Avverso la decisione sono dedotti i seguenti motivi di appello:
a) ECCESSO DI POTERE PER VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DI LEGGE – ERRORE IN IUDICANDO – VIOLAZIONE DI LEGGE – VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 27 DEL. D.P.R. 380/2001 – VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 36 E 37 DEL. D.P.R. 380/2001 IN RELAZIONE ALL’ART. 27 S.L. – VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 43 DELLA LEGGE DELLA REGIONE CAMPANIA n. 16 DEL 22 DICEMBRE 2004 – VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 167 E 181 DEL D.LGS. 22.01.2004 N. 42 – VIOLAZIONE DEL GIUSTO PROCEDIMENTO – ECCESSO DI POTERE PER OMESSA PONDERAZIONE DELLA SITUAZIONE CONTEMPLATA – ECCESSO DI POTERE PER DIFETTO DI ISTRUTTORIA E DI MOTIVAZIONE – MANIFESTA INGIUSTIZIA.
b) ECCESSO DI POTERE PER VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DI LEGGE – ERRORE IN IUDICANDO ECCESSO VIOLAZIONE E VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 27 DEL D.P.R. 06.06.2001 n. 380 IN RELAZIONE AGLI ARTT. 3,6,10,2233,36 E 37 DEL D.P.R. 06.06.2001 N. 380 – VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 2 DELLA L.R. 28.11.2001 n. 19 – VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 149 del D. Lgs. n° 42 del 2004 – VIOLAZIONE DEL GIUSTO PROCEDIMENTO – ECCESSO DI POTERE PER ERRORE DI FATTO E DI DIRITTO – ECCESSO DI POTERE PER DIFETTO DI ISTRUTTORIA DEI PRESUPPOSTI E DI MOTIVAZIONE – OMESSA PONDERAZIONE DELLA SITUAZIONE CONTEMPLATA – TRAVISAMENTO – ILLOGICITÀ – CONTRADDITTORIETÀ – PERPLESSITÀ – MANIFESTA INGIUSTIZIA – ALTRI PROFILI.
c) ECCESSO DI POTERE PER VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DI LEGGE – ERRORE IN IUDICANDO ECCESSO DI POTERE PER OMESSA ISTRUTTORIA – PER OMESSA MOTIVAZIONE – PER OMESSA PONDERAZIONE DELLA SITUAZIONE CONTEMPLATA – VIOLAZIONE DEL DPR 380/01 ED IN PARTICOLARE DEGLI ARTT. 34 – 36 – 37 – VIOLAZIONE DI LEGGE – VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 31 DEL D.P.R. 06.06.2001 N. 380 – VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 10 DEL D.P.R. 06.06.2001 N. 380 IN RELAZIONE AGLI ARTT. 3, 6, 10, 22 33, 34, 36 E 37 DEL MEDESIMO T.U. – ECCESSO DI POTERE PER ERRONEITÀ’ DEI PRESUPPOSTI DI FATTO E DI DIRITTO – VIOLAZIONE DEL GIUSTO PROCEDIMENTO – ECCESSO DI POTERE PER DIFETTO DI ISTRUTTORIA E DI MOTIVAZIONE.
2. Si è costituita in giudizio l’amministrazione comunale di Pozzuoli, contestando l’avverso dedotto e chiedendo il rigetto del gravame.
Infatti, al volume che resta, si accede dal (Omissis), viceversa al nuovo volume creato si accede mediante il civico 106, la cui facciata è stata modificata.
Né il frazionamento, né il cambio di destinazione risultano essere stati legittimamente autorizzati.
Tali opere hanno inoltre apportato una trasformazione del primo ingresso in un portoncino che creava una piccola corte aperta e di un secondo ingresso trasformato in una grande finestra.
Di conseguenza l’amministrazione comunale ha contestato alla parte appellante, oltre la carenza di titolo per la detenzione dell’immobile pubblico, anche di aver realizzato opere su immobili soggetti a vincoli imposti da leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali, in assenza di titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle norme di tutela del paesaggio.
4. Il primo motivo d’appello contesta quanto statuito dal primo giudice in ordine alla carenza di legittimazione della parte appellante, alla presentazione della richiesta di accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36 del D.P.R. n. 380 del 2001.
Al contrario l’appellante sostiene di essere titolato a presentare la relativa istanza e che, dal momento del deposito, l’amministrazione appellata avrebbe dovuto dichiarare caducato l’ordine di demolizione, con conseguente necessità di rieditare ex novo l’esercizio del potere, una volta decorsi i termini di trenta giorni per la formazione del silenzio-diniego, previsti dall’art. 36 del D.P.R. n. 380 del 2001.
4.1. Il motivo è infondato perché omette di considerare che la parte appellante, non era né legittimo possessore né tanto meno legittimo detentore del bene di cui si discute.
Infatti, dall’annotazione di servizio del Comando di Polizia Locale III Settore del 4 marzo del 2015, prot. n. 50, agli atti del fascicolo di primo grado, si può agevolmente ricostruire la storia giuridico-amministrativa dell’immobile in questione, come detto in proprietà del comune di Pozzuoli.
4.1.1. Il bene era stato originariamente assegnato, in corrispettivo di un canone mensile, alla signora (omissis), che, il 17 dicembre del 2007, aveva costituito una società in accomandita semplice con il sig. (omissis), società dalla quale la medesima è uscita il 3 novembre del 2008, cedendo la quota all’altro socio.
Quest’ultimo, l’11 novembre del 2013, ha ceduto il ramo d’azienda a (omissis), che, a sua volta, dopo averlo frazionato senza autorizzazione, il 19 dicembre del 2014 ha ceduto a (omissis) esclusivamente i volumi relativi ai civici nn. (Omissis), conservando in un primo momento, il civico (Omissis).
In sostanza il (omissis), con un primo atto, ha ceduto alla parte appellante il ramo d’azienda in riferimento ai soli civici nn. (Omissis); successivamente ha ceduto anche il civico n. 105, corrispondente ad un volume di circa mq. 80,00, all’appellante, il quale, cambiandone la destinazione, lo ha adibito ad uso abitativo.
Peraltro, anche quest’ultimo ha eseguito interventi abusivi sul bene, modificando il prospetto anteriore del fabbricato, trasformato in ingresso dell’abitazione e creando, inoltre, una piccola corte interna aperta di 2 metri lineari per 1, dove ha collocato il portoncino di ingresso, corrispondente al civico (Omissis). Infine ha sostituito il secondo ingresso all’attività commerciale del civico (Omissis), collocando al suo posto una nuova finestra dell’abitazione.
4.1.2. Dunque, a tacer del resto, egli non è il solo responsabile degli abusi in questione, e soprattutto, in quanto occupante sine titulo, non era legittimato a chiederne la sanatoria.
A maggior ragione considerato che vi era una morosità dei canoni risalente al 2002, che avrebbe giustificato l’esercizio del potere di sfratto da parte dell’ente proprietario.
4.2. Anche il sub-motivo con cui la parte fa valere l’effetto impeditivo dell’efficacia, connesso alla presentazione della domanda di accertamento in conformità ai sensi dell’art. 36 del D.P.R. m. 380 del 2001 è infondato, anche a non voler considerare che la parte, da non legittimata, non potrebbe sollevare la relativa eccezione.
Invero, aderendo all’ordinamento largamente maggioritario di questo plesso giurisdizionale, ritiene il Collegio che “l’obbligo di riesaminare l’abusività delle opere provocato dalla domanda di condono con la riadozione dei provvedimenti repressivi ha senso solo in presenza di un intervento astrattamente sanabile, ossia quando, per effetto della formazione di un nuovo provvedimento esplicito e per il suo concreto contenuto, risulti definitivamente vanificata l’operatività del precedente provvedimento demolitorio, adottato senza tener conto della (astratta) condonabilità del bene” (Consiglio di Stato, VI, 8 aprile 2022, n. 2596).
Di conseguenza non può dirsi affatto essersi verificata la pretesa inefficacia sopravvenuta dell’originaria ordinanza di demolizione, al contrario quest’ultima è rimasta solo sospesa nelle more del decorso del termine previsto dall’art. 36 d. lgs. n. 380 del 2001, ed ha ripreso pieno vigore al momento della sua scadenza.
5. Il secondo motivo di appello censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha qualificato le opere oggetto di contestazione come interventi che modificano la sagoma del fabbricato e che comportano un ulteriore carico urbanistico, erroneamente ritenendo che fossero soggette al permesso di costruire.
Al contrario, la parte appellante sostiene che si tratterebbe di opere riconducibili ad attività di manutenzione ordinaria, che non hanno alterato la sagoma dell’edificio, né inciso sull’assetto urbanistico del territorio.
Del resto – aggiunge – l’intervento è consistito in un frazionamento interno che non ha creato volumetrie aggiuntive, ma era mirato solo a creare opere pertinenziali, dunque al più sarebbe stato soggetto al regime della DIA o a quello della semplice comunicazione di inizio lavori, ma giammai, come ritenuto dall’amministrazione, al più rigoroso tra i titoli edilizi, ossia il permesso di costruire.
Se così correttamente ricostruito, l’intervento sarebbe stato al più meritevole di essere sanzionato con una pena pecuniaria, prevista dall’art. 37 del Testo unico edilizia, per le opere realizzate senza l’ottenimento della DIA, piuttosto che col più grave ordine ripristinatorio reale.
5.1. Il motivo è infondato.
5.1.1. In disparte la considerazione che già il solo mutamento di destinazione esigeva il permesso di costruire, si osserva che, come desumibile dal provvedimento demolitorio impugnato, i lavori contestati non si sono limitati a modificare gli spazi interni, ma hanno apportato variazioni prospettiche all’edificio, trasformando il vecchio ingresso all’attività commerciale, in portone di accesso all’abitazione creata grazie al frazionamento abusivo. L’intervento ha infatti creato una corte di 2 metri per 1 dinanzi a quest’ultima.
Inoltre, il secondo ingresso è stato soppresso, trasformandolo in un vano luce.
Dunque indiscutibilmente sono state apportate modifiche, per di più senza il consenso del proprietario, alla sagoma originaria del fabbricato, oltre ad avere, il mutamento di destinazione, comportato un ulteriore carico urbanistico.
Il che, lungi dal poterlo caratterizzare quale intervento di manutenzione straordinaria, impone di considerare l’intervento in esame quale nuova costruzione, necessitante, come tale, di permesso di costruire.
5.1.2. Tanto meno può dirsi che lo stesso rivesta le caratteristiche di opera pertinenziale, mancando immobili principali a cui lo si possa riferire, né potendosi sostenere, per alcuna delle modifiche realizzate, che avessero una portata strumentale rispetto all’originaria configurazione del manufatto.
6. Il terzo motivo d’appello contesta il difetto di motivazione del provvedimento impugnato, ritenuto scarsamente argomentato, sia con riferimento alle caratteristiche in fatto degli interventi contestati, che in ordine alla tipologia della sanzione applicata, che, essendo la più grave fra quelle alle quali poteva ricorrere l’amministrazione, sarebbe sproporzionata rispetto alla reale entità del fatto addebitato.
6.1. Il motivo è infondato alla luce di quanto statuito dall’Adunanza Plenaria n. 9 del 2017, a lume della quale “A fronte di opere realizzate in parziale difformità dal permesso di costruire, l’ordinanza di demolizione costituisce un atto del tutto vincolato, rispetto al quale l’ente locale non è titolare di alcun margine di discrezionalità neppure quanto al suo contenuto. Esso inoltre non richiede alcuna autonoma comparazione dell’interesse pubblico con quello privato, dal momento che la repressione degli abusi edilizi costituisce attività doverosa e vincolata per l’Amministrazione appellata; quanto alla sua motivazione poi la stessa è adeguatamente costituita dalla descrizione delle opere abusive e della loro contrarietà al titolo, come è nella specie. Né il tempo trascorso dall’epoca di realizzazione del manufatto può comportare deviazioni dalla citata doverosità dell’intervento repressivo o fondare alcun legittimo affidamento in capo ai proprietari”.
In ogni caso dal provvedimento impugnato si possono agevolmente evincere le ragioni di fatto e di diritto che hanno indotto l’amministrazione a disporre la demolizione dell’opera.
7. L’appello va conclusivamente respinto. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio celebrata da remoto del giorno 4 dicembre 2024 con l’intervento dei magistrati:
(omissis)
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 23 GEN. 2025.
