(omissis)
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso proposto dinanzi al TAR per la Campania l’odierno appellante impugnava l’ordinanza prot. n. 47639/INT del 04.11.2016 – ingiunzione n. 263/2016, successivamente notificata, con cui il Dirigente del V Settore Urbanistica – Edilizia privata – Condono edilizio –Progettazione – Ecologia – Ambiente del Comune di Pompei aveva ordinato la demolizione di opere ritenute presuntivamente abusive in quanto “prive di titolo autorizzatorio” nonché ogni atto presupposto.
2. Il primo giudice respingeva il ricorso.
3. Avverso la pronuncia indicata in epigrafe propone appello l’originario ricorrente che ne lamenta l’erroneità per le seguenti ragioni: a) l’avviso di avvio del procedimento, costituendo un dovere che riveste carattere strumentale rispetto all’esigenza di conoscenza effettiva del privato, non potrebbe e non dovrebbe essere assoggettato ad un preventivo giudizio da parte dell’Autorità Giudiziaria sull’efficacia delle attività esperibili dal cittadino, al fine di ottenere un provvedimento diverso da quello adottato dall’Amministrazione intimata; b) il provvedimento impugnato non conterrebbe idonea motivazione, dal momento che non risulterebbe chiaro se il provvedimento sanzionatorio sia stato adottato per la sola assenza di un titolo legittimante la realizzazione degli interventi oggetto dell’ingiunzione gravata, oppure per il divieto di realizzare gli stessi nell’area interessata a prescindere da rilascio di un titolo abilitativo e, dunque, da un vizio sostanziale; c) l’ordinanza di demolizione non conterrebbe alcuna argomentazione a sostegno della prospettata concezione di “costruzione unitaria”, sicché l’amministrazione avrebbe agito in violazione del principio di proporzionalità, ingiungendo la demolizione indiscriminata di tutte le opere edilizie (anche di modestissime dimensioni) realizzate sul suolo di proprietà del Sig. (omissis), senza che venissero comunicate le ragioni a sostegno del ripristino dei singoli interventi edilizi, era (ed è) pertanto da considerarsi in stridente contrasto con il principio innanzi enunciato; d) da ultimo, il primo giudice avrebbe dovuto rilevare che in tema di repressione degli abusi edilizi, ai sensi del D.P.R. 380/2001, la scelta tra sanzioni applicabili competerebbe all’amministrazione, che, al fine di valutare la possibilità di ingiungere la demolizione di un’opera edilizia realizzata abusivamente, dovrebbe farsi carico di esaminare preventivamente tutti gli aspetti pregiudizievoli che potrebbero scaturire dalla sanzione demolitoria.
4. Costituitosi in giudizio, il Comune di Pompei argomenta in ordine all’infondatezza dell’avverso gravame.
5. Prima di procedere all’esame dei motivi di appello è opportuno ribadire in fatto che l’attuale appellante risultava destinatario dell’impugnata ordinanza di demolizione in qualità di proprietario e committente delle opere abusive consistenti in: consistenti in: “1) Realizzazione di fabbricato finito in tutte le sue componenti strutturali (infissi, rivestimenti, intonaco e tinteggiatura) e impiantistiche ed in uso a civile abitazione, avente in pianta forma ad L e un ingombro in pianta delle dimensioni di mt (10,00 x 13,50), fatta salva la rientranza sullo spigolo Sud-Est delle dimensioni in pianta di mt (4,50 x 5,00); l’immobile presenta un’altezza variabile, misurata dal piano di campagna fino all’estradosso di copertura, da un massimo di mt 3,65 ad un minimo di mt 2,30 circa; la struttura portante è realizzata in muratura mentre la copertura a due falde asimmetriche in legno lamellare, quest’ultima presenta uno sbalzo lungo ogni lato variabile di mt 0,50 a mt 0,80 circa e risulta completa di gronda e tubo di scarico in ferro zincato; detto fabbricato risulta contornato lungo tutti i lati da un massetto rivestito, avente in pianta un ingombro complessivo di mt (13,00 x 18,00) di altezza cm 15 circa; il lato Ovest, in corrispondenza della porta di ingresso dell’abitazione, era presente una tettoia in legno lamellare, fiscerata alla parte e poggiante su n. 2 (due) piedritti, avente in pianta dimensioni di mt (3,00 x 2,50) e altezza media di mt 2,40 circa dal piano di campagna; il fabbricato di che trattasi non risulta essere ancora visibile nei rilievi Google earth del 13.09.2007, risulta essere invece visibile la prima volta nel rilievo satellitare Google earth del 30.09.2009, fatto salvo il massetto (a) lungo i lati e la tettoia posta all’ingresso sul lato Ovest, che risultano invece visibili la prima volta nel rilevo satellitare Google earth del 15.07.2010; 2) Realizzazione di una tettoia finita ed in uso posta in prossimità Sud-Est del fabbricato di cui al precedente punto 1), in struttura portante in ferro e copertura a due falde simmetriche rivestita con tegole di laterizio, avente dimensioni in pianta di mt (3,00 x 4,00) ed altezza variabile, misurata dal piano di campagna fino all’estradosso di copertura, da un massimo di mt 2,35 ad un minimo di mt 1,95 circa; risulta visibile la prima volta nei rilievi satellitari Conte earth del 08.11.2014; 3) Realizzazione di un manufatto con struttura in muratura e copertura in lamiera coibentata, avente ingombro in pianta di mt (5,50 x 11,50), fatta salva la rientranza sullo spigolo Sud-Est delle dimensioni in pianta di mt (2,50 x 1,00); l’opera abusiva presenta altezza dal piano di campagna fino all’estradosso di copertura di mt 3,20 circa; detto manufatto, in uso, è destinato alla lavorazione dei fiori e materiali affini, compreso un frigo avente dimensione in pianta di mt (1,50 x 4,50) ed altezza fino all’intradosso della copertura; risulta visibile per la prima volta nei rilievi satellitari Google earth del 15.07.2010”.
6. L’appello è infondato e non merita di essere accolto.
6.1. Quanto al primo motivo di doglianza deve osservarsi che secondo la costanza giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. ex multis Cons. St., Sez. VI, 30 giugno 2023, n. 6399) l’ordine di demolizione di un abuso edilizio non deve essere preceduto dall’avviso ex art. 7 della L. n. 241/1990, trattandosi di una misura conseguente all’accertamento della natura abusiva delle opere edilizie costituisce un atto dovuto e, in quanto tale, non deve essere preceduto dall’avviso ex art. 7 della L. n. 241/1990, trattandosi di una misura sanzionatoria per l’accertamento dell’inosservanza di disposizioni urbanistiche secondo un procedimento di natura vincolata precisamente ordinato dal legislatore e rigidamente disciplinato dalla legge. Pertanto, la doglianza in esame non può essere accolta.
6.2. Del tutto erroneo anche in fatto è il secondo motivo di appello, dal momento che l’ordinanza di demolizione fa chiaro riferimento nel suo ordinato motivazionale alla circostanza che le opere sono state eseguite senza alcun titolo edilizio e che le stesse sono state realizzate su di un immobile sottoposto a vincolo paesaggistico con divieto di qualsiasi intervento che comporti l’incremento di volumi esistenti. Pertanto, nessun deficit di motivazione è rinvenibile in capo all’ordinanza impugnata.
6.3. Stessa sorte merita il terzo motivo di appello, dal momento che non è richiesto all’amministrazione un onere di ulteriore motivazione circa l’impossibilità di disarticolare la risposta sanzionatoria in relazione alle molteplici opere edilizie abusive. Ciò in quanto l’amministrazione non doveva procedere ad una distinzione delle opere realizzate ma ricondurle ad un unico regime autorizzatorio sul piano edilizio, poiché l’unitario pregiudizio arrecato al regolare assetto del territorio presuppone una visione parimenti unitaria dell’intervento, che non consente di segmentarlo in più parti per negarne l’assoggettabilità ad una determinata sanzione demolitoria.
6.4. Neppure può essere accolto l’ultimo dei motivi di appello, dal momento che tutti gli interventi eseguiti in totale difformità dal permesso di costruire o con variazioni essenziali che comportano aumenti di cubatura in area vincolata sono inderogabilmente soggetti a demolizione, ex art. 31, comma 2, del D.P.R. n. 380/2001. A essi non si applica la misura di fiscalizzazione dell’abuso di cui all’art. 34, comma 2 del D.P.R. n. 380/2001, prevista per i casi in cui la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità.
7. L’appello in esame deve, dunque, essere respinto. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre accessori di legge in favore del Comune di Pompei.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 luglio 2024 con l’intervento dei magistrati:
(omissis), Presidente
(omissis), Consigliere, Estensore Oreste Mario Caputo, Consigliere
(omissis), Consigliere
(omissis), Consigliere
