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Cassazione penale sez. VI,11/09/2024, n.34272

Massima

La questione riguarda l’interpretazione delle conversazioni intercettate quando il loro contenuto appare incomprensibile. Questa operazione mira a chiarire il significato effettivo delle comunicazioni attraverso l’attribuzione di un nuovo significato ai termini usati. Tale attività è di natura valutativa e riguarda giudizi di merito, quindi è riservata ai giudici di primo e secondo grado, non ai giudici di legittimità. Tuttavia, in Cassazione si può esaminare l’uso delle massime interpretative per verificarne la correttezza logica.

Supporto alla lettura

INTERCETTAZIONI 

Le intercettazioni sono uno dei mezzi di ricerca della prova disciplinati dal codice di procedura penale  (Libro III, Titolo III, Capo IV, artt. 266-271). In assenza di una definizione legislativa, la giurisprudenza è intervenuta per colmare tale lacuna, stabilendo che le intercettazioni sono  captazioni occulte e contestuali di una comunicazione o conversazione tra due o più soggetti che agiscono con l’intenzione di escludere altri e con modalità oggettivamente idonee a tale scopo, attuate da un soggetto estraneo alla conversazione mediante strumenti tecnici di precisione tali da vanificare le cautele poste a protezione del carattere riservato della comunicazione

Le intercettazioni possono essere:

  • telefoniche, se consistono nell’acquisizione di telecomunicazioni attraverso il telefono o altre forme di trasmissione;
  • ambientali, se si indirizzano a colloqui tra presenti all’insaputa di almeno uno degli interessati;
  • informatiche, se si intercetta il flusso di comunicazioni relativo a sistemi informatici o telematici.

Ai sensi dell’ art. 267 c.p.p., la richiesta del PM al GIP del decreto motivato che autorizza le intercettazioni deve basarsi sui seguenti presupposti:

  • devono essere presenti gravi indizi di reato
  • l’intercettazione deve risultare assolutamente indispensabile per la prosecuzione delle indagini. L’indagine investigativa non può trarre origine dall’intercettazione.

Da ultimo, la legge 9 agosto 2024, n. 114 “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale, all’ordinamento giudiziario e al codice dell’ordinamento militare (Riforma Nordio)” ha modificato anche la disciplina relativa alle intercettazioni (si veda, ad esempio, l’ introduzione dell’obbligo di interrogatorio dell’indagato prima di disporre la misura cautelaresalvo che sia necessario l’effetto sorpresa, che deve essere documentato integralmente con riproduzione audiovisiva o fonografica a pena di inutilizzabilità, mentre esso è escluso se c’è pericolo di fuga o di inquinamento delle prove.

Si distinguono dalle intercettazioni, i tabulati telefonici che, invece, contengono l’elenco di tutte le chiamate effettuate da un telefono in un certo intervallo di tempo e consentono solamente di verificare se una conversazione telefonica v’è stata o meno, senza poter conoscere in alcun modo il contenuto della telefonata. In altri termini, solo l’intercettazione consente di “sentire” ciò che gli intercettati si stanno dicendo.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Monza, con sentenza emessa in data 28 settembre 2021, ha condannato (omissis) alla pena sospesa di un anno e quattro mesi per il reato di falsa testimonianza commesso in Monza in data 15 novembre 2021, al pagamento delle spese processuali e a risarcire i danni cagionati alla parte civile (omissis), da liquidarsi in separato giudizio.

2. La Corte di appello di Milano, con sentenza emessa in data 5 maggio 2022, in riforma della pronuncia di primo grado, ha dichiarato di non doversi procedere, per essere il reato estinto per prescrizione già anteriormente alla stessa, e ha revocato le statuizioni risarcitorie in essa contenute.

3. La Sesta sezione penale della Corte di cassazione, con sentenza n. 8725 del 10/01/2023, ha accolto il ricorso proposto dalla parte civile e ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata, disponendo la trasmissione degli atti alla Corte di appello di Milano per l’ulteriore corso.

4. Con la pronuncia impugnata la Corte di appello di Milano, decidendo in sede di rinvio, ha disposto non luogo a procedersi nei confronti dell’imputato in ordine al reato ascrittogli perché estinto per intervenuta prescrizione e ha revocato le statuizioni civili.

5. L’avvocato (omissis) difensore della parte civile (omissis), ricorre avverso tale sentenza e ne chiede l’annullamento, deducendo congiuntamente, con unico motivo, l’inosservanza degli artt. 627, comma 3, e 620 cod. proc. pen. e la mancata ottemperanza del giudice di rinvio alle statuizioni della sentenza rescindente.

Il difensore premette che la Corte di cassazione nella sentenza rescindente ha precisato che “la sentenza impugnata dev’essere annullata senza rinvio, limitatamente – com’è ovvio – ai soli effetti civili, con trasmissione degli atti al giudice di appello, per lo svolgimento del processo”.

Se, dunque, la Corte di cassazione avesse voluto annullare senza rinvio ai soli effetti civili, l’intero giudizio rescissorio, oltre che la sentenza impugnata sarebbero radicalmente nulli, in quanto operati in difetto di giurisdizione.

Secondo il difensore, tuttavia, la Corte di cassazione, per errore materiale, avrebbe indicato l’annullamento ai soli effetti civili; la Corte di cassazione, in realtà, avrebbe annullato la sentenza impugnata ai soli effetti penali, in quanto altrimenti avrebbe dovuto disporre, ai sensi dell’art. 622 cod. proc. pen., la trasmissione degli atti alla Corte di appello civile competente per materia.

La Corte di appello dì Milano, pertanto, nella sentenza impugnata avrebbe esorbitato il perimetro delineato dalla sentenza rescindente, in quanto, senza tornare sulla questione dell’accertamento del decorso della prescrizione, avrebbe dovuto limitarsi a decidere sulla pretesa risarcitoria formulata dalla parte civile in base alle regole processuali e probatorie e ai criteri di giudizio propri del giudizio civile.

Una volta escluso dalla Corte di cassazione l’integrale decorso della prescrizione prima della sentenza di primo grado, la Corte di appello avrebbe dovuto soltanto decidere la controversia civilistica connessa al procedimento penale, secondo le regole enunciate dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 182 del 2021.

Le Sezioni unite della Corte di cassazione, inoltre, nella sentenza n. 38481 del 2023, escludendo l’applicazione dell’art. 573 cod. proc. pen. i giudizi nei quali la costituzione di parte civile sia intervenuta in epoca successiva al 30 dicembre 2022, hanno sancito che l’impugnazione proposta ai soli effetti civili deve essere decisa dal giudice penale (Sez. U, n. 38481 del 25/05/2023, D., Rv. 285036 – 01).

6. Non essendo stata richiesta la trattazione orale del procedimento, il ricorso è stato trattato con procedura scritta.

Con la requisitoria e le conclusioni scritte depositate in data 15 aprile 2024, il Procuratore generale, (omissis), ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.

Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

2. Con l’unico motivo proposto, il difensore deduce l’inosservanza degli artt. 627, comma 3, e 620 cod. proc. pen. e la mancata ottemperanza del giudice di rinvio alle statuizioni della sentenza rescindente.

3. Il motivo è manifestamente infondato.

La Corte di cassazione, con la sentenza n. 8725 del 10/01/2023, ha annullato con rinvio per nuovo giudizio la sentenza emessa dalla Corte di appello di Milano in data 5 maggio 2022, in quanto ha dichiarato la prescrizione del reato in assenza della preventiva attivazione del contraddittorio con le parti private.

Il Collegio ha, inoltre, aggiunto, in via solo incidentale, che i presupposti per la declaratoria della prescrizione del reato già prima della sentenza di primo grado non risultavano accertati con certezza.

Nessuna preclusione può, dunque, ritenersi intervenuta in ordine al computo del termine di prescrizione, in quanto, a seguito di annullamento da parte della Corte di cassazione per inosservanza o erronea applicazione della legge penale, il giudice del rinvio deve ritenersi vincolato unicamente ai principi e alle questioni di diritto decise con la sentenza di annullamento, con esclusione di ogni altra restrizione derivabile da eventuali passaggi di natura argomentativa contenuti nella motivazione della sentenza di legittimità, in special modo se riferibile a questioni di mero fatto attinenti il giudizio di merito (Sez. 2, n. 33560 del 09/06/2023, Brunno, Rv. 285142-01, fattispecie in cui la Corte ha affermato che dall’annullamento per l’erroneità della precedente dichiarazione di estinzione dei reati per prescrizione, nessuna preclusione potesse derivare in ordine alla individuazione del tempo necessario a prescrivere).

La Corte di appello di Milano, dunque, nel decidere la regiudicanda penale in sede di rinvio con la sentenza impugnata, ha legittimamente dichiarato la prescrizione del reato, secondo un computo che non è contestato dal ricorrente.

La Corte di appello, inoltre, ha correttamente revocato le statuizioni civili disposte all’esito del giudizio di primo grado, in quanto il reato per cui si procede si è prescritto in data 14 luglio 2021 e, dunque, prima della pronuncia della sentenza di primo grado.

Secondo le Sezioni unite di questa Corte, infatti, in tema di decisione sugli effetti civili ex art. 578, comma 1, cod. proc. pen., il giudice di appello che, nel pronunciare declaratoria di estinzione del reato per prescrizione del reato, pervenga alla conclusione – sia sulla base della semplice constatazione” di un errore nel quale il giudice di prime cure sia incorso, sia per effetto di “valutazioni” difformi – che la causa estintiva è maturata prima della sentenza di primo grado, deve revocare le statuizioni civili in essa contenute (Sez. U, n. 39614 del 28/04/2022, Di Paola, Rv. 283670 – 01).

4. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.

In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso siano stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila Euro in favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.Così deciso in Roma, il 9 maggio 2024.

Depositato in Cancelleria l’11 settembre 2024.

Allegati

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