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Consiglio di Stato sez. VI, 14/10/2022, n.8766

Massima

In tema di abusi edilizi, la mancata indicazione del responsabile del procedimento nel corpo dell’ordinanza di demolizione di un immobile abusivo non inficia la legittimità del provvedimento avendo questo natura vincolata.

 

Supporto alla lettura

ORDINANZA DI DEMOLIZIONE

L’ordinanza di demolizione (o ingiunzione di demolizione), rappresenta un atto amministrativo mediante il quale il Comune, ordina la demolizione di un edificio non autorizzato, realizzato in modo abusivo o non conforme alla normativa edilizia vigente.

Nell’ambito delle pratiche abusive nel settore edilizio, vi sono diverse tipologie di infrazioni che possono portare all’emissione di un’ordinanza di demolizione:

  • lottizzazione abusiva: divisione di terreni in lotti edificabili senza autorizzazione;
  • lavori eseguiti senza permesso o in difformità edilizia: casi in cui vengono eseguiti lavori edilizi senza ottenere il permesso necessario o in totale difformità da esso senza rispettare la normativa vigente;
  • interventi abusivi su terreni pubblici: interventi eseguiti su terreni di proprietà pubblica senza autorizzazione, che compromettono l’utilizzo corretto del territorio destinato a fini pubblici;
  • difformità delle norme urbanistiche: qualsiasi intervento edilizio realizzato in difformità dalle norme urbanistiche e dai piani regolatori vigenti;
  • violazione di vincoli edilizi: opere eseguite in violazione dei vincoli edilizi imposti da leggi statali, regionali o da altre norme urbanistiche, che possono riguardare la destinazione d’uso del terreno, il rispetto di zone inedificabili o la salvaguardia di aree di particolare interesse storico o ambientale.

Secondo quanto stabilito dall’art. 31 del D.P.R. 380/01, è compito del dirigente o del responsabile dell’ufficio comunale esercitare il potere di vigilanza sull’attività urbanistica ed edilizia. Dopo aver accertato l’abuso edilizio, il Comune emette un’ordinanza di demolizione, pubblicata sul sito istituzionale e comunicata anche al Prefetto.

Il destinatario ha 60 giorni per impugnare l’ordinanza davanti al T.A.R. o presentare una richiesta di sanatoria. Se non viene avviato alcun procedimento di sanatoria nei 90 giorni successivi, la Polizia Municipale verifica l’adempimento dell’ordinanza.

Data la natura dell’ordinanza, che impone la demolizione entro 90 giorni e il cui termine, se non prorogato, porta alla confisca automatica del bene, la fase cautelare durante il processo di impugnazione riveste un ruolo fondamentale, infatti, il decorso dei 90 giorni previsti dalla legge, può essere interrotto solo mediante sospensione decisa dal giudice amministrativo su richiesta della parte ricorrente. Questa sospensione congela il termine e impedisce la confisca automatica del bene non demolito.

L’ordinanza di demolizione non sempre viene immediatamente eseguita, e ciò può determinare una serie di implicazioni e difficoltà di cui è essenziale essere consapevoli. Una delle prime conseguenze che possono manifestarsi in caso di mancata esecuzione dell’ordine di demolizione è l’applicazione di sanzioni pecuniarie. Inoltre, secondo quanto sancito dall’art. 31 comma 3 del D.P.R. 380/01, se il responsabile dell’abuso non demolisce conripristino dello stato dei luoghi entro 90 giorni dalla notifica, il bene e l’area su cui è stato costruito illegalmente diventano proprietà gratuita del Comune.

In caso di accertamento di inottemperanza, ossia se l’abuso edilizio non viene rimosso entro il termine di 90 giorni fissato dall’ordinanza demolitoria, le sanzioni pecuniarie previste dal D.P.R. 380/2001 (T.U. Edilizia) possono variare da 2.000 a 20.000 euro.

Dopo aver ricevuto l’ordine di demolizione, è possibile presentare un’istanza di sanatoria per l’abuso edilizio (o accertamento di conformità), per ottenere il permesso di costruire in sanatoria o per richiedere la Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA in sanatoria) o la CILA tardiva.

L’istanza di sanatoria può essere presentata anche se è già stato presentato un ricorso al Giudice Amministrativo contro l’ordine di demolizione, entro un termine di 60 giorni dalla notifica del provvedimento. In questo caso, l’ordine di demolizione viene temporaneamente sospeso in attesa del completamento del nuovo e separato procedimento relativo alla sanatoria dell’abuso edilizio.

Le situazioni in cui un’ordinanza di demolizione può decadere sono le seguenti:

  • se l’ordine di demolizione risulta sproporzionato rispetto alla gravità dell’abuso commesso;
  • se è in corso un processo di regolarizzazione (sanatoria), la demolizione può essere sospesa e poi annullata;
  • in casi in cui il ripristino dello stato originario risulta impossibile senza danneggiare irreparabilmente la parte dell’edificio costruita correttamente (fiscalizzazione dell’abuso edilizio

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
FATTO e DIRITTO
1. Con ordinanza n. 20/05 prot. n. 3429 del 07/02/2006 il Comune di Sant’Antimo ordinava ai signori (omissis) e (omissis) la demolizione di un manufatto in cemento armato composto da un cantinato ed un piano rialzato realizzato in assenza di titolo edilizio in via (omissis).

2. L’ordinanza veniva impugnata dai signori (omissis) e (omissis) al TAR per la Campania, che respingeva il gravame con la sentenza n. 2927/2015.

3. L’indicata pronuncia è stata ritualmente appellata.

6. Il Comune di Sant’Antimo non si è costituito in giudizio.

7. La causa è stata, quindi, chiamata e trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 15 settembre 2022.

8. Con il primo motivo d’appello si denuncia l’erroneità della sentenza di primo grado per error in procedendo e violazione dell’art. 7 della l. 241/90.

8.1 Il TAR ha ritenuto che l’ordinanza di demolizione non dovesse essere preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento in quanto, trattandosi di atto dovuto e rigorosamente vincolato, il privato non avrebbe potuto fornire alcun apporto partecipativo; ha inoltre rilevato che, in ogni caso, l’assenza della suddetta comunicazione era sanabile ai sensi dell’art. 21 octies l. 241/90, in quanto, stante l’assenza di permesso di costruire, il provvedimento non avrebbe potuto avere un contenuto diverso da quello in concreto adottato.

8.2 Gli appellanti, riprendendo i motivi già esposti a corredo del ricorso di primo grado, sostengono che la natura del procedimento non incida sull’obbligo comunicativo gravante sulla p.a. e che l’assenza della comunicazione di avvio del procedimento e dell’indicazione del responsabile del procedimento comportino l’illegittimità dell’ordinanza di demolizione.

8.3 La doglianza va respinta alla luce di quanto statuito dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 9/2017, secondo cui “il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino“. Da ciò consegue che “L’attività di repressione degli abusi edilizi tramite l’emissione dell’ordine di demolizione costituisce attività di natura vincolata, dove la stessa non è assistita da particolari garanzie partecipative, tanto da non ritenersi necessaria la previa comunicazione di avvio del procedimento agli interessati.” (Consiglio di Stato sez. VI, 05/04/2022, n. 2523; in senso conforme, ex multis: Consiglio di Stato sez. VI, 13/01/2022, n. 233: Consiglio di Stato sez. II, 01/09/2021, n. 6181

8.4. Di conseguenza anche la mancata indicazione del responsabile del procedimento, non inficia la legittimità del provvedimento.

8.5. In ogni caso è corretta l’affermazione del TAR secondo la quale, trattandosi di procedimento vincolato, troverebbe applicazione l’art. 21 octies co. 2 l. 241/90: l’opera di cui è stata ordinata la rimozione integra, infatti, una nuova costruzione, soggetta a preventivo rilascio di permesso di costruire e, in difetto, alla sanzione demolitoria prevista all’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001; segue da ciò che il provvedimento impugnato non avrebbe potuto avere un contenuto diverso da quello in concreto adottato.

9. Con il secondo motivo d’appello si lamenta l’erroneità della sentenza di primo grado per error in procedendo e si denuncia l’illegittimità dell’ordinanza di demolizione per eccesso di potere e difetto di motivazione.

9.1 Il TAR ha ritenuto che l’ordinanza fosse sufficientemente motivata in quanto recante la descrizione delle opere abusive ed i profili di illiceità delle stesse. Ad avviso del Tribunale di primo grado non era invece necessaria alcuna considerazione in ordine all’attualità dell’interesse pubblico alla rimozione dell’abuso.

9.2 Gli appellanti ritengono invece che l’ordinanza di demolizione possa essere emanata solo in presenza di un interesse pubblico alla rimozione dell’opera, non essendo sufficiente l’accertamento dell’abusività della stessa.

9.3 Il motivo non è fondato: sul punto si richiama, nuovamente, quanto definitivamente statuito dalla sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 9/2017, che ha escluso , relativamente alle opere abusive in quanto mai assistite da un titolo edilizio, la necessità di una motivazione in punto pubblico interesse alla rimozione.

9.4. Il Consiglio di Stato, inoltre, ha in più occasioni affermato che l’ordinanza di demolizione deve ritenersi sufficientemente motivata se reca la descrizione delle opere e le disposizioni di legge violate: “L’ordinanza di demolizione di un immobile abusivo ha natura di atto dovuto e rigorosamente vincolato, con la conseguenza che essa è già dotata di un’adeguata e sufficiente motivazione, consistente nella descrizione delle opere abusive e nella constatazione della loro abusività” (Consiglio di Stato sez. VI, 07/06/2021, n. 4319).

10. Per quanto precede l’appello deve essere respinto con conferma della sentenza di primo grado. 11. Nulla sulle spese stante la mancata costituzione del Comune di Sant’Antimo.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.Nulla per le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 settembre 2022 con l’intervento dei magistrati:

(omissis), Presidente

(omissis), Consigliere

(omissis), Consigliere

(omissis), Consigliere

(omissis), Consigliere, Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 14 OTT. 2022.

Allegati

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