In particolare, la sentenza di primo grado (v. da pag. 17 a pag. 28) ha:
– giudicato infondata la censura sulla omessa valutazione, attraverso l’attribuzione di un punteggio, del diploma di specializzazione conseguito dalla dott. ssa (omissis) e della relativa tesi di dottorato, e ciò per un triplice ordine di ragioni. In primo luogo, il diploma di specializzazione della dott. ssa (omissis)non ha rilievo per il settore specifico al quale inerisce il posto di ricercatore; in secondo luogo non è stato prodotto un diploma di specializzazione europea ai sensi dell’art. 2 del d. m. n. 243/2011; infine, il titolo di specializzazione vale esclusivamente come titolo di preferenza a parità di punteggi assegnati e tale situazione non ricorre nel caso di specie. Il diploma è stato comunque considerato dalla Commissione in sede di valutazione del curriculum della candidata come da verbale n. 2 del 5.12.2011. Quanto alla tesi di specializzazione, la stessa non è stata valutata in quanto non inserita, ai sensi dell’art. 3 del d. m. n. 243/2011, tra le pubblicazioni scientifiche valutabili, né indicata dalla ricorrente tra le proprie pubblicazioni;
– ritenuto che alcune delle attività – come la partecipazione ai progetti PRIN – con riferimento alle quali la ricorrente lamenta un’omessa valutazione da parte della Commissione, non siano state documentate nelle forme prescritte dal bando. Pertanto, in base all’art. 11 del bando di gara, non sono stati valutati titoli solo dichiarati e non documentati;
– osservato che nei concorsi per docente universitario e ricercatore i giudizi sono sempre espressi con riferimento all’esame delle pubblicazioni nel loro complesso, senza che la menzione solo di qualche titolo significhi che la mancata menzione di altri titoli comporti che questi ultimi non siano stati presi in considerazione dai commissari. Le valutazioni della Commissione risultano corrette, non illogiche né sviate; la preferenza per il dott. (omissis) è giustificata da argomentazioni esaustive e pertinenti;
– rilevato che la Commissione non era tenuta ad attribuire un punteggio alla lettera di presentazione del prof. (omissis) e che comunque detta lettera è stata visionata e indicata nel verbale;
– considerato che la valutazione della Commissione sulle pubblicazioni è stata correttamente formulata con riguardo al settore concorsuale per il quale la procedura è stata indetta anche con riferimento alle tematiche interdisciplinari e che tutte le pubblicazioni sono state esaminate dalla Commissione secondo i criteri della originalità, del rigore metodologico, della rilevanza di ciascuna pubblicazione scientifica sottolineando, per la gran parte delle pubblicazioni della ricorrente, il carattere essenzialmente descrittivo e la sostanziale assenza di spunti critici;
– rimarcato che la Commissione ha motivatamente escluso l’applicazione dei c. d. indicatori bibliometrici poiché basati su considerazioni di ordine statistico numerico ancora estranee al settore scientifico disciplinare di concorso. Solo con il d. m. n. 76/2012 sono stati individuati i settori e gli indicatori bibliometrici e non bibliometrici, che non avrebbero comunque potuto essere applicati dalla Commissione alla luce del quadro normativo vigente all’epoca della indizione della procedura;
– osservato che in modo legittimo e corretto la Commissione ha operato una valutazione qualitativa e non quantitativa delle pubblicazioni e dei titoli dei candidati, giacché la produzione scientifica deve formare oggetto di uno stretto scrutinio di carattere qualitativo;
– rilevato che la dott. ssa St. non ha fornito alcun principio di prova in merito all’asserito fittizio svolgimento dell’attività didattica e di ricerca da parte del (omissis);
– considerato che la monografia prodotta dal dott. (omissis) sul “Diritto della concorrenza nell’Unione Europea a tutela del consumatore” non è una mera riproduzione della tesi di dottorato sul diritto comunitario della concorrenza a protezione dei consumatori ma si sostanzia in un lavoro che, pur avendo a oggetto la stessa tematica e ponendo a base gli studi precedenti, sviluppa spunti di riflessione ulteriori, sicché in modo legittimo la Commissione ha attribuito al dr. (omissis) dieci punti per la monografia e sei punti per la tesi di dottorato;
– giudicato non pertinenti le deduzioni volte a contestare lo svolgimento da parte del (omissis) dell’attività didattica svolta nell’anno 2010 – 2011 presso l’Università degli studi di Napoli -Federico II, in quanto l’incarico provato dal contratto prodotto dal controinteressato è stato conferito con delibera del Consiglio di Facoltà del 20.12.2010.
2. La dott.ssa (omissis) ha proposto appello censurando argomentazioni e statuizioni della sentenza di primo grado con svariati motivi.
Nella sostanza, con l’appello viene denunciata da una parte l’erronea mancata valutazione, o comunque la sottovalutazione, di titoli e pubblicazioni scientifiche presentati dalla dott. ssa St.; dall’altra, viene rilevata la errata e comunque la indebita sopravvalutazione di titoli, e pubblicazioni scientifiche, del dr. (omissis).
3. Con ordinanza collegiale n. 5424 del 2015 questa Sezione ha disposto una verificazione per accertare se la monografia del dott.(omissis) sia sostanzialmente una copia della tesi di dottorato di ricerca pure essa presentata e valutata, o se tra le due pubblicazioni vi siano differenze tali da renderle valutabili in via autonoma. È stato designato per l’esecuzione della verificazione il professore ordinario più anziano di età titolare della cattedra di Diritto dell’Unione europea presso il Dipartimento di giurisprudenza, e ne è stata affidata la designazione al Rettore dell’Università Federico II.
4. Con ordinanza n. 2035 del 2016 questa Sezione, in seguito a una istanza della dott. ssa (omissis), ha disposto la revoca parziale dell’ordinanza istruttoria n. 5424 del 2015 nella parte in cui con la stessa è stato designato quale verificatore un professore ordinario dell’Università degli studi di Napoli Federico II, in quanto soggetto parte dell’organizzazione della stessa Amministrazione parte in causa e, quindi, non estraneo alle parti del giudizio. Con l’ordinanza medesima è stato richiesto all’Università di produrre in giudizio la copia integrale della tesi di dottorato del dr. (omissis) sul “Diritto comunitario della concorrenza a protezione dei consumatori”, ed è stata riservata alla udienza di merito, da fissarsi entro il quarto trimestre del 2016, “ogni decisione anche sulla effettiva necessità, o meno, di disporre una verificazione diretta ad accertare se tra la monografia e la tesi di dottorato del dott. (omissis) sussistano diversità tali da giustificare una valutazione dei due lavori in via autonoma”.
5. All’udienza del 15.12.2016 questo Giudice di appello ha ritenuto di pronunciare una ordinanza collegiale ulteriore, la n. 249 del 2017, con la quale, visti gli articoli 19,20 e 66 del c.p.a., è stata disposta una verificazione diretta a stabilire se la citata monografia sul Diritto della concorrenza nella UE a tutela del consumatore “costituisca copia integrale della tesi di dottorato di ricerca pure essa presentata e valutata, o se tra le due pubblicazioni … vi siano differenze sostanziali, sintomatiche di una diversa e nuova attività di ricerca, tali da consentire e da giustificare una valutazione in via autonoma delle pubblicazioni medesime…”.
Dell’esecuzione della verificazione è stato incaricato il prof. (omissis), dell’Università degli studi di Milano -Dipartimento di Diritto pubblico, con facoltà di sub delega.
6. In data 28.4.2017 il verificatore ha depositato la relazione.
La dott. ssa (omissis) e il dr. (omissis) hanno depositato consulenza tecnica di parte e nota illustrativa.
In prossimità dell’udienza di discussione del 14.12.2017 le parti private si sono scambiate memorie e repliche e all’udienza anzidetta il ricorso è stato nuovamente trattenuto in decisione.
7. L’appello è nel complesso infondato e va respinto.
La sentenza impugnata va confermata nel dispositivo.
Tuttavia, la decisione di primo grado va nel contempo riformulata nella parte in cui il TAR ha considerato legittima la duplice valutazione della monografia e della tesi di dottorato sul Diritto comunitario della concorrenza a tutela del consumatore.
Va puntualizzato sin da ora che la statuizione della sentenza di primo grado sulla legittimità della duplice valutazione della monografia e della tesi di dottorato, benché non corretta, e da riformare, si rivela nella sostanza ininfluente ai fini della risoluzione della controversia, e ciò in base alla c. d. “prova di resistenza”.
Premesso infatti che il dott. (omissis)si è classificato primo nella graduatoria della selezione, con 76 punti, e la dott. ssa (omissis) seconda, con 65 punti, anche considerando illegittimamente attribuiti al dott. (omissis) i sei punti relativi alla tesi di dottorato, e a vedere ridotto a cinque punti (70 a 65) il divario di punteggio tra l’appellante dott. ssa (omissis) e l’appellato, resta che all’esito del vaglio dei motivi di appello ulteriori, parte appellante non riuscirebbe comunque a sopravanzare il vincitore della selezione pubblica.
7.1. In via preliminare pare il caso di esaminare le eccezioni, sollevate dall’appellato dr. (omissis):
a)di sopravvenuta carenza di interesse, da parte dell’appellante St., alla definizione del giudizio, e ciò sull’assunto che l’appellante medesima, in pendenza del ricorso, è risultata vincitrice di una procedura di valutazione comparativa per l’assegnazione di un posto di ricercatrice in Diritto costituzionale presso l’Università telematica Pegaso;
b)di improcedibilità dell’appello a motivo della omessa impugnazione, da parte della St., del provvedimento di proroga del rapporto tra l’Università Federico II e il dr. (omissis) quale ricercatore a tempo determinato, dal marzo del 2015 al marzo del 2017; e
c)di inammissibilità della impugnazione poiché, sostiene l’appellato, le censure formulate si risolverebbero in una “controvalutazione”, dei titoli e della produzione scientifica del dr. (omissis), che si sovrapporrebbe, anzi, si contrapporrebbe, in modo inammissibile, a quella espressa dalla Commissione di selezione.
Le eccezioni sopra riassunte sono tutte infondate e vanno respinte.
Riguardo alle eccezioni sub a) e b), va premesso che il contratto da ricercatore a tempo determinato su cui si controverte è stato integralmente eseguito posto che il primo triennio del contratto da ricercatore sottoscritto dal dr. (omissis)all’esito della procedura selettiva si è concluso nel dicembre del 2014 e dal marzo del 2015 il rapporto è stato prorogato per un ulteriore biennio, ai sensi dell’art. 24, comma 3, lett. a) della l. n. 240 del 2010, andando a scadere nel marzo del 2017.
Ciò posto, non solo il conseguimento di un posto di ricercatore presso un’Università pubblica quale la Federico II rappresenta un bene della vita ben diverso rispetto a un posto di ricercatore presso una Università telematica privata, ma non può inoltre escludersi la persistenza, in capo alla parte appellante, di un interesse a vedere definita l’azione di annullamento in vista dell’ottenimento di un risarcimento del danno in forma specifica o, se del caso, per equivalente, per l’ipotesi in cui l’appello sia accolto nel merito.
L’interesse dell’appellante St. a vedere deciso l’appello nel merito, pertanto, sussiste ed è concreto e attuale.
L’omessa impugnazione della proroga del rapporto a tempo determinato dal 2015 al 2017 è irrilevante ai fini del permanere di un interesse a una decisione del giudizio nel merito atteso che l’eventuale accoglimento della impugnazione, e la correzione -nell’ambito della giurisdizione generale di legittimità- del risultato della procedura di selezione pubblica, avrebbero un effetto direttamente caducante sulla proroga. Proroga che risulta porsi in un rapporto di “derivazione immediata” rispetto al precedente atto di nomina del dr. (omissis) a ricercatore per un triennio. Viene cioè in considerazione una ipotesi di (eventuale) invalidità a effetto caducante e non soltanto viziante, e di (eventuale) estensione automatica dell’annullamento dell’atto presupposto all’atto successivo e consequenziale, il quale ultimo si colloca nell’ambito della medesima sequenza procedimentale.
Quanto infine all’eccezione sub c), il Collegio ritiene che i motivi di appello, così come formulati, e fatto salvo quanto si puntualizzerà al p. 7.3. su taluni profili di doglianza, non travalichino i limiti del sindacato giurisdizionale di legittimità di questo Giudice sulle valutazioni effettuate dalla Commissione nell’ambito della procedura di selezione pubblica in discorso.
7.2. Nel merito, va dato rilievo preminente alla questione della (asseritamente errata e illegittima, nella prospettazione di parte appellante) “duplice valutazione” della monografia / tesi di dottorato di ricerca sul diritto comunitario della concorrenza a tutela del consumatore, con l’attribuzione al dr. (omissis) di dieci punti per la monografia e di sei punti per la tesi di dottorato; questione sulla quale si è incentrate l’attenzione del Collegio di appello, con le menzionate ordinanze nn. 5424/2015, 2035/2016 e 249/2017 (sulle quali si rinvia sopra ai punti 3., 4. e 5.).
Nel ricorso in appello, la dott. ssa (omissis) ha dedotto che la monografia sarebbe una copia integrale della tesi di dottorato e che, pertanto, non avrebbe potuto essere valorizzata in alcun modo dalla Commissione.
In sentenza il TAR (v. p. 4.3.) aveva giustificato la “duplice attribuzione di punteggio”, a monografia e tesi di dottorato (10 + 6), sull’assunto che “la monografia prodotta dal (omissis) non si sostanzia nella mera riproduzione della tesi di dottorato, ma in un lavoro che, pur avendo ad oggetto la medesima tematica e ponendo a base gli studi precedenti, sviluppa spunti di riflessione ulteriori, non limitati all’aggiornamento del formante giurisprudenziale“.
Ciò premesso, al quesito posto dalla Sezione con l’ord. coll. n. 249 del 2017 (“se (la monografia) costituisca copia integrale della tesi di dottorato di ricerca pure essa presentata e valutata, o se tra le due pubblicazioni … vi siano differenze sostanziali, sintomatiche di una diversa e nuova attività di ricerca, tali da consentire e da giustificare una valutazione in via autonoma delle pubblicazioni medesime…”), il verificatore ha risposto concludendo come segue: a) la monografia del 2011 non costituisce “copia integrale” della tesi di dottorato; b) tra le due pubblicazioni non sussistono differenze sostanziali, tali da consentire e da giustificare una valutazione in via autonoma delle stesse”.
In particolare, il verificatore (p. 3. della relazione) ha evidenziato che “sussiste indubbiamente una sovrapposizione tra i due testi. E al riguardo una immediata percezione di detta sovrapposizione si può ricavare dal “quadro sinottico” presentato dalla difesa dell’appellante, che risulta conforme alla realtà, come il sottoscritto verificatore ha potuto constatare attraverso analitico e completo riscontro…In termini puramente quantitativi, si può stimare che circa l’85 – 90% della monografia corrisponda pedissequamente e letteralmente ad altrettante parti della tesi di dottorato… Si tratta di una percentuale elevata, che peraltro esclude di per sé che vi sia perfetta coincidenza tra i due testi e che la monografia costituisca “copia integrale” della tesi di dottorato… (segue, a pag. 3 della relazione di verificazione, la indicazione delle pagine in cui la monografia costituisce sviluppo e aggiornamento, con aspetti innovativi, rispetto alla tesi di dottorato di ricerca sicché, conclude il verificatore al p. 3. , “a prescindere dal (maggiore o minore) grado di approfondimento di tali aspetti, pare chiaro che la monografia (pubblicata nel 2011) non sia un testo perfettamente identico alla tesi di dottorato di ricerca (che risale, viceversa, al 2007).
Sulla seconda parte del quesito (“se tra le due pubblicazioni vi siano differenze sostanziali, sintomatiche di una diversa e nuova attività di ricerca, tali da consentire e da giustificare una valutazione in via autonoma delle pubblicazioni medesime…”) il verificatore evidenzia al p. 4. che, “nonostante la non piena coincidenza del contenuto, tra i due testi esaminati non sussiste d’altra parte una differenza sostanziale, tale “da giustificare una valutazione autonoma delle due pubblicazioni”, perché la monografia “assorbe” e comprende in sé la tesi di dottorato. Non si tratta, in altri termini, di due “prodotti scientifici” diversi. Infatti … identico è il campo d’indagine … , identica è la tesi ricostruttiva … e paiono le medesime anche le ricadute applicative…
Né a diverse conclusioni può pervenirsi in considerazione degli aspetti innovativi… che forse meglio potrebbero essere definiti privi di rilevante apporto creativo – innovativo, essi non sono espressivi di una “diversa e nuova” attività di ricerca. Si tratta, piuttosto, … di sviluppi e aggiornamenti della ricerca originaria, che giustificano che la valutazione possa ricadere sulla monografia e non sulla tesi di dottorato, ma non una autonoma valutazione delle due pubblicazioni, con l’attribuzione di punteggi che vanno a sommarsi tra di loro. Infatti, risultando la tesi di dottorato “incorporata” pressoché totalmente nella monografia (le parti stralciate sono marginali), essa risulta altresì priva di autonoma rilevanza scientifica rispetto alla monografia stessa, E sussiste tra i due testi una relazione analoga a quella che intercorre normalmente tra un’edizione provvisoria e un’edizione definitiva del medesimo studio monografico. Il che non consente, appunto, che la medesima opera sia valutata due volte”.
Ciò posto, questo Collegio d’appello, nel condividere argomentazioni e conclusioni del verificatore, ritiene di dover accogliere, ancorché solo parzialmente, nel suo “esito finale”, il corrispondente motivo di appello secondo cui al (omissis) “non potevano essere attribuiti i dieci punti per la pubblicazione” (nella censura sulla attribuzione illegittima di dieci punti ben può essere “inglobata” la critica sulla duplice valutazione tale da condurre, se accolta, a togliere sei soli punti al Pa., restando fermo invece il maggior punteggio dato alla monografia), e di dover, in modo simmetrico, riformulare e nella sostanza riformare, anche se solo in parte, nel suo “risultato finale”, la statuizione di primo grado sul punto.
Nel caso in esame andavano infatti attribuiti i dieci punti per la pubblicazione della monografia, ma non anche i sei relativi alla tesi di dottorato.
È corretto infatti porre in risalto, come l’appellato (omissis) non manca di fare, che da una parte l’appellante (omissis) non spiega in alcun modo perché, tra i due lavori, avrebbe dovuto essere la monografia a venire esclusa dalla valutazione, e non la tesi di dottorato; e che d’altra parte va tenuto presente il fatto che lo stesso verificatore aveva rilevato in maniera esplicita che la monografia include “sviluppi e aggiornamenti della ricerca originaria, che giustificano che la valutazione possa ricadere sulla monografia e non sulla tesi di dottorato” (relazione del verificatore, pag. 4), fornendo perciò una indicazione netta – non strettamente richiesta dal Giudice e neppure strettamente inerente al quesito formulato, è vero, ma, in ogni caso, condivisa in pieno e fatta propria da questo Collegio senza che possa parlarsi di indebita sostituzione a valutazioni riservate alla Commissione – di quale dei due lavori dovesse formare oggetto di valutazione, per il caso di divieto di valutazione “cumulativa”.
È corretto poi che in nessun caso, e ciò anche alla luce di ciò che si dirà più avanti, al p. 7.3. , gli esiti della procedura di valutazione avrebbero potuto essere sovvertiti, con il superamento in graduatoria del dott. (omissis) da parte della dott. ssa (omissis), per effetto della sottrazione, dal punteggio complessivamente attribuito al (omissis), dei sei punti relativi alla tesi di dottorato (ma non, lo si ripete, dei dieci ai quali parte appellante fa riferimento nel ricorso), sicché se al termine della selezione la dott. ssa (omissis) e il dott. (omissis) erano distanziati da undici punti, ora il divario si è ridotto a cinque.
Ancora sul profilo della valutazione della monografia, va soggiunto che parte appellante sostiene che la monografia del dott. (omissis) non avrebbe dovuto essere valutata anche perché al momento della selezione la relativa casa editrice di pubblicazione (la Editoriale Scientifica) non sarebbe stata registrata per la Valutazione della Qualità della Ricerca (“VQR”) nell’elenco ANVUR.
Senonché, al riguardo, come giustamente sottolinea in memoria l’appellata, la censura è in primo luogo inammissibile e in ogni caso infondata.
Inammissibile, ai sensi dell’art. 104 del c.p.a. , poiché la deduzione è stata sollevata per la prima volta in grado di appello, con conseguente violazione del divieto di nova.
E in ogni caso infondata poiché il sistema della VQR è stato avviato per la prima volta con bando del 7 novembre 2011.
Dunque, il 27 ottobre 2011, quando venne bandita la procedura di selezione in discussione, il sistema della VQR non era stato ancora attivato.
Inoltre, nessuna prescrizione del bando imponeva la registrazione delle case editrici presso le quali erano pubblicati i lavori dei candidati, nell’elenco ANVUR per la VQR.
7.3. Ferma la riduzione della “distanza” tra il (omissis) e la (omissis) da 11 a 5 punti, dall’esame dei restanti motivi di appello il Collegio ritiene che non possa derivare un ribaltamento del risultato finale ai danni dell’appellato e a favore dell’appellante: quest’ultima, infatti, all’esito del vaglio dei motivi ulteriori di gravame, non potrebbe comunque collocarsi quale prima graduata.
7.3.1. In proposito, nell’appello si censura ulteriormente la sentenza di primo grado nella parte in cui è stato rigettato il primo motivo di ricorso sulla mancata attribuzione di alcun punteggio al diploma di specializzazione conseguito dalla dott. ssa St. in “Diritto ed economia delle Comunità europee”, non trattandosi, asseritamente, di titolo inerente al settore di ricerca oggetto della procedura selettiva, di titolo di specializzazione europea ai sensi dell’art. 2 del d. m. n. 243 del 2011 e comunque in ragione del fatto che il diploma in questione è valutabile esclusivamente a parità di punteggio.
Diversamente da quanto ritenuto dal TAR, si sostiene che dovrebbero considerarsi ragionevolmente valutabili ai sensi dell’art. 13 del bando tutti i diplomi di specializzazione e i diplomi di specializzazione europea riconosciuti da Board internazionali.
La sentenza avrebbe errato nel considerare valutabile il diploma di specializzazione solo a parità di punteggio posto che ai sensi degli articoli 13 e 16 del bando il diploma “de quo” sarebbe sia titolo autonomamente valutabile e sia titolo di preferenza.
Si deduce poi l’erroneità della statuizione per la quale la tesi di specializzazione non sarebbe autonomamente valutabile poiché non ricompresa ai sensi dell’art. 3 del d. m. n. 243/2011 tra le pubblicazioni scientifiche valutabili e non indicata dalla (omissis) tra le pubblicazioni.
La tesi andava invece valutata poiché in base al bando le tesi di dottorato e i titoli equipollenti sono presi in considerazione anche a prescindere dalla pubblicazione.
La St. non avrebbe inserito la tesi tra le pubblicazioni poiché la tesi non è stata pubblicata, ma si tratta di un titolo comunque valutabile in base al bando.
La mancata valutazione del titolo di specializzazione (fino a 7 punti), e della relativa tesi (fino a 10 punti), da parte della Commissione, ha influito sulla valutazione complessiva dei titoli posseduti dalla ricorrente e odierna appellante.
Sotto un diverso profilo, viene dedotta la erroneità della sentenza là dove non è stata considerata la partecipazione della dott. ssa St. ai “progetti PRIN”, valutabili con l’attribuzione di un punteggio da 1 a 6, dato che, afferma l’appellante, l’art. 10 del bando prevede la valutabilità dei titoli documentati mediante dichiarazione sostitutiva di certificazione o atto di notorietà. Nella specie, i titoli sono stati tutti debitamente autocertificati ex art. 10 cit. .
Ancora, viene ribadita l’illegittimità dell’operato della Commissione con riguardo alla attribuzione di sei punti al dr. (omissis) per l’attività didattica svolta.
Contrariamente a quanto si afferma in sentenza, da un lato la dott. ssa (omissis) ha svolto attività didattica fino al 2011 e non fino al 2010; dall’altro, riguardo al dr. (omissis), la Commissione ha indebitamente retrodatato l’inizio dell’attività al 2005, considerando attività didattica anche quella espletata durante il dottorato, anziché considerare detta attività solo a partire dal 2007, come occorreva fare, con conseguente attribuzione di un punteggio eccessivo e comunque errato all’appellato.
La disparità di trattamento tra i due candidati appare evidente.
Al (omissis) non poteva essere attribuito il punteggio massimo per l’attività didattica (sei punti).
Alla (omissis) doveva essere riconosciuto un punteggio superiore ai cinque punti assegnati.
Inoltre, l’attività didattica del (omissis) non sarebbe stata prestata in via continuativa negli anni 2009-2011, periodo durante il quale l’appellato ha svolto la professione di avvocato a Milano presso la società SKY: di qui, l’interruzione della continuità didattica, pure richiesta dal bando, per il periodo anzidetto.
Nell’arco di tempo suindicato il (omissis) non avrebbe firmato statini di esame né il registro di Dipartimento.
In tale contesto, il TAR ha esaminato superficialmente la documentazione e non ha ammesso istruttoria sul punto. Richiesta istruttoria che parte appellante reitera.
Ancora, la sentenza avrebbe errato nel non avere attribuito alcun punteggio alla dott. ssa (omissis) per l’attività di organizzazione, direzione e coordinamento di gruppi di ricerca nazionali e internazionali, o per la partecipazione agli stessi.
La Commissione avrebbe poi illegittimamente attribuito solo due punti sui sei disponibili per l’attività di relatore a congressi e a convegni, nazionali e internazionali.
Se la Commissione avesse preso in considerazione i titoli specificati alle pagine da 19 a 21 dell’atto di appello, alla ricorrente sarebbe stato attribuito un diverso e maggiore punteggio.
La sentenza risulta errata inoltre in merito alla questione della (mancata) valutazione della lettera di apprezzamento, a firma del prof. (omissis), a favore della dott. ssa (omissis).
Si sostiene con l’appello che la Commissione, pur avendo preso in considerazione tale lettera, non ne avrebbe tenuto conto in alcun modo al fine di orientare le valutazioni dei lavori richiamati.
Più in generale, i principi giurisprudenziali richiamati in sentenza in ordine alla insussistenza, nelle procedure di valutazione comparativa per il reclutamento di professori e ricercatori universitari, di obblighi di valutazione analitica dei singoli titoli didattici e scientifici presentati dai candidati, bastando un accertamento complessivo e globale rivolto a verificare il livello di maturità scientifica raggiunto, ad avviso dell’appellante non sono pertinenti alla fattispecie, posto che il d. m. n. 243 del 2011 esige una valutazione specifica di ciascun titolo.
Oltre a ciò, la sentenza è errata anche con riferimento ai capi da 3.1. a 3.7., incentrati sul vaglio, da parte del Collegio di primo grado, del motivo di ricorso con cui la St. aveva contestato la valutazione delle sue pubblicazioni.
Al riguardo, si sostiene che la valutazione operata dalla Commissione si sarebbe concretizzata in affermazioni contrarie a dati oggettivi. Segue, da pag. 26 ric. app., una specificazione delle ragioni per cui l’originalità, l’innovatività, il rigore metodologico, la congruenza di ciascuna pubblicazione, e altri criteri, avrebbero dovuto trovare un riscontro adeguato nel giudizio analitico formulato dalla Commissione sulla produzione scientifica della ricorrente, le contestazioni della quale non sono affatto attinenti al “merito” delle valutazioni della Commissione.
Commissione che, poi, non si sarebbe avvalsa in concreto degli indicatori di cui all’art. 3, comma 4, del d. m. n. 243 del 2011 (numero totale di citazioni e numero medio di citazioni per pubblicazione), quantunque il bando di selezione, all’art. 14, comma 4, avesse recepito il citato art. 3, comma 4.
Inoltre, l’illegittimità dell’azione amministrativa discende dal fatto che l’Amministrazione avrebbe introdotto arbitrariamente il criterio della collocazione editoriale degli articoli pubblicati, presso riviste di settore e non di settore.
Ancora, l’appellante contesta le affermazioni compiute in sentenza ai punti da 3.12. a 3.15. sulla coerenza della valutazione comparativa operata dalla Commissione in relazione ai titoli e alle pubblicazioni dei candidati, riportando, il Collegio di primo grado, ai punti 3.13. e 3.14. , i giudizi espressi sulla (omissis) e sul (omissis).
L’appello contiene quadri sinottici e comparativi dai quali emergerebbe l’illegittimità dei punteggi assegnati ai due candidati, in difetto, a danno della St., e per eccesso, a vantaggio del Pa..
7.3.2. Come già rilevato, le argomentazioni sopra riassunte non riescono a sovvertire la decisione del TAR.
Va esaminato anzitutto il profilo di censura relativo al “diploma di specializzazione e tesi di specializzazione”.
Ai sensi dell’art. 13, lett. a) del bando, tra i titoli valutabili ai fini della selezione rilevano il “dottorato di ricerca o equipollenti, ovvero, per i settori interessati, il diploma di specializzazione medica o equivalente”.
La lex specialis della selezione appare chiara nel prevedere la possibilità di valutare il diploma di specializzazione solo se il candidato sia sprovvisto del titolo di dottorato di ricerca, titolo che invece la ricorrente possiede.
La correttezza di detta interpretazione la si ricava anche dall’utilizzo della congiunzione “ovvero”.
Appare inoltre evidente la ratio della norma: vi sono settori nei quali l’attività post lauream non si svolge attraverso il dottorato, ma attraverso la scuola di specializzazione, come appunto i settori di medicina. Per questi settori, la scuola di specializzazione tiene luogo del dottorato e per questa ragione il diploma viene considerato al pari del diploma di dottorato.
Il diploma di specializzazione considerato dall’art. 13, lett. a) del bando è, quindi, solo quello conseguito presso le Facoltà di Medicina, o equivalenti.
Un titolo di specializzazione in discipline giuridiche, quale quello conseguito dalla ricorrente, correttamente non è stato valutato.
Il titolo di specializzazione in questione non avrebbe potuto essere valutato, peraltro, neppure sulla base di quanto previsto dall’art. 16 del bando, come sostenuto dall’appellante, poiché per tale disposizione il titolo di specializzazione può esclusivamente essere valutato come titolo preferenziale nel caso di parità di punteggio tra due candidati, ipotesi che nella specie non ricorre.
Analogamente infondato è il profilo di censura relativo alla mancata valutazione della tesi di specializzazione della dott. ssa (omissis).
In proposito, il TAR ha rilevato, al p. 2.6., che “legittimamente e doverosamente … la Commissione non ha valutato la tesi di specializzazione, in quanto non ricompresa, ai sensi dell’art. 3 del D.M. n. 243 del 2011, tra le pubblicazioni scientifiche valutabili ed in quanto non indicata dalla ricorrente nella domanda di partecipazione tra le proprie pubblicazioni“.
Nessuna previsione della lex specialis prevede, infatti, la valutabilità delle tesi di specializzazione tra i titoli dei candidati.
L’art. 13 del bando, alla lett. j), si limita a considerare l’ipotesi della valutabilità, tra i titoli dichiarati, del “diploma di specializzazione europea riconosciuto da Board internazionali, relativamente a quei settori concorsuali nei quali è prevista”.
Si tratta, tuttavia, di una previsione che non si attaglia alla tesi di specializzazione della dott. ssa St., che non ha carattere europeo, né risulta riconosciuta da board internazionali.
In base a quanto dispone l’art. 3 del d. m. n. 243 del 2011, e coerentemente con le prescrizioni del bando di selezione, la tesi di specializzazione non ricade tra le pubblicazioni scientifiche valutabili dalla Commissione.
Dal p. 2.1. al p. 2.6. la sentenza del Tar è corretta e va confermata.
Sulla questione riguardante la (asserita) omessa valutazione di alcuni progetti (il PRIN 2006, il PRIN 2008, il Progetto FARO 2009 e il Progetto per lo studio delle problematiche relative al sistema agenziale nell’ordinamento italiano), in sentenza, al p. 2.8., si afferma che “come correttamente rilevato dalla difesa del controinteressato, l’art. 11 del bando (si tratta in realtà dell’art. 10) ha previsto l’esclusione dalla valutazione dei titoli meramente dichiarati nel curriculum, qualora non documentati nelle forme prescritte, esclusivamente con riferimento all’attività di ricerca svolta, in qualità di responsabile, nell’ambito del “Progetto Giovani”, la ricorrente ha adempiuto alla suddetta prescrizione, mentre la partecipazione ai progetti PRIN – come pure ad alcune delle altre attività per le quali pure è stata lamentata l’omessa valutazione – non è stata affatto documentata“.
Da un lato, la Commissione ha attribuito, per la voce in esame, 4 dei 6 punti assegnabili sicché, anche a voler seguire la prospettazione della parte appellante, un’ipotetica assegnazione del punteggio massimo sarebbe tutt’altro che decisiva ai fini della collocazione dell’appellante al primo posto della graduatoria, non comportando comunque il sovvertimento del risultato finale della procedura.
Dall’altro, non risulta esservi stata alcuna omessa valutazione di attività progettuali.
Dagli atti risulta che, mentre per molti dei titoli dichiarati la dott. ssa (omissis) ha allegato alla domanda di partecipazione al concorso i relativi attestati, documentandone quindi l’effettivo conseguimento, i titoli di cui parte appellante lamenta la mancata valutazione sono stati unicamente menzionati nel curriculum, senza l’allegazione di alcun documento a dimostrazione, in difformità rispetto alla previsione della “lex specialis”.
Con riguardo poi al giudizio sull’attività didattica svolta dalla dott. ssa (omissis) e dal dr.(omissis), con (asserita) sottovalutazione ai danni della prima e sopravvalutazione a vantaggio del secondo; e sul profilo di censura di disparità di trattamento a danno della ricorrente, laddove l’avvio dell’attività didattica svolta dal dott. (omissis) è stato collocato nel 2005, considerando quindi anche l’attività didattica espletata durante il dottorato di ricerca, mentre l’avvio dell’attività didattica della dott. ssa (omissis) risulta datato 2004, considerandosi quindi la sola attività didattica svolta dopo la fine del dottorato di ricerca; il profilo di censura dev’essere dichiarato inammissibile, poiché proposto per la prima volta in grado di appello.
In primo grado infatti (v. da pag. 35 ric.), la ricorrente si era limitata a dolersi in ordine all’omesso svolgimento, da parte del dott. (omissis), di attività didattica nell’anno accademico 2010/2011 (s’intende fare riferimento alla questione del contratto integrativo di Diritto della UE firmato soltanto l’8 novembre 2011, dunque nell’imminenza dell’avvio della procedura comparativa e della presentazione della domanda di partecipazione; e a un profilo di censura analogo relativo a un contratto di attività didattica integrativa con l’Università Magna Graecia di Catanzaro, sempre per l’a. a. 2010/2011), senza denunciare però alcuna disparità di trattamento in ordine alla considerazione, da parte della Commissione, della data di inizio dell’attività di didattica dei due candidati.
Di qui, la violazione del divieto di ius novorum (arg. ex art. 104 del c.p.a.), con la conseguente inammissibilità del motivo sotto questo specifico “segmento”.
In ogni caso, in ordine alla critica sul giudizio dato relativamente alle funzioni didattiche, e sull’attività svolta dall’appellante quale relatrice a convegni e componente di gruppi di ricerca, va rilevato anzitutto che l’art. 24, comma 2/c) della l. n. 240 del 2010, in base al quale incombe sulla Commissione l’obbligo di valutare i candidati con un “motivato giudizio analitico” sui titoli, sul curriculum e sulla produzione scientifica, dev’essere interpretato nel senso di contemperare l’obbligo di una motivazione adeguata con l’esigenza di una “esigibilità in concreto” dell’obbligo medesimo; nel senso, cioè, che deve trattarsi di un adempimento compatibile con la complessità delle operazioni che la Commissione è tenuta a compiere, e tale da non rendere farraginoso il procedimento. In questa prospettiva, appare corretto il richiamo operato dal TAR all’esigenza di verificare il livello di maturità scientifica dei candidati, risultato al quale si perviene per mezzo di una valutazione complessiva dei titoli e della produzione scientifica non necessariamente fondata su una disamina analitica di tali elementi, potendo considerarsi sufficiente anche solo una motivazione sintetica e riassuntiva (benché poi, in concreto, come si dirà, dalla lettura del verbale n. 2 del 5 dicembre 2011, sulla valutazione dei titoli, del curriculum e della produzione scientifica, emerga l’avvenuta formulazione di giudizi analitici adeguatamente motivati).
Il d. m. n. 243 del 2011 non impone, infatti, l’attribuzione di un punteggio distinto per ogni titolo posseduto dai concorrenti, ma solamente una puntuale valutazione dei titoli posseduti dai concorrenti stessi, valutazione puntuale che nel caso di specie, come si è rilevato, non è stata affatto omessa.
In ogni caso, la decisione del TAR è corretta e va condivisa là dove afferma che i criteri e i parametri stabiliti dal bando sono stati applicati in modo congruo dalla Commissione.
Nell’allegato n. 1 al verbale n. 1 del 1 dicembre 2011, recante “i criteri di valutazione dei titoli, del curriculum e della produzione scientifica dei candidati”, la Commissione ha espressamente previsto, infatti, l’attribuzione di “un punteggio espresso complessivamente in centesimi, ai titoli e a ciascuna delle pubblicazioni presentate dal candidato”.
Con specifico riferimento alla valutazione di “titoli e curriculum“, la Commissione ha stabilito, in particolare, l’attribuzione di un punteggio massimo complessivo pari a 50 punti (su 100).
La valutazione è stata dunque puntuale.
Andando al dettaglio, la Commissione ha collocato temporalmente nel 2005 l’avvio dell’attività didattica da parte dell’appellato perché il (omissis), già negli anni del dottorato, aveva avuto la titolarità di alcuni incarichi di insegnamento presso un altro Ateneo, tutti debitamente documentati in sede di selezione.
Si fa riferimento, in particolare, ai contratti – indicati in atti – per l’attività didattica integrativa all’insegnamento di Diritto dell’Unione europea nel corso di laurea in Scienze giuridiche della Facoltà di Giurisprudenza della Seconda Università degli Studi di Napoli, durante il quale il dott. (omissis) ha svolto lezioni e corsi seminariali sul tema “La tutela del consumatore nell’Unione europea”, e ai contratti per l’attività integrativa all’insegnamento di Diritto della concorrenza nell’UE nel corso di laurea specialistica in Giurisprudenza della Facoltà di Giurisprudenza della Seconda Università degli Studi di Napoli, durante il quale il dott. (omissis) ha tenuto lezioni frontali e corsi seminariali sul tema “Il controllo delle operazioni di concentrazione nel diritto comunitario”.
Appare corretto il richiamo, operato nel verbale n. 2 del 5 dicembre 2011, a pag. 8, alla “consistente attività didattica integrativa svolta (dal dr. (omissis)) con apprezzabile continuità“.
E appare coerente e congrua l’assegnazione di sei punti, vale a dire del punteggio massimo, per “l’attività didattica a livello universitario“.
Non convince infatti, nella sua assolutezza, l’affermazione per cui non sarebbe stata valutabile, a favore del dr. (omissis), l’attività didattica integrativa all’insegnamento di Diritto dell’Unione Europea presso l’Università Federico II relativamente all’a. a. 2010/2011 posto che, sostiene l’appellante, si tratta di un’attività didattica in concreto non prestata perlomeno fino al novembre del 2011.
Al riguardo, in sentenza si sottolinea che dal contratto medesimo, stipulato con l’Ateneo in data 8.11.2011 e depositato in giudizio, si ricava “che tale titolo è stato correttamente valutato dalla Commissione, in quanto l’incarico è stato conferito con delibera del Consiglio di Facoltà in data 20 dicembre 2010, in esito alla prescritta procedura comparativa; tale circostanza risulta dirimente ai fini di escludere l’illegittimo operato della Commissione, essendo sia il titolo sia il relativo contratto precedenti alla decorrenza del termine prescritto dal bando” (v. p. 4.4. della sentenza).
La statuizione del TAR appare condivisibile.
E ove anche si volesse “estrapolare”, dalla – lo si ripete, oggettivamente – “consistente attività didattica integrativa, svolta con apprezzabile continuità“, cui si fa riferimento nel verbale n. 2 del 5 dicembre 2011, alla luce della domanda di ammissione del 25 novembre 2011, il contratto integrativo con l’Università Federico II, ponendo in risalto il fatto che, nell’imminenza dell’avvio della procedura di valutazione comparativa, l’attività didattica non aveva avuto ancora inizio, ciò, secondo verosimiglianza e ragionevolezza, in sede di riesercizio delle funzioni della Commissione, contrassegnate da una estesa discrezionalità tecnico – valutativa, non potrebbe comportare un (comunque eventuale) abbassamento del punteggio tale da consentire alla dott. ssa (omissis) di colmare il distacco con il dr. (omissis).
Detto altrimenti, non risulta dimostrato che la rivalutazione, solo eventuale, peraltro, riferita alla “attività didattica a livello universitario“, sarebbe decisiva per collocare la ricorrente in prima posizione nella graduatoria.
Va soggiunto che il profilo di censura, analogo, sulla indebita considerazione del titolo relativo al contratto di attività didattica integrativa stipulato con l’Università Magna Graecia di Catanzaro per l’a. a. 2010 / 2011 non consta che sia stato comprovato.
L’appellato risulta essere (stato) titolare di contratto per l’a. a. 2010/2011 presso l’Università di Catanzaro.
Ancora, l’affermazione secondo la quale il dott. (omissis) avrebbe “di fatto” interrotto, nel periodo 2009 – 2011, “la continuità didattica richiesta dal bando” per avere svolto l’attività di avvocato presso la società SKY non trova riscontro in atti.
In definitiva, il dr. (omissis) risulta avere espletato attività didattica a livello universitario, senza soluzione di continuità, dal 2005 al 2011.
L’attività didattica a livello universitario svolta dalla St. risulta adeguatamente valutata.
Quanto poi alla omessa valutazione dell’attività di componente di gruppo di ricerca (cfr. art. 13, lett. f) del bando di selezione pubblica), è corretto che parte appellante non spiega per quale ragione la Commissione giudicatrice avrebbe dovuto attribuire un punteggio specifico a titoli che non attestano affatto che la ricorrente abbia in effetti organizzato, diretto o coordinato “gruppi di ricerca nazionali e internazionali“, così come richiesto in primo luogo dall’art. 13, lett. f) del bando, prescrizione che pone in risalto l’organizzazione, la direzione e il coordinamento di gruppi di ricerca, menzionando solo secondariamente la mera partecipazione agli stessi.
Il profilo di censura attinente alla inadeguata valutazione dell’attività di relatrice a convegni (due punti assegnati sui sei disponibili) appare poi inammissibile poiché travalica i limiti del sindacato giurisdizionale di legittimità impingendo nella riserva intangibile del merito amministrativo.
In taluni passaggi argomentativi l’appellante sembra volersi sostituire alla Commissione, che ha compiuto una valutazione complessiva dell’attività convegnistica e congressuale della dott. ssa St. stimando di attribuirle, all’esito di detta valutazione, soltanto due dei sei punti assegnabili.
Riguardo alla mancata corretta valutazione della lettera di apprezzamento della dott. ssa (omissis)“a firma del prof (omissis)” , nella sentenza impugnata si legge che “il Collegio reputa sufficiente rilevare … che nessuna previsione imponeva alla Commissione tale adempimento (in quanto costituenti elementi estrinseci e non pertinenti) e che la lettera è stata comunque considerata, come comprovato dalla circostanza che è stata visionata ed indicata nel verbale avente ad oggetto la documentazione prodotta dai candidati” (v. p. 2.15 della sentenza).
Tanto basta per respingere anche questo profilo di censura: il bando non imponeva l’attribuzione di un punteggio per la lettera, e non risulta che la Commissione abbia ignorato la lettera stessa.
Per quanto riguarda le pubblicazioni, la Commissione aveva previsto l’attribuzione “fino a 10 punti per ciascuna pubblicazione fino a un massimo di 50 punti”.
La lex specialis, come integrata dai criteri di valutazione predeterminati dalla Commissione, ha distinto chiaramente, dunque, il criterio di attribuzione dei punteggi per i titoli e per le pubblicazioni, prevedendo, per i primi l’attribuzione di un punteggio complessivo e, per le seconde, l’attribuzione di un punteggio singolo per ogni pubblicazione.
La Commissione, peraltro, non solo ha effettuato una valutazione puntuale e analitica dei titoli posseduti dalla dott.ssa St., ma ha anche disaggregato il punteggio complessivo attribuito ai titoli stessi.
Scendendo maggiormente nel dettaglio, circa la valutazione delle pubblicazioni scientifiche dell’appellante, anch’essa operata in modo specifico e puntuale da parte della Commissione, bene il TAR ha rilevato, anzitutto (v. p. 3.1.), che “il giudizio in merito alla congruità delle singole pubblicazioni è stato svolto dalla Commissione considerando – in conformità alla normativa di riferimento – il settore concorsuale per il quale la procedura è stata bandita ed il profilo definito attraverso l’indicazione del settore scientifico disciplinare e delle tematiche interdisciplinari ad esso correlate”.
Dall’esame dei punteggi attribuiti alla ricorrente il giudice di primo grado ha dedotto “che non solo tutte le 12 pubblicazioni prodotte hanno costituito oggetto di analitico esame ma anche che in tale valutazione si è tenuto conto dell’afferenza della produzione scientifica allo specifico profilo considerato dal bando, unitamente agli altri criteri predeterminati dalla Commissione” (v. p. 3.2 della sentenza).
Occorre poi convenire con il TAR là dove ha aggiunto che “la valutazione delle singole pubblicazioni ed il relativo punteggio attribuito sono frutto di un’analisi che ha considerato i diversi criteri previsti, tra i quali primaria rilevanza assume l’originalità, il rigore metodologico e la rilevanza di ciascuna pubblicazione scientifica” (v. p. 3.4 della sentenza).
Con specifico riferimento alle pubblicazioni della ricorrente, il giudice di primo grado ha sottolineato, al p. 3.6., che “la Commissione, pur riscontrando l’assenzadi significativi spunti originali o innovativi nella produzione scientifica della St., ha operato una valutazione diffusa, esaustiva e coerente, considerando, a prescindere dalla rispondenza al suddetto primario criterio, tutti gli altri parametri, tra i quali anche la collocazione editoriale e la diffusione all’interno della comunitàscientifica“.
Nella sentenza si evidenzia inoltre, al p. 3.4., che “la Commissione ha rilevato il “carattere essenzialmente descrittivo”, la sostanziale assenza di spunti critici, i “limiti di carattere metodologico” e, in relazione ad alcuni, finanche la “poca chiarezza espositiva” e la mancanza di coerenza rispetto alle finalità scientifiche dichiarate nelle premesse“.
Si ricade, ancora, come appare evidente, nell’ambito della (ampia) discrezionalità tecnico – valutativa della Commissione, sindacabile in sede di giurisdizione generale di legittimità entro i noti, angusti limiti individuati dalla giurisprudenza amministrativa.
La corretta applicazione dei criteri del bando emerge, tra l’altro, dal giudizio riportato nel verbale n. 2 del 5 dicembre 2011, ove si legge, con riguardo alla dott. ssa St., che “il giudizio sulle pubblicazioni, di cui si evidenzia la continuità temporale, è nel complesso positivo, in quanto caratterizzate da buona informazione, per quanto non contraddistinte da significativi contributi originali o innovativi. Talvolta è da segnalare qualche incertezza espositiva. Manca un lavoro monografico ed il suo lavoro in collaborazione (“Accordi internazionali tra imprese”) è privo di spunti critici, apparendo dichiaratamente orientato a finalità pratiche e informative”.
Non è poi travisato né illogico il giudizio del TAR sul carattere solo parzialmente congruo della pubblicazione n. 1 , su “Trasferimento di quote sociali e divieto di concorrenza“, in Giustizia civile 2001, pagine 1033 – 1043, in quanto, “come emerge dal relativo verbale, la candidata ha affrontato il tema sotto il profilo civilistico, “assumendo il diritto comunitario rilievo soltanto con riferimento alla limitazione temporale del quinquennio fissato dal legislatore nazionale” (v. p. 3.3. della sentenza).
L’inserimento delle tabelle sinottiche a pagina 31 e seguenti dell’atto di appello è del tutto irrilevante ai fini del decidere, considerato anche che, come correttamente osservato in sentenza, “non (può) essere condiviso il criterio matematico evocato dalla ricorrente… avendo “correttamente la Commissione … operato una valutazione qualitativa delle pubblicazioni e dei titoli dei candidati; il confronto numerico tra le pubblicazioni riveste, infatti, una rilevanza estremamente modesta giacché le pubblicazioni devono costituire oggetto di un giudizio di qualità e non di una conta matematica… (così, in termini condivisibili, il p. 3.15. della sentenza).
La Commissione ha, cioè, ritenuto di esprimere la propria preferenza per il candidato dr. Pa. sulla base di una valutazione di carattere essenzialmente qualitativo quando, invece, l’appellante sembra valorizzare un approccio di tipo quantitativo.
Sul rilievo secondo cui la Commissione, nel rimarcare il carattere “non di settore” di alcune riviste sulle quali sono stati pubblicati gli articoli della dott. ssa St., avrebbe arbitrariamente introdotto un criterio di valutazione – quello della collocazione editoriale – estraneo alla lex specialis della selezione, anzitutto è corretto replicare, come fa l’appellato, che la corrispondenza tra le riviste che ospitano i contributi e il settore scientifico – disciplinare in cui i contributi stessi si inseriscono è percepibile in via immediata e non può non essere considerato in sede valutativa, a prescindere dalla sua esplicita menzione nella lex specialis, tanto più considerando che tra i criteri valutativi stabiliti dal bando vi è anche la “congruenza di ciascuna pubblicazione con il settore concorsuale per il quale è bandita la procedura” (art. 14, lett. b).
Il criterio della pertinenza rispetto al settore concorsuale, dunque, compare nella “lex specialis“.
In ogni caso, in disparte l’osservazione che parte appellante non specifica in che modo e in quale misura l’accoglimento del profilo di censura potrebbe in concreto soddisfare l’interesse sostanziale a ottenere il bene della vita perseguito o, comunque, a influire su un piano effettivo sul soddisfacimento dell’interesse finale; dall’esame del verbale n. 2 emerge che il criterio della collocazione editoriale sembra avere avuto un “ruolo accessorio nella valutazione complessiva espressa” (conf. sent. , p. 3.7.).
Sul fatto che la Commissione ha escluso, nella valutazione delle pubblicazioni, l’applicazione di criteri bibliometrici, il TAR, ai pp. 3.10. e 3.11., ha osservato che “mentre per talune discipline – sostanzialmente coincidenti con quelle scientifiche – sussistono degli strumenti standardizzati a livello internazionale che consentono una valutazione della pubblicazione e di esplorarne l’impatto entro le comunità scientifiche, per altre discipline, tra le quali anche quelle giuridiche, non esistono parametri stabilizzati a livello internazionale”……solo con il d. m. n. 76/2012 sono stati individuati i settori e gli indicatori bibliometrici e non bibliometrici, “ma, a prescindere dal dibattito in merito alla valenza di tali indicatori e ai rischi derivanti da una eccessiva tipizzazione dei criteri, si sottolinea che tali indicatori (che con riferimento ai settori non bibliometrici si appuntano non già sul c. d. impact factor ma sulla collocazione delle riviste in classi di merito) non sono stati applicati dalla Commissione, né avrebbero potuto esserlo alla luce del quadro normativo vigente all’epoca dell’indizione della procedura”.
Ciò posto, la tesi di parte appellante secondo cui la Commissione, non attribuendo valore agli indicatori bibliometrici, avrebbe violato una disposizione specifica della “lex specialis“, vale a dire l’art. 14, comma 4 del bando, non può essere accolta poiché la prescrizione menzionata consente l’utilizzo da parte della Commissione dei criteri bibliometrici soltanto “nell’ambito dei settori concorsuali in cui ne è consolidato l’uso a livello internazionale” (si veda l'”incipit” dell’art. 14, comma 4).
E, nel settore giuridico, come ha correttamente rilevato il TAR, non esistono parametri standardizzati a livello internazionale che consentano di esplorare con certezza l’impatto di una pubblicazione all’interno di una comunità scientifica.
In conclusione, la procedura comparativa in discussione non risulta inficiata dalle illegittimità denunciate.
Assorbita ogni ulteriore eccezione sollevata dall’appellato, non esplicitamente esaminata, e previa riformulazione parziale della sentenza di primo grado nei sensi precisati sopra al p. 7.2. , l’appello va rigettato.
7.4. Riguardo alle spese e ai compensi del grado del giudizio, vi sono molteplici ragioni per disporne, in via eccezionale, la compensazione tra tutte le parti.
Da un lato, il rigetto delle eccezioni processuali di inammissibilità e improcedibilità, sollevate dall’appellato, e sulle quali v. sopra, p. 7.1. , e la riformulazione parziale della sentenza di primo grado nel senso della illegittimità della duplice valutazione della monografia e della tesi di dottorato, su cui v. p. 7.2.; dall’altro, la reiezione, nel complesso, dell’appello della dr. ssa St. (su cui v. p. 7.3. ); e ancora, taluni profili di controvertibilità della controversia e – riguardo alla posizione dell’Università degli studi Federico II – la difesa di mera forma svolta dall’Avvocatura generale dello Stato, sono tutti elementi che, nel controbilanciarsi, giustificano, in via eccezionale, la compensazione delle spese e dei compensi del grado del giudizio.
7.5.Per quanto attiene al compenso a favore del verificatore, prof. Guido Greco, dell’Università degli studi di Milano, il Collegio, visti gli articoli 19 e 66 del c.p.a., il d. m. n. 140 del 2012 e il d.P.R. n. 115 del 2002, ritiene che, in mancanza di apposita notula, il compenso vada liquidato nella misura complessiva di € 1.500,00 (euro millecinquecento/00), oltre ad accessori come per legge, con la ripartizione dell’onere del pagamento dell’importo in parti uguali e in solido tra l’appellante e l’appellato dr. (omissis).
Pone a carico dell’appellante e dell’appellato dr. (omissis), in misura uguale e in solido, l’obbligo di pagare la somma indicata in motivazione, al p. 7.5., a favore del verificatore.
Dispone che la Segreteria della Sezione comunichi la presente sentenza anche al verificatore, prof. avv. (omissis), presso l’Università degli studi di Milano – Dipartimento di diritto pubblico.
La presente sentenza verrà eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 14 dicembre 2017 con l’intervento dei magistrati:
(omissis), Presidente
(omissis), Consigliere
(omissis), Consigliere
(omissis), Consigliere, Estensore
(omissis), Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 02 GEN. 2018.
