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Consiglio di Stato sez. VI, 18/11/2022, n.10184

Massima

L’ordinanza di demolizione costituisce un atto dovuto e rigorosamente vincolato, ciò in quanto la repressione dell’abuso corrisponde, per definizione, all’interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi, essendo già dotata di un’adeguata e sufficiente motivazione, consistente nella descrizione delle opere abusive e nella constatazione dell’abusività.

Supporto alla lettura

ORDINANZA DI DEMOLIZIONE

L’ordinanza di demolizione (o ingiunzione di demolizione), rappresenta un atto amministrativo mediante il quale il Comune, ordina la demolizione di un edificio non autorizzato, realizzato in modo abusivo o non conforme alla normativa edilizia vigente.

Nell’ambito delle pratiche abusive nel settore edilizio, vi sono diverse tipologie di infrazioni che possono portare all’emissione di un’ordinanza di demolizione:

  • lottizzazione abusiva: divisione di terreni in lotti edificabili senza autorizzazione;
  • lavori eseguiti senza permesso o in difformità edilizia: casi in cui vengono eseguiti lavori edilizi senza ottenere il permesso necessario o in totale difformità da esso senza rispettare la normativa vigente;
  • interventi abusivi su terreni pubblici: interventi eseguiti su terreni di proprietà pubblica senza autorizzazione, che compromettono l’utilizzo corretto del territorio destinato a fini pubblici;
  • difformità delle norme urbanistiche: qualsiasi intervento edilizio realizzato in difformità dalle norme urbanistiche e dai piani regolatori vigenti;
  • violazione di vincoli edilizi: opere eseguite in violazione dei vincoli edilizi imposti da leggi statali, regionali o da altre norme urbanistiche, che possono riguardare la destinazione d’uso del terreno, il rispetto di zone inedificabili o la salvaguardia di aree di particolare interesse storico o ambientale.

Secondo quanto stabilito dall’art. 31 del D.P.R. 380/01, è compito del dirigente o del responsabile dell’ufficio comunale esercitare il potere di vigilanza sull’attività urbanistica ed edilizia. Dopo aver accertato l’abuso edilizio, il Comune emette un’ordinanza di demolizione, pubblicata sul sito istituzionale e comunicata anche al Prefetto.

Il destinatario ha 60 giorni per impugnare l’ordinanza davanti al T.A.R. o presentare una richiesta di sanatoria. Se non viene avviato alcun procedimento di sanatoria nei 90 giorni successivi, la Polizia Municipale verifica l’adempimento dell’ordinanza.

Data la natura dell’ordinanza, che impone la demolizione entro 90 giorni e il cui termine, se non prorogato, porta alla confisca automatica del bene, la fase cautelare durante il processo di impugnazione riveste un ruolo fondamentale, infatti, il decorso dei 90 giorni previsti dalla legge, può essere interrotto solo mediante sospensione decisa dal giudice amministrativo su richiesta della parte ricorrente. Questa sospensione congela il termine e impedisce la confisca automatica del bene non demolito.

L’ordinanza di demolizione non sempre viene immediatamente eseguita, e ciò può determinare una serie di implicazioni e difficoltà di cui è essenziale essere consapevoli. Una delle prime conseguenze che possono manifestarsi in caso di mancata esecuzione dell’ordine di demolizione è l’applicazione di sanzioni pecuniarie. Inoltre, secondo quanto sancito dall’art. 31 comma 3 del D.P.R. 380/01, se il responsabile dell’abuso non demolisce conripristino dello stato dei luoghi entro 90 giorni dalla notifica, il bene e l’area su cui è stato costruito illegalmente diventano proprietà gratuita del Comune.

In caso di accertamento di inottemperanza, ossia se l’abuso edilizio non viene rimosso entro il termine di 90 giorni fissato dall’ordinanza demolitoria, le sanzioni pecuniarie previste dal D.P.R. 380/2001 (T.U. Edilizia) possono variare da 2.000 a 20.000 euro.

Dopo aver ricevuto l’ordine di demolizione, è possibile presentare un’istanza di sanatoria per l’abuso edilizio (o accertamento di conformità), per ottenere il permesso di costruire in sanatoria o per richiedere la Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA in sanatoria) o la CILA tardiva.

L’istanza di sanatoria può essere presentata anche se è già stato presentato un ricorso al Giudice Amministrativo contro l’ordine di demolizione, entro un termine di 60 giorni dalla notifica del provvedimento. In questo caso, l’ordine di demolizione viene temporaneamente sospeso in attesa del completamento del nuovo e separato procedimento relativo alla sanatoria dell’abuso edilizio.

Le situazioni in cui un’ordinanza di demolizione può decadere sono le seguenti:

  • se l’ordine di demolizione risulta sproporzionato rispetto alla gravità dell’abuso commesso;
  • se è in corso un processo di regolarizzazione (sanatoria), la demolizione può essere sospesa e poi annullata;
  • in casi in cui il ripristino dello stato originario risulta impossibile senza danneggiare irreparabilmente la parte dell’edificio costruita correttamente (fiscalizzazione dell’abuso edilizio

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
FATTO e DIRITTO
1. Oggetto della presente controversia è il ricorso in appello avverso la sentenza del TAR Toscana, sezione terza, 13 marzo 2017, n. 385 la quale accoglieva il ricorso avverso l’ordinanza di demolizione n. 234/2016 della recinzione posta lungo la (omissis) dalla (omissis) s.r.l., ritenuta dal Comune area destinata a verde pubblico, sulla base dei seguenti motivi: incertezza in merito alla destinazione urbanistica a verde pubblico dell’area su cui insiste la recinzione oggetto dell’ordinanza demolizione; inidonea e non puntuale descrizione in merito alla individuazione delle opere da demolire.

2. Avverso tale sentenza il Comune proponeva i seguenti motivi di appello: illegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto incerta la destinazione urbanistica dell’area su cui insiste il bene oggetto dell’ordinanza di demolizione impugnata, inammissibilità delle censure avversarie e infondatezza nel merito; erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto che il provvedimento impugnato non individui in modo certo le opere da demolire.

3. Le parti appellate private si costituivano in giudizio chiedendo il rigetto dell’appello.

4. All’udienza di smaltimento del 14 novembre 2022 la causa passava in decisione.

5. L’appello è fondato sotto entrambi i profili dedotti.

6. Con il primo motivo di appello, relativo all’incerta destinazione ad area di verde pubblico ed alla censura rappresentata dall’Amministrazione appellante, occorre brevemente chiarire quanto segue.

6.1 La questione principale ruota intorno alle varianti adottate ed approvate dal Comune resistente e le varianti invece respinte, inerenti l’area in contestazione.

Nell’ambito del Piano di lottizzazione che ha interessato la zona del Macrolotto Industriale n. 2, il Comune di Prato ha adottato con deliberazione n. 132 del 26 aprile 2004, poi definitivamente approvata con successiva deliberazione n. 52 del 7 aprile 2005, una variante al comparto N, che è appunto quello di cui si discute, attraverso la quale è stato disposto che una superficie di 2.349 mq dei complessivi 2.627 mq destinati a verde pubblico, venisse trasferita dall’angolo sud-est a quello nord-ovest dell’UMI 49 del predetto comparto.

Tale variante sembrerebbe l’unica ad aver riguardato la zona, posto che la proposta di traslare anche gli ulteriori 278 mq di verde pubblico rimasti nella posizione originaria (angolo sud-est del comparto N), e sui quali il Comune sostiene che ricada la recinzione della quale ha ingiunto la demolizione, è stata definitivamente respinta dall’amministrazione con provvedimento P.G. 24671 del 25 febbraio 2008.

6.2 I dubbi sorgono in relazione alle planimetrie allegate alla deliberazione n. 29 del 29 aprile 2013, di adozione della variante al comparto S.

Nella tavola 5, avente ad oggetto “Aree a destinazione pubblica – verifica degli standards stato convenzionato – stato variato” la descritta striscia di 278 mq di verde pubblico non è più riportata nell’angolo sud-est del comparto N, mentre nella tavola 7.1, rubricata “Allineamenti e destinazioni d’uso”, essa sembra ricomparire quale area da destinare all’amministrazione comunale

6.3 Il Comune osserva che la rappresentazione di cui alla tavola 5 sarebbe errata sul presupposto che essa raffigurerebbe le modifiche proposte con la richiesta di variante respinta dall’amministrazione nel febbraio del 2008.

Sotto questo profilo il Comune appellante censura la sentenza ritenendola erronea nella parte in cui ha ritenuto dirimente la rappresentazione riportata nella tavola 5, osservando che questa era stata presentata dal Consorzio a corredo di una richiesta di variante nel 2009. Quest’ultima, approvata con D.C.C. 2972013 ha riguardato tuttavia il solo comparto S mentre per quanto concerne la richiesta di spostamento della striscia di verde pubblico su via (omissis) di 278 mq per accorparla all’altro verde pubblico di 2349 mq presente sulla via laterale che incrocia via (omissis), era stata anche presentata una richiesta di variante ma nel 2007 e che non è mai stata approvata.

In sede di richiesta di variante del 2009 tuttavia il Consorzio utilizzò la stessa tavola relativa al comparto N presentata nel 2007 per avanzare le richieste poi respinte.

6.4 I rilievi comunali appaiono corretti. Infatti, il riferimento di cui alla tavola 5 allegata dal comune, integra un errore materiale non idoneo a far venir meno la destinazione a verde pubblico dell’area.

Al contempo si osserva come la tavola 5 sia stata oggetto di delibera di approvazione della variante e dunque che abbia rappresentato parametro per il giudizio del comune.

Si osserva inoltre che con memoria del 30.9.2022 il Comune ha prodotto le tavole della variante del 2007 per dimostrare l’identità fra la tavola allegata a tale variante riferita al comparto N e non approvata e quella allegata, per evidente errore, alla variante del 2013 riferita al comparto S. Se da un canto è pur vero che il deposito è tardivo, da un altro e decisivo canto lo stesso risulta irrilevante, considerato che occorre avere riguardo alla sola delibera di variante del 2013 che ha riguardato il solo comparto S, nonostante le tavole allegate rappresentassero anche i comparti limitrofi non oggetto della delibera.

6.6 In definitiva, va condivisa la prospettazione appellante: la prova sulla destinazione attuale dell’area è stata fornita attraverso la produzione del certificato di destinazione urbanistica e la relazione del dirigente del servizio; la variante del 2013, cui controparte attribuisce valore di variante anche all’area che qui interessa, ha invero riguardato, come emerge dal testo della delibera stessa, solo e unicamente il comparto S.

7. Con secondo motivo di appello la sentenza si ritiene erronea nella parte in cui ha ritenuto che il provvedimento impugnato non individui in modo certo le opere da demolire.

7.1 Anche su questo punto l’analisi degli atti conferma la fondatezza della prospettazione appellante.

7.2 In linea di diritto, va ribadito che l’ordinanza di demolizione costituisce un atto dovuto e rigorosamente vincolato; la repressione dell’abuso corrisponde infatti, per definizione, all’interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi illecitamente alterato, pertanto essa è già dotata di un’adeguata e sufficiente motivazione, consistente nella descrizione delle opere abusive e nella constatazione della loro abusività (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI , 27/01/2020, n. 631).

7.3 Nel caso di specie l’esame del provvedimento impugnato in prime cure conferma la sufficiente indicazione dell’opera sanzionata, anche per relationem con riferimento agli atti istruttori. Sul primo versante l’ordinanza fa riferimento alla “recinzione lungo la via (omissis)“, allegando poi la tavola contenente la rappresentazione grafica, sulla (omissis), dell’opera da demolire. Sul secondo versante, vengono richiamati i verbali redatti dalla Polizia Municipale del 26/11/2010 e del 21.04.2012.

8. Alla luce delle considerazioni che precedono l’appello è fondato e va accolto; per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, va respinto il ricorso di primo grado.

Sussistono giusti motivi, stante gli errori materiali rilevati, per compensare le spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado.Spese del doppio grado di giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 novembre 2022 con l’intervento dei magistrati:

(omissis), Presidente FF

(omissis), Consigliere

(omissis), Consigliere, Estensore

(omissis), Consigliere

(omissis), Consigliere

DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 18 NOV. 2022.

Allegati

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