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Cassazione penale sez. VII, 21/02/2023 n. 23649

Massima

La circostanza aggravante dell’esposizione della cosa alla pubblica fede non è esclusa dall’esistenza, nel luogo in cui si consuma il delitto, di un sistema di videosorveglianza, mero strumento di ausilio per la successiva individuazione degli autori del reato, non idoneo a garantire l’interruzione immediata dell’azione criminosa.

Supporto alla lettura

FURTO

Il reato di furto (art. 624 c.p.) si colloca fra i reati contro il patrimonio, ai quali il codice penale dedica l’ultimo titolo del libro II. Il bene giuridico tutelato in questo caso è il patrimonio inteso come bene funzionale alla conservazione, sviluppo e autonomia della persona umana, la cui componenete più pregnante, il diritto di proprietà, è protetta anche dalla Costituzione (art. 42 Cost.).

Nella categoria del reato di furto rientrano il:

  • furto comune (artt. 624 e 625 c.p.)
  • furto in abitazione e con strappo (art. 624 bis c.p.)
  • furti punibili a querela dell’offeso (art. 626 c.p.)

Affinchè tale reato si configuri, sarà necessario che il soggetto agente compia una duplice azione:

  • la sottrazione del bene: cioè la materiale apprensione di un oggetto mobile appartenete ad altro soggetto;
  • l’impossessamento: ricorre quando una volta appreso il bene, il soggetto agente lo sottragga del tutto dalla sfera di controllo del legittimo proprietario con l’intenzione di approppriarsene definitivamente

Il furto si dice aggravato nel caso in cui ricorra una delle circostanze previste dall’art. 625 c.p. (per esempio se il fatto è commesso su cose esistenti in uffici, o sottoposte a sequestro, pignoramento o esposte alla pubblica fede o destinate al pubblico servizio; se avviene con violenza sulle cose o con mediante l’utilizzo di mezzi fraudolenti; ecc…)

Ambito oggettivo di applicazione

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

La Corte di appello di Bari, con sentenza del 17 novembre 2021, ha confermato la sentenza emessa dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Trani il 17 ottobre 2019, con cui (omissis) è stato condannato alla pena ritenuta di giustizia in relazione ai reati di furto e rapina.

Considerato che il motivo di ricorso – con cui si deduce l’inosservanza dell’art. 624, comma 1 n. 7 e n. 2, cod. pen., per avere la Corte territoriale erroneamente riconosciuto le aggravanti dell’esposizione della merce alla pubblica fede, pur in presenza di un sistema di videosorveglianza, e della violenza sulle cose, pur in difetto del danneggiamento dei beni – è privo di specificità a fronte delle argomentazioni con cui la Corte territoriale ha ritenuto configurate l’aggravante della violenza sulle cose, avendo l’imputato danneggiato la confezione dei profumi, e l’aggravante dell’esposizione dei beni alla pubblica fede, non potendo il sistema di videosorveglianza considerarsi equivalente alla presenza di una diretta e continua custodia da parte del proprietario o di altra persona addetta alla vigilanza;

rilevato che questa Corte (Sez. 5, n. 1509 del 26/10/2020, Rv. 280157 – 01; Sez. 5, n. 45172 del 15/05/2015, Rv. 265681 – 01) ha già avuto modo di affermare che, in tema di furto, la circostanza aggravante dell’esposizione della cosa alla pubblica fede non è esclusa dall’esistenza, nel luogo in cui si consuma il delitto, di un sistema di videosorveglianza, mero strumento di ausilio per la successiva individuazione degli autori del reato, non idoneo a garantire l’interruzione immediata dell’azione criminosa, mentre solo una sorveglianza specificamente efficace nell’impedire la sottrazione del bene consente di escludere l’aggravante di cui all’art. 625, comma primo, n. 7, cod. pen.;

rilevato che il secondo motivo, con cui si deduce la violazione dell’art. 628, comma secondo, cod. pen., per avere la Corte d’appello ritenuto integrata la rapina malgrado la mancanza di prova sulla sottrazione dei beni, non è consentito, perché al cospetto della motivazione della Corte territoriale, che ha ritenuto integrati tutti gli elementi della rapina impropria (v. pagina 6 della pronuncia impugnata), la doglianza è volta a sollecitare una rilettura delle emergenze processuali, non consentita in questa sede (ex plurimis Sez. U, n. 47289 del 24/9/2003, Rv. 226074 -01);

ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.

Così deciso in Roma, il 21 febbraio 2023

Allegati

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