Massima

Il diniego di riconoscimento di un titolo di abilitazione all’insegnamento conseguito in un altro Stato membro dell’UE è illegittimo se basato sul mancato riconoscimento del titolo di studio nel paese ospitante, trascurando la comparazione tra le qualifiche professionali e la normativa europea sul riconoscimento automatico dei titoli formativi.

Supporto alla lettura

RICONOSCIMENTO ACCADEMICO

Si tratta di una procedura di valutazione analitica dei titoli accademici esteri per verificare se corrispondono per livello, anni di studi e contenuti a un titolo italiano, il cui obiettivo è quello di rilasciare un provvedimento che è analogo a un  titolo finale italiano e avente valore legale nel nostro paese.

Storicamente tale procedura è identificata con il termine di “equipollenza”, anche se la L. 148/2002 non utilizza più tale termine.

Il riconoscimento di un titolo accademico estero può essere richiesto a specifiche condizioni:

  • deve essere stato rilasciato all’estero da un’università o da un’altra istituzione di livello universitario o superiore che faccia parte ufficialmente del sistema educativo del paese;
  • deve essere un titolo finale di 3° ciclo riconosciuto in quel paese;
  • l’ordinamento didattico dell’ateneo individuato deve prevedere un corso di studio comparabile con quello svolto all’estero.

Sia i cittadini UE sia gli extraUE possono richiedere il provvedimento di riconoscimento accademico, la domanda va presentata in un ateneo a scelta e le informazioni su modalità, scadenze, moduli e documentazione da allegare vanno richieste alla segreteria dell’ateneo al quale si vuole presentare la domanda e/o individuate visitando il relativo sito web.

Un organo accademico valuterà, in autonomia e caso per caso, il contenuto degli studi e gli esami sostenuti confrontandoli con il corso di laurea italiano di riferimento. Il riconoscimento non è sempre automatico, infatti l’ateneo può richiedere, per colmare la parte di curriculum degli studi eventualmente non coperta dal titolo estero, di integrare il percorso di studi con altri esami e/o di presentare elaborati finali.

La richiesta di riconoscimento di particolari tipi di titoli accademici va inviata ad altre pubbliche amministrazioni:

  • la domanda per ottenere il provvedimento di  riconoscimento di un dottorato di ricerca va presentata, dal 1 marzo 2022 , conformemente a quanto stabilito dalla L. 15/2022, ad un ateneo a scelta che rechi nella propria offerta formativa un dottorato nella materia di quello conseguito all’estero dall’interessato (informazioni su modalità, scadenze, moduli e documentazione da allegare vanno richieste alla segreteria dell’ateneo al quale si vuole presentare la domanda e/o individuate visitando il relativo sito web);
  • la domanda per ottenere il provvedimento di riconoscimento dei titoli di Teologia e Sacra scrittura ed altri titoli oggetto di ulteriori accordi tra lo Stato italiano e la Santa Sede, rilasciati da istituzioni riconosciute dallo Stato pontificio, va inviata al Ministero dell’Università e della ricerca;
  • la domanda per ottenere il provvedimento di riconoscimento di un titolo artistico/musicale/coreutico va inviata, a partire dal 1 marzo 2022, alle istituzioni superiori operanti nel settore Artistico Coreutico e Musicale, così come previsto dalla L. 15/2022 (informazioni su modalità, scadenze, moduli e documentazione da allegare vanno richieste alla segreteria dell’istituto al quale si vuole presentare la domanda e/o individuate visitando il relativo sito web);
  • la domanda per ottenere il provvedimento di riconoscimento di un titolo abilitante all’ insegnamento o di percorsi di specializzazione post laurea per determinati insegnamenti (ad es. insegnante di sostegno) va inviata al Ministero dell’Istruzione;
  • la domanda per ottenere il riconoscimento valido per tutti i concorsi pubblici, indipendentemente da uno in particolare, della qualifica professionale di ricercatore, va inviata al Ministero dell’Università e della ricerca;
  • la domanda di riconoscimento delle qualifiche professionali va inviata ai Ministeri competenti per materia che vigilano sulle rispettive professioni in Italia.

Ambito oggettivo di applicazione

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7879 del 2019, proposto da:
(omissis), (omissis), (omissis), (omissis), (omissis), (omissis), (omissis), rappresentati e difesi dall’avvocato (omissis), con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITÀ E DELLA RICERCA, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

– della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio n. 11036 del 2019;

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 luglio 2020 il Cons. Dario Simeoli;

L’udienza si svolge ai sensi dell’art. 84 comma 5 del Dl. n. 18 del 17 marzo 2020, attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” come previsto della circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa.

L’avvocato (omissis), ai sensi dell’art. 4 del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28, ha depositato istanza di passaggio in decisione;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

Ritenuto che il giudizio può essere definito con sentenza emessa ai sensi dell’art. 74 c.p.a.;

Rilevato in fatto che:

– gli odierni appellanti, dopo avere chiesto ed ottenuto il riconoscimento della laurea conseguita in Italia in Romania e di avere ivi frequentato il corso psico-pedagogico (suddiviso in due livelli, finalizzato al raggiungimento di numero 60 crediti formativi complessivi), non ha ottenuto dal Ministero rumeno l’attestato di competenza conforme alla Direttiva 2013/55/UE (ove sarebbe dovuto risultare che tale percorso è condizione necessaria e sufficiente per insegnare in Romania);

– il diniego rumeno si fonda sul presupposto che la laurea è stata solo riconosciuta in Romania, ma conseguita in Italia (cfr. la nota prot. 40527 del 19.11.2018, a firma del Segretario di Stato del Ministero dell’Educazione Nazionale rumeno);

– su queste basi, l’Amministrazione italiana ha reputato di dovere prendere semplicemente atto del fatto che il suddetto percorso formativo post universitario non era stato ritenuto abilitante dal Ministero rumeno, in quanto gli aspiranti docenti non avevano seguito tutto il percorso accademico in Romania (avendo intrattenuto in Romania solo i percorsi Nivel I e Nivel II);

– in estrema sintesi, secondo l’Amministrazione italiana:

i) la Romania non sta negando il riconoscimento della laurea italiana come titolo di studio, bensì nega il valore abilitante della stessa alla professione di docente, non entrando nel merito del percorso formativo accademico italiano per riconoscere il titolo corrispondente rumeno, limitandosi a riconoscerla ai fini della prosecuzione degli studi;

ii) gli italiani che frequentano un corso post-universitario in territorio rumeno non possono ottenere dal ministero rumeno il livello di qualifica professionale espresso dalla lettera “e” dell’art.11 della direttiva (“studi accademici”);

iii) la Romania non commette alcun errore non riconoscendo il ruolo abilitante al corso post-universitario frequentato dagli italiani in territorio rumeno, ciò in quanto per abilitarsi in Romania gli italiani dovrebbero avere una laurea rumena (o italiana omologata dalle autorità rumene ai fini abilitanti e non semplicemente la laurea italiana ed è questo un punto delicato), che permetterebbe al ministero rumeno di poter emettere l’attestazione di competenza professionale conforme alla definizione di cui all’articolo 13.1 e al livello di qualifica dell’articolo 11 e) (studi accademici), così come fa puntualmente per i cittadini rumeni;

iv) in nessun punto dell’Adeverinţă rilasciata agli istanti e prodotta in allegato alla domanda di riconoscimento presentata al Ministero, si legge che detta attestazione è stata emessa in conformità alla Direttiva europea sulla circolazione dei titoli, ma si assevera esclusivamente il compimento di un programma di formazione post universitario sia pure necessario per accedere all’insegnamento;

– il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, con sentenza n. 11036 del 2019, ha respinto la domanda di annullamento del suddetto diniego di riconoscimento del titolo di abilitazione all’insegnamento rilasciato in Romania, ai fini dell’esercizio in Italia della professione di docente nella scuola di istruzione secondaria di II grado, deducendo quanto segue:

«Invero, nel caso di specie, così come nei casi già esaminati nelle menzionate pronunce, vengono in rilievo i “Programului de studii psihopedagogice, Nivel I e Nivel II” svolti in Romania, con riferimento ai quali l’autorità rumena competente ha espressamente dichiarato che la formazione sancita nel titolo conseguito da parte ricorrente non sia coerente con quanto richiesto dalla direttiva 2005/36/CE e non sia sufficiente al fine di ottenere la qualifica professionale di docente in Romania.

Infatti, come già rilevato nel citati precedenti della Sezione “l’amministrazione rumena ha precisato che “according to the Government Decision n. 918/2013, the teacher training programmes do not provide a level of qualification, because they aim at developing and certifyng the competences to the teaching occupation”. Ne discende che l’attestato in questione, per espressa indicazione dell’amministrazione rumena, non rientra tra i livelli di qualifica rilevanti ai fini dell’art. 11 della direttiva 205/36/CE e la formazione svolta dai cittadini italiani non è riconosciuta dalla competente autorità rumena. Le conclusioni cui è pervenuta l’amministrazione rumena vincolano quella interna, la quale, anche in osservanza del principio di leale collaborazione, non può porsi in contrasto con le conclusioni cui è pervenuto il Ministero rumeno e con il valore che questi ha attribuito alla formazione svolta nel suo ordinamento”.

Ne discende, pertanto, l’inettitudine delle argomentazioni di parte ricorrente a confutare un tale accertamento, consentendo “l’accertata inidoneità del programma di insegnamento rumeno, di carattere uniforme, […] di ritenere che l’accertamento svolto dall’amministrazione resistente non sia carente, avendo la stessa valutato, in via generale, l’inidoneità del programma svolto ai fini del riconoscimento e, alla luce delle conclusioni cui è pervenuto il Ministero, l’impossibilità di attribuire allo stesso carattere abilitante” (T.A.R. Lazio, Roma, Sezione III bis, n. 9210/2019 cit.)»;

– avverso la predetta sentenza gli appellanti in epigrafe hanno proposto appello riproponendo nella sostanza le medesime questioni già sollevate nel giudizio di primo grado, e segnatamente:

a) la violazione e falsa applicazione della Direttiva 2013/55/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 20 novembre 2013, recante modifica della Direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali;

b) l’eccesso di potere per travisamento dei fatti, per non avere l’Amministrazione, avallata dal giudice di prime cure, preso in nessuna considerazione l’attestazione di valore inoltrata dai ricorrenti per il riconoscimento del titolo;

c) l’omesso pronunciamento su un punto decisivo ai fini della valutazione della controversia, ovvero sulla disparità di trattamento attuata dal Ministero nei confronti dei ricorrenti, in quanto, a partire dal 2015 il Ministero ha emesso diversi decreti di riconoscimento del titolo abilitante conseguito all’estero ed in particolare in Romania;

d) l’omessa statuizione sulla possibilità per l’Amministrazione di imporre misure compensative e percorsi di completamento al fine di equiparare il suddetto titolo;

e) l’omesso pronunciamento sulla violazione del contraddittorio procedimentale;

f) la mancanza dei presupposti per l’emanazione di una sentenza breve in primo grado;

– resiste nel presente giudizio di appello il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, sia pure con memoria di stile;

– con ordinanza 28 ottobre 2019, la Sezione – «Rilevato che: le questioni di fatto e di diritto implicate nella presente controversia (relativa alle condizioni giuridiche per il riconoscimento in Italia del titolo abilitante conseguito in Romania) necessitano di approfondimenti istruttori incompatibili con il carattere sommario tipico della presente fase cautelare e che occorre quindi definire celermente la controversia nel merito; nelle more della udienza pubblica va accolta la domanda cautelare, apparendo verosimili alcune delle doglianze formulate avverso il diniego di riconoscimento del titolo abilitante conseguito in Romania dagli odierni appellanti: in particolare, alla luce della documentazioni in atti, gli istanti sembrerebbero prima facie avere conseguito le certificazioni delle competenze per l’esercizio della professione di insegnante abilitato all’insegnamento in Romania (in particolare il diploma conseguito in Romania che consente di insegnare previo possesso di un titolo di laurea che può essere, naturalmente, secondo i principi del diritto comunitario, conseguito anche in altri Paesi UE)» – ha accolto l’istanza di sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata e, per l’effetto, sospende i provvedimenti impugnati;

– la causa è stata trattenuta in decisione all’udienza del 16 luglio 2020;

Ritenuto in diritto che:

– in via pregiudiziale, è infondato il motivo di appello con il quale si lamenta la violazione dell’art. 60 c.p.a., avendo il giudice di prime cure definito il giudizio con sentenza in forma semplificata, nonostante difettassero i relativi presupposti;

– va rimarcato che l’esigenza e l’opportunità della sollecita decisione nel merito di una causa, peraltro funzionale all’attuazione del principio costituzionale della ragionevole durata del giudizio, è demandata al prudente apprezzamento del giudice, mentre alle parti in causa è riconosciuto il diritto di essere avvertite dell’intenzione del giudice, al fine precipuo di sviluppare compiutamente le loro difese nel merito della controversia (Consiglio di Stato, sez. V, 23 ottobre 2014, n. 5248);

– non emerge dagli atti di causa che la parte ricorrente in prime cure, ricevuto il rituale avviso circa la possibilità di adottare una sentenza in forma semplificata ex art. 60 c.p.a., si sia opposta alla definizione della controversia all’esito della camera di consiglio del 10 settembre 2019;

– di conseguenza, deve escludersi una violazione del diritto di difesa della parte ricorrente censurabile in sede di gravame;

– nel merito, l’appello è fondato e la sentenza di primo grado deve essere riformata;

– i motivi di appello, esaminabili congiuntamente in quanto tutti incentrati sulla sussistenza dei presupposti per il riconoscimento in Italia dei titoli conseguiti dagli odierni appellanti in Romania, sono fondati, alla stregua dell’indirizzo giurisprudenziale recentemente accolto dalla Sezione, cui il Collegio intende dare continuità nella definizione del presente giudizio;

– in particolare, questo Consiglio di Stato ha precisato quanto segue:

«In linea di fatto non appare contestato che l’odierno appellante sia in possesso, per un verso, del titolo di studio della laurea conseguito in Italia e, per un altro verso, dell’abilitazione all’insegnamento conseguita in Romania.

Il richiesto riconoscimento dell’operatività di quest’ultimo in Italia viene negato dal Ministero odierno appellato sulla scorta della valutazione delle autorità rumene, le quali escludono il riconoscimento delle qualifiche professionali per coloro che non hanno conseguito il titolo di studio in Romania.

Invero, l’argomento posto a base del contestato diniego si pone in contrasto con i principi e le norme di origine sovranazionale, i quali impongono di riconoscere in modo automatico i titoli di formazione rilasciati in un altro Stato membro al termine di formazioni in parte concomitanti, a condizione che “la durata complessiva, il livello e la qualità delle formazioni a tempo parziale non siano inferiori a quelli delle formazioni continue a tempo pieno” (cfr. ad es. Cge n. 675 del 2018).

Una volta acquisita la documentazione che attesta il possesso del certificato conseguito in Romania, non può negarsi il riconoscimento dell’operatività in Italia, altro paese Ue, per il mancato riconoscimento del titolo di studio – laurea – conseguito in Italia.

L’eventuale errore delle autorità rumene sul punto non può costituire ragione e vincolo per la decisione amministrativa italiana; ciò, in particolare, nel caso di specie, laddove il titolo di studio reputato insufficiente dalle Autorità di altro Stato membro è la laurea conseguita presso una università italiana.

Piuttosto, le Autorità nazionali sono chiamate a valutare la congruità delle formazioni conseguite all’estero, nei termini chiariti dalla giurisprudenza europea e sopra richiamati.

A fronte della chiarezza dei principi e delle norme europee rilevanti in materia, non occorre sottoporre la questione alla Corte di giustizia in termini di rinvio pregiudiziale.

In proposito, va ricordato il principio a mente del quale l’articolo 45 TFUE dev’essere interpretato nel senso che esso osta a che la p.a. , quando esamina una domanda di partecipazione proposta da un cittadino di tale Stato membro, subordini tale partecipazione al possesso dei diplomi richiesti dalla normativa di detto Stato membro o al riconoscimento dell’equipollenza accademica di un diploma di master rilasciato dall’università di un altro Stato membro, senza prendere in considerazione l’insieme dei diplomi, certificati e altri titoli nonché l’esperienza professionale pertinente dell’interessato, effettuando un confronto tra le qualifiche professionali attestate da questi ultimi e quelle richieste da detta normativa (cfr. ad es. Corte giustizia UE sez. II, 06/10/2015, n.298).

In tale ottica, le norme della direttiva 2005/36/CE , relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, devono essere interpretate nel senso che impongono ad uno Stato membro di riconoscere in modo automatico i titoli di formazione previsti da tale direttiva e rilasciati in un altro Stato membro al termine di formazioni in parte concomitanti, a condizione che “la durata complessiva, il livello e la qualità delle formazioni a tempo parziale non siano inferiori a quelli delle formazioni continue a tempo pieno” (cfr. più di recente Corte giustizia UE , sez. III , 06/12/2018 , n. 675).

In dettaglio, per ciò che rileva nel caso di specie, va altresì richiamato l’art. 13 della direttiva 2013/55/Ue, che ha modificato la predetta direttiva 2005/36, rubricato condizioni di riconoscimento: “1. Se, in uno Stato membro ospitante, l’accesso a una professione regolamentata o il suo esercizio sono subordinati al possesso di determinate qualifiche professionali, l’autorità competente di tale Stato membro permette l’accesso alla professione e ne consente l’esercizio, alle stesse condizioni previste per i suoi cittadini, ai richiedenti in possesso dell’attestato di competenza o del titolo di formazione di cui all’articolo 11, prescritto da un altro Stato membro per accedere alla stessa professione ed esercitarla sul suo territorio. Gli attestati di competenza o i titoli di formazione sono rilasciati da un’autorità competente di uno Stato membro, designata nel rispetto delle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative di detto Stato membro”. A propria volta il successivo comma 3 statuisce: “3. Lo Stato membro ospitante accetta il livello attestato ai sensi dell’articolo 11 dallo Stato membro di origine nonché il certificato mediante il quale lo Stato membro di origine attesta che la formazione e l’istruzione regolamentata o la formazione professionale con una struttura particolare di cui all’articolo 11, lettera c), punto ii), è di livello equivalente a quello previsto all’articolo 11, lettera c), punto i).”

Pertanto, a fronte della sussistenza in capo all’odierno appellante sia del titolo di studio richiesto, la laurea conseguita in Italia (ex sé rilevante, senza necessità di mutuo riconoscimento reciproco), sia della qualificazione abilitante all’insegnamento, conseguita presso un paese europeo, non sussistono i presupposti per il contestato diniego.

A quest’ultimo proposito, lungi dal poter valorizzare l’erronea interpretazione delle autorità rumene, la p.a. odierna appellata è chiamata unicamente alla valutazione indicata dalla giurisprudenza appena richiamata, cioè alla verifica che, per il rilascio del titolo di formazione ottenuto in un altro Stato membro al termine di formazioni in parte concomitanti, la durata complessiva, il livello e la qualità delle formazioni a tempo parziale non siano inferiori a quelli delle formazioni continue a tempo pieno» (così Consiglio di Stato, sez. VI, 17 febbraio 2020, n. 1198; conformi anche le sentenze sez. VI, 2 marzo 2020, n. 1521; 20 aprile 2020, n. 2495; 8 luglio 2020, n. 4380; 24 agosto 2020 n. 5175);

– alla stregua delle considerazioni sopra riportate, è dirimente considerare che la motivazione sottesa al provvedimento di diniego impugnato in prime cure, da un lato, confligge con le emergenze istruttorie acquisite al giudizio, dall’altro, si pone in contrasto con la giurisprudenza sovranazionale formatasi in materia;

– in particolare, a fondamento del diniego opposto agli odierni appellanti il Ministero intimato, premessa l’inapplicabilità in materia del regime del riconoscimento automatico, operando il “sistema generale”, ha rilevato che, sulla base di quanto emergente da interlocuzioni intercorse con le autorità rumene e di apposito parere reso dal CIMEA, il diritto di insegnare nell’istruzione pre-universitaria in Romania sarebbe condizionato dal conseguimento del percorso di formazione psicopedagogica nella specializzazione ottenuta attraverso il diploma di studio, ragion per cui il possesso dell’attestato/certificato di conseguimento della formazione psicopedagogica costituirebbe condizione necessaria al fine di ottenere la qualifica di insegnante, ma non altresì sufficiente, essendo la condizione principale aver conseguito gli studi post liceali o universitari in Romania; sicché l’attestato di conformità degli studi con le disposizioni della Direttiva 2005/36/CE sul riconoscimento delle qualifiche professionali per i cittadini che hanno studiato in Romania, al fine di svolgere attività didattiche all’estero, potrebbe essere rilasciato solo qualora il richiedente abbia conseguito in Romania sia studi di istruzione superiore/post secondaria sia studi universitari;

– sulla base di tali rilievi il Ministero ha ritenuto che la formazione svolta dai cittadini italiani non fosse riconosciuta dalla competente autorità rumena e che, pertanto, la stessa non potesse essere riconosciuta neanche dall’autorità italiana, non risultando integrati i requisiti giuridici per il riconoscimento della qualifica professionale di docente ai sensi della Direttiva 2005/36/CE, con conseguente rigetto delle istanze di riconoscimento presentate sulla base dei predetti titoli esteri (Porogramului de studi psichopedagogice Nivel I e Nivel II);

– ebbene, si osserva che il Ministero intimato argomenta la propria decisione sul presupposto che gli attestati/certificati di conseguimento della formazione psicopedagogica in possesso degli odierni appellanti non sia sufficiente per esercitare la professione di insegnante e comunque che la formazione svolta dai cittadini italiani non sia riconosciuta dalle competenti autorità rumene, ma trattasi di presupposto contrastante con la documentazione in atti.

– infatti, secondo quanto emergente dai certificati acquisiti al giudizio, rilasciati dalla competente autorità rumena e riferiti alla posizione di ciascun ricorrente, il conseguimento di un minimo di 60 crediti trasferibili del corso di studi psicopedagogici, ottenuto tramite il diploma di laurea posseduto da ciascun appellante, riconosciuto dal Centro Nazionale di Riconoscimento ed Equiparazione degli Studi, attribuisce il diritto di insegnare a livello di istruzione preuniversitaria in Romania;

– pertanto, come fondatamente censurato nell’atto di appello, l’atto di diniego opposto dal Ministero risulta inficiato da un difetto di istruttoria, idoneo a determinarne l’annullamento;

– il Ministero, in particolare, ha negato in capo agli odierni appellanti i requisiti di legittimazione al riconoscimento dei titoli per l’esercizio della professione di docente, ai sensi della Direttiva 2013/55/UE, basandosi su un presupposto – disconoscimento ai fini dell’insegnamento, nell’ambito dell’ordinamento rumeno, della formazione svolta da cittadini in possesso di diploma di laurea conseguito in Italia – che non soltanto non risulta positivamente dimostrato dalla documentazione acquisita al giudizio, ma si manifesta anche confliggente con quanto attestato dalle stesse autorità rumene, secondo cui deve riconoscersi il diritto di insegnare in Romania a livello di istruzione preuniversitaria in capo a coloro che, come i ricorrenti, titolari di diploma di laurea/master conseguito all’estero e riconosciuto in Romania, abbiano frequentato e superato appositi corsi di formazione psicopedagogica, complementari al diploma, in settori e specializzazioni conformi al curriculum dell’istruzione preuniversitaria;

– ne deriva che l’istruttoria svolta dall’Amministrazione statale non risulta adeguata, non essendo stata approfonditamente esaminata, alla stregua delle previsioni di cui alla Direttiva n. 55 del 2003, la particolare posizione delle parti appellanti, cui è stato attribuito – in ragione del percorso formativo estero– il diritto di insegnare in Romania nell’istruzione preuniversitaria; elemento non vagliato in sede provvedimentale;

– sotto altro profilo, la decisione amministrativa per cui è controversia risulta illegittima anche perché non reca alcuna valutazione del titolo estero conseguito da ciascun appellante, ai fini di un suo possibile riconoscimento in Italia quale abilitazione all’insegnamento;

– difatti, a prescindere dalla ritenuta inapplicabilità della Direttiva n. 55 del 2013 cit. (valutazione assunta all’esito di una decisione, come osservato, comunque illegittima, per difetto di istruttoria), alla stregua di quanto prescritto dal diritto primario unionale – in specie, gli artt. 45 e 49 Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, in tema di libera circolazione dei lavoratori e di libertà di stabilimento ‒ «le autorità di uno Stato membro, quando esaminano la domanda di un cittadino di un altro Stato membro diretta a ottenere l’autorizzazione all’esercizio di una professione regolamentata, debbono prendere in considerazione la qualificazione professionale dell’interessato procedendo ad un raffronto tra, da un lato, la qualificazione attestata dai suoi diplomi, certificati e altri titoli nonché dalla sua esperienza professionale nel settore e, dall’altro, la qualificazione professionale richiesta dalla normativa nazionale per l’esercizio della professione corrispondente (v., da ultimo, sentenza 16 maggio 2002, causa C-232/99, Commissione/Spagna,Racc. pag. I-4235, punto 21) […] Tale obbligo si estende a tutti i diplomi, certificati ed altri titoli, nonché all’esperienza acquisita dall’interessato nel settore, indipendentemente dal fatto che siano stati conseguiti in uno Stato membro o in un paese terzo, e non cessa di esistere in conseguenza dell’adozione di direttive relative al reciproco riconoscimento dei diplomi (v. sentenze 14 settembre 2000,causa C-238/98, Hocsman, Racc. pag. I-6623, punti 23 e 31, e Commissione/Spagna, cit., punto 22)» (Corte di Giustizia U.E., 13 novembre 2003, in causa C- 313/01, Morgenbesser, punti 57-58);

– trattasi di procedura di valutazione comparativa necessaria per «consentire alle autorità dello Stato membro ospitante di assicurarsi obiettivamente che il diploma straniero attesti da parte del suo titolare il possesso di conoscenze e di qualifiche, se non identiche, quantomeno equipollenti a quelle attestate dal diploma nazionale» (Corte di Giustizia U.E., 6 ottobre 2015, in causa C- 298/14, Brouillard, punto 55);

– in particolare, le autorità nazionali sono tenute a valutare il diploma prodotto dalla parte istante, onde verificare «se, e in quale misura, si debba ritenere che le conoscenze attestate dal diploma rilasciato in un altro Stato membro e le qualifiche o l’esperienza professionale ottenute in quest’ultimo, nonché l’esperienza ottenuta nello Stato membro in cui il candidato chiede di essere iscritto, soddisfino, anche parzialmente, le condizioni richieste per accedere all’attività di cui trattasi. 68 […] Tale valutazione dell’equivalenza del diploma straniero deve effettuarsi esclusivamente in considerazione del livello delle conoscenze e delle qualifiche che questo diploma, tenuto conto della natura e della durata degli studi e della formazione pratica di cui attesta il compimento, consente di presumere in possesso del titolare (v. sentenze 15 ottobre 1987, causa 222/86, Heylens e a., Racc. pag. 4097, punto 13, e Vlassopoulou, cit., punto17)» (Corte di Giustizia U.E., 13 novembre 2003, in causa C- 313/01, Morgenbesser, punti 67-68).

– l’applicazione di tali coordinate ermeneutiche al caso di specie evidenzia quindi un ulteriore profilo di illegittimità del diniego opposto dal Ministero intimato, il quale avrebbe dovuto esaminare la documentazione specificatamente riferita alla posizione degli odierni appellanti, raffrontando, alla stregua delle indicazioni fornite dalla giurisprudenza europea sopra richiamata, da un lato, la qualificazione attestata dai diplomi, certificati e altri titoli nonché dall’esperienza professionale maturata da ciascun ricorrente nel settore e, dall’altro, la qualificazione professionale richiesta dalla normativa nazionale per l’esercizio della professione corrispondente;

– all’esito di tale procedura di valutazione comparativa, il Ministero, valutato il percorso formativo seguito da ciascun appellante, come attestato dal titolo estero in proprio possesso, avrebbe dovuto verificare se sussistessero le condizioni per accogliere l’istanza di riconoscimento all’uopo presentata in sede procedimentale;

– alla stregua delle considerazioni svolte, l’appello è fondato e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, deve essere accolto il ricorso in prime cure, salvi gli ulteriori provvedimenti da assumere nella fase di riedizione del potere;

– in applicazione del criterio della soccombenza, le spese processuali del doppio grado di giudizio sono poste a carico del Ministero intimato e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo;

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando:

– accoglie l’appello n. 7879 del 2019 e, per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado, annulla gli atti impugnati;

– condanna il Ministero appellato al pagamento in favore degli appellanti delle spese processuali del doppio grado di giudizio, liquidate nella misura complessiva di € 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori di legge;

– ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 luglio 2020 con l’intervento dei magistrati:

(omissis)

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