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Consiglio di Stato sez. II, 30/10/2024, n.8654

Massima

L’errore di fatto, idoneo a legittimare la domanda di revocazione ai sensi del combinato disposto degli artt. 106 c.p.a. e 395, comma 1 n. 4 c.p.c., è configurabile nell’attività preliminare del giudice relativa alla lettura e percezione degli atti acquisiti al processo, ma non coinvolge la successiva attività di ragionamento, apprezzamento, interpretazione e valutazione del contenuto delle domande e delle eccezioni, ai fini della formazione del suo convincimento, che può prefigurare esclusivamente un errore di giudizio, non censurabile mediante la revocazione, la quale altrimenti si trasformerebbe in un ulteriore grado del giudizio.

Supporto alla lettura

REVOCAZIONE

La revocazione è un mezzo di impugnazione delle sentenze in grado d’appello o unico grado,  a critica vincolata perché esperibile soltanto nei casi tassativamente indicati all’ art. 395 c.p.c.:

1) revocazione ordinaria:

-se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare;

– se la sentenza è contraria ad altra precedente avente fra le parti autorità di cosa giudicata, purché non abbia pronunciato sulla relativa eccezione;

2) revocazione straordinaria:

– se la sentenza pronunciata è l’effetto del dolo di una delle parti in danno dell’altra;

– se si è giudicato in base a prove riconosciute o comunque dichiarate false dopo la sentenza oppure che la parte soccombente ignorava essere state riconosciute o dichiarate tali prima della sentenza;

– se dopo la sentenza sono stati trovati uno o più documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell’avversario;

– se la sentenza è effetto del dolo del giudice, accertato con sentenza passata in giudicato.

Essa trova il suo fondamento nella scoperta di nuove circostanze che, se conosciute in precedenza, avrebbero comportato una decisione diversa da quella già presa.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
1. La sentenza oggetto del ricorso per revocazione in epigrafe ha respinto l’appello avverso la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sezione sesta, del -OMISSIS-, che aveva rigettato il ricorso proposto dal Sig. -OMISSIS- avverso il provvedimento del Capo della Polizia che ne aveva decretato la destituzione dall’Amministrazione della Pubblica Sicurezza per motivi disciplinari.

La parte della sentenza oggetto di revocazione è la seguente:

<7. – Col quinto motivo l’appellante censura la sentenza impugnata nel passaggio in cui il giudice di prime cure ha escluso la configurabilità dell’eccesso di potere per disparità di trattamento. Sostiene l’appellante che dall’esame comparato degli atti disciplinari a carico del collega -OMISSIS-, coinvolto nello stesso procedimento penale e a differenza sua condannato alla pena di un anno di reclusione, non emergerebbero quelle differenze che avrebbero giustificato il diverso trattamento disciplinare riservato ai due incolpati (il -OMISSIS- essendo stato semplicemente sospeso dal servizio per sei mesi e non, invece, destituito). Il motivo è infondato. Nel caso del -OMISSIS-, infatti, veniva in rilievo la sua conoscenza pluriennale col pregiudicato, mentre nel caso dell’appellante il rapporto di collaborazione di cui ampiamente si è detto. Ciò giustifica il rilievo del T.A.R. sulla non omogeneità delle situazioni e dei fatti oggetto di comparazione e lo rende immune dalle censure a esso rivolte. >

2. Con il ricorso per revocazione si sostiene che il giudice sia incorso in errore di fatto, attinente alla percezione del contenuto degli atti (penali e disciplinari) acquisiti al fascicolo processuale, in quanto, contrariamente a quanto motivato nella statuizione impugnata, il -OMISSIS- non solo conosceva e frequentava il pregiudicato -OMISSIS-ma, al pari del -OMISSIS-, “lavorava” presso il locale “-OMISSIS-” con compiti, anzi, di direzione rispetto agli altri poliziotti.

Sostiene il ricorrente che all’assistente di polizia -OMISSIS- era stata, sì, contestata la truffa in relazione a falsi certificati medici, ma tali certificati gli servivano proprio per evitare i turni cui era tenuto come poliziotto e andare invece a lavorare presso il locale del pregiudicato.

Tanto si evincerebbe dalla pagina 1 e 2 dell’ordinanza di custodia cautelare e sarebbe confermato dalla sentenza penale.

La svista consisterebbe nell’avere il giudice ritenuto non sussistente una circostanza (ovvero che -OMISSIS- collaborasse con il pregiudicato presso la discoteca, al pari del -OMISSIS-) quando, invece, essa era più che certa.

Quanto al giudizio rescissorio, il ricorrente evidenzia l’interesse a che sia riformata la sentenza oggetto di impugnazione nella parte in cui, confermando quella di prime cure, ha ritenuto non violato il principio di parità di trattamento, sull’errato presupposto fattuale della non omogeneità delle condotte. Se, a livello di procedimento disciplinare, per -OMISSIS- è stata ritenuta adeguata la sanzione conservativa della sospensione, la sovrapponibilità delle sue condotte con quelle del -OMISSIS- dovevano condurre anche in tal caso all’adozione della medesima sanzione, in luogo di quella massima.

3. L’Amministrazione intimata si è costituita in giudizio e con memoria ha eccepito l’inammissibilità del ricorso in quanto il ricorrente intende censurare non già un errore di fatto, bensì la valutazione sulla questione di diritto operata del giudice. La frase contestata, infatti, calata nel più ampio compendio motivazionale, risulta essere l’enunciazione in forma riassuntiva del percorso logico svolto dal giudice. Il giudice si è limitato a evidenziare i tratti differenziali che connotano in maniera più marcata la diversità tra la posizione dei due ex colleghi senza, con ciò, supporre l’inesistenza dell’espletamento di mansioni operative – tratto comune ad entrambe le posizioni – presso la discoteca “-OMISSIS-“. È di tutta evidenza che a monte dell’affermazione contestata vi sia stata una valutazione comparata delle vicende che hanno interessato i due ex-colleghi.

Pertanto, posto il comune coinvolgimento nello “stesso processo penale” (pag. 10 della sentenza), sono stati sinteticamente indicati gli elementi che, in esito alla ponderazione della documentazione prodotta, consentono di identificare la posizione del -OMISSIS- come quella di colui che, a seguito di confronto con la posizione del ricorrente, era maggiormente connotata da un legame di tipo personale. Di converso, il tratto identitario della posizione del ricorrente, di per sé idoneo a destituire di fondamento la supposta coincidenza delle posizioni giustapposte, risultava attinente al legame di tipo affaristico (v. pag. 11 della Sentenza “rapporto di collaborazione di cui ampiamente si è detto”).

Comunque, argomenta l’Amministrazione resistente, il profilo rescissorio del gravame è infondato, non sussistendo i presupposti che consentirebbero di riformare la sentenza in punto eccesso di potere per violazione del principio di parità di trattamento, date le differenze tra le posizioni dei due ex colleghi.

Tant’è vero che nel caso della posizione di altro agente della Polizia di Stato coinvolto nel medesimo procedimento penale, al quale venivano contestati i medesimi capi di accusa del ricorrente, in analogia con il caso di quest’ultimo, l’Amministrazione resistente ha adottato la sanzione della destituzione dal servizio.

4. All’udienza pubblica del giorno 22 ottobre 2024 i Difensori delle parti hanno discusso la causa che, esaurita la trattazione orale, è stata trattenuta in decisione.

Diritto
5. Il Collegio ritiene il ricorso inammissibile.

5.1. Occorre ricordare che, per pacifica giurisprudenza (tra le tante: Consiglio di Stato, sezione V, 11 settembre 2023, n. 8265), l’errore di fatto, idoneo a legittimare la domanda di revocazione ai sensi del combinato disposto degli artt. 106 c.p.a. e 395, comma 1 n. 4 c.p.c., è configurabile nell’attività preliminare del giudice relativa alla lettura e percezione degli atti acquisiti al processo, ma non coinvolge la successiva attività di ragionamento, apprezzamento, interpretazione e valutazione del contenuto delle domande e delle eccezioni, ai fini della formazione del suo convincimento, che può prefigurare esclusivamente un errore di giudizio, non censurabile mediante la revocazione, la quale altrimenti si trasformerebbe in un ulteriore grado del giudizio.

Per essere concretamente rilevante è necessario che esso:

– derivi da una semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, che abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto fattuale, ritenendo con ciò come comprovato un fatto documentalmente escluso od obiettivamente inesistente;

– sia accertabile e riscontrabile con immediatezza;

– attenga a un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato;

– sussista un rapporto di causalità tra l’erronea presupposizione e la statuizione contenuta in sentenza.

5.2. Nel caso in questione, in primo luogo quella che viene (inammissibilmente) censurata è proprio l’attività di valutazione, da parte del giudice, del materiale depositato dalla parte appellante al fine di dimostrare la pretesa disparità di trattamento tra il suo caso e quello dell’ex collega, asseritamente analogo; il giudice ha escluso tale analogia avendo rilevato dalla lettura degli atti la “non omogeneità delle situazioni e dei fatti oggetto di comparazione“.

5.3. In secondo luogo, da quanto fin qui detto, si evince come il preteso errore attenga ad un punto controverso (esplicitato nel quinto motivo di appello) su cui il giudice ha espressamente motivato.

Ma, come sopra chiarito, ricorre l’errore di fatto revocatorio quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e, in entrambi i casi, se il fatto non ha costituito un punto controverso sul quale la sentenza di cui si chiede la revocazione si è pronunciata.

Trattandosi, nel caso in questione, proprio di un “punto controverso sul quale la sentenza abbia pronunciato“, il ricorso risulta inammissibile.

6. Per completezza, il Collegio rileva che, comunque, il preteso errore è invero insussistente, avendo il giudice inteso valorizzare (sebbene in forma sintetica) che dagli atti del procedimento penale emergevano situazioni completamente diverse; in particolare, dall’esame delle sentenze penali si evince l’avvenuto accertamento a carico del -OMISSIS- di un rapporto confidenziale con il pregiudicato ed un generico coinvolgimento nella sua attività imprenditoriale, tradottosi nell’esecuzione del disbrigo di una serie di faccende, anche, in un caso, durante l’orario di servizio (quando era il dipendente era assente dal servizio per malattia, da cui l’imputazione), ma non è mai emersa (e non è stata accertata e provata nel giudizio penale), al di là di un’amicizia pluriennale, una retribuzione o compartecipazione ai proventi; mentre il ricorrente intratteneva rapporti affaristici, proseguiti anche dopo l’arresto del pregiudicato.

Da qui la correttezza della statuizione oggetto di revocazione, che ha escluso la disparità di trattamento avendo rilevato la “non omogeneità delle situazioni e dei fatti oggetto di comparazione” (nell’un caso, un rapporto di conoscenza pluriennale, nell’altro una collaborazione retribuita).

7. Conclusivamente, il ricorso dev’essere dichiarato inammissibile.

8. Le spese, come per legge, seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.Condanna il ricorrente a rifondere all’Amministrazione costituita le spese di giudizio, liquidate in euro 3.500,00 oltre accessori se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare i soggetti citati in sentenza.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 ottobre 2024 con l’intervento dei magistrati:

(omissis)

DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 30 OTT. 2024.

Allegati

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