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Consiglio di Stato sez. V, 03/01/2025, n. 15

Massima

Il Consiglio di Stato, pur ribadendo il divieto di domande nuove in appello per l’originario ricorrente, conferma la responsabilità del Comune di Ponza per l’illegittima aggiudicazione di una gara e il diritto al risarcimento del lucro cessante in favore del concorrente ingiustamente escluso, senza necessità di provare la colpa dell’amministrazione, e ribadendo l’importanza della prova presuntiva del danno basata sugli utili conseguiti in periodi successivi, in quanto il divieto di nova non si applica alle mere difese proposte dalla parte resistente in primo grado.

Supporto alla lettura

PROCESSO AMMINISTRATIVO

E’ un tipo di procedimento giurisdizionale che può essere utilizzato da parte di una persona, fisica o giuridica, e a cui può rivolgersi al fine di ottenere la tutela di un interesse legittimo di cui è titolare, o al fine di soddisfare una pretesa risarcitoria derivante da una lesione di un suo diritto soggettivo ed ora anche di un suo interesse legittimo.

Le azioni proponibili dinanzi al giudice amministrativo sono caratterizzate da generalità, astrattezza e autonomia, e sono:

  • azione costitutiva;
  • azione dichiarativa (o di accertamento);
  • azione risarcitoria;
  • azione sommaria;
  • azione cautelare;
  • azione esecutiva.

Sono organi della Giustizia Amministrativa:

  • il T.A.R. (Tribunale Amministrativo Regionale);
  • il Consiglio di Stato (quale organo di appello). Per la Regione Siciliana è organo d’appello il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, che agisce come sezione distaccata del Consiglio di Stato.

Sono giudici amministrativi speciali:

  • la Corte dei Conti;
  • il Tribunale Superiore per le Acque Pubbliche;
  • le Commissioni per i ricorsi in materia di brevetti;
  • i Commissari Regionali per la Liquidazione degli Usi Civici;
  • i Consigli Nazionali di alcuni ordini professionali.

A seconda delle materie trattate, il processo amministrativo si articola in:

  • rito ordinario;
  • riti speciali;
  • riti semplificati.

Il processo amministrativo per alcuni versi è simile al processo civile, essendo entrambi basati sul sistema dispositivo ad impulso di parte, nonché sul principio del contraddittorio, dell’oralità e della collegialità; per altro verso, il processo amministrativo differisce da quello civile per la presenza necessaria dei controinteressati e per la limitazione dei mezzi istruttori ammessi in alcune giurisdizioni.

Ambito oggettivo di applicazione

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1366 del 2024, proposto da
Comune di Ponza, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato (omissis), con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (omissis);

contro

 (omissis) Società Cooperativa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati (omissis), (omissis), (omissis), con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio sezione staccata di Latina (Sezione Seconda) n. 83/2024, resa tra le parti

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di (omissis) Società Cooperativa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 giugno 2024 il Cons. (omissis) e uditi per le parti gli avvocati (omissis) in dichiarata delega di (omissis), (omissis) e (omissis);

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

1. Con ricorso proposto innanzi al Tar per il Lazio, sezione distaccata di Latina, (omissis) Società Cooperativa esponeva che:

– aveva partecipato al bando di gara emanato dal Comune di Ponza e valido per il triennio 2019-2021, avente ad oggetto l’esercizio dell’attività di noleggio di attrezzature per la balneazione sulle spiagge e/o scogliere del territorio comunale con particolare riferimento alla spiaggia denominata “Frontone”, suddivisa in tre zone (A, B, C);

– l’art. 4 del disciplinare di gara prevedeva, a pena di esclusione, il possesso del seguente requisito al momento della presentazione della domanda: “disponibilità di un area/locale di deposito per il ricovero delle attrezzature collocato entro la distanza massima di mt 50 dal luogo ove si svolge l’attività di noleggio”;

– vincitrici della predetta gara per le tre zone erano risultate le cooperative (omissis) Società Cooperativa a.r.l., (omissis) Società Cooperativa e (omissis) Cooperativa Servizi (omissis) nonostante le stesse non disponessero dell’area di ricovero indicata nel richiamato requisito, il cui possesso era stato falsamente attestato dalle medesime in sede di partecipazione alla gara, mentre la ricorrente si era posizionata al quinto posto;

– il Comune resistente aveva omesso la verifica effettiva di tale condizione in capo a dette concorrenti, procedendo con l’aggiudicazione della gara in loro favore, nonostante i numerosi solleciti mossi in tal senso dalla ricorrente società;

– con sentenza del Tar Lazio, sez. distaccata di Latina, n. 747/2019 veniva annullata l’aggiudicazione della gara su ricorso proposto dalla medesima società ricorrente “essendo emerse false dichiarazioni rilasciate dalle aggiudicatarie in ordine al possesso di requisiti richiesti dal disciplinare di gara – quanto alla disponibilità delle zone per deposito attrezzature – e palesata l’inerzia degli organi amministrativi nella verifica degli stessi”, sentenza confermata in sede di appello dal Consiglio di Stato con la pronuncia n. 6851/2020;

– le cooperative soccombenti in tale giudizio avevano poi proposto azione di revocazione impugnando la sentenza n. 6851/2020 cit., chiedendo termine per proporre querela di falso (istanza già presentata e respinta nei precedenti gradi di giudizio) avverso il verbale di sopralluogo del 12 luglio 2019, nel quale era stata infine accertata l’inesistenza del requisito di partecipazione innanzi indicato in capo alle aggiudicatarie;

– l’azione di revocazione era stata accolta con sentenza non definitiva del Consiglio di Stato n. 7632/2021, con assegnazione di un termine di 90 giorni alle Cooperative – attrici in quella sede – per la presentazione della querela;

– stante la mancata proposizione della querela di falso nei termini assegnati, il giudizio di revocazione si era definitivamente concluso con una pronuncia di improcedibilità (sent. n. 5565/2022), con definitiva cristallizzazione del decisum di annullamento dell’aggiudicazione;

– stante la durata delle iniziative giudiziarie – pur intraprese vittoriosamente dalla ricorrente – a fronte della costante opposizione delle controparti processuali, era ormai spirato l’arco temporale per esercitare l’attività turistico-ricettiva oggetto di bando (stagione 2019-2021) e che, di fatto, era stata gestita proficuamente dalle cooperative che si erano illegittimamente aggiudicate la gara;

– pertanto, la ricorrente nutriva interesse qualificato ad ottenere il risarcimento del danno, ormai solo per equivalente, dovuto all’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa da parte del Comune di Ponza, responsabile della mancata aggiudicazione alla stessa società della procedura de qua;

– a tale titolo andavano riconosciute e liquidate le seguenti voci di danno:

a) euro 120.000,00 a titolo di lucro cessante commisurato all’utile sino ad ora conseguito nella corrente stagione 2022-2024, per la quale la ricorrente era risultata aggiudicatrice di analoga gara indetta dal Comune resistente;

b) danno curriculare da liquidarsi in via equitativa o, comunque, in misura pari al 25% del mancato utile.

2. Il Tar per il Lazio, sezione distaccata di Latina, con sentenza della sez. II, 2 febbraio 2024, n. 83, ha ritenuto sussistenti gli elementi costitutivi della responsabilità della P.A., alla stregua del giudicato formatosi in ordine all’illegittima aggiudicazione, ritenendo del pari sussistente l’elemento del nesso eziologico del danno lamentato, sub specie di mancato guadagno, nonché non necessario l’elemento della colpa, alla stregua della giurisprudenza in materia.

Quanto al quantum ha liquidato, a titolo di lucro cessante, la somma di euro 108.891,00, non riconoscendo per contro alcuna somma a titolo di danno curriculare, in assenza della correlativa prova.

3. Avverso tale sentenza ha interposto appello il Comune di Ponza, articolando, in un unico motivo, le seguenti censure:

1) Violazione e errata applicazione degli artt. 30 e 40 c.p.a.. Violazione dei principi sull’onere della prova. Violazione dell’art. 124 c.p.a.. Difetto di motivazione.

Insussistenza dei presupposti per il riconoscimento del danno nell’ an e nella misura liquidata.

4. Si è costituita l’appellata con articolata memoria difensiva ex art. 73 c.p.a., insistendo per il rigetto dell’appello ed assumendo che alcune delle censure formulate sarebbero inammissibili per violazione del divieto dei nova.

5. In vista dell’udienza pubblica il Comune ha depositato la sola memoria di replica, evidenziando che il divieto dei nova non si applica alla parte resistente in prime cure, come da costante giurisprudenza in materia.

5.1. Il medesimo Comune, con successiva istanza, ha richiesto rinvio ai fini della riunione con l’appello pendente presso la settima sezione R.G. n. 2024/3124 per supposta connessione oggettiva.

6. La causa è stata trattenuta in decisione all’esito dell’udienza pubblica del 20 giugno 2024.

DIRITTO

7. Viene decisione l’appello interposto dal Comune di Ponza avverso la sentenza in epigrafe indicata con cui il Tar del Lazio, sezione distaccata di Latina, giudicando sul ricorso proposto dalla (omissis) Società Cooperativa, ha riconosciuto e liquidato alla medesima società il danno da mancata aggiudicazione, condannando il Comune di Ponza alla corresponsione della somma di euro 108.891,00 a titolo di lucro cessante, relativamente alla gara per il triennio 2019-2021, avente ad oggetto la concessione per esercizio dell’attività di noleggio di attrezzature per la balneazione sulle spiagge e/o scogliere del territorio comunale con riferimento alla spiaggia denominata “Frontone”, suddivisa in tre zone.

7.1. L’azione risarcitoria è stata esperita dall’appellata a seguito del giudicato di annullamento dell’aggiudicazione della medesima gara disposta in favore di (omissis) Società Cooperativa a.r.l., (omissis) Società Cooperativa e (omissis) Cooperativa Servizi (omissis), stante l’acclarato difetto in capo alle medesime del requisito di partecipazione previsto dall’art. 4 del disciplinare (disponibilità di un area/locale di deposito per il ricovero delle attrezzature collocato entro la distanza massima di mt 50 dal luogo ove si svolge l’attività di noleggio”).

8. In limine litis va delibata la richiesta di rinvio della trattazione della causa, avanzata dal Comune di Ponza, ai fini della riunione con il giudizio di appello pendente presso la settima sezione, R.G. n. 2024/3124 per ritenuta connessione oggettiva.

9. La richiesta va respinta non avendo il Comune istante in alcun modo soddisfatto l’onere di allegazione su di esso gravante in ordine alle ragioni dell’addotta connessione, non avendo neppure indicato la sentenza di prime cure oggetto del giudizio pendente presso la settima sezione.

Ciò senza tralasciare di considerare che venendo in rilievo una connessione oggettiva – secondo quanto dedotto dal Comune appellante – relativamente a controversia interessante parti diverse dall’odierna appellata, non sia ravvisabile un’ipotesi di riunione obbligatoria dei giudizi.

10. Ciò posto va delibata l’eccezione di inammissibilità dell’appello formulata dalla (omissis) per divieto dei nova.

L’esame delle questioni preliminari di rito deve precedere la valutazione del merito della domanda (Cons. Stato, ad. plen., 7 aprile 2011, n. 4), salve esigenze eccezionali di semplificazione che possono giustificare l’esame prioritario di altri aspetti della lite, in ossequio al superiore principio di economia dei mezzi processuali (Cons. Stato, ad. plen., 27 aprile 2015, n. 5); inoltre l’ordine di esame delle questioni pregiudiziali di rito non rientra nella disponibilità delle parti (Cons. Stato, ad. plen., 25 febbraio 2014, n. 9).

La norma positiva enucleabile dal combinato disposto degli artt. 76, comma 4, c.p.a. e 276, comma 2, c.p.c., impone di risolvere le questioni processuali e di merito secondo l’ordine logico loro proprio, assumendo come prioritaria la definizione di quelle di rito rispetto a quelle di merito, e fra le prime la priorità dell’accertamento della ricorrenza dei presupposti processuali (nell’ordine, giurisdizione, competenza, capacità delle parti, ius postulandi, ricevibilità, contraddittorio, estinzione), rispetto alle condizioni dell’azione (tale fondamentale canone processuale è stato ribadito anche da Cons. Stato, ad. plen., 3 giugno 2011, n. 10).

10.1. Ciò posto l’eccezione va respinta.

Il divieto di domande o eccezioni nuove in appello ex art. 104, comma 1, c.p.a. si applica solo all’originario ricorrente, poiché solo a quest’ultimo, una volta delimitato il thema decidendum con i motivi di impugnazione articolati in primo grado, è precluso un ampliamento dello stesso nel giudizio d’appello; viceversa, rispetto alle parti resistenti il medesimo divieto va inteso come riferito alle sole eccezioni in senso tecnico, non rilevabili d’ufficio, ma non anche rispetto ai profili rilevabili d’ufficio e alle mere difese rispetto agli altrui motivi di impugnazione, il cui accoglimento determina l’interesse a formulare ogni censura volta ad ottenere la riforma della sentenza in sede d’appello (ex multis Cons. Stato, sez. III, 25 marzo 2021, n. 2530; sez. IV, 29 dicembre 2020, n. 8475; 8 giugno 2020, n. 3628; sez. VI 9 marzo 2018, n.1513; 24 febbraio 2011, n. 1154).

11. Può dunque passarsi alla disamina del merito dell’appello.

12. Il primo giudice ha riconosciuto all’appellata (omissis) il danno da mancata aggiudicazione dell’indicata concessione, con specifico riferimento alla voce del lucro cessante, ritenendo provato il nesso eziologico fra l’illegittima aggiudicazione ad altre società, accertata con sentenza passata in giudicato, ed il danno lamentato dalla ricorrente.

Quanto al quantum ha preso in considerazione quanto dedotto dalla ricorrente sull’utile conseguito nella stagione 2022-2024, per la quale era risultata aggiudicatrice di analoga gara indetta dal Comune resistente, ritenendo che “a) va riconosciuta, a titolo di lucro cessante da mancato utile, una somma che può essere parametrata non solo all’utile effettivamente maturato dalla società nella gestione 2022 (come emerge dal relativo bilancio di esercizio depositato in atti, pari ad € 11.297,00) moltiplicata per i tre anni di durata della gestione del servizio noleggio non svolta, per un totale di euro 33.891,00, cui va sommata la differenza tra i canoni offerti nelle diverse stagioni (in termini di risparmio con aumento di utile) pari a complessivi euro 75.000,00 (euro 25.000,00 per tre anni), essendo incontestata per la stagione 2019-2021 l’indicazione di un canone pari ad euro 10.000,00 per anno, inferiore rispetto a quello della successiva stagione 2022-2024 – effettivamente prestato dalla ricorrente – pari ad euro 35.000,00 per anno.

In definitiva va riconosciuto alla società ricorrente, a titolo di mancato utile, la somma di euro 108.891,00 (in concreto euro [(11.297 x 3) + (25.000,00 x 3)].

Su tale somma, peraltro, non va operata alcuna decurtazione, avendo la ricorrente dimostrato – in ragione dell’assenza di possibili alternative di mercato, dello sviluppo dei giudizi in essere e dei bilanci per la stagione 2019-2021 – la sussistenza di fatti idonei ad escludere l’aliunde perceptum vel percipiendum.[….].

Sulla somma così liquidata (pari ad euro 108.891,00), va riconosciuta la rivalutazione monetaria, secondo gli indici ISTAT, dal rilascio del titolo concessorio fino alla pubblicazione della presente sentenza, ulteriormente maggiorata degli interessi al tasso legale sulle somme di anno in anno rivalutate, fino all’effettivo soddisfo.

13. Il Comune di Ponza lamenta l’erroneità della sentenza, richiamando la giurisprudenza in ordine all’onere della prova gravante sul danneggiato, evidenziando di avere fatto presente in prime cure che la prova offerta dalla ricorrente non poteva trovare fondamento negli utili conseguiti dalla medesima negli anni 2022/2023, avuto riguardo alle restrizioni sussistenti nell’anno 2020 in merito al distanziamento imposto per la pandemia, in quanto le riaperture delle attività turistiche, di qualsiasi genere, non solo erano state graduali, ma erano state sottoposte a restrizioni: distanziamento nel posizionamento dei lettini e ombrelloni per quanto riguarda gli stabilimenti balneari, distanziamento nei posti di ristorazione, etc.

I dati statistici confermavano che nel 2020 la pandemia di COVID-19 aveva determinato un’intensa flessione dei flussi turistici in tutto il territorio nazionale.

Parimenti, secondo il Comune, un calo del turismo era stato registrato nel 2021, laddove per contro con riferimento all’anno 2022, preso in considerazione dal primo giudice sulla base di quanto dedotto dalla ricorrente, si era registrato un forte incremento turistico, come del pari palesato dai dati nazionali.

13.1. In tale contesto fattuale, secondo il Comune la prova dell’utile che in concreto la ricorrente avrebbe conseguito, qualora le fosse stato aggiudicato il servizio per il lotto in questione, non era stata minimamente offerta, non potendo essere calcolata sugli utili conseguiti nell’anno 2022 dalla medesima per lo stesso servizio svolto, posto che “l’utile dell’aggiudicatario, infatti, è variabile di anno in anno in quanto dipende sia dall’afflusso, variabile, della clientela, sia dei prezzi, variabili, applicati dal concessionario dei servizi ai clienti e non imposti dall’Amministrazione”.

13.2. In tesi di parte appellante del pari erronea sarebbe la sentenza nel punto in cui ha ritenuto che agli utili conseguiti nel 2022 andrebbero aggiunti euro 25.000,00 per anno in quanto gli utili dell’anno 2022 avevano tenuto conto della perdita di euro 35.000,00 pagata dalla società all’Amministrazione a titolo di canone, mentre il canone offerto dalla (omissis) nella precedente gara era di euro 10.000,00.

13.3. Secondo il Comune il ragionamento del Tar sarebbe privo di motivazione e violerebbe il disposto dell’art. 2697 c.c., avendo accolto pedissequamente le richieste della ricorrente senza nemmeno verificare se il canone offerto dalla (omissis) per il triennio 2019/2021 fosse quello indicato dalla medesima e senza avere la prova dell’identità dei due bandi di gara, i quali, pur avendo ad oggetto lo stesso servizio di noleggio delle attrezzature, differivano tra loro.

Invero, la (omissis) per la gara precedente aveva offerto per il triennio un canone di euro 24.000,00 (ventiquattromila/00) e non di euro 30.000,00. Quindi non euro 10.000,00 annui, bensì euro 8.000,00.

13.4. In tesi del Comune il disciplinare della selezione bandita per il triennio 2022-2024 era diverso da quello della selezione bandita per il triennio 2019-2021 e la (omissis) si era impegnata a realizzare una serie di servizi aggiuntivi che nella precedente selezione non erano richiesti dall’amministrazione: l’allestimento e gestione di un’area nursery, di un’area per l’accoglienza degli animali da affezione, servizi aggiuntivi da offrire gratuitamente agli avventori e installazione di un chiosco o punto d’ombra con corresponsione del canone demaniale marittimo e relativa tassa regionale. Inoltre la (omissis), nella gara 2022/2024, aveva offerto di fornire 2 assistenti bagnanti e 2 inservienti addetti alla pulizia, per un totale di 4 addetti, mentre nella precedente ne forniva 3: 2 assistenti bagnanti e 1 inserviente per la pulizia. Quindi anche le spese per il personale erano completamente diverse.

13.5. Secondo il Comune, infine, il ragionamento del Tar sarebbe errato anche laddove ha affermato che “Su tale somma, peraltro, non va operata alcuna decurtazione, avendo la ricorrente dimostrato – in ragione dell’assenza di possibili alternative di mercato, dello sviluppo dei giudizi in essere e dei bilanci per la stagione 2019-2021 – la sussistenza di fatti idonei ad escludere l’aliunde perceptum vel percipiendum”, richiamando la giurisprudenza in materia di appalti.

Per quanto riguarda l’“assenza di possibili alternative” l’affermazione, in tesi di parte appellante, sarebbe apodittica e non terrebbe conto che la (omissis) svolgeva da anni tale lavoro essendo proprietaria di un’area privata a ridosso della spiaggia pubblica del Frontone dove, con il logo “(omissis) Beach Club” forniva “Food&Beverage-Aperitivi-Lettini/Ombrelloni-Docce-Servizi” dalle ore 9 alle ore 19, come evincibile dalla pagina FB creata dalla stessa azienda.

13.6. Inoltre il Comune contesta la sentenza di prime cure anche laddove ha riconosciuto la sussistenza dell’an del risarcimento, avuto riguardo a tutti gli elementi necessari per il riconoscimento della responsabilità, ivi compresa la colpa, evidenziando che erano stati effettuati i dovuti controlli osservando che “Ciò significa che nel caso di specie non può riscontrarsi alcuna responsabilità del Comune per l’aggiudicazione della gara alle tre imprese che avevano presentato un’offerta migliore di quella dell’odierna appellata, quanto meno per la oggettiva sussistenza della “complessità della situazione di fatto”.

La verifica della sussistenza dei presupposti per riconoscere il diritto della (omissis) ad ottenere il risarcimento dei danni richiesti sarebbe stata completamente omessa dal primo giudice e ciò, in tesi, renderebbe la sentenza errata e passibile di annullamento.

14. Prima di passare al vaglio delle singole censure, giova richiamare i principi elaborati dalla giurisprudenza in materia di risarcimento del danno da mancata aggiudicazione, da ricondursi alla responsabilità da atto illegittimo.

15. In termini generali deve osservarsi che la responsabilità da atto illegittimo va inquadrata nell’ambito della responsabilità aquiliana.

L’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato ha chiarito che la responsabilità in cui incorre l’Amministrazione per l’esercizio delle funzioni pubbliche è inquadrabile nella responsabilità da fatto illecito (Cons. Stato, ad. plen. 23 aprile 2021, n. 7).

15.1. Ciò posto, gli elementi costitutivi della responsabilità della pubblica amministrazione sono, sotto il profilo oggettivo, il nesso di causalità materiale e il danno ingiusto, inteso come lesione alla posizione di interesse legittimo; sul piano delle conseguenze, il fatto lesivo deve essere collegato, con un nesso di causalità giuridica o funzionale, con i pregiudizi patrimoniali o non patrimoniali lamentati; occorre allora verificare la sussistenza dei presupposti di carattere oggettivo (ingiustizia del danno, nesso causale, prova del pregiudizio subito), e successivamente quelli di carattere soggettivo (dolo o colpa della p.a.); con riferimento alla ingiustizia del danno, deve rilevarsi, altresì, che presupposto essenziale della responsabilità è l’evento dannoso che ingiustamente lede una situazione soggettiva protetta dall’ordinamento e, affinché la lesione possa considerarsi ingiusta, la lesione dell’interesse legittimo è condizione necessaria – anche se non sufficiente – per accedere alla tutela risarcitoria; occorre quindi anche verificare che risulti leso, per effetto dell’attività illegittima (e colpevole dell’amministrazione pubblica), l’interesse materiale al quale il soggetto aspira; ovvero il risarcimento del danno ingiusto derivante dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa non può prescindere dalla spettanza di un bene della vita, atteso che è soltanto la lesione di quest’ultimo che qualifica in termini di ingiustizia il danno derivante dal provvedimento illegittimo.

I requisiti della responsabilità da fatto illecito sono, in termini generali, la presenza di una condotta imputabile, il danno ingiusto, il nesso di causalità e l’elemento soggettivo.

15.2. Tale orientamento giurisprudenziale, applicabile in termini generali alla responsabilità aquiliana da riconnettersi all’adozione di un atto illegittimo, va poi coordinato con la giurisprudenza specifica relativa al risarcimento del danno da mancata aggiudicazione, elaborata in particolare con riferimento alla materia degli appalti, applicabile, con i dovuti distinguo, in particolare quanto al quantum del risarcimento e al correlativo onere probatorio, al danno da mancato affidamento di un contratto di concessione.

15.3. Secondo la giurisprudenza (ex multis Cons. Stato, ad. plen., n. 2 del 2017; Cons. Stato, sez. V, 3 marzo 2021, n. 1803) nella materia dei contratti pubblici, l’illegittimità dell’azione amministrativa, che si sia risolta nell’annullamento dell’aggiudicazione, prospetta – alla stregua dell’art. 124 c.p.a.– una articolata struttura rimediale rimessa, in base all’ordinario canone dispositivo, alla domanda di parte (artt. 30, 40, comma 1 lett. b) ed f), 41 e 64 c.p.a., in relazione all’art. 99 c.p.c. e all’art. 2907 c.c.).

In particolare – contestualmente alla impugnazione, a mezzo di “azione di annullamento” (art. 29 c.p.a. ad esito prospetticamente demolitorio, dei “provvedimenti concernenti le procedure di affidamento” (artt. 119, comma 1 lett. a) e 120 c.p.a.) – è rimessa all’impresa pregiudicata l’opzione:

a) per una “tutela in forma specifica”, a carattere integralmente satisfattorio, affidata alla ‘domanda di conseguire l’aggiudicazione e il contratto (art. 124, comma 1, prima parte), il cui accoglimento: a1) postula, in negativo, la sterilizzazione ope iudicis, in termini di “dichiarazione di inefficacia”, del contratto eventualmente già stipulato inter alios (essendo, per ovvie ragioni, preclusa la reduplicazione attributiva dell’unitario bene della vita gestito dalla procedura evidenziale); a2) richiede, in positivo, un apprezzamento di spettanza in termini di diritto al contratto, con la certezza che, in assenza del comportamento illegittimo serbato dalla stazione appaltante, il ricorrente si sarebbe senz’altro aggiudicato la commessa;

b) per un “risarcimento del danno per equivalente” (art. 124, comma 1, seconda parte), e ciò: b1) sia nel caso in cui il giudice abbia riscontrato l’assenza dei presupposti per la tutela specifica (e, in particolare, non abbia ravvisato, ai sensi degli artt. 121, comma 1 e 122 c.p.a., i presupposti per dichiarare inefficace il contrato stipulato ovvero, sotto distinto profilo, non abbia elementi sufficienti a formulare un obiettivo giudizio di spettanza); b2) sia nel caso in cui la parte abbia ritenuto di non formalizzare la domanda di aggiudicazione (né si sia resa comunque “disponibile a subentrare nel contratto”, anche in corso di esecuzione), nel qual caso la “condotta processuale” va anche apprezzata in termini concausali (art. 124, comma 2, c.p.a. in relazione al richiamato art. 1227 c.c.).

Naturalmente, l’opzione per il risarcimento per equivalente non ha alternative le quante volte, come accade nel caso di specie, il contratto sia stato, in pendenza di lite, interamente eseguito.

La tutela risarcitoria è, sotto il profilo del danno ristorabile, variamente modulata, secondo che:

a) il concorrente danneggiato sia in grado di dimostrare con certezza che, in assenza del comportamento illegittimo serbato dalla stazione appaltante, si sarebbe aggiudicato la commessa (e cioè che – ove il contratto fosse stato dichiarato inefficace, ricorrendone le condizioni – avrebbe senz’altro avuto diritto alla stipula o al subentro): trattandosi, in tal caso, propriamente di danno da mancata aggiudicazione;

b) non sia, per contro, possibile accedere – in difetto di idonei elementi probatori ovvero in presenza di profili conformativi non integralmente vincolati, rimessi all’apprezzamento sequenziale della stazione appaltante – ad un giudizio di effettiva spettanza: prospettandosi, in tal caso, il danno in termini di mera perdita di chances di aggiudicazione.

16. In relazione al danno da mancata aggiudicazione, giova ricordare che, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale espresso nella materia degli appalti:

a) la relativa imputazione opera in termini obiettivi, che prescindono dalla colpa della stazione appaltante, in quanto – in conformità alle indicazioni di matrice eurounitaria – la responsabilità assume, nella materia de qua, una coloritura funzionale compensativo-surrogatoria a fronte della impossibilità di conseguire l’aggiudicazione del contratto (Cons. Stato, sez. IV, 15 aprile 2019, n. 2429; Id., sez. V, 19 luglio 2018, n. 4381);

b) come, peraltro, positivamente chiarito dall’art. 124, comma 1 c.p.a., che fa parola di danno “subito e provato” – è onere del concorrente danneggiato offrire compiuta dimostrazione dei relativi presupposti, sia sul piano dell’an che sul piano del quantum, atteso che, in punto di tutela risarcitoria, l’ordinario principio dispositivo opera con pienezza e non è temperato dal c.d. metodo acquisitivo proprio dell’azione di annullamento ex art. 64, commi 1 e 3 c.p.a., che si giustifica solo in quanto sussista la necessità di equilibrare l’asimmetria informativa tra Amministrazione e privato (Cons. Stato, sez. V, 13 luglio 2017, n. 3448);

c) non compete il ristoro del danno emergente, posto che i costi per la partecipazione alla gara sono destinati, di regola, a restare a carico del concorrente (il quale, perciò, può pretenderne il ristoro solo allorché lamenti, in chiave di responsabilità precontrattuale, di averli inutilmente sostenuti per essere stato coinvolto, in violazione delle regole di correttezza e buona fede, in una trattativa inutile), onde il cumulo con l’utile prospetticamente derivante, in caso di mancata aggiudicazione, dalla esecuzione della commessa darebbe vita ad un ingiustificato arricchimento (Cons. Stato, sez. V, 23 agosto 2019, n. 5803; Id., sez. VI, 15 settembre 2015, n. 4283; Id., sez. III, 25 giugno 2013, n. 3437; Id., sez. III, 14 dicembre 2012, n. 6444);

d) spetta, per contro, il lucro cessante, che si identifica con il c.d. interesse positivo e che ricomprende: d1) il mancato profitto, cioè a dire l’utile che l’impresa avrebbe ricavato, in base alla formulata proposta negoziale ed alla propria struttura dei costi, dalla esecuzione del contratto; d2) il danno c.d. curriculare, derivante dall’impossibilità di arricchimento della propria storia professionale ed imprenditoriale, con conseguente potenziale perdita di competitività in relazione a future occasioni contrattuali;

e) relativamente alla prima posta risarcitoria, deve escludersi l’ancoraggio forfettario alla misura del dieci per cento dell’importo a base d’asta: e ciò sia perché detto criterio esula storicamente dalla materia risarcitoria, non avendo fondamento la presunzione che la perdita sia, secondo un canone di normalità, ancorata alla ridetta percentuale, sia perché l’art. 124 cit. va inteso nel senso della rigorosa incombenza, a carico del danneggiato, di un puntuale onere di allegazione e di dimostrazione (Cons. Stato, sez. V, 11 maggio 2017, n. 2184; Id., ad. plen., 2 maggio 2017, n. 2), sicché il ricorso alla valutazione equitativa può essere riconosciuto solo in caso di impossibilità o di estrema difficoltà a fornire prova in relazione all’ammontare preciso del danno patito (Cons. Stato, sez. V, 26 luglio 2019, n. 5283);

f) ai fini della base di calcolo della percentuale per il mancato utile, non si può prendere a riferimento l’importo posto a base della gara, dovendo aversi riguardo al margine di utile effettivo, quale ricavabile dal ribasso offerto dall’impresa danneggiata;

g) inoltre, il valore del mancato utile può essere integralmente ristorato solo laddove il danneggiato possa dimostrare di non aver potuto utilizzare i mezzi o le maestranze in altri lavori; e ciò perché, in assenza di suddetta prova, in virtù della presunzione per cui chi partecipa alle gare non tiene ferme le proprie risorse ma le impiega in altri appalti, lavori o servizi, l’utile così calcolato andrà decurtato in ragione dell’aliunde perceptum vel percipiendum, in una misura percentuale variabile (Cons. Stato, ad. plen. n. 2/2017 cit.; Cons. giust. amm. 6 novembre 2019, n. 947) che tenga, in concreto, conto della natura del contratto, del contesto operativo di riferimento, delle risorse nella ordinaria disponibilità del concorrente, della sua struttura dei costi, della sua storia professionale e del presumibile livello di operatività sul mercato, potendo, a tal fine, addivenirsi anche – nel caso di mancato assolvimento dell’onere dimostrativo ed in presenza di elementi indiziari che evidenzino l’impossibilità di ricorso cumulativo alle risorse strumentali – all’azzeramento del danno potenzialmente riconoscibile (Cons. Stato, sez. V, 12 novembre 2020, n. 7262; Id., sez. V, 23 agosto 2019, n. 5803);

h) anche il danno curriculare, ancorato alla perdita della specifica possibilità concreta di incrementare il proprio avviamento per la parte relativa al curriculum professionale, da intendersi anche come immagine e prestigio professionale, al di là dell’incremento degli specifici requisiti di qualificazione e di partecipazione alle singole gare, deve essere oggetto di puntuale dimostrazione, ancorata h1) alla perdita di un livello di qualificazione già posseduta ovvero alla mancata acquisizione di un livello superiore, quale conseguenze immediate e dirette della mancata aggiudicazione; h2) alla mancata acquisizione di un elemento costitutivo della specifica idoneità tecnica richiesta dal bando oltre la qualificazione SOA (Cons. Stato, sez. III, 15 aprile 2019, n. 2435; Id., sez. IV, 7 novembre 2014, n. 5497), sicché solo all’esito di tale dimostrazione, relativamente all’an, è possibile procedere alla relativa liquidazione nel quantum, anche a mezzo di forfettizzazione percentuale applicata sulla somma riconosciuta a titolo di lucro cessante (Cons. Stato, sez. V, 23 agosto 2019, n. 5803) e sempre che non debba ritenersi che, trattandosi di impresa leader nel settore di riferimento, l’aver conseguito già un curriculum di tutto renda la mancata aggiudicazione di un appalto non idonea, per definizione, ad incidere negativamente sulla futura possibilità di conseguire le commesse economicamente più appetibili e, più in generale, sul posizionamento dell’impresa nello specifico settore di mercato in cui è chiamata ad operare (Cons. Stato, sez. V, 28 gennaio 2019, n. 689);

i) infine, il complessivo importo riconosciuto va incrementato, trattandosi di debito di valore, della rivalutazione monetaria (a decorrere dalla data di stipula del contratto fino all’attualità), e degli interessi legali sulla somma di anno in anno rivalutata, fino all’effettivo soddisfo (Cons. Stato, sez. III, 10 luglio 2019, n. 4857).

17. Ciò posto deve evidenziarsi, quanto all’an del risarcimento come la prospettazione di parte appellante sia del tutto fallace, ricorrendo tutti i presupposti per la risarcibilità, avuto riguardo al giudicato formatosi in ordine all’illegittimità dell’aggiudicazione della gara de qua, in grado di colorare il danno lamentato sub specie di lucro cessante come ingiusto e all’indubbio nesso eziologico fra il danno medesimo e l’illegittima aggiudicazione, vertendosi su una gara per l’affidamento in concessione di tre zone, per cui la (omissis), collocatasi al quinto posto, si sarebbe senz’altro aggiudicata la concessione per una delle tre zone.

Correttamente il primo giudice ha ritenuto “la sussistenza del nesso di causalità materiale che lega la condotta lesiva all’altro polo di riferimento, ovverosia, il danno evento, inteso come lesione di una situazione giuridica rilevante. Difatti, è emerso incontrovertibilmente come il negligente ed illegittimo operato dell’Amministrazione abbia impedito alla ricorrente di ottenere l’utilità sostanziale/bene della vita (aggiudicazione della gara e rilascio di titolo concessorio) di sicura spettanza”.

17.1. Alcun rilievo possono poi avere le considerazioni di parte appellante circa l’asserita assenza di colpa, in quanto, come correttamente evidenziato dal primo giudice, nella materia de qua, avuto riguardo ai principi elaborati dalla giurisprudenza eurounitaria, non occorre la prova della colpa della pubblica amministrazione.

La Corte di Giustizia dell’Unione europea, come innanzi anticipato, ha affermato che in materia di risarcimento da (mancato) affidamento di gare pubbliche di appalto e concessioni, non è necessario provare la colpa dell’amministrazione aggiudicatrice, poiché il rimedio risarcitorio risponde al principio di effettività della tutela previsto dalla normativa comunitaria; le garanzie di trasparenza e di non discriminazione operanti in materia di aggiudicazione dei pubblici appalti fanno sì che una qualsiasi violazione degli obblighi di matrice sovranazionale consente all’impresa pregiudicata di ottenere un risarcimento dei danni, a prescindere da un accertamento in ordine alla colpevolezza dell’ente aggiudicatore e dunque della imputabilità soggettiva della lamentata violazione (Corte di giustizia, sez. III, 30 settembre 2010, C-314/09, Stadt Graz).

18. In relazione alla quantificazione del risarcimento e al correlativo onere probatorio gravante sulla parte istante va precisato come non possano applicarsi alle concessioni, caratterizzate dal rischio di impresa, in cui gli utili non sono correlati alle somme corrisposte dall’amministrazione per lo svolgimento del servizio ed oggetto dell’offerta dell’operatore economico, come negli appalti, ma ai proventi scaturenti dalla gestione del servizio in favore degli utenti, i principi innanzi indicati elaborati dalla giurisprudenza in materia di appalti, potendo la prova essere data anche per presunzioni, proprio in considerazione della possibile variabilità e non rigorosa prevedibilità di detti proventi.

19. Ciò posto deve ritenersi che la ricorrente in prime cure abbia soddisfatto, per quanto nella sua possibilità, detto onere probatorio con la produzione dei bilanci relativi agli anni in contestazione e agli anni successivi, in cui era risultata aggiudicataria di analoga gara.

19.1. Il ragionamento seguito dal primo giudice che ha preso in considerazione gli utili conseguiti dalla (omissis) nell’anno immediatamente successivo al 2021 (ultimo anno della concessione oggetto della gara annullata) appare corretto, dovendo ritenersi, secondo l’id quod plerumque accidit, che ove la ricorrente avesse gestito il servizio de quo anche nei tre anni precedenti, oggetto della gara annullata, avrebbe conseguito un utile analogo.

19.2. Parimenti corretto è il ragionamento del primo giudice nel punto in cui ha ritenuto che, ai fini del calcolo del lucro cessante, l’utile dovesse essere maggiorato avuto riguardo ai minori costi che la ricorrente avrebbe sopportato negli anni 2019/2021 rispetto a quelli sostenuti negli anni 2022/2024, in cui la ricorrente, per avere la sicurezza dell’aggiudicazione, aveva offerto un canone sensibilmente maggiore, pari a 35.000,00 euro annui.

È indubbio che la (omissis), sebbene nella gara in contestazione avesse offerto un canone molto basso, pari ad euro 8.000 euro annui, secondo quanto dedotto dallo stesso Comune e risultante dagli atti di prime cure, e per tale ragione posizionatasi al quinto posto della graduatoria, si sarebbe comunque senz’altro aggiudicata la gara, non essendo le prime tre graduate in possesso del prescritto requisito di partecipazione, per cui si sarebbe collocata al secondo posto.

19.2.1. E’ irrilevante la circostanza che la ricorrente nella gara per gli anni successivi, per avere la certezza dell’aggiudicazione, abbia liberamente presentato un’offerta molto più alta, pari ad euro 35.000,00 annui, posto che detta voce riguarda i costi e non gli utili, per cui, al fine di avere un’esatta contezza degli utili conseguibili per gli anni oggetto della gara annullata, correttamente il primo giudice ha neutralizzato i maggiori costi derivanti dalla corresponsione del canone per gli anni successivi, tenendo conto dei costi derivanti dal minore canone, ovvero dei costi che la ricorrente avrebbe sostenuto ove avesse potuto gestire la concessione.

Ed invero ai sensi dell’art. 1223 c.c., applicabile non solo alla responsabilità contrattuale ma anche a quella extracontrattuale che viene qui in rilievo, ex art. 2056 c.c., la prestazione risarcitoria comporta l’obbligo del danneggiante di reintegrare il danneggiato nella situazione patrimoniale in cui si sarebbe trovato se non si fosse verificato il fatto lesivo.

19.2.2. Inammissibile per difetto di interesse è poi il rilievo, sfavorevole all’appellante, secondo il quale erroneamente il primo giudice, recependo in toto le deduzioni attoree, aveva ritenuto che il canone offerto relativamente al periodo in contestazione fosse pari ad euro 10.000,00 annui, anziché euro 8.000,00 annui, risultanti dall’offerta presentata, calcolando la differenza rispetto al canone offerto per il periodo 2022/2024 in euro 25.000,00 annui.

È evidente che detto rilievo si tradurrebbe in un maggiore utile – avuto riguardo all’ulteriore risparmio di spesa, conseguibile dalla (omissis) – da corrispondere a titolo risarcitorio, pari ad euro 2.000,00 annui, per un totale di 6.000,00 euro, con la conseguente condanna del Comune alla corresponsione della somma di euro 114.891,00, in luogo di euro 108.891,00 liquidati dal primo giudice.

19.3. Del tutto infondata, in quanto non supportata dal alcun riscontro probatorio ed anzi sconfessata dalla documentazione depositata in prime cure, è la deduzione secondo cui l’utile conseguito nel 2022 non poteva essere posto a base della liquidazione relativamente agli utili conseguibili nei tre anni precedenti, in tesi caratterizzati da un calo del turismo connesso alle restrizioni del COVID-19.

Ed invero premesso che il COVID non ha interessato l’estate del 2019, l’estate del 2020, a parte il mese di giugno, secondo quanto risultante dagli articoli di stampa depositati in prime cure, è stata caratterizzata da un boom di turisti nell’isola di Ponza, sino ad allora COVID-free, tanto che il sindaco ebbe ad invocare l’intervento dell’esercito; parimenti deve ritenersi per il 2021 caratterizzato dal divieto dei viaggi all’estero.

Dunque tanto l’estate del 2020 che quella del 2021 – anni in cui non si poteva viaggiare all’estero per turismo – sono state caratterizzate da una notevole affluenza di turisti, verosimilmente superiore a quella del 2022, anno in cui sono ripresi i viaggi all’esterno, tanto che la (omissis) in prime cure ha fatto riferimento agli utili del 2022 solo come base minimale per la richiesta di risarcimento, in tesi da maggiorare.

Alcun rilievo per contro possono assumere i dati riferiti all’assunto calo del turismo per gli anni in questione forniti da parte appellante in quanto su scala nazionale e non relativi all’isola di Ponza, da ritenersi una delle mete, secondo fatto notorio, preferite dai cittadini romani, per cui, stante l’entità dei residenti romani, non assume neppure rilievo la circostanza che parte del 2020 sia stata caratterizzata dal divieto di spostamento tra regioni, posto che detto divieto semmai conferma come i residenti romani abbiano scelto le coste laziali per le ferie.

Il notevole afflusso di turisti sull’isola per gli anni in questione trova conferma nella circostanza che la (omissis), pur di ottenere l’aggiudicazione della concessione per il triennio successivo, ha presentato un’offerta economica decisamente superiore a quella della gara precedente che viene qui in considerazione.

19.4. Neppure assume rilievo quanto dedotto dal Comune appellante circa le asserite differenze fra le offerte nelle due gare, ovvero che nella gara per gli anni successivi la (omissis) avesse offerto maggiori servizi; ed invero i maggiori servizi offerti gratuitamente per un verso attengono al punteggio dell’offerta tecnica, per altro verso comportano maggiori costi, mentre alcuna certezza vi è in ordine alla circostanza che, a fronte di tali maggiori servizi, comportanti maggiori costi (con conseguente riduzione dell’utile), la società avrebbe avuto un maggiore afflusso di turisti, con conseguente introito di somme in grado non solo di assorbire i maggiori costi, ma di produrre utili maggiori.

19.5. Né le considerazioni del Comune di Ponza, secondo cui, essendosi in presenza di una concessione in cui l’utile, in quanto in funzione dell’afflusso turistico, è destinato a variare di anno in anno, possono sconfessare il decisum di prime cure in quanto, come innanzi precisato, solo con riferimento all’appalto l’utile risulta ricavabile dall’offerta economica; con riferimento alla concessione, ai fini della stima dello stesso, ben può farsi ricorso a presunzioni ed in questo senso all’utile medio ricavabile con riferimento ad altri esercizi, di cui la parte istante possa dare prova.

19.5.1. Né potrebbe essere diversamente, posto che i dati riferibili alla gestione della concessione per gli anni in contestazione non potevano essere forniti dalla ricorrente, alla quale era stato impedito l’esercizio della stessa, nonostante fosse risultata vittoriosa in tutti i gradi di giudizio, essendo in possesso delle sole società che avevano illegittimamente esercitato detta concessione, per cui non poteva imporsi alla ricorrente un onere probatorio impossibile da assolvere (ad impossibilia nemo tenetur).

Correttamente il primo giudice ha preso in considerazione, in via presuntiva, ex art. 2729 c.c., gli utili desumibili dall’esercizio della concessione per gli anni successivi.

19.6. Ciò senza mancare di rilevare, ad abundantiam, che detti utili ben potevano e possono essere posti a fondamento di una liquidazione in via equitativa del danno, ex art. 1226 c.c..

L’art. 1226 c.c. (rubricato “Valutazione equitativa del danno“) stabilisce che “se il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare, è liquidato dal giudice con valutazione equitativa“.

È opinione costante e risalente della giurisprudenza e della dottrina, come ricordato anche da Cass., sez. VI, ordinanza 17 novembre 2020, n. 26051, che questa previsione abbia natura “sussidiaria” e “non sostitutiva”.

La liquidazione equitativa del danno ha natura sussidiaria, perché presuppone l’esistenza d’un danno oggettivamente accertato (indubbio nella specie). Essa attribuisce al giudice di merito non già un potere arbitrario, ma una facoltà di integrazione in via equitativa della prova semipiena circa l’ammontare del danno.

La liquidazione equitativa ha, poi, natura non sostitutiva, perché ad essa non può farsi ricorso per sopperire alle carenze o decadenze istruttorie in cui le parti fossero incorse (tanto colpevoli quanto incolpevoli, sopperendo in quest’ultimo caso il rimedio della rimessione in termini, e non della liquidazione equitativa).

19.6.1. Il primo presupposto per l’applicazione dell’art. 1226 c.c., è la certezza dell’esistenza del danno, mentre il secondo è che l’impossibilità (o la rilevante difficoltà) nella stima esatta del danno sia:

(a) oggettiva, cioè positivamente riscontrata e non meramente supposta;

(b) incolpevole, cioè non dipendente dall’inerzia della parte gravata dall’onere della prova.

19.6.2. La liquidazione equitativa del danno costituisce un rimedio fondato sull’equità c.d. “integrativa” o “suppletiva”: l’equità, cioè, intesa non quale principio che si sostituisce alla norma di diritto nel caso concreto, ma quale principio che completa la norma giuridica. L’equità integrativa costituisce, per l’opinione unanime della dottrina, uno strumento di equo contemperamento degli interessi delle parti, nei casi dubbi (Cass., sez. VI, ordinanza 17 novembre 2020, n. 26051).

19.7. Nell’ipotesi di specie risultano senz’altro integrati i due presupposti, in quanto è indubbio che la ricorrente avrebbe ricavato un utile dall’esercizio, per il triennio de quo, della concessione, come è indubbio che la stessa abbia fatto quanto possibile per comprovare il danno anche nel suo ammontare, producendo i bilanci degli anni de quibus, caratterizzati dall’assenza di profitto, stante il mancato esercizio della concessione, e degli anni successivi, in cui la concessione è stata ottenuta ma a costi maggiori.

20. Parimenti corretta è la sentenza nel punto in cui ha ritenuto che l’ammontare del danno stimato non dovesse essere ridotto sulla base dell’aliunde perceptum in ragione in primo luogo dei bilanci prodotti dalla ricorrente – attestanti un utile pari a zero per prestazione di servizi negli anni in contestazione (a fronte dei quali quanto addotto da parte appellante circa l’utilizzo delle attrezzature in un’area privata, in difetto di prova puntuale, assurge a mera illazione) – ed in secondo luogo della particolarità della fattispecie.

20.1. Si deve ritenere secondo l’id quod plerumque accidit che la (omissis), confidando nell’affidamento del contratto di concessione, a seguito del richiesto intervento in autotutela e del positivo esperimento dall’azione giudiziaria di annullamento dell’aggiudicazione in favore delle controparti, conclusosi con sentenza del Tar per il Lazio, sezione distaccata di Latina già nell’anno 2019, la cui esecuzione è stata inibita dalle contrapposte e reiterate azioni delle controparti (spintesi sino all’esperimento di un ricorso per revocazione della sentenza di appello, finalizzato alla proposizione di una querela di falso, poi non più utilmente coltivata) non abbia ritenuto utilizzare i mezzi o le maestranze in altri servizi e che il danno da lucro cessante, da correlarsi all’utile che sarebbe conseguito dall’esecuzione della concessione, vada ristorato per intero, potendo l’onere probatorio gravante sulla parte danneggiata intendersi assolto anche con il ricorso a serie presunzioni; da ciò la correttezza del decisum di prime cure. Ciò anche in considerazione della circostanza che viene in rilievo una concessione da svolgersi per lo più in sede locale, avuto riguardo anche all’utile conseguibile una volta detratti i costi, laddove per contro il trasferimento altrove del gestore, delle maestranze e delle attrezzature, per lo svolgimento dell’attività, non potrebbe che comportare una lievitazione dei costi.

21. In considerazione dei suesposti rilievi l’appello va respinto.

22. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna il Comune di Ponza alla refusione delle spese di lite in favore di parte appellata, liquidate in complessivo euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 giugno 2024 con l’intervento dei magistrati:

(omissis)

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