RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
1. L.F.A. ricorre per cassazione avverso la sentenza del Tribunale di Gela che ha applicato la pena di mesi otto di reclusione in ordine ai reati ascritti ai capi A e B dell’imputazione, unificati per la continuazione.
Deduce la violazione dell’art. 545-bis c.p.p., comma 1, che prevede che, in caso di applicazione di una pena detentiva non superiore ai quattro anni, il giudice, subito dopo la lettura del dispositivo, se ricorrono le condizioni per sostituire la pena detentiva con una delle pene sostitutive di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 53, né dà avviso alle parti.
2. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con procedura semplificata e senza formalità, perché proposto per un motivo non consentito dalla legge (art. 448 c.p.p., comma 2-bis).
La censura dedotta, infatti, non prospetta alcuna illegalità della pena, ma si limita a denunciare la violazione di una norma che non è applicabile in caso di patteggiamento.
Va, infatti, considerato che, a seguito delle modifiche introdotte all’art. 444 c.p.p., comma 1, dal D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, entrato in vigore il 30 dicembre 2022, in data antecedente, dunque, l’udienza dibattimentale nel corso della quale le parti hanno raggiunto l’accordo sull’applicazione della pena, le parti possono includere nel patto processuale anche l’applicazione di una pena sostitutiva.
Solo in tal caso è consentito al giudice del patteggiamento, all’esito della più ampia valutazione a questo demandata dall’art. 444 c.p.p., comma 3, (insussistenza di cause di proscioglimento, corretta qualificazione giuridica del fatto, applicazione e comparazione delle circostanze, determinazioni in merito alla confisca e congruità delle pene indicate dalle parti), applicare all’imputato la pena sostitutiva concordata, ove le parti ne abbiano indicato specificamente prescrizioni ed obblighi, ovvero, in caso contrario, sospendere il processo e rinviare ad altra udienza, dandone avviso alle parti ed all’ufficio di esecuzione penale esterna competente (art. 448 c.p.p., comma 1-bis), al fine di determinate contenuto e fisionomia della pena sostitutiva.
Analoga disposizione è contenuta, in caso di procedimento a citazione diretta, all’art. 554-ter c.p.p., comma 2.
Il giudice del patteggiamento può, dunque, disporre la sostituzione delle pene detentive brevi contenute entro il limite dei quattro anni di reclusione (si veda, l’art. 20-bis c.p.) solo nel caso in cui tale sostituzione costituisca oggetto dell’accordo processuale, non avendo, in caso contrario, altra alternativa tra l’accoglimento ed il rigetto della richiesta.
Come chiarisce la Relazione illustrativa al D.Lgs. n. 150 del 2022, l’art. 444 c.p.p., comma 1, deve essere interpretato nel senso che l’accordo tra le parti, sia pure in termini generali, sulla sostituzione della pena detentiva breve costituisce il presupposto essenziale per il differimento dell’udienza ai sensi dell’art. 448 c.p.p., comma 1-bis. La disposizione intende, infatti, evitare sia il rischio di richieste esplorative o meramente dilatorie, che un inutile impegno dell’ufficio di esecuzione penale esterna in attività preparatorie che poi non hanno un concreto esito processuale.
La soluzione adottata dal legislatore appare coerente con il diverso meccanismo di determinazione del trattamento sanzionatorio nel rito ordinario e in quello del patteggiamento. Nel primo caso, infatti, solo a seguito della lettura del dispositivo, l’imputato può conoscere l’entità della pena e valutare se acconsentire o meno alla sua sostituzione con una pena diversa da quella pecuniaria (art. 545-bis c.p.p., comma 1). In caso di patteggiamento, la logica è esattamente inversa e, poiché le parti già conoscono la pena detentiva che sarà applicata, il legislatore richiede che la sua sostituzione sia già inclusa nel patto processuale.
Non a caso, infatti, nell’ipotesi in cui sia necessario un differimento dell’udienza, l’art. 448 c.p.p., comma 1-bis, rinvia, in quanto compatibili, alle sole disposizioni previste dall’art. 545-bis c.p.p., comma 2, relative al sub-procedimento finalizzato ad individuare la pena sostitutiva ed il suo contenuto, e non a quelle previste dal comma 1 (in cui, come detto si prevede la diversa sequenza processuale connotata dalla lettura del dispositivo e dal successivo consenso da parte dell’imputato o del suo procuratore speciale, alla sostituzione).
3. All’inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila da versare in favore della Cassa delle Ammende, non potendosi ritenere che lo stesso abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. n. 186 del 2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 28 aprile 2023.
Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2023
