Massima

La configurabilità del mobbing lavorativo presuppone la sussistenza congiunta di due elementi costitutivi: l’elemento oggettivo, rappresentato da una pluralità di condotte reiterate e sistematiche poste in essere dal datore di lavoro; e l’elemento soggettivo, identificabile nell’intento persecutorio del medesimo. Tale intento si manifesta attraverso atti mirati, protratti nel tempo, diretti contro il lavoratore, compiuti direttamente dal datore di lavoro, da un suo delegato o da altri dipendenti sottoposti al potere gerarchico dei primi, e comunque riconducibili alla sfera di responsabilità datoriale. 

(Rocchina Staiano)

Supporto alla lettura

MOBBING

Per “mobbing” si intende un insieme di comportamenti aggressivi e persecutori posti in essere sul luogo di lavoro, al fine di colpire ed emarginare la persona che ne è vittima. ome chiarito anche dalla giurisprudenza (cfr. ad esempio Cass. Civ., sez. Lavoro, n. 17698/2014), sono elementi costitutivi del fenomeno del mobbing:

  1. una serie di comportamenti di carattere persecutorio – illeciti o anche leciti se considerati singolarmente – che, con intento vessatorio, siano posti in essere contro la vittima in modo mirato, sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi;
  2. l’evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente;
  3. il nesso di causalità tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psico-fisica e/o nella propria dignità;
  4. l’elemento soggettivo, cioè l’intento persecutorio che unifica e lega tra loro tutti i singoli comportamenti ostili.

Nell’ordinamento italiano non esiste una norma di legge specificamente dedicata al fenomeno del mobbing. A livello di legge ordinaria, viene in rilievo l’art. 2087 c.c., che impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure che, secondo le particolarità dell’attività svolta, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro; la L. 300/1970 (Statuto dei lavoratori), il cui art. 15, in particolare, sancisce la nullità di patti o atti diretti a realizzare forme di discriminazione sul luogo di lavoro; il D.Lgs. 198/2006 (Codice delle pari opportunità tra uomo e donna), i cui artt. 25 e seguenti sono specificamente dedicati al contrasto delle discriminazioni nei luoghi di lavoro; il D.Lgs. 81/2008 (Testo unico per la sicurezza sul lavoro), il cui art. 28 impone di considerare tra i rischi per la salute dei lavoratori anche quelli derivanti da condizioni di stress lavoro-correlato. Non esiste nella legislazione vigente uno specifico reato di mobbing.

Ambito oggettivo di applicazione

FATTO e DIRITTO

1. È appellata la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima) n. 02438/2008, di reiezione del ricorso proposto dal sig. (omissis) per l’accertamento del pregiudizio alla salute risentito in conseguenza dei comportamenti tenuti dai superiori gerarchici nei suoi confronti integranti, unitariamente considerati, l’assoggettamento a mobbing.

Cumulativamente ha chiesto la conseguente condanna al risarcimento del danno patrimoniale e non ammontante ad oltre 70.000, 00 euro, oltre rivalutazione ed interessi sino al saldo.

1.1 Nell’esposizione in fatto contenuta nell’atto introduttivo, ha dato atto:

di aver prestato servizio in qualità di sergente con le mansioni di contabile presso l’Aeronautica Militare, base di Cameri;

che i numerosi episodi discriminatori tenuti nei suoi confronti sono stati forieri di danno alla salute, fra i quali ha evocato le denunce presentate nei suoi confronti dal comandante della base militare per simulata infermità e per insubordinazione con ingiuria, conclusesi entrambe con l’archiviazione;

che la condotta complessivamente considerata dai vertici militari ha integrato la violazione dell’art. 2087 c.c., ossia inadempimento contrattuale, lesivo della sua integrità fisica e morale, devoluto alla cognizione del giudice amministrativo: da cui la domanda di condanna al risarcimento dei danni dell’amministrazione resistente.

2. Affermata sulla scorta della giurisprudenza prevalente la propria giurisdizione, richiamata la nozione concettuale della categoria giuridica riassunta nel termine mobbing, il Tar ha respinto il ricorso.

In particolare i primi giudici hanno ravvisato negli episodi discriminatori, evocati dal ricorrente quali fonte del danno alla salute, l’assenza dei caratteri di continuità, uniformità e carenza di spiegazione alternativa che connotano giuridicamente la condotta datoriale corrispondente al mobbing.

3. Appella la sentenza il sig. (omissis). Resiste il Ministero della Difesa.

4. Alla pubblica udienza del 4 febbraio 2020 la causa, su richiesta delle parti, è stata trattenuta in decisione.

5. Con unico motivo, l’appellante si duole degli errori di giudizio in cui sarebbe incorso il Tar nell’escludere il disegno organico persecutorio di cui sarebbe stato vittima.

I singoli episodi, come specificamente dedotti in giudizio, corredati dall’indicazione della lista di testimoni, secondo il ricorrente, avrebbero dovuto indurre i giudici di prime cure ad approfondire il thema decidendi al fine di ricostruire “il contesto quotidiano” in cui il lavoro è stato svolto, sì da individuare – disponendo CTU – gli estremi di fatto della condotta dannosa, riservata dai superiori gerarchici nei suoi confronti.

6. Il motivo è infondato.

Nella sentenza appellata sono stati richiamati ed esaminati in dettaglio i singoli comportamenti cui fa riferimento l’appellante.

La scheda di valutazione del servizio prestato dal 6.04.2002 al 4.04.2003, oggetto di ricorso gerarchico e di successivo ricorso giurisdizionale innanzi al Tar Piemonte, non solo non è stata annullata, ma s’è attestata la legittimità del giudizio sostanzialmente negativo, espresso dagli organi di valutazione, del servizio prestato dal ricorrente.

Al riguardo – va sottolineato – il ricorrente ha offerto una parziale ed incompleta ricostruzione dei fatti, limitandosi a dolersi del comportamento persecutorio conseguente alla presentazione del ricorso gerarchico, senza a dare conto dell’esito negativo di entrambi i ricorsi (cfr. sentenza del TAR Piemonte 26 ottobre 2005 n. 3285).

Analogamente l’appellante ha omesso di ricordare che il ricorso straordinario avverso la sanzione disciplinare del rimprovero è stato respinto (cfr. parere conforme Cons. Stato sez III, 20.12.2005).

Il prospetto licenze, depositato in giudizio dall’amministrazione, assevera – con riguardo al Natale 2003 qualificato in ricorso come fatto persecutorio – una situazione opposta a quella denunciata.

In aggiunta, non va passato sotto silenzio l’esito dello scrutinio giudiziario compito dal GIP del Tribunale di Novara che, con riguardo alla denuncia presentata dal ricorrente per i reati di cui agli artt. 572, 582 e 590, comma 3, c.p. di cui sarebbe stato parte lesa, ha disposto l’archiviazione non ravvisando “un composito disegno vessatorio in danno del Volo alla luce della valutazione complessiva degli episodi esposti..”.

Né assurge a fatto discriminatorio la mancata partenza per l’Iraq del ricorrente: la scheda valutativa non pienamente positiva del servizio prestato nel 2004 giustifica il giudizio di non idoneità al suo invio in missione, posto che il ricorrente ordinariamente svolgeva le mansioni di contabile.

In definitiva gli episodi richiamati non si sono affatto tradotti in (corrispondenti) comportamenti vessatori, sì da escludere a fortiori che, complessivamente considerati, costituiscano mobbing a danno del ricorrente-appellante.

7. Sostiene l’appellante l’apoditticità della sentenza, che avrebbe statuito negativamente sulla pretesa dallo stesso avanzata pur omettendo di disporre l’audizione di testimoni etc: osserva in contrario senso il Collegio che per costante e condivisa giurisprudenza (ex aliis

Cassazione civile , sez. lav. , 11/12/2019 , n. 32381) “il mobbing lavorativo è configurabile ove ricorrano due elementi: quello oggettivo, integrato da una pluralità di comportamenti del datore di lavoro, e quello soggettivo, integrato dall’intendimento persecutorio del datore medesimo; quest’ultimo richiede che siano posti in essere atti, contro la vittima, in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo, direttamente dal datore o di un suo preposto o di altri dipendenti, comunque sottoposti al potere gerarchico dei primi due.”. Nel caso di specie, neppure in modo embrionale è stata provata, o semplicemente affermata, una condotta sussumibile nella fattispecie: come efficacemente sottolineato dall’Amministrazione nella memoria conclusionale versata in atti, i “provvedimenti” (in tesi) lesivi sono stati, unicamente, un giudizio di “Superiore alla media”,contenuto in un documento caratteristico redatto alla scadenza del 12° mese di servizio prestato, ed un (blando) provvedimento disciplinare di “Rimprovero” per aver omesso, più di una volta, il saluto militare; non v’è traccia di altre condotte “lesive”, né di alcun intento persecutorio. In tale quadro d’insieme, la causa era certamente compiutamente istruita.

8. Conclusivamente l’appello deve essere respinto.

9. Le spese del presente grado di giudizio, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna il sig. Aniello Volo al pagamento delle spese del grado di giudizio in favore del Ministero della Difesa che si liquidano in complessivi 2.000,00 (duemila) euro, oltre diritti ed accessori di legge, se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Allegati

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