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Consiglio di Stato sez. III, 25/11/2024, n.9469

Massima

La titolarità in capo al datore di lavoro di reddito nella misura indicata dall’art. 9, d.m. 27 maggio 2020 costituisce un presupposto indefettibile per la definizione in senso positivo della procedura atteso che la titolarità di tali redditi ha la funzione di dimostrare l’effettività e/o sostenibilità del rapporto di lavoro da parte di colui che si afferma datore di lavoro ovvero si propone come tale; pertanto, il difetto di reddito adeguato in capo al datore di lavoro ha costituito legittimo motivo del rigetto dell’istanza di emersione.

Supporto alla lettura

IMMIGRAZIONE

Le linee generali delle politiche pubbliche in materia di immigrazione in Italia, fissate dalla legge 40/1998 (cosiddetta “legge Turco – Napolitano”), sono state successivamente consolidate nel decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, “Testo unico sull’immigrazione e sulla condizione dello straniero”.

Il testo unico interviene in entrambi gli ambiti principali del diritto dell’immigrazione:

  • il diritto dell’immigrazione in senso stretto, concernente la gestione nel suo complesso del fenomeno migratorio: la definizione di regole di ingresso, di soggiorno, di controllo, di stabilizzazione dei migranti ed anche la repressione delle violazioni a tali regole;
  • il diritto dell’integrazione, che riguarda l’estensione, in misura più o meno ampia, ai migranti dei diritti propri dei cittadini (diritti civili, sociali, politici).

I princìpi fondamentali che sono alla base del testo unico sono essenzialmente tre:

  • la programmazione dei flussi migratori e il contrasto all’immigrazione clandestina (per quanto riguarda il diritto dell’immigrazione);
  • la concessione di una ampia serie di diritti volti all’integrazione degli stranieri regolari (diritto dell’integrazione).

Non interviene in materia di diritto di asilo la cui disciplina, in passato contenuta nel decreto-legge 416/1989 (la cosiddetta “legge Martelli”), ha avuto una regolamentazione dettagliata ad opera di provvedimenti di recepimento della normativa comunitaria.

In Italia l’immigrazione dei cittadini stranieri non appartenenti all’Unione europea è regolata secondo il principio della programmazione dei flussi. Ogni anno il Governo, sulla base della necessità di manodopera interna, stabilisce il numero di stranieri che possono entrare nel nostro Paese per motivi di lavoro. In particolare, la gestione dei flussi di immigrazione è realizzata attraverso una serie di strumenti, quali il documento programmatico triennale e il decreto annuale sui flussi.

Il secondo principio su cui si fonda la disciplina dell’immigrazione è quello del contrasto all’immigrazione clandestina. L’ingresso e il soggiorno illegale nel territorio nazionale è considerato un reato punibile con una ammenda o con l’espulsione. Gli strumenti che l’ordinamento predispone per il contrasto all’immigrazione clandestina sono numerosi e vanno dalla repressione del reato di favoreggiamento all’immigrazione clandestina, al respingimento alla frontiera, dall’espulsione come misura di sicurezza per stranieri condannati per gravi reati, all’espulsione come sanzione sostitutiva. Il principale di essi può tuttavia considerarsi l’espulsione amministrativa, che può essere eseguita con l’accompagnamento alla frontiera da parte delle forze dell’ordine, disposto dal prefetto in determinati casi (rischio di fuga, presentazione di domanda di permesso di soggiorno fraudolente ecc.).

Per quanto riguarda il terzo dei tre princìpi ispiratori della legislazione vigente, l’integrazione degli stranieri regolari, il nostro ordinamento garantisce una ampia tutela dei diritti degli stranieri e promuove l’accoglienza e l’integrazione degli immigrati.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
1.1. Con decreto emanato dallo Sportello Unico per l’Immigrazione di Reggio Calabria è stata rigettata l’istanza di emersione dal lavoro irregolare presentata, ex art. 103, co. 1 D.L. n. 34/2020 il 26 giugno 2020 dal datore di lavoro, -OMISSIS-, in favore dell’odierno appellante.

1.2. Il diniego è stato basato sulla mancata risposta alle osservazioni e alle richieste di integrazione documentale, che ha determinato il parere sfavorevole espresso dall’Ispettorato Territoriale del Lavoro, avendo rilevato l’insufficienza della capacità economica del datore di lavoro per l’anno 2019.

2.1. Con ricorso depositato innanzi al TAR Calabria, il cittadino straniero ha impugnato il rigetto dell’istanza di emersione, chiedendone l’annullamento, previa sospensione degli effetti.

2.2. In particolare, ha lamentato la violazione delle garanzie partecipative al procedimento, eccesso di potere per difetto di istruttoria e insufficiente motivazione; più precisamente ha evidenziato che la motivazione del provvedimento attiene solo all’incapienza, peraltro non contestata, del reddito del datore di lavoro e che la ritenuta causa ostativa, non essendo imputabile in alcun modo al lavoratore, non avrebbe potuto pregiudicare il rilascio di un permesso di attesa occupazione, ipotesi peraltro nemmeno considerata dall’Amministrazione in contraddittorio con il richiedente. Inoltre, ha eccepito l’illegittimità dell’atto impugnato, ritenuto illegittimo perché non tradotto nella lingua madre dell’interessato.

2.3. Nel corso del processo di primo grado, la domanda cautelare avanzata dal ricorrente, respinta dal Tar, è stata accolta da questa Sezione in sede di appello in quanto “in assenza di specifiche contestazioni sul pericolo per la sicurezza pubblica deve ritenersi prevalente l’interesse dell’appellante a non vedere sacrificata la situazione giuridica vantata” (vds. ord. Cons. Stato sez. III n. 4177/2022).

2.4. Il Tar, infine, ha ritenuto il ricorso infondato perché non sussistendo “le condizioni per la emersione richieste indefettibilmente dall’art. 103, il diniego opposto alla istanza costituiva un atto dovuto, cosicché vizi e irregolarità formali (quale in particolare la mancanza di traduzione dell’atto nella lingua madre del ricorrente) non potrebbero in ogni caso giustificare l’annullamento di un provvedimento che, in sede di eventuale rinnovazione, dovrebbe essere riadottato con il medesimo contenuto (cfr. articolo 21octies della L. n. 241/90)“.

3. Con l’appello odierno, il ricorrente ha impugnato la sentenza, reiterando in chiave critica i motivi già esposti in primo grado.

4. In esito a istanza cautelare, la Sez., con ord. -OMISSIS-, ha sospeso gli effetti della sentenza del Giudice di prime cure “ritenuto che, ad una sommaria cognizione, propria della presente fase cautelare, in una valutazione comparativa dei contrapposti interessi ed in assenza di evidenze relative alla sicurezza pubblica, le esigenze cautelari prospettate dall’appellante possano essere condivise…ritenuto di sospendere gli effetti della sentenza impugnata e l’atto gravato in primo grado, al fine di preservare la posizione azionata fino alla decisione di merito“.

5.1. Con successiva ord. coll. -OMISSIS-, il Collegio “ritenuto che, ai sensi dell’art. 73 comma 3, dopo il passaggio in decisione della causa, è emerso un possibile profilo di irricevibilità del ricorso in primo grado in quanto il provvedimento di diniego è stato notificato in data 6 aprile 2021 mentre il ricorso giurisdizionale è stato notificato in data 6 aprile 2021 e depositato il successivo 28 aprile 2021″ ha assegnato all’appellante 20 giorni per presentare memoria nel senso“.

5.2. Al riguardo, il legale dell’odierno appellante:

– ha comunicato che il rigetto della dichiarazione di emersione è stato appreso solo in data 18.02.2022, data in cui è stato consegnato il provvedimento di diniego al legale dallo Sportello Unico per l’Immigrazione;

– ha evidenziato che il provvedimento di diniego notificato in data 06.04.2021 reca solo la firma della -OMISSIS- (datore di lavoro) e non anche la firma del lavoratore (-OMISSIS-).

– ha precisato che “dopo la consegna del provvedimento di diniego avvenuta in data 18.02.2022, il ri-corso giurisdizionale di primo grado veniva notificato all’Amministrazione resistente in data 22.04.2022 e depositato in data 28.04.2022. Nessun possibile profilo di irricevibilità possa essere eccepito in ordine alle date per come evidenziate nella sopra citata ordinanza“.

5.3. Il Ministero dell’Interno nel chiedere il rigetto del gravame, ha:

– riferito che “il provvedimento di rigetto emesso da questo Sportello Unico per l’Immigrazione è stato ritualmente notificato sia al datore di lavoro che al lavoratore. Risulta, infatti, agli atti di questo Ufficio una notifica effettuata a mezzo raccomandata a/r, in data 06.04.2021, presso l’indirizzo indicato nell’istanza di emersione dal sig. -OMISSIS-. La cartolina relativa all’avviso di ricevimento risulta regolarmente firmata ed il ricorrente non mai disconosciuto, nel corso del giudizio, né il citato documento né la firma ivi apposta, né ha mai proposto querela di falso”;

– precisato che “anche laddove il legale costituito non volesse tener conto della bontà della predetta notifica, si rileva che, in data 18.02.2022, risulta consegnato, nelle sue mani copia del decreto di rigetto comprensivo della relata di notifica…. Ebbene, il ricorso introduttivo è stato notificato in data 22.04.2022 e depositato in data 28.04.2022 e, dunque, ben oltre i termini previsti dalla legge“.

6. Con decreto -OMISSIS-, in esito a istanza dell’appellante, la Commissione per il patrocinio a spese dello Stato ha decretato la non ammissione dell’appellante al beneficio, perché la domanda non risulta corredata dell’istanza di certificazione rivolta all’autorità consolare competente.

7. All’udienza pubblica del 10 ottobre 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.

Diritto
1.Il ricorso è infondato.

2.1. In primo luogo, occorre rilevare che il più recente orientamento giurisprudenziale di questa Sezione ha stabilito che “la titolarità in capo al datore di lavoro di reddito nella misura indicata dall’articolo 9 del d.m. 27 maggio 2020 costituisce un presupposto indefettibile per la definizione in senso positivo della procedura dato che la titolarità di tali redditi ha la funzione di dimostrare l’effettività e/o sostenibilità del rapporto di lavoro da parte di colui che si afferma datore di lavoro ovvero si propone come tale” (Consiglio di Stato, Sez. III, 16 maggio 2024, n. 4383). Pertanto, il difetto di reddito adeguato in capo al datore di lavoro ha costituito legittimo motivo del rigetto dell’istanza di emersione.

2.2. Anche la domanda svolta in via subordinata di rilascio del permesso di soggiorno per attesa occupazione deve essere rigettata, alla luce della normativa di cui all’art. 103 d.l. n. 34/2020 che deve essere interpretata nel senso che il rilascio del permesso in parola presuppone inevitabilmente un’istanza astrattamente accoglibile, stante la sussistenza di tutti i presupposti previsti dalla legge, primo tra tutti quello reddituale. Ragionando a contrario, infatti, ove in caso di insufficienza del reddito del datore di lavoro fosse possibile il rilascio di permesso di lavoro per attesa occupazione, si priverebbe di ogni rilevanza la previsione di un reddito minimo del datore di lavoro di cui al citato art. 103, comma 6, d.l. n. 34/2020. Ciò è ancora più chiaro alla luce della ratio della norma, che è quella di prevenire elusioni e di garantire la sostenibilità del costo del lavoratore da parte del datore di lavoro (si vedano Consiglio di Stato, Sez. III, n. 8422 del 2021; n. 8007 del 2022). Questa tesi è peraltro confermata dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 209 del 2023, che ha ritenuto legittima la norma sottesa all’art. 103, commi 4, 5 e 6, laddove non prevede il rilascio del permesso di soggiorno per attesa occupazione per coloro i quali abbiano ottenuto un rigetto della domanda di emersione, dovuta al mancato possesso del requisito reddituale da parte del datore di lavoro. In particolare, essa afferma che “dal citato art. 103 emerge, infatti, l’esigenza che venga data prova della “capacità economica del datore di lavoro” e della “congruità delle condizioni di lavoro applicate”, a tutela sia dell’interesse pubblico ad evitare istanze di emersione elusive o fittizie, sia dell’interesse del singolo lavoratore assunto al rispetto del corretto trattamento retributivo e contributivo (comma 15). In tal senso depongono anche le disposizioni dettate dai commi 4 e 6 del medesimo articolo che fanno riferimento, la prima, alla retribuzione “prevista dal contratto collettivo di lavoro di riferimento stipulato dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale” e, la seconda, alla necessaria dimostrazione dell’attività lavorativa realmente svolta”; di talché “aver limitato il rilascio di un permesso di soggiorno per attesa occupazione alle sole ipotesi in cui, per fatti sopravvenuti rispetto all’avvio della procedura di regolarizzazione, sia cessato il rapporto di lavoro e averlo, di conseguenza, escluso nei casi di difetto dei requisiti normativamente prescritti per conseguire la regolarizzazione stessa, e in particolare di quelli reddituali, non valica il limite della manifesta irragionevolezza. Il rilascio di un titolo di soggiorno temporaneo in caso di cessazione del rapporto di lavoro dopo l’emersione, infatti, consente, parallelamente a quanto accade nella procedura ordinaria, la concessione al lavoratore straniero, ormai regolarmente presente sul territorio nazionale, di un certo periodo di tempo per la ricerca di una nuova attività lavorativa (art. 22, comma 11, t.u. immigrazione). Tale rilascio presuppone, perciò, che si sia accertata la sussistenza, ab origine, dei requisiti di emersione, in assenza dei quali permane, per lo straniero, la condizione di irregolare“.

2.3. Alla luce di queste considerazioni, è evidente che l’Amministrazione non avrebbe potuto rilasciare, nel caso di specie, un permesso di soggiorno per attesa occupazione, sicché il provvedimento è legittimo anche sotto questo profilo.

3. Sono del pari infondate le altre doglianze del ricorrente, con riferimento alla prospettata violazione delle garanzie partecipative di cui alla legge n. 241 del 1990 e alla mancata traduzione del provvedimento in lingua nota al ricorrente. L’apporto partecipativo del ricorrente non avrebbe determinato un diverso esito del procedimento amministrativo, posto che nemmeno nel presente giudizio il ricorrente è stato in grado di dimostrare il possesso di reddito adeguato da parte del datore di lavoro. L’asserita mancanza di traduzione del provvedimento in una lingua nota al ricorrente non ha impedito l’esercizio del diritto di difesa e tanto basta a far ritenere la allegata violazione irrilevante.

4. Per quanto detto il Collegio ritiene di dover respingere l’appello e di non ammettere al gratuito patrocinio il ricorrente.

5. Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.Respinge altresì definitivamente l’istanza di ammissione al gratuito patrocinio.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, comma 1, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità dell’appellante.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 ottobre 2024 con l’intervento dei magistrati:

(omissis)

DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 25 NOV. 2024.

Allegati

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