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Consiglio di Stato sez. VI, 13/12/2017, n. 5865

Massima

Nei concorsi universitari, la violazione delle regole procedurali stabilite per garantire l’imparzialità e la trasparenza della valutazione, come la predeterminazione dei criteri e la composizione della commissione, comporta l’annullamento della procedura.

Supporto alla lettura

CONCORSO PUBBLICO

L’accesso al pubblico impiego, ancorché privatizzato, avviene, salvo limitate eccezioni, per pubblico concorso. La selezione pubblica ha natura procedimentale ed è regolata oltre che dalla legge, da atti e provvedimenti amministrativi.

Secondo l’art. 35 del D.Lgs. 30 marzo 2001 n. 165 le procedure di reclutamento nelle pubbliche amministrazioni devono essere conformi ai seguenti principi:

  • adeguata pubblicità della selezione;
  • modalità di svolgimento che garantiscano l’imparzialità e assicurino economicità e celerità di espletamento;
  • adozione di meccanismi oggettivi e trasparenti idonei a verificare il possesso dei requisiti attitudinali e professionali richiesti in relazione alla posizione da ricoprire;
  • rispetto delle pari opportunità tra lavoratori e lavoratrici;
  • composizione delle commissioni con esperti di provata competenza nelle materie di concorso.

Il procedimento si avvia con il bando di concorso, cioè con la comunicazione scritta attraverso la quale la pubblica amministrazione rende pubblica la volontà di indire un concorso per l’assegnazione di un posto di lavoro, nel suddetto bando vengono indicate, in modo specifico, le modalità in base alle quali il concorso viene condotto, e quindi, sia i requisiti di partecipazione ed i termini entro i quali deve essere inoltrata la domanda, sia le altre disposizioni vincolanti, per i partecipanti al concorso e per la pubblica amministrazione, che regolano la selezione.

Scaduti i termini, l’amministrazione procede, attraverso la commissione giudicatrice, all’esame delle domande dei candidati ed alle prove concorsuali che possono essere di diverso tipo:

  • per esami (scritti e/o orali);
  • per titoli: nel bando vengono indicati i titoli di accesso e quelli che danno un punteggio e le graduatorie vengono effettuate tenendo conto dei titoli di studio posseduti, attestati, pregresse anzianità lavorative, corsi frequentati ecc.
  • per titoli ed esami;
  • per corsi – concorsi: l’amministrazione incarica un soggetto di preparare un corso per la formazione di una graduatoria da cui potere attingere in caso di bisogno;
  • prove pratiche per l’accertamento della professionalità richiesta dal profilo o dalla categoria.

Esistono deroghe all’accesso per concorso e sono stabilite per legge:

  • l’art. 16 della Legge 28 febbraio 1987 n. 56 che consente l’assunzione di lavoratori da adibire a mansioni per le quali non sia previsto titolo professionale da inquadrare nei livelli per i quali è richiesto il solo requisito della scuola dell’obbligo, sulla base di selezioni effettuate tra gli iscritti nelle liste di collocamento ed in quelle di mobilità a condizione che abbiano i requisiti richiesti;
  • la legge 12 marzo 1999 n. 68 che consente l’assunzione obbligatoria dei disabili o vittime del terrorismo;
  • l’art. 36 del D.Lgs. 30 marzo 2001 n. 165, norma peraltro riformulata dalla legge finanziaria per il 2008 e dal D.L. 112/2008 in tema di forme flessibili di assunzione: contratti a tempo determinato, contratti a contenuto formativo e tirocinio, contratto di somministrazione di lavoro, collaborazioni coordinate e continuative.

Un accenno va fatto a proposito del c.d. concorso interno, questa forma di selezione è largamente utilizzata per consentire la progressione di carriera del personale già dipendente della pubblica amministrazione. All’interno di questa categoria si individuano due specie di concorso:

  • progressioni orizzontali: è consentito il passaggio all’interno della stessa area;
  • progressioni verticali: è consentito il passaggio tra diverse aree.

Ambito oggettivo di applicazione

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8104 del 2012, proposto da:
(omissis), rappresentato e difeso dall’avvocato (omissis), con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (omissis);

contro

Universita’ degli Studi di Cassino, Ministero dell’Istruzione dell’Universita’ e della Ricerca, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale Dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

(omissis), rappresentato e difeso dall’avvocato (omissis), con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (omissis);
(omissis), rappresentato e difeso dall’avvocato (omissis), con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale (omissis);

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO – SEZ. STACCATA DI LATINA: SEZIONE I n. 00180/2012, resa tra le parti, concernente approvazione atti della procedura di valutazione comparativa a un posto di professore universitario di ruolo di prima fascia

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Universita’ degli Studi di Cassino e di Ministero dell’Istruzione dell’Universita’ e della Ricerca e di (omissis) e di (omissis);

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 novembre 2017 il Cons. (omissis) e uditi per le parti gli avvocati (omissis), dello Stato (omissis), (omissis), e (omissis) in delega di (omissis);

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Con l’appello in esame l’odierna parte appellante impugnava la sentenza n. 180 del 2012 con cui il Tar Latina respingeva l’originario gravame proposto dal medesimo (omissis) avverso gli atti della procedura, cui lo stesso appellante aveva partecipato, di valutazione comparativa a un posto di professore universitario di ruolo di prima fascia – facoltà di scienza motorie settore Bio/10 biochimica, all’esito della quale venivano dichiarati idonei i controinteressati, (omissis) e (omissis).

Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, parte appellante formulava i motivi di appello, riproponendo le censure di primo grado respinte dal Tar in specie attraverso la critica delle argomentazioni contenute nella sentenza appellata.

Le parti appellate si costituivano in giudizio chiedendo il rigetto dell’appello.

Alla pubblica udienza del 16\11\2017, in vista della quale le parti depositavano memorie, la causa passava in decisione.

DIRITTO

1. Preliminarmente, appare infondata l’eccezione di inammissibilità per difetto di interesse dell’appellante, originario ricorrente, in quanto non avrebbe impugnato il giudizio reso nei suoi confronti, che resterebbe così fissato stabilmente: invero, i vizi dedotti dall’(omissis) minano alla radice la legittimità della procedura, sia dal punto soggettivo in ordine alla stessa composizione della commissione che da quello oggettivo e preliminare in ordine alle modalità di svolgimento dell’iter ed ai criteri utilizzati, cosicché la stessa procedura, in caso di accoglimento del gravame, dovrà essere svolta ex novo da una commissione in diversa composizione.

2. Passando all’analisi del merito della controversia, con il primo motivo parte appellante ripropone – censurando le argomentazioni svolte sul punto dalla sentenza del Tar – la violazione del primo comma dell’articolo 4 D.P.R. 23 marzo 2000, n. 117 (Regolamento recante modifiche al D.P.R. 19 ottobre 1998, n. 390, concernente le modalità di espletamento delle procedure per il reclutamento dei professori universitari di ruolo e dei ricercatori a norma dell’articolo 1 della L. 3 luglio 1998, n. 210) e dell’articolo 6 del bando e l’abuso di potere, in quanto la Commissione era venuta a conoscenza dei nominativi degli effettivi concorrenti da esaminare, potendo quindi essere condizionata nella scelta di integrare o meno i criteri di valutazione stabiliti dal predetto art. 6.

Il motivo è fondato.

Come invero già rilevato dal Tar, in base al combinato disposto degli artt. 4 D.P.R. cit. e 6 del bando era previsto che la commissione, per poter procedere alla valutazione comparativa dei candidati, predeterminasse, senza prendere visione delle domande, i criteri di massima e le procedure della valutazione.

Dall’analisi degli atti emerge come i commissari abbiano ricevuto l’elenco dei nominativi ammessi alla procedura anteriormente alla determinazione necessaria sull’individuazione dei criteri, imposta e da svolgere prioritariamente anche nell’ipotesi in cui – all’esito della stessa – la commissione reputi di non integrare quelli dettati a monte dal bando.

In linea di diritto appare coerente e ragionevole la regola predetta, che impone quale operazione preliminare al proseguimento della procedura, anche rispetto alla conoscenza dei nominativi dei soggetti ammessi alla procedura al fine della verifica di eventuali incompatibilità, la predeterminazione da parte della commissione dei criteri di massima e delle procedure della valutazione comparativa dei candidati.

In linea di fatto ciò non è avvenuto nel caso de quo, laddove la commissione, ha da subito, ed in assenza della necessaria predeterminazione, conosciuto l’elenco di nominativi ammessi alla procedura. Appare pertanto dimostrata la violazione della scansione imposta dalle regole di gara invocate da parte appellante.

3. Con il secondo motivo viene riproposta – ancora attraverso la critica delle argomentazioni di cui alla sentenza appellata – la violazione dell’articolo 4, comma 12, D.P.R. n. 117 cit. e i connessi profili di eccesso di potere, con cui si censura che la Commissione abbia proceduto a formulare ogni singolo giudizio individuale e subito dopo quello collegiale per ciascun candidato e non prima tutti gli individuali e poi quello collegiale su ognuno.

Anche tale vizio appare fondato.

In linea di fatto appare pacifico che, nei termini dedotti da parte appellante, la commissione abbia proceduto a formulare per ogni singolo candidato sia il giudizio individuale che, subito dopo, quello collegiale, senza rinviare quest’ultimo all’esito di tutti i giudizi individuali.

In linea di diritto quanto dedotto risulta imposto sia dalla lettera delle norme invocate che dalla relativa ratio, alla cui luce va peraltro inteso il dato normativo.

In linea generale la sezione ha già avuto modo di evidenziare come la finalità assegnata dalla normativa alla valutazione comparativa, consista in un raffronto, attraverso la valutazione dei titoli e delle pubblicazioni, della personalità scientifica dei vari candidati, dei quali va ricostruito il profilo complessivo risultante dalla confluenza degli elementi che lo compongono, da apprezzare in tale quadro non isolatamente, ma in quanto correlati nell’insieme secondo il peso che assumono in una interazione di sintesi oggetto di un motivato giudizio unitario; la suddetta valutazione specifica dei titoli deve, dunque, essere svolta, ma non con dettaglio tale da instaurare una valutazione comparativa puntuale di ciascun candidato rispetto agli altri per ciascuno dei titoli, poiché, diversamente, si perderebbe la contestualità sintetica della valutazione globale, risultando perciò necessario e sufficiente che i detti titoli siano stati acquisiti al procedimento e vi risultino considerati nel quadro della detta valutazione (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 2 marzo 2015, n. 1004). In tale contesto è stato altresì rilevato che la motivazione della scelta compiuta dalla commissione deve essere integralmente ricavabile dai precedenti giudizi su ciascun partecipante alla procedura, così come confluiti poi nei giudizi complessivi della commissione esaminatrice.

Da ciò emerge logicamente come il giudizio collegiale debba seguire lo svolgimento di tutti i giudizi individuali.

A tale riguardo appare impreciso il riferimento che la sentenza appellata compie rinviando alla decisione di questa sezione n. 2354 del 2002. Infatti, già allora era stato evidenziato come la “valutazione comparativa” riguardi la procedura concorsuale nel suo complesso, nel senso che questa deve svolgersi in modo da consentire che emergano, nel raffronto dei singoli giudizi (individuali, prima, e collegiali, poi) i candidati da ascrivere al novero degli idonei, rispetto a quelli che tale idoneità non conseguano o la conseguano in misura (relativamente) insufficiente.

In tale ottica va reputato maggiormente aderente alla ratio della procedura nonché dotato di maggiore trasparenza il procedimento logico di muovere dalla formulazione di giudizi individuali, giacché un siffatto criterio consente alla commissione proprio di raffrontare le valutazioni ed esprimere quel giudizio conclusivo di prevalenza di uno o più candidati rispetto agli altri, che costituisce l’essenza della procedura comparativa. D’altra parte, se è vero che il giudizio della commissione deve dare contezza delle ragioni che convincono sulla idoneità di un determinato candidato rispetto ad un altro, la motivazione dovrà essere tanto più puntuale quanto minori saranno le differenze emergenti dai giudizi espressi su ciascuno; cosicché, ove i giudizi individuali, raffrontati secondo parametri omogenei, facciano emergere immediatamente una scala di valori, sarà adeguatamente sorretta la scelta corrispondente a tale scala (mentre sarebbe evidentemente illogica e censurabile quella che non la rispecchiasse); mentre, ove i valori appaiano non significativamente differenziati, la scelta finale dovrà, evidentemente, dare esauriente conto della avvenuta comparazione e degli esiti di questa. Ciò trova conforto normativo proprio nell’art. 4 c. 13 del DPR n. 117/2000, in base al quale “al termine dei lavori la commissione previa valutazione comparativa, con deliberazione assunta a maggioranza dei componenti, … individua inequivocabilmente i nominativi di non più di due idonei nelle valutazioni comparative per professore associato… e per professore ordinario, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 5, comma 2, della legge 3 luglio 1998, n. 210”.

4. Con il terzo motivo viene riproposta la censura dell’illegittimità della valutazione compiuta all’unanimità dalla commissione in ordine alla non obbligatorietà dell’astensione dei commissari – in specie del (omissis) – in relazione alle numerose pubblicazioni in cui figuravano come coautori o in collaborazione con i candidati risultati vincitori; veniva altresì censurato che tutta l’attività curriculare del vincitore (omissis) si era svolta in collaborazione col predetto (omissis) e sotto la sua guida, e si contestava che all’espressione all’unanimità avesse partecipato anche lo stesso (omissis).

Per un diffuso indirizzo giurisprudenziale, non costituisce ragione di incompatibilità la sussistenza sia di rapporti di mera collaborazione scientifica, sia di pubblicazioni comuni, essendo ravvisabile obbligo di astensione del componente della commissione solo in presenza di una comunanza di interessi anche economici, di intensità tale da porre in dubbio l’imparzialità del giudizio (ex plurimis: Consiglio di Stato, sez. VI, 3 luglio 2014, n. 3366; id., sez. III, 20 settembre 2012, n. 5023; id., sez. VI, 31 maggio 2012, n. 3276).

Nei concorsi universitari, l’esistenza di rapporti scientifici di collaborazione costituiscono ipotesi frequenti nel mondo accademico, che non sono tali da inficiare in maniera giuridicamente apprezzabile il principio di imparzialità dei commissari, visto che nel campo degli specialisti è assai difficile trovare un esperto che in qualche modo non abbia avuto contatti di tipo scientifico o didattico con uno dei candidati (Consiglio di Stato, sez. II, 7 marzo 2014, n. 3768).

In termini generali la sezione (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 16 aprile 2015, n. 1962) ha avuto modo di evidenziare che, allorquando la collaborazione scientifica tra candidato e componente la commissione d’esame abbia avuto carattere di mera occasionalità non ne deriva in via automatica (in assenza di elementi ulteriori) l’illegittimità degli atti valutativi cui ha partecipato il commissario che abbia omesso di formalizzare la sua astensione, soprattutto nei casi di settori disciplinari specialistici dove non è agevole rinvenire una sufficiente rosa di candidati all’ufficio di componente di una commissione d’esame, in ragione della scarsa presenza di professori incaricati dell’insegnamento della materia.).

L’obbligo di astensione invece sussiste quando l’«intensità della collaborazione» sia stata tale da far desumere che non vi è stata una valutazione indipendente dello stesso candidato.

Come statuito in alcuni recenti precedenti della Sezione (Consiglio di Stato, sez. VI, 30 giugno 2017, n. 3206; sez. VI, 9 aprile 2015, n. 1788), è incompatibile con il ruolo di commissario d’esame il docente, chiamato ad esprimere una valutazione comparativa di candidati, uno dei quali sia un suo «stabile e assiduo collaboratore», anche soltanto nell’attività accademica o pubblicistica.

L’apprezzamento da esprimere in tale contesto, circa le attitudini dei concorrenti, potrebbe infatti essere determinato da fattori di stima e conoscenza a livello personale, o dalle possibili ricadute delle scelte da operare sul rapporto di collaborazione instaurato. Il giudizio di valore, da esprimere sui lavori scientifici dei concorrenti, difficilmente potrebbe restare pienamente imparziale, quando una parte rilevante della produzione pubblicistica di un candidato fosse riconducibile anche al soggetto, chiamato a formulare tale giudizio

Nel caso di specie il coinvolgimento del commissario in 34 su 38 pubblicazioni prodotte dall’odierno controinteressato (omissis) pare costituire una ipotesi di collaborazione difficilmente qualificabile come occasionale. Inoltre, anche altri titoli del concorrente in questione appaiono acquisiti in collaborazione col (omissis) e cosi ben 25 su 31 comunicazioni a congressi e convegni. Infine, il (omissis) è stato ricercatore volontario e borsista presso l’istituto di Biochimica diretto dal prof. (omissis) fino al 1999 quando vi divenne ricercatore. In tale contesto emerge quindi una comunanza di interessi anche economica o di vita professionale nonché di intensità tale da far sorgere il sospetto che la valutazione del candidato non sia oggettiva ma motivata dalla conoscenza personale.

5. Con il quarto motivo si ripropone la denuncia di violazione del suddetto art. 4 comma 12 cit, in quanto sarebbero stati omessi alcuni degli adempimenti formali prescritti nel caso in cui – come avvenuto nella fattispecie – la commissione sia autorizzata a operare con “sedute telematiche” o presso altra sede. In particolare sarebbero stati omessi adempimenti relativi alla verbalizzazione e all’approvazione dei verbali, l’autorizzazione del Rettore non avrebbe indicato la località in cui autorizzava la seduta, non sarebbe stata descritta la modalità di trasmissione degli atti, né dove erano conservati, né se fossero consegnati al responsabile del procedimento e quindi chi li conservasse.

La censura appare genericamente formulata, senza la necessaria indicazione degli elementi che avrebbero comportato una effettiva incisione nel caso di specie. Se per un verso l’art. 4 comma 12, con una formulazione generale improntata all’incentivazione delle relative modalità, consente alle commissioni di avvalersi di strumenti telematici di lavoro collegiale, previa autorizzazione del rettore, per un altro verso dall’analisi degli atti, come correttamente effettuata dal Tar, il verbale della prima e unica seduta svoltasi in via telematica dà conto in termini sufficienti delle modalità di redazione del verbale e della sua sottoscrizione e anche del coinvolgimento del responsabile del procedimento; inoltre, anche le sedute svoltesi fuori sede risultano autorizzate dal Rettore.

In generale, merita di essere riferimento l’approccio sostanziale cui è giunta la giurisprudenza amministrativa (cfr. ad es. ad. plen., 3 febbraio 2014 n. 8 in tema di appalti), secondo cui la mancata e pedissequa indicazione in ciascun verbale delle operazioni finalizzate alla riservatezza della procedura non può tradursi, con carattere di automatismo, in effetto viziante della procedura concorsuale, in tal modo implicitamente collegando all’insufficienza della verbalizzazione il pregiudizio alla riservatezza ed al rispetto dei connessi principi; ciò anche in ossequio al principio di conservazione dei valori giuridici, il quale porta ad escludere che l’atto deliberativo possa essere viziato per incompletezza dell’atto descrittivo delle operazioni materiali, tecniche ed intellettive ad esso preordinate, salvo i casi in cui puntuali regole dettate dalla p.a. indichino il contenuto essenziale del verbale; di conseguenza, ogni contestazione del concorrente, volta ad ipotizzare una possibile manomissione o esposizione a manomissione dei dati, idonea ad introdurre vulnus alla regolarità del procedimento di selezione, non può trovare sostegno nel solo dato formale delle indicazioni che si rinvengono nel verbale redatto per ogni adunanza della commissione , ma deve essere suffragata da circostanze ed elementi che, su un piano di effettività e di efficienza causale, abbiano inciso sulla commissione. Dunque, può configurarsi un vizio invalidante dell’intera procedura qualora sia positivamente provato, o quanto meno vi siano seri indizi, che le carte siano state manipolate negli intervalli fra un’operazione. Nulla di ciò viene dedotto e provato nel caso de quo.

6. Con il quinto motivo viene riproposta la violazione del comma 13 del medesimo art. 4 e del principio di trasparenza, in specie contestando come il verbale della valutazione comparativa finale non riporti il nominativo dei commissari che hanno espresso il voto finale.

Anche tale censura appare fondata, alla luce dell’opzione ermeneutica funzionale già accolta con riferimento al comma 13 in esame. Al riguardo, la sezione ha in passato evidenziato (cfr. ad es. decisione 5417\2008) come la lacuna del verbale che non indichi quali commissari abbiano votato per un candidato e quali per un altro violi il principio di trasparenza che governa i concorsi universitari. Tale trasparenza è funzionale all’assunzione, da parte di ciascun Commissario, della responsabilità del proprio operato nei confronti della comunità scientifica che lo ha eletto e che gli ha attribuito il mandato di giudicare. A tal fine, quindi, per permettere che l’operato dei commissari sia accessibile alla comunità scientifica alla quale questi appartengono, è necessario che i verbali degli atti concorsuali diano conto anche del modo nel quale ogni commissario ha votato.

7. Alla luce delle considerazioni che precedono l’appello va accolto in relazione ai quattro vizi ritenuti fondati, aventi carattere preliminare, procedimentale ed assorbente rispetto alla valutazione dei singoli titoli: per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, va accolto il ricorso di primo grado e annullati gli atti ivi impugnati.

Dal presente “decisum” scaturisce l’effetto conformativo della reiterazione della valutazione comparativa in esame, emendata dai vizi di illegittimità qui condivisi, e da operarsi, – secondo il criterio corrispondente alla consolidata giurisprudenza di questo Consiglio-, mediante l’attività affidata ad una nuova Commissione, nominata dagli organi competenti in diversa composizione.

Le spese di lite di entrambi i gradi di giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza nei confronti dell’amministrazione appellata. Sussistono giunti motivi per procedere alla compensazione delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio nei confronti delle parti private.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado.

Condanna l’amministrazione appellata al pagamento delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio in favore di parte appellante, liquidate in complessivi euro 6.000,00 (seimila\00), oltre accessori dovuti per legge. Spese compensate fra le altre parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 novembre 2017 con l’intervento dei magistrati:

(omissis)

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