine previsto dall’art. 36 d. lgs. n. 380 del 2001, ed ha ripreso pieno vigore al momento della sua scadenza.

5. Il secondo motivo di appello censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha qualificato le opere oggetto di contestazione come interventi che modificano la sagoma del fabbricato e che comportano un ulteriore carico urbanistico, erroneamente ritenendo che fossero soggette al permesso di costruire.

Al contrario, la parte appellante sostiene che si tratterebbe di opere riconducibili ad attività di manutenzione ordinaria, che non hanno alterato la sagoma dell’edificio, né inciso sull’assetto urbanistico del territorio.

Del resto – aggiunge – l’intervento è consistito in un frazionamento interno che non ha creato volumetrie aggiuntive, ma era mirato solo a creare opere pertinenziali, dunque al più sarebbe stato soggetto al regime della DIA o a quello della semplice comunicazione di inizio lavori, ma giammai, come ritenuto dall’amministrazione, al più rigoroso tra i titoli edilizi, ossia il permesso di costruire.

Se così correttamente ricostruito, l’intervento sarebbe stato al più meritevole di essere sanzionato con una pena pecuniaria, prevista dall’art. 37 del Testo unico edilizia, per le opere realizzate senza l’ottenimento della DIA, piuttosto che col più grave ordine ripristinatorio reale.

5.1. Il motivo è infondato.

5.1.1. In disparte la considerazione che già il solo mutamento di destinazione esigeva il permesso di costruire, si osserva che, come desumibile dal provvedimento demolitorio impugnato, i lavori contestati non si sono limitati a modificare gli spazi interni, ma hanno apportato variazioni prospettiche all’edificio, trasformando il vecchio ingresso all’attività commerciale, in portone di accesso all’abitazione creata grazie al frazionamento abusivo. L’intervento ha infatti creato una corte di 2 metri per 1 dinanzi a quest’ultima.

Inoltre, il secondo ingresso è stato soppresso, trasformandolo in un vano luce.

Dunque indiscutibilmente sono state apportate modifiche, per di più senza il consenso del proprietario, alla sagoma originaria del fabbricato, oltre ad avere, il mutamento di destinazione, comportato un ulteriore carico urbanistico.

Il che, lungi dal poterlo caratterizzare quale intervento di manutenzione straordinaria, impone di considerare l’intervento in esame quale nuova costruzione, necessitante, come tale, di permesso di costruire.

5.1.2. Tanto meno può dirsi che lo stesso rivesta le caratteristiche di opera pertinenziale, mancando immobili principali a cui lo si possa riferire, né potendosi sostenere, per alcuna delle modifiche realizzate, che avessero una portata strumentale rispetto all’originaria configurazione del manufatto.

6. Il terzo motivo d’appello contesta il difetto di motivazione del provvedimento impugnato, ritenuto scarsamente argomentato, sia con riferimento alle caratteristiche in fatto degli interventi contestati, che in ordine alla tipologia della sanzione applicata, che, essendo la più grave fra quelle alle quali poteva ricorrere l’amministrazione, sarebbe sproporzionata rispetto alla reale entità del fatto addebitato.

6.1. Il motivo è infondato alla luce di quanto statuito dall’Adunanza Plenaria n. 9 del 2017, a lume della quale “A fronte di opere realizzate in parziale difformità dal permesso di costruire, l’ordinanza di demolizione costituisce un atto del tutto vincolato, rispetto al quale l’ente locale non è titolare di alcun margine di discrezionalità neppure quanto al suo contenuto. Esso inoltre non richiede alcuna autonoma comparazione dell’interesse pubblico con quello privato, dal momento che la repressione degli abusi edilizi costituisce attività doverosa e vincolata per l’Amministrazione appellata; quanto alla sua motivazione poi la stessa è adeguatamente costituita dalla descrizione delle opere abusive e della loro contrarietà al titolo, come è nella specie. Né il tempo trascorso dall’epoca di realizzazione del manufatto può comportare deviazioni dalla citata doverosità dell’intervento repressivo o fondare alcun legittimo affidamento in capo ai proprietari”.

In ogni caso dal provvedimento impugnato si possono agevolmente evincere le ragioni di fatto e di diritto che hanno indotto l’amministrazione a disporre la demolizione dell’opera.

7. L’appello va conclusivamente respinto. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.Condanna la parte appellante al pagamento delle spese processuali in favore della costituita appellata, che si liquidano in complessivi euro 4000,00 (euroquattromila,00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio celebrata da remoto del giorno 4 dicembre 2024 con l’intervento dei magistrati:

(omissis)

DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 23 GEN. 2025.

Allegati

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