Massima

Il mancato riconoscimento da parte del Ministero dell’Istruzione italiano dell’abilitazione all’insegnamento conseguita in Romania da un cittadino italiano, motivato da una restrittiva interpretazione delle normative rumene, è illegittimo. L’amministrazione italiana è tenuta a valutare autonomamente la congruità della formazione conseguita all’estero, applicando i principi del diritto europeo sul reciproco riconoscimento delle qualifiche professionali, senza farsi vincolare da eventuali interpretazioni errate delle autorità del paese d’origine del titolo, soprattutto quando il titolo di studio “insufficiente” è una laurea italiana. Il confronto tra le qualifiche professionali attestate dal diploma estero e quelle richieste dalla normativa nazionale è obbligatorio, e non può essere sostituito da un mero richiamo a pareri esterni. Il rifiuto del riconoscimento è illegittimo, se non si verifica la sussistenza di conoscenze e qualifiche, se non identiche, quantomeno equipollenti a quelle attestate dal diploma nazionale.

Supporto alla lettura

RICONOSCIMENTO ACCADEMICO

Si tratta di una procedura di valutazione analitica dei titoli accademici esteri per verificare se corrispondono per livello, anni di studi e contenuti a un titolo italiano, il cui obiettivo è quello di rilasciare un provvedimento che è analogo a un  titolo finale italiano e avente valore legale nel nostro paese.

Storicamente tale procedura è identificata con il termine di “equipollenza”, anche se la L. 148/2002 non utilizza più tale termine.

Il riconoscimento di un titolo accademico estero può essere richiesto a specifiche condizioni:

  • deve essere stato rilasciato all’estero da un’università o da un’altra istituzione di livello universitario o superiore che faccia parte ufficialmente del sistema educativo del paese;
  • deve essere un titolo finale di 3° ciclo riconosciuto in quel paese;
  • l’ordinamento didattico dell’ateneo individuato deve prevedere un corso di studio comparabile con quello svolto all’estero.

Sia i cittadini UE sia gli extraUE possono richiedere il provvedimento di riconoscimento accademico, la domanda va presentata in un ateneo a scelta e le informazioni su modalità, scadenze, moduli e documentazione da allegare vanno richieste alla segreteria dell’ateneo al quale si vuole presentare la domanda e/o individuate visitando il relativo sito web.

Un organo accademico valuterà, in autonomia e caso per caso, il contenuto degli studi e gli esami sostenuti confrontandoli con il corso di laurea italiano di riferimento. Il riconoscimento non è sempre automatico, infatti l’ateneo può richiedere, per colmare la parte di curriculum degli studi eventualmente non coperta dal titolo estero, di integrare il percorso di studi con altri esami e/o di presentare elaborati finali.

La richiesta di riconoscimento di particolari tipi di titoli accademici va inviata ad altre pubbliche amministrazioni:

  • la domanda per ottenere il provvedimento di  riconoscimento di un dottorato di ricerca va presentata, dal 1 marzo 2022 , conformemente a quanto stabilito dalla L. 15/2022, ad un ateneo a scelta che rechi nella propria offerta formativa un dottorato nella materia di quello conseguito all’estero dall’interessato (informazioni su modalità, scadenze, moduli e documentazione da allegare vanno richieste alla segreteria dell’ateneo al quale si vuole presentare la domanda e/o individuate visitando il relativo sito web);
  • la domanda per ottenere il provvedimento di riconoscimento dei titoli di Teologia e Sacra scrittura ed altri titoli oggetto di ulteriori accordi tra lo Stato italiano e la Santa Sede, rilasciati da istituzioni riconosciute dallo Stato pontificio, va inviata al Ministero dell’Università e della ricerca;
  • la domanda per ottenere il provvedimento di riconoscimento di un titolo artistico/musicale/coreutico va inviata, a partire dal 1 marzo 2022, alle istituzioni superiori operanti nel settore Artistico Coreutico e Musicale, così come previsto dalla L. 15/2022 (informazioni su modalità, scadenze, moduli e documentazione da allegare vanno richieste alla segreteria dell’istituto al quale si vuole presentare la domanda e/o individuate visitando il relativo sito web);
  • la domanda per ottenere il provvedimento di riconoscimento di un titolo abilitante all’ insegnamento o di percorsi di specializzazione post laurea per determinati insegnamenti (ad es. insegnante di sostegno) va inviata al Ministero dell’Istruzione;
  • la domanda per ottenere il riconoscimento valido per tutti i concorsi pubblici, indipendentemente da uno in particolare, della qualifica professionale di ricercatore, va inviata al Ministero dell’Università e della ricerca;
  • la domanda di riconoscimento delle qualifiche professionali va inviata ai Ministeri competenti per materia che vigilano sulle rispettive professioni in Italia.

Ambito oggettivo di applicazione

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2734 del 2020, proposto da
(omissis), rappresentata e difesa dall’avvocato (omissis), con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Bis) n. 12732/2019, resa tra le parti;

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca e della Presidenza del Consiglio dei Ministri;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore il Cons. (omissis) nell’udienza pubblica del giorno 9 luglio 2020 svoltasi ai sensi dell’art. 84 comma 5, del D.L. 17 marzo 2020, n. 18, conv. dalla L. 24 aprile 2020, n. 27, attraverso l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams”;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

1. Con avviso n. 5636 del 2 aprile 2019 e nota n. 7836 del 6 maggio 2019 il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ha rigettato l’istanza presentata dall’odierna appellante volta ad ottenere il riconoscimento in Italia della formazione professionale ottenuta in Romania, a conclusione dei percorsi denominati Porogramului de studi psichopedagogice Nivel I e Nivel II, ritenendo che difettassero i “requisiti di legittimazione al riconoscimento dei titoli, ai sensi della Direttiva 2013/55/UE, per l’esercizio della professione docente, conseguiti in paese appartenente all’Unione Europea, Romania nel caso di specie”.

2. L’odierna parte appellante, ricorrendo dinnanzi al Tar Lazio, Roma, ha impugnato l’avviso n. 5636 del 2 aprile 2019 e la nota n. 7836 del 6 maggio 2019 cit., allegando:

– di avere conseguito presso l’Università italiana il diploma di laurea;

– di avere ottenuto il riconoscimento in Romania del titolo di laurea italiano e di essere stata ammessa a frequentare due corsi di cicli postuniversitari D.P.P.D., programma di formazione psicopedagogica (Nivel 1 e Nivel 2), dedicati alla formazione del personale didattico, idonei a conferire il diritto di ricoprire in Romania ruoli di insegnamento (posti didattici) nell’istruzione preuniversitaria obbligatoria;

– di avere superato i predetti corsi, conseguendo il certificato di Abilitazione rilasciato dal Ministero dell’Educazione rumeno, il c.d. “Adeverinta”; titolo idoneo, secondo le previsioni di cui alla Direttiva 2005/36/CE, a permettere il riconoscimento in Italia dell’abilitazione conseguita all’estero;

– di avere, quindi, chiesto al Ministero resistente il riconoscimento del titolo estero così conseguito;

– di avere ricevuto il provvedimento di diniego, impugnato in sede giurisdizionale.

A fondamento del ricorso l’odierna parte appellante ha dedotto che:

– come comprovato dalla Adeverinta in possesso del ricorrente, il titolo estero conseguito in Romania conferirebbe il diritto svolgere la professione di docente nell’insegnamento preuniversitario in Romania;

– in particolare, in Romania sussisterebbero due percorsi formativi, entrambi inquadrabili nell’ambito della Direttiva n. 35 del 2005, riservati, rispettivamente, a coloro che abbiano conseguito in Romania il titolo di laurea (per i quali è previsto l’attestato di conformità degli studi secondo la Direttiva 2005/36/CE) e a coloro che, da un lato, abbiano ottenuto in Romania il riconoscimento del titolo di laurea estero, dall’altro, sempre in Romania abbiano completato i programmi di formazione psicopedagogica seguiti dalla parte ricorrente;

– al pari dei cittadini con diploma di laurea rumeno, anche coloro che siano in possesso, al contempo, del diploma di laurea estero riconosciuto in Romania e del certificato attestante il completamento dei programmi di formazione psicopedagogica in Romania, benché non legittimati a chiedere il rilascio dell’attestato di conformità degli studi alla Direttiva n. 36 del 2005, dovrebbero, comunque, ritenersi abilitati all’insegnamento, per effetto di un titolo estero riconoscibile in Italia ai sensi della Direttiva n. 36 del 2005;

– il Ministero resistente avrebbe dovuto riconoscere il titolo estero all’esito della sola verifica della completezza della documentazione presentata dall’istante; in applicazione del regime generale di riconoscimento, il Ministero avrebbe comunque dovuto analizzare comparativamente i percorsi formativi svolti nei due Stati membri coinvolti, al fine di accertare il valore da attribuire al titolo conseguito in altro Stato membro dell’UE, eventualmente procedendo anche a stabilire misure compensative necessarie ad integrare i requisiti carenti; non potendo, invece, limitarsi a richiamare a sostegno del diniego una nota delle autorità rumene neanche allegata e, a fortiori, neppure munita di traduzione asseverata;

– nella specie alcuna verifica era stata al riguardo svolta dall’Amministrazione statale intimata, con conseguente violazione dei principi sovranazionali e internazionali sulla libera circolazione delle persone.

3. Il Ministero intimato si è costituito in giudizio, al fine di resistere al ricorso.

4. Il Tar ha rigettato il ricorso, richiamando la propria giurisprudenza formatasi in materia, in forza della quale, sebbene il confronto tra i titoli, o meglio i programmi e i corsi di formazione, conseguiti in altro paese e quelli richiesti dallo Stato ospitante, debba essere svolto dallo Stato nel quale viene richiesto il riconoscimento del titolo, deve ritenersi che tale confronto richieda il conferimento di un titolo e di un livello di qualifica, ai sensi dell’art. 11 della direttiva, e operi per gli insegnamenti per i quali l’interessato sia legalmente abilitato nel Paese che ha rilasciato il titolo; circostanza nella specie non realizzata, in quanto espressamente negata dall’amministrazione rumena, ragion per cui l’amministrazione interna non poteva che essere vincolata all’accertamento compiuto dall’amministrazione di provenienza del titolo.

Difatti, il Ministero rumeno aveva precisato che l’attestato di conformità alla direttiva europea, al fine della valutazione del percorso seguito in Romania in altri Stati UE, veniva rilasciato solo a coloro che avessero compiuto in Romania sia studi di scuola superiore o post istruzione secondaria, sia studi universitari; pertanto, per espressa indicazione dell’autorità rumena, il programma in oggetto non consentiva l’attribuzione di un livello di qualifica rilevante per la direttiva in questione, con la conseguenza che il provvedimento dell’amministrazione appariva privo di vizi sul punto.

L’accertata inidoneità del programma di insegnamento rumeno, di carattere uniforme, consentiva, dunque, di ritenere che l’accertamento svolto dall’amministrazione resistente non fosse carente, avendo la stessa valutato, in via generale, l’inidoneità del programma svolto ai fini del riconoscimento e, alla luce delle conclusioni cui era pervenuto il Ministero, l’impossibilità di attribuire allo stesso carattere abilitante.

5. La ricorrente in prime cure ha proposto appello avverso la sentenza del Tar, chiedendone la riforma, previa concessione di misure cautelari.

6. L’Amministrazione statale intimata si è costituita in giudizio, al fine di resistere al ricorso.

7. Con ordinanza n. 2256 del 24 aprile 2020 la Sezione ha accolto l’istanza cautelare ai soli fini della sollecita definizione del giudizio nel merito, fissando, per l’effetto, la pubblica udienza del 9 luglio 2020.

8. Con note di udienza depositate in data 6 luglio 2020 la parte appellante ha insistito nelle proprie argomentazioni e conclusioni.

9. La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza del 9 luglio 2020.

DIRITTO

1. La sentenza di prime cure è appellata con l’articolazione di due motivi di impugnazione, con cui la ricorrente ripropone – in forma di critica alla pronuncia gravata – le doglianze articolate in primo grado, nonché comunque censura la pronuncia del Tar, in quanto:

– il Giudice di primo grado avrebbe “errato nel valutare la questione decisa per aver travisato il significato della certificazione rilasciata all’odierna appellante e per non aver, in alcun modo, sindacato la modalità con la quale il Ministero ha valutato le istanze di riconoscimento dei titoli conseguiti in Romania, in maniera generalizzata e senza svolgere alcuna attività istruttoria” (pag. 32 appello): il Tar si sarebbe limitato ad affermare che il titolo conseguito dall’odierna appellante è condizione necessaria ma non sufficiente al fine di ottenere la qualifica professionale di docente in Romania, quando, invece, il titolo in possesso dell’appellante, pur conseguito all’esito di un percorso formativo differente da quello previsto per i cittadini rumeni, risultava comunque idoneo a permettere l’esercizio della professione di docente in Italia, alla stregua di quanto previsto dalla Direttiva n. 36/2005 cit.; come confermato dalla documentazione acquisita al giudizio, recante anche note di chiarimento rese dalle competenti autorità rumene. In ogni caso, l’autorità dello Stato ospitante dovrebbe verificare, conformemente ai principi sanciti dalla giurisprudenza europea, se, e in quale misura, si debba ritenere che le conoscenze attestate dal diploma rilasciato in un altro Stato membro e le qualifiche o l’esperienza professionale ottenute in quest’ultimo, nonché l’esperienza ottenuta nello Stato membro in cui il candidato chiede di essere iscritto, soddisfino, anche parzialmente, le condizioni richieste per accedere all’attività di cui trattasi; verifica istruttoria nella specie non svolta dal Ministero italiano:

– il Giudice di primo grado non avrebbe esaminato la certificazione posseduta dalla Dott.ssa (omissis), da valutare sulla scorta della normativa rumena di riferimento, bensì si sarebbe limitato a desumere da un orientamento espresso dal Ministero -peraltro, in via generale, senza un riferimento specifico alla fattispecie concreta per cui è giudizio – l’inidoneità del titolo estero ad essere riconosciuto in Italia.

2. I motivi di appello, esaminabili congiuntamente in quanto tra loro connessi – concernendo la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento in Italia del titolo conseguito dall’odierna appellante in Romania – sono fondati, alla stregua dell’indirizzo giurisprudenziale recentemente accolto dalla Sezione, cui il Collegio intende dare continuità nella definizione del presente giudizio.

In particolare, questo Consiglio ha precisato quanto segue: “3.1 In linea di fatto non appare contestato che l’odierno appellante sia in possesso, per un verso, del titolo di studio della laurea conseguito in Italia e, per un altro verso, dell’abilitazione all’insegnamento conseguita in Romania.

Il richiesto riconoscimento dell’operatività di quest’ultimo in Italia viene negato dal Ministero odierno appellato sulla scorta della valutazione delle autorità rumene, le quali escludono il riconoscimento delle qualifiche professionali per coloro che non hanno conseguito il titolo di studio in Romania.

3.2 Invero, l’argomento posto a base del contestato diniego si pone in contrasto con i principi e le norme di origine sovranazionale, i quali impongono di riconoscere in modo automatico i titoli di formazione rilasciati in un altro Stato membro al termine di formazioni in parte concomitanti, a condizione che “la durata complessiva, il livello e la qualità delle formazioni a tempo parziale non siano inferiori a quelli delle formazioni continue a tempo pieno” (cfr. ad es. Cge n. 675 del 2018).

Una volta acquisita la documentazione che attesta il possesso del certificato conseguito in Romania, non può negarsi il riconoscimento dell’operatività in Italia, altro paese Ue, per il mancato riconoscimento del titolo di studio – laurea – conseguito in Italia.

L’eventuale errore delle autorità rumene sul punto non può costituire ragione e vincolo per la decisione amministrativa italiana; ciò, in particolare, nel caso di specie, laddove il titolo di studio reputato insufficiente dalle Autorità di altro Stato membro è la laurea conseguita presso una università italiana.

3.3 Piuttosto, le Autorità nazionali sono chiamate a valutare la congruità delle formazioni conseguite all’estero, nei termini chiariti dalla giurisprudenza europea e sopra richiamati.

A fronte della chiarezza dei principi e delle norme europee rilevanti in materia, non occorre sottoporre la questione alla Corte di giustizia in termini di rinvio pregiudiziale.

3.4 In proposito, va ricordato il principio a mente del quale l’articolo 45 TFUE dev’essere interpretato nel senso che esso osta a che la p.a. , quando esamina una domanda di partecipazione proposta da un cittadino di tale Stato membro, subordini tale partecipazione al possesso dei diplomi richiesti dalla normativa di detto Stato membro o al riconoscimento dell’equipollenza accademica di un diploma di master rilasciato dall’università di un altro Stato membro, senza prendere in considerazione l’insieme dei diplomi, certificati e altri titoli nonché l’esperienza professionale pertinente dell’interessato, effettuando un confronto tra le qualifiche professionali attestate da questi ultimi e quelle richieste da detta normativa (cfr. ad es. Corte giustizia UE sez. II, 06/10/2015, n.298).

In tale ottica, le norme della direttiva 2005/36/CE , relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, devono essere interpretate nel senso che impongono ad uno Stato membro di riconoscere in modo automatico i titoli di formazione previsti da tale direttiva e rilasciati in un altro Stato membro al termine di formazioni in parte concomitanti, a condizione che “la durata complessiva, il livello e la qualità delle formazioni a tempo parziale non siano inferiori a quelli delle formazioni continue a tempo pieno” (cfr. più di recente Corte giustizia UE , sez. III , 06/12/2018 , n. 675).

In dettaglio, per ciò che rileva nel caso di specie, va altresì richiamato l’art. 13 della direttiva 2013/55/Ue, che ha modificato la predetta direttiva 2005/36, rubricato condizioni di riconoscimento: “1. Se, in uno Stato membro ospitante, l’accesso a una professione regolamentata o il suo esercizio sono subordinati al possesso di determinate qualifiche professionali, l’autorità competente di tale Stato membro permette l’accesso alla professione e ne consente l’esercizio, alle stesse condizioni previste per i suoi cittadini, ai richiedenti in possesso dell’attestato di competenza o del titolo di formazione di cui all’articolo 11, prescritto da un altro Stato membro per accedere alla stessa professione ed esercitarla sul suo territorio. Gli attestati di competenza o i titoli di formazione sono rilasciati da un’autorità competente di uno Stato membro, designata nel rispetto delle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative di detto Stato membro”. A propria volta il successivo comma 3 statuisce: “3. Lo Stato membro ospitante accetta il livello attestato ai sensi dell’articolo 11 dallo Stato membro di origine nonché il certificato mediante il quale lo Stato membro di origine attesta che la formazione e l’istruzione regolamentata o la formazione professionale con una struttura particolare di cui all’articolo 11, lettera c), punto ii), è di livello equivalente a quello previsto all’articolo 11, lettera c), punto i).”

3.5 Pertanto, a fronte della sussistenza in capo all’odierno appellante sia del titolo di studio richiesto, la laurea conseguita in Italia (ex sé rilevante, senza necessità di mutuo riconoscimento reciproco), sia della qualificazione abilitante all’insegnamento, conseguita presso un paese europeo, non sussistono i presupposti per il contestato diniego.

A quest’ultimo proposito, lungi dal poter valorizzare l’erronea interpretazione delle autorità rumene, la p.a. odierna appellata è chiamata unicamente alla valutazione indicata dalla giurisprudenza appena richiamata, cioè alla verifica che, per il rilascio del titolo di formazione ottenuto in un altro Stato membro al termine di formazioni in parte concomitanti, la durata complessiva, il livello e la qualità delle formazioni a tempo parziale non siano inferiori a quelli delle formazioni continue a tempo pieno” (Consiglio di Stato, sez. VI, 17 febbraio 2020, n. 1198; cfr. anche sez. VI, 2 marzo 2020, n. 1521; 20 aprile 2020, n. 2495; 8 luglio 2020, n. 4380).

3. Alla stregua delle considerazioni svolte dalla Sezione, l’appello merita accoglimento.

La motivazione sottesa al provvedimento di diniego impugnato in prime cure, da un lato, confligge con le emergenze istruttorie acquisite al giudizio, dall’altro, si pone in contrasto con la giurisprudenza sovranazionale formatasi in materia.

In particolare, a fondamento del diniego opposto all’odierno appellante il Ministero intimato, premessa l’inapplicabilità in materia del regime del riconoscimento automatico, operando il “sistema generale”, ha rilevato che, sulla base di quanto emergente da interlocuzioni intercorse con le autorità rumene e di apposito parere reso dal CIMEA, il diritto di insegnare nell’istruzione pre-universitaria in Romania sarebbe condizionato dal conseguimento del percorso di formazione psicopedagogica nella specializzazione ottenuta attraverso il diploma di studio, ragion per cui il possesso dell’attestato/certificato di conseguimento della formazione psicopedagogica costituirebbe condizione necessaria al fine di ottenere la qualifica di insegnante, ma non altresì sufficiente, essendo la condizione principale aver conseguito gli studi post liceali o universitari in Romania; sicché l’attestato di conformità degli studi con le disposizioni della Direttiva 2005/36/CE sul riconoscimento delle qualifiche professionali per i cittadini che hanno studiato in Romania, al fine di svolgere attività didattiche all’estero, potrebbe essere rilasciato solo qualora il richiedente abbia conseguito in Romania sia studi di istruzione superiore/post secondaria sia studi universitari.

Sulla base di tali rilievi il Miur ha ritenuto che la formazione svolta dai cittadini italiani non fosse riconosciuta dalla competente autorità rumena e che, pertanto, la stessa non potesse essere riconosciuta neanche dall’autorità italiana, non risultando integrati i requisiti giuridici per il riconoscimento della qualifica professionale di docente ai sensi della Direttiva 2005/36/CE, con conseguente rigetto delle istanze di riconoscimento presentate sulla base dei predetti titoli esteri (Porogramului de studi psichopedagogice Nivel I e Nivel II).

3.1 In primo luogo, si osserva che il Ministero intimato argomenta la propria decisione sul presupposto che l’attestato/certificato di conseguimento della formazione psicopedagogica in possesso dell’odierno appellante non sia sufficiente per esercitare la professione di insegnante e comunque che la formazione svolta dai cittadini italiani non sia riconosciuta dalle competenti autorità rumene.

Trattasi di presupposto contrastante con la documentazione in atti.

In particolare, secondo quanto emergente dal certificato n. 73893 del 18 aprile 2017 acquisito al giudizio, rilasciato dal Ministero dell’educazione nazionale rumeno, il conseguimento di un minimo di 60 crediti trasferibili del corso di studi psicopedagogici, ottenuto dall’odierna appellante tramite il diploma di laurea dalla stessa posseduto, riconosciuto dal Centro Nazionale di Riconoscimento ed Equiparazione degli Studi, attribuisce alla ricorrente il diritto di insegnare a livello di istruzione preuniversitaria in Romania.

Pertanto, come fondatamente censurato nell’atto di appello, l’atto di diniego opposto dal Ministero risulta inficiato da un difetto di istruttoria, idoneo a determinarne l’annullamento.

Il Ministero, in particolare, ha negato in capo all’odierna appellante i requisiti di legittimazione al riconoscimento dei titoli per l’esercizio della professione di docente, ai sensi della Direttiva 2013/55/UE, basandosi su un presupposto – disconoscimento ai fini dell’insegnamento, nell’ambito dell’ordinamento rumeno, della formazione svolta da cittadini in possesso di diploma di laurea conseguito in Italia – che non soltanto non risulta positivamente dimostrato dalla documentazione acquisita al giudizio, ma si manifesta anche confliggente con quanto attestato dalle stesse autorità rumene, secondo cui deve riconoscersi il diritto di insegnare in Romania a livello di istruzione preuniversitaria in capo a coloro che, come la ricorrente, titolari di diploma di laurea/master conseguito all’estero e riconosciuto in Romania, abbiano frequentato e superato appositi corsi di formazione psicopedagogica, complementari al diploma, in settori e specializzazioni conformi al curriculum dell’istruzione preuniversitaria.

Ne deriva che l’istruttoria svolta dall’Amministrazione statale non risulta adeguata, non essendo stata approfonditamente esaminata, alla stregua delle previsioni di cui alla Direttiva n. 55 del 2003, la particolare posizione della parte appellante, cui è stato attribuito – in ragione del percorso formativo estero– il diritto di insegnare in Romania nell’istruzione preuniversitaria; elemento non vagliato in sede provvedimentale.

3.2 In ogni caso, la decisione amministrativa per cui è controversia risulta illegittima, anche perché non reca alcuna valutazione del titolo estero conseguito dall’odierna appellante, ai fini di un suo possibile riconoscimento in Italia quale abilitazione all’insegnamento.

Difatti, a prescindere dalla ritenuta inapplicabilità della Direttiva n. 55 del 2013 cit. (valutazione assunta all’esito di una decisione, come osservato, comunque illegittima, per difetto di istruttoria), alla stregua di quanto prescritto dal diritto primario unionale – in specie, gli artt. 45 e 49 Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, in tema di libera circolazione dei lavoratori e di libertà di stabilimento – “le autorità di uno Stato membro, quando esaminano la domanda di un cittadino di un altro Stato membro diretta a ottenere l’autorizzazione all’esercizio di una professione regolamentata, debbono prendere in considerazione la qualificazione professionale dell’interessato procedendo ad un raffronto tra, da un lato, la qualificazione attestata dai suoi diplomi, certificati e altri titoli nonché dalla sua esperienza professionale nel settore e, dall’altro, la qualificazione professionale richiesta dalla normativa nazionale per l’esercizio della professione corrispondente (v., da ultimo, sentenza 16 maggio 2002, causa C-232/99, Commissione/Spagna,Racc. pag. I-4235, punto 21). 58 Tale obbligo si estende a tutti i diplomi, certificati ed altri titoli, nonché all’esperienza acquisita dall’interessato nel settore, indipendentemente dal fatto che siano stati conseguiti in uno Stato membro o in un paese terzo, e non cessa di esistere in conseguenza dell’adozione di direttive relative al reciproco riconoscimento dei diplomi (v. sentenze 14 settembre 2000,causa C-238/98, Hocsman, Racc. pag. I-6623, punti 23 e 31, e Commissione/Spagna, cit., punto 22)” (Corte di Giustizia U.E., 13 novembre 2003, in causa C- 313/01, Morgenbesser, punti 57-58)

Trattasi di procedura di valutazione comparativa necessaria per “consentire alle autorità dello Stato membro ospitante di assicurarsi obiettivamente che il diploma straniero attesti da parte del suo titolare il possesso di conoscenze e di qualifiche, se non identiche, quantomeno equipollenti a quelle attestate dal diploma nazionale” (Corte di Giustizia U.E., 6 ottobre 2015, in causa C- 298/14, Brouillard, punto 55).

In particolare, le autorità nazionali sono tenute a valutare il diploma prodotto dalla parte istante, onde verificare “se, e in quale misura, si debba ritenere che le conoscenze attestate dal diploma rilasciato in un altro Stato membro e le qualifiche o l’esperienza professionale ottenute in quest’ultimo, nonché l’esperienza ottenuta nello Stato membro in cui il candidato chiede di essere iscritto, soddisfino, anche parzialmente, le condizioni richieste per accedere all’attività di cui trattasi. 68 […] Tale valutazione dell’equivalenza del diploma straniero deve effettuarsi esclusivamente in considerazione del livello delle conoscenze e delle qualifiche che questo diploma, tenuto conto della natura e della durata degli studi e della formazione pratica di cui attesta il compimento, consente di presumere in possesso del titolare (v. sentenze 15 ottobre 1987, causa 222/86, Heylens e a., Racc. pag. 4097, punto 13, e Vlassopoulou, cit., punto17)” (Corte di Giustizia U.E., 13 novembre 2003, in causa C- 313/01, Morgenbesser, punti 67-68).

L’applicazione di tali coordinate ermeneutiche al caso di specie evidenzia un ulteriore profilo di illegittimità del diniego opposto dal Ministero intimato, il quale, anziché ritenere inammissibile l’istanza per difetto di legittimazione attiva, avrebbe dovuto esaminare la documentazione specificatamente riferita alla posizione dell’odierna appellante, raffrontando, alla stregua delle indicazioni fornite dalla giurisprudenza europea sopra richiamata, da un lato, la qualificazione attestata dai diplomi, certificati e altri titoli nonché dall’esperienza professionale maturata dall’appellante nel settore e, dall’altro, la qualificazione professionale richiesta dalla normativa nazionale per l’esercizio della professione corrispondente.

All’esito di tale procedura di valutazione comparativa, il Ministero, valutato il percorso formativo seguito dalla ricorrente, come attestato dal titolo estero in proprio possesso, avrebbe dovuto verificare se sussistessero le condizioni per accogliere l’istanza di riconoscimento all’uopo presentata in sede procedimentale.

4. Alla stregua delle considerazioni svolte, l’appello deve essere accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, deve essere accolto il ricorso in prime cure, salvi gli ulteriori provvedimenti da assumere nella fase di riedizione del potere.

5. Le spese processuali del doppio grado di giudizio sono poste a carico del Ministero intimato, in applicazione del criterio della soccombenza, e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo. Le predette spese processuali possono, invece, essere interamente compensate nei rapporti tra l’appellante e la Presidenza del Consiglio dei Ministri, pure intervenuta nel presente giudizio, cui, tuttavia, non sono ascrivibili gli atti impugnati in prime cure.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, accoglie l’appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie ai sensi e nei limiti di cui in motivazione il ricorso in primo grado.

Condanna il Ministero appellato al pagamento in favore della parte appellante delle spese processuali del doppio grado di giudizio, liquidate nella misura complessiva di € 2.500,00 (duemilacinquecento/00), oltre accessori di legge. Compensa interamente le spese processuali del doppio grado di giudizio nei rapporti tra l’appellante e la Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 luglio 2020, svoltasi, ai sensi dell’art. 84 comma 6, del D.L. 17 marzo 2020, n. 18, conv. dalla L. 24 aprile 2020, n. 27, attraverso l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams”, con l’intervento dei magistrati:

(omissis)

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