Gli interessati fanno altresì presente che:
– tale fabbricato, legittimamente in sito da epoca immemorabile, confina su di un lato, unitamente all’annesso giardino, con altro fabbricato, anch’esso ad uso abitativo, realizzato nella seconda metà degli anni settanta ed originariamente costituito da soli due livelli;
– verso la metà degli anni ottanta, sul lastrico solare del suddetto edificio venne realizzata una sopraelevazione, a pochi metri dal mare in linea d’aria, per la quale fu presentata al Comune d’Ischia dalla signora (omissis), proprietaria del cespite, domanda di condono edilizio ai sensi della legge n. 47/85 (prot. n. 12000 del 5 giugno 1986);
– nel mese di agosto del 2014, gli appellanti, che risiedono stabilmente in Roma, si recarono presso la loro proprietà in Ischia, constatando, nell’occasione, che, sul lastrico solare del l’immobile (già sopraelevato) della Sa., era stata realizzata, in loro assenza, anche una tettoia di circa m² 23,00;
– dopo le opportune indagini presso i competenti uffici comunali, appresero che la predetta domanda di sanatoria straordinaria ex lege n. 47/85 era stata definita il 15 febbraio 2010 con il rilascio del permesso di costruire in sanatoria n. 2/2010, previa acquisizione del parere favorevole di compatibilità paesaggistica, formalizzato con decreto dirigenziale n. 8/2009;
– appresero anche che, con provvedimento n. 29 del 15 ottobre 2013, era stata rilasciata in favore della Sa. l’autorizzazione paesaggistica semplificata per la realizzazione, sul solaio di copertura del medesimo immobile, della tettoia di cui sopra.
2. Con ricorso proposto dinanzi al Tar per la Campania, gli interessati hanno conseguentemente impugnato i seguenti atti:
– il provvedimento n. 29 del 15 ottobre 2012, recante l’autorizzazione paesaggistica semplificata rilasciata, ai sensi del d.P.R. n. 139 del 2010 per la realizzazione della tettoia;
– il presupposto parere della Soprintendenza;
– il permesso di costruire in sanatoria n. 2 del 5 febbraio 2010;
– il decreto dirigenziale n. 8 del 12 agosto 2009.
Il Tar per la Campania, Sezione Sesta, con la sentenza 5 dicembre 2019, n. 5726, ha dichiarato irricevibile il ricorso.
Pertanto, i signori (omissis) hanno interposto l’appello (R.G. 7393 del 2020), articolando i seguenti motivi: Error in iudicando. Erroneità dei presupposti di fatto e di diritto. Violazione dell’art. 41 del codice
del processo amministrativo. Travisamento. Nullità per omessa pronuncia sui mezzi di censura relativi ai titoli abilitativi diversi dal permesso di costruire in sanatoria. Eccesso di potere giurisdizionale.
Costituirebbe ius receptum il principio per il quale il termine d’impugnazione di un titolo edilizio, anche in sanatoria, debba farsi decorrere dal momento in cui si viene a conoscenza della circostanza
dell’avvenuto rilascio di tale atto per una determinata opera già esistente (v., da ultimo, Cons. Stato, Sez. VI, 13 gennaio 2020, n. 314) e che, in tal caso, la conoscenza deve essere dimostrata in giudizio da chi intende far valere la tardività dell’impugnazione (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 29 agosto 2019, n. 5307; Sez. V, 21 dicembre 2004, n. 8147; Sez. IV, 26 marzo 2013, n. 1699).
In sintesi, in base alla richiamata giurisprudenza, non soltanto il termine per l’impugnazione di un titolo edilizio ordinario, ma anche quello relativo alla impugnazione di un titolo edilizio in sanatoria, decorrerebbe per il terzo interessato dalla data in cui costui abbia avuto conoscenza del
rilascio del titolo, apparendo ingiustificatamente restrittiva dell’effettività della tutela giurisdizionale la tesi secondo cui, per i titoli in sanatoria, il termine decorrerebbe “dalla data di pubblicazione del provvedimento all’Albo pretorio del Comune”.
Nel caso in esame, nemmeno potrebbe condividersi l’assunto del primo giudice, secondo cui, in ossequio al vecchio brocardo “diligentibus iura succurrunt”, il vicino che intenda avversare un intervento edilizio avrebbe il preciso onere di attivarsi tempestivamente secondo i canoni di buona fede in senso oggettivo, senza differire senza valida ragione l’impugnativa del relativo titolo alla fine dei lavori, quando ciò non sia oggettivamente necessario ai fini impugnatori: ciò perché gli appellanti si recano sull’isola solo nel periodo estivo, essendo stabilmente residenti a Roma, ed avendo, pertanto, appreso dell’esistenza del permesso di costruire in sanatoria n. 2/2010 soltanto dopo aver constatato, nel mese di agosto 2014, l’avvenuta costruzione sul lastrico solare del fabbricato Sa. della tettoia di m² 23,00 e, più precisamente, solo dopo essersi rivolti al competente ufficio tecnico comunale per ottenere informazioni circa la regolarità, sotto il profilo urbanistico-edilizio e paesaggistico, della nuova intrapresa edilizia, oltre che sullo “stato legittimo” dell’immobile di proprietà della loro vicina.
Nel dichiarare irricevibile il gravame, il T.A.R. avrebbe fatto esclusivo riferimento al permesso di costruire in sanatoria ed al presupposto nulla osta paesaggistico, omettendo, tuttavia, ogni riferimento agli altri titoli abilitativi oggetto della impugnativa.
La denunciata omissione integrerebbe una tipica ipotesi di nullità della sentenza impugnata con obbligo di rinvio al giudice di primo grado ex art. 105 d.lgs. n. 104 del 2010.
Per l’ipotesi in cui non fosse ritenuta nulla l’impugnata decisione, gli appellanti hanno riproposto i mezzi di censura già formulati in primo grado e non esaminati dal TAR.
La controinteressata signora Pa. Sa. ha contestato la fondatezza delle censure dedotte concludendo per il rigetto dell’appello. Il Ministero della Cultura si è costituito in giudizio per resistere al gravame.
3. Successivamente alla proposizione del ricorso di primo grado, definito con la sentenza oggetto dell’appello R.G. n. 7393 del 2020, i signori Gu. rappresentano di avere appreso che, con nota del 17 settembre 2015, la Soprintendenza ha espresso un altro parere favorevole di compatibilità paesaggistica per la realizzazione presso il fabbricato della signora Sa. di una nuova tettoia in legno e di un muretto con sovrastante ringhiera sul lastrico solare, oltre che per la trasformazione di una finestra in porta-finestra e l’apposizione di un cancelletto in ferro d’ingresso del ballatoio, e che, con provvedimento n. 27 del 13 novembre 2015, il Comune di Ischia, per tali opere, ha rilasciato alla signora Sa. l’autorizzazione paesaggistica semplificata ai sensi del d.P.R. n. 139 del 2010.
Avverso tali atti, i signori (omissis), unitamente alla signora (omissis), hanno proposto ricorso dinanzi al Tar per la Campania, formulando altresì domanda di risarcimento dei danni patrimoniali subiti in conseguenza dell’illegittimo rilascio dei titoli abilitativi impugnati.
Il Tar per la Campania, Sezione Sesta, con la sentenza 23 luglio 2021 n. 5132, ha dichiarato irricevibile il ricorso, sicché gli interessati hanno interposto l’appello R.G. n. 2335 del 2022, articolando i seguenti motivi:
Error in iudicando. Erroneità dei presupposti di fatto e di diritto. Violazione dell’art. 41 c.p.a. Travisamento. Nullità per omessa pronuncia sui mezzi di censura relativi ai titoli abilitativi diversi dal permesso di costruire in sanatoria. Eccesso di potere giurisdizionale.
Il giudice di primo grado avrebbe omesso di considerare che gli appellanti, come documentato, risiedono stabilmente a Roma, per cui avrebbero avuto notizia della nuova autorizzazione paesaggistica rilasciata in favore della signora Sa. soltanto nel mese di agosto 2016, allorquando si recarono presso la loro abitazione sull’Isola di Ischia per le vacanze estive.
Costituirebbe ius receptum il principio per il quale il termine d’impugnazione di un titolo edilizio, anche in sanatoria, debba farsi decorrere dal momento in cui si viene a conoscenza della circostanza dell’avvenuto rilascio di tale atto per una determinata opera già esistente (v., da ultimo, Cons. Stato, Sez. VI, 13 gennaio 2020, n. 314).
Non sarebbe nemmeno dimostrato quando le opere autorizzate siano state effettivamente realizzate, risultando depositata agli atti del giudizio di prime cure una mera comunicazione di inizio lavori, datata 11 aprile 2016, e non anche la certificazione relativa al completamento degli stessi.
La sentenza impugnata avrebbe sovvertito il principio dell’onere della prova che grava su chi eccepisce la tardività.
La sentenza impugnata sarebbe nulla, in quanto ometterebbe qualsiasi pronuncia sulla domanda di risarcimento dei danni, con obbligo di rinvio al giudice di primo grado ex art. 105 c.p.a.
Gli appellanti hanno concluso richiamando tutti i mezzi di censura articolati in primo grado.
Il Comune di Ischia e la controinteressata signora Pa. Sa. hanno contestato la fondatezza delle censure dedotte concludendo per il rigetto dell’appello. Il Ministero della Cultura si è costituito in giudizio per resistere al gravame.
4. All’udienza pubblica del 6 giugno 2024, le cause sono state trattenute per la decisione.
5. Il Collegio, in primo luogo, in ragione della connessione soggettiva e parzialmente oggettiva, per quanto concerne la causa petendi, degli appelli in esame, dispone la riunione dei relativi giudizi ai sensi dell’art. 70 c.p.a.
6. Gli appelli sono infondati e vanno di conseguenza respinti, per cui, sia pure con un percorso argomentativo più ampio ed articolato, vanno confermate le statuizioni di irricevibilità pronunciate dal Tar per la Campania con le sentenze impugnate.
7. Nel primo giudizio (R.G. n. 7393 del 2020), è oggetto della controversia un’autorizzazione paesaggistica del 2014 relativa ad una tettoia, che si innesta su una sopraelevazione oggetto di condono ex l. n. 47 del 1985 del 2010, nonché gli atti presupposti, costituiti dal decreto dirigenziale n. 8 del 2009, e dal parere favorevole della Soprintendenza del 5 luglio 2013, propedeutico al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica; nella seconda controversia (R.G. 2335 del 2022), è stata impugnata un’ulteriore autorizzazione paesaggistica per una “tettoietta” rilasciata nel 2015.
Per cui, nelle vicende controverse, sussistono un permesso in sanatoria (condono) impugnato dopo oltre quattro anni e due autorizzazioni paesaggistiche “ordinarie” impugnate dopo circa un anno.
7.1. Il problema che si pone, relativo ad entrambi i giudizi, è delicato e concerne il rapporto tra il la decorrenza del termine per impugnare dalla piena conoscenza dell’atto e la necessità di dare stabilità ai rapporti giuridici pubblicistici.
7.2. La tematica, per i titoli in sanatoria, è stata già affrontata nella sentenza di questa Sezione n. 9578 del 7 novembre 2023 (cfr sul punto anche Cons. Stato, VI, 7 febbraio 2024, n. 1241), dalle cui conclusioni il Collegio non ha ragioni per discostarsi.
In particolare, con la citata sentenza, la Sezione ha così argomentato:
“3.1. Ora se, per un verso, occorre considerare l’art. 20, comma 6, ultima parte, del d.P.R. n. 380 del 2001, secondo cui “dell’avvenuto rilascio del permesso di costruire è data notizia al pubblico mediante l’affissione all’albo pretorio”, per altro verso occorre rilevare che la giurisprudenza ha prevalentemente escluso come il termine di impugnazione di un permesso in sanatoria rilasciato a terzi possa decorrere dal momento della scadenza del termine di affissione all’albo pretorio.
In particolare, è stato condivisibilmente escluso che il destinatario di un provvedimento di sanatoria edilizia, tanto più di condono – che costituisce pur sempre un vulnus per l’ordinamento – non può beneficiare anche della decorrenza della pubblicazione all’albo pretorio del termine di impugnativa del provvedimento a lui favorevole (cfr. Cons. Stato, VII, 17 luglio 2023, n. 6928, che richiama ampia giurisprudenza, tra cui Cons. Stato, VI, 10 settembre 2018, n. 5307).
Il termine per l’impugnazione di un titolo edilizio in sanatoria, quindi, decorre dalla data in cui l’interessato abbia conoscenza che, per una determinata opera abusiva già esistente, è stata rilasciata la concessione edilizia in sanatoria, indipendentemente dalla pubblicazione dell’atto nell’albo pretorio del Comune (cfr. Cons. Stato, VII, 12 dicembre 2022, n. 10851, che richiama, da ultimo, Cons. Stato, VI, 28 ottobre 2022, n. 9299; 23 agosto 2021, n. 5987; 13 gennaio 2020, n. 314).
3.2. Tuttavia, se è vero che il termine decorre dal momento in cui il controinteressato acquisisce piena conoscenza del rilascio del titolo in sanatoria, è altrettanto vero che occorre individuare un punto di equilibrio tra tale principio ed il principio di certezza delle situazioni giuridiche, atteso che, diversamente, il rapporto pubblicistico controverso resterebbe esposto sine die ad iniziative giudiziarie in grado di mutare l’assetto degli interessi disciplinato dall’atto.
Proprio per ovviare a queste situazioni, la giurisprudenza ha evidenziato che, quando un soggetto si rende conto di un insediamento probabilmente abusivo, è onerato alla presentazione di un’istanza di accesso e se la richiesta di accesso non è idonea ex se a far differire i termini di proposizione del ricorso, occorre anche considerare che, da un lato, deve essere assicurata al vicino la tutela in sede giurisdizionale dei propri interessi nei confronti di un intervento edilizio ritenuto illegittimo, dall’altro, deve parimenti essere salvaguardato l’interesse del titolare del permesso di costruire a che l’esercizio di detta tutela venga attivato senza indugio e non irragionevolmente differito nel tempo, determinando una situazione di incertezza delle situazioni giuridiche contraria ai principi ordinamentali (cfr. Cons. Stato, IV, 23 maggio 2018, n. 3075).
In sostanza, sussiste un onere, per chi intende contestare adeguatamente un titolo edilizio, e ciò vale evidentemente anche per chi contesta un titolo edilizio in sanatoria, di esercitare sollecitamente l’accesso documentale.
Sulla base di tali coordinate ermeneutiche, il ricorso di primo grado, si rivela chiaramente irricevibile, essendo stato proposto nel 2014 a fronte di una concessione edilizia in sanatoria rilasciata nel 1999, senza che nelle more l’interessato si sia tempestivamente attivato per avere notizie al riguardo, risultando il primo atto di impulso costituito da un’istanza di verifica della sussistenza di abusi edilizi del 16 luglio 2013, così come irricevibile, con ogni evidenza, è l’azione di annullamento notificata nel 2014 avverso il titolo edilizio autorizzatorio del 23 giugno 2003″.
7.3. In ragione di tale esegesi del sistema, deve essere confermata la statuizione di irricevibilità di cui alla sentenza del Tar per la Campania n. 5726 del 2019, impugnata nel giudizio di appello R.G. n. 7393 del 2020, dell’azione di annullamento del permesso di costruire in sanatoria n. 2/2020 in data 15 febbraio 2020, che ha concluso il procedimento di sanatoria straordinaria ex lege n. 47 del 1985, nonché della presupposta determina dirigenziale n. 8 del 2009, in quanto l’enorme lasso di tempo intercorso dalla domanda di sanatoria (presentata nel 1986) e, poi, dal permesso di costruire in sanatoria (del 2010) sino alla proposizione del gravame induce inevitabilmente a ritenere che gli appellanti non abbiano assolto all’onere di diligenza sugli stessi gravante, che avrebbe dovuti indurli, quali possibili controinteressati, prima, a chiedere al Comune notizie sul manufatto abusivo e, quindi, conosciuta a seguito dell’accesso la domanda di sanatoria, avrebbe dovuto indurli a chiedere all’Amministrazione comunale competente di notiziarli in ordine all’esito del procedimento ed a verificare lo stato dello stesso.
Né vale a rimettere in termini gli odierni appellanti la circostanza che gli stessi sono residenti a Roma, atteso che, seguendo la loro prospettazione, si perverrebbe alla paradossale conclusione che, anche a decenni di distanza dal rilascio del titolo, l’azione di annullamento sarebbe proponibile con la semplice affermazione di non essere stati più presenti sul luogo, con evidente vulnus del sistema processuale amministrativo che, per l’ipotesi di lesione dell’interesse legittimo, prevede un termine decadenziale a tutela della certezza dei rapporti pubblicistici disciplinati dai provvedimenti amministrativi; diversamente, rientra nella comune diligenza del proprietario di un immobile che, in caso di reiterata e estremamente prolungata assenza (nel caso di specie pluriennale), possa e debba investire un altro soggetto dei compiti destinati alla manutenzione e alla conservazione del bene.
7.4. Per i titoli edilizi “ordinari”, vale a dire non chiesti in sanatoria in senso stretto o avvalendosi di norme condonistiche, si applica, invece, la tradizionale giurisprudenza secondo cui, se si contesta l’an dell’edificazione, il termine decorre dall’inizio dei lavori (cfr. Cons Stato, VI, 20 febbraio 2024, n. 1696), mentre se il titolo viene contestato per il quomodo dell’edificazione, ovvero per le modalità di realizzazione dell’opera, il termine per l’impugnazione decorre da quando il ricorrente acquisisce la “piena conoscenza” del provvedimento, e quindi, generalmente, dalla data di completamento dei lavori, o comunque da quando si rende palese l’esatta dimensione, consistenza e finalità del manufatto in costruzione.
In definitiva, se, come nel caso di specie, il titolo viene contestato per l’an dell’edificazione, allora il termine per l’impugnazione decorre dalla data di inizio lavori, in quanto già dal quel momento si costituisce la piena conoscenza della realizzazione dell’opera.
Peraltro, riguardo alla “piena conoscenza” dei provvedimenti che riguardano le opere edilizie realizzate da terzi, non è necessario avere la conoscenza integrale degli stessi, ma anche solo la percezione dell’esistenza di aspetti che rendano evidente la lesività della propria sfera giuridica.
Nel momento in cui si viene a conoscenza di tali violazioni, però, è fondamentale agire prontamente perché il ricorso possa essere ritenuto tempestivo, mentre, nel caso in esame, tale onere di diligenza non è stato assolto dagli odierni appellanti.
In altri termini, quindi, come ampiamente descritto nella recente giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. Cons. Stato, II, 20 febbraio 2024, n. 1696) “la ‘piena conoscenza’, ai fini della decorrenza del termine per la impugnazione di un titolo edilizio viene individuata nell’inizio dei lavori, nel caso si sostenga che nessun manufatto poteva essere edificato sull’area; laddove si contesti il quomodo (distanze, consistenza ecc.) al completamento dei lavori o, in relazione al grado di sviluppo degli stessi, nel momento in cui si renda comunque palese l’esatta dimensione, consistenza, finalità, del manufatto in costruzione (Cons. Stato, Sez. II, 12 agosto 2019, n. 5664; Sez. IV, 26 luglio 2018, n. 4583; id., 23 maggio 2018, n. 3075); mentre la vicinitas di un soggetto rispetto all’area e alle opere edilizie contestate, oltre ad incidere sull’interesse ad agire, induce a ritenere che lo stesso abbia potuto avere più facilmente conoscenza della loro entità anche prima della conclusione dei lavori e comunque chi intende contestare adeguatamente un titolo edilizio ha l’onere di esercitare sollecitamente l’accesso documentale (Cons. Stato, Sez. II, 26 giugno 2019, n. 4390)” (Consiglio di Stato, Sez. II, n. 8327/2020). Inoltre, ‘resta comunque ferma la possibilità, da parte di chi solleva l’eccezione di tardività, di provare, anche in via presuntiva, la concreta anteriore conoscenza del provvedimento lesivo in capo al ricorrente (ad esempio, ai sensi del combinato disposto degli artt. 20, comma 6, e 27, comma 4, t.u. edilizia, avuto riguardo alla presenza in loco del cartello dei lavori (…); alla consistenza del tempo trascorso fra l’inizio dei lavori e la proposizione del ricorso; alla effettiva residenza del ricorrente in zona confinante con il lotto su cui sono in corso i lavori; ecc. ). Per contro, chi intende contestare adeguatamente un titolo edilizio è tenuto ad esercitare sollecitamente l’accesso documentale, ove ne abbia necessità per comprenderne appieno la portata’ (Consiglio di Stato, Sez. II, n. 2328/2020)” (così Cons. Stato, Sez. I, n. 648/2021).
Ed infatti, come pure rilevato dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (Sez. II, n. 5864/2020), “quando l’attività edilizia in atto appare immediatamente illegittima, il vicino ha l’obbligo di attivarsi prontamente con l’istituto dell’accesso agli atti (C.G.A.R.S. in s.g., 17 marzo 2020, n. 175, in fattispecie analoga alla presente). In questo genere di casi, il tardivo esercizio del diritto di accesso è inidoneo a procrastinare il dies a quo di decorrenza del termine d’impugnativa, in quanto lesivo del principio di stabilità dei rapporti giuridici e dell’affidamento dei soggetti titolari dell’autorizzazione (C.d.S., sez. VI, 13 agosto 2020, n. 5034)”.
Ne consegue, in ragione delle descritte coordinate ermeneutiche, la tardività sia dell’azione di annullamento avverso l’autorizzazione paesaggistica semplificata n. 29 del 15 ottobre 2013, oggetto del ricorso di primo grado conclusosi con la sentenza del Tar per la Campania n. 5726 del 2019, impugnata con l’appello R.G. n. 7393 del 2020, sia dell’azione di annullamento avverso l’autorizzazione paesaggistica semplificata n. 27 del 13 novembre 2015, oggetto del ricorso di primo grado conclusosi con la sentenza del Tar per la Campania n. 5132 del 2021, impugnata con l’appello R.G. n. 2335 del 2022.
7.5. Le richieste di annullamento con rinvio delle sentenze impugnate ai sensi dell’art. 105 c.p.a. sono evidentemente infondate, atteso che, per quanto riguarda l’appello R.G. n. 7393 del 2020, risultano implicitamente disattese, con la statuizione di irricevibilità dei provvedimenti conclusivi dei relativi procedimenti, anche le azioni avverso i presupposti pareri di compatibilità paesaggistica di cui alla determina dirigenziale n. 8 del 2009 e all’atto della Soprintendenza del 5 luglio 2013. Parimenti, la domanda di risarcimento dei danni proposta con il ricorso definito con la sentenza del Tar per la Campania n. 5132 del 2021 è stata implicitamente disattesa essendo stata dichiarata irricevibile l’azione di annullamento dell’atto asseritamente causativo del danno e, quindi, per l’assenza dell’accertamento dell’essenziale elemento costitutivo della responsabilità aquiliana dell’Amministrazione, vale a dire l’illegittimità dell’atto.
8. In definitiva, gli appelli proposti dai signori (omissis) sono infondati e devono essere respinti.
9. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e, liquidate complessivamente in € 3.000 (tremila/00), oltre accessori di legge, per ciascun ricorso in appello, sono poste, in parti uguali e con vincolo di solidarietà, a carico degli appellanti ed a favore della signora Sa. per quanto concerne il ricorso in appello R.G. n. 7393 del 2020 e, in parti uguali (ciascuna di € 1.500,00), del Comune di Ischia e della signora (omissis), per quanto concerne il ricorso in appello R.G. n. 2335 del 2002; le spese, invece, con riferimento ad entrambi i ricorsi, sono compensate nei confronti del Ministero della Cultura, che si è costituito in giudizio senza spiegare sostanziale attività difensiva.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 6 giugno 2024, con l’intervento dei magistrati:
(omissis)
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 06 AGO. 2024.
