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Cassazione penale sez. VI, 27/11/2019, n.1826

Massima

L’amministratore di S.p.A. incaricata di gestione di servizi pubblici municipalizzati riveste la qualifica di incaricato di pubblico servizio

Supporto alla lettura

Si tratta di un reato proprio, potendo essere commesso da un soggetto che riveste la quali fica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio. Presupposto del reato è il possesso o la disponibilità di beni mobili altrui per ragione del proprio ufficio o servizio. Per possesso la dottrina è concorde nel ritenerlo quale potere di fatto sul bene, direttamente collegato ai poteri e ai doveri funzionali dell’incarico ricoperto. La previsione anche della disponibilità del bene rinvia alla possibilità di disporre della cosa a prescindere dalla materiale detenzione della stessa. Anche la mera disponibilità giuridica è idonea ad integrare, sussistenti gli altri elementi, il reato in esame. Sia il possesso che la detenzione devono trovare la loro ragione nell’ufficio o nel servizio svolto dal soggetto pubblico. Si postula, dunque, che l’agente pubblico, in relazione al bene, sia titolare di poteri e doveri nel momento in cui realizza la condotta tipica. Il peculato è reato plurioffensivo, nel senso che ad essere lesi dalla condotta sono sia il regolare e buon andamento della P.A. che gli interessi patrimoniali di quest’ultima e dei privati, pur incentrandosi il disvalore essenziale della condotta nell’abuso delle facoltà connesse alla qualifica pubblica rivestita in ordine alla destinazione di risorse di cui si dispone per ragione del proprio ufficio o servizio. L’elemento psicologico è rappresentato dal dolo generico, consistente nella coscienza e nella volontà dell’appropriazione. Il reato si consuma nel momento in cui ha luogo l’appropriazione dell’oggetto materiale altrui da parte dell’agente, la quale si realizza con una condotta incompatibile con il titolo per cui si possiede, a prescindere dal verificarsi di un danno patrimoniale, trattandosi di condotta comunque lesiva dell’ulteriore interesse tutelato dall’art. 314 c.p., che si identifica nella legalità, imparzialità e buon andamento della P.A. La seconda parte dell’art 314 cp ha ad oggetto il peculato d’uso. A differenza della forma che abbiamo definito poc’anzi e che consiste nella appropriazione definitiva di un bene, il peculato d’uso ha ad oggetto la condotta del Pubblico ufficiale che si impossessa del denaro o della cosa per farne un uso momentaneo e la restituisca immediatamente.
Si tratta per questo motivo di un reato meno grave, punito, come vedremo, con una pena decisamente meno severa.

Ambito oggettivo di applicazione

RITENUTO IN FATTO

  1. Con il provvedimento in epigrafe, il Tribunale di Messina ha respinto i ricorsi per riesame ai sensi del combinato disposto degli artt. 322 e 324 c.p.p. e, per l’effetto, ha confermato il decreto del 28 novembre 2018, con cui il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Messina ha disposto nei confronti degli odierni ricorrenti il sequestro preventivo, in forma diretta e per equivalente, ai sensi dell’art. 322-ter c.p., art. 321 c.p.p., comma 2, e L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 1, comma 143.

1.1. In particolare, l’ablazione cautelare è stata disposta:

– nei confronti di I.G. in relazione alla contestazione provvisoria di peculato continuato di cui ai capi 3) e K), per essersi appropriato – nella qualità di amministratore delegato della TIRRENOAMBIENTE S.p.A. dal 16 luglio 2002 al 24 ottobre 2013, incaricato di un pubblico servizio, e di EDERAMBIENTE s.c., dal 30 giugno 2011 al 31 dicembre 2013 – della somma di 1.669.454,71 Euro, nonchè, quanto alla seconda incolpazione, per essersi appropriato – nella qualità di amministratore delegato della TIRRENOAMBIENTE S.p.A. dal 16 luglio 2002 al 24 ottobre 2013 -, in concorso con N.L.D.R.C. (componente del Cda della medesima società dal 14 febbraio 2005 al 25 maggio 2015 ed amministratore della GE.SE.NU. S.p.A. dal 31 dicembre 2004 al 29 luglio 2013), della somma di 440.000,00 Euro, disponendo il pagamento a favore di quest’ultima società delle fatture indicate al capo B) relative ad operazioni oggettivamente inesistenti; precisamente, con riferimento a tali incolpazioni, nei confronti dell’ I. è stato disposto il sequestro preventivo del saldo attivo del suo conto corrente e in ragione della metà del saldo attivo di altro conto corrente fino alla concorrente somma di 1.669.454,71 Euro in relazione al capo 3) e di 440.000,00 Euro in relazione al capo K) e, in caso di incapienza, il sequestro preventivo per equivalente – fino alla concorrenza degli importi predetti (e solo per l’importo di Euro 487.999,91 Euro relativa alle fatture del 2013 di cui al capo 3) e per l’importo di 150.000,00 relativo le fatture del 2013 di cui al capo K) – dei beni immobili intestati all’indagato in ragione della quota di proprietà e delle partecipazioni societarie al medesimo riferibili (rispettivamente secondo il valore catastale e secondo il valore nominale);

– nei confronti di N.L.D.R.C. in relazione alla imputazione cautelare di peculato di cui al capo K) in concorso con I. (con la condotta sopra delineata) e, con riferimento a tale reato, è stato disposto il sequestro preventivo del saldo attivo del conto corrente dell’indagato fino alla concorrenza della somma di 440.000,00 Euro e, in caso d’incapienza, il sequestro per equivalente, sempre fino alla concorrenza dell’importo predetto (e solo per l’importo di 150.000,00 Euro relativo le fatture del 2013 indicate al capo B), dei fondi, SICAV e polizze assicurative, depositi e sotto depositi nonchè beni mobili registrati, meglio precisati in parte motiva;

– nei confronti di A.G. in relazione alla incolpazione di peculato continuato di cui al capo L), per essersi appropriato – nella qualità di amministratore delegato della TIRRENOAMBIENTE S.p.A., dal 25 ottobre 2013 al 18 luglio 2014 e dal 22 settembre 2014 al 31 ottobre 2015, incaricato di un pubblico servizio, ed amministratore della OSMON S.p.A. dal 29 marzo 2005 al 29 dicembre 2014 – della somma di 1.379.208,94 Euro, disponendo in favore di quest’ultima società il pagamento delle fatture indicate al capo E) relative ad operazioni oggettivamente in parte inesistenti; con riferimento a tale imputazione provvisoria, è stato disposto il sequestro preventivo del saldo attivo del suo conto corrente, in ragione della metà, e delle somme oggetto di deposito amministrativo, in ragione della metà, fino alla concorrenza della somma di 1.379.208,94 Euro e, in caso d’incapienza, il sequestro per equivalente, sempre fino alla concorrenza dell’importo predetto (e solo per l’importo di 693.849,91 Euro relativo alle fatture del 2013 indicate al capo L), dei beni immobili intestati all’indagato in ragione della quota di proprietà e delle partecipazioni societarie (rispettivamente secondo il valore catastale e secondo il valore nominale);

– nei confronti di C.F. in relazione alla contestazione cautelare del reato di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 2, di cui al capo G) della rubrica, per avere – quale presidente del Cda della TIRRENOAMBIENTE dal 1 aprile 2010 al 25 ottobre 2012 – utilizzato quali elementi passivi fittizi nelle dichiarazioni annuali della società per l’anno d’imposta di riferimento 2011, 2012 e 2013, fatture per operazioni inesistenti emesse da EDERAMBIENTE s.c. (capo A), GE.NE.SU. S.p.A. (capi B e C), LAUDINIA S.r.l. (capo D) e OSMON S.p.A. (capo E), con conseguente indebito risparmio di IRES da parte della società; con riferimento a tale incolpazione, nei confronti di tale indagato è stato disposto il sequestro preventivo del saldo attivo del suo conto corrente fino alla concorrenza della somma di 400.950,89 Euro e, in caso di incapienza, il sequestro preventivo per equivalente dei titoli e dei valori degli immobili riferibili al medesimo indagato.

1.2. Come premesso dal Collegio siciliano, il primo giudice ha ritenuto sussistente il fumus dei reati sulla scorta degli elementi acquisiti nel corso di una verifica fiscale iniziata il 14 dicembre 2016 nei confronti della TIRRENOAMBIENTE in liquidazione – società a capitale misto, in prevalenza pubblico, costituita per la gestione dei servizi pubblici municipali o provinciali in materia di rifiuti e di reflui fognari – nonchè dei successivi controlli espletati nei confronti delle società EDERAMBIENTE s.c., GE.NE.SU. S.p.A. e OSMON S.p.A. che avevano fornito alla prima società beni, lavori e servizi. Tenuto conto delle emergenze delle investigazioni, il pubblico ministero è pervenuto all’ipotesi accusatoria secondo cui le prestazioni fatturate alla TIRRENOAMBIENTE da parte delle società EDERAMBIENTE s.c. e GE.NE.SU. S.p.A. siano oggettivamente inesistenti e che le prestazioni fatturate dalla OSMON S.p.A. siano inesistenti solo in parte, avendo quest’ultima società operato come intermediario fra la TIRRENOAMBIENTE ed altre società, praticando un ricarico talmente elevato da risultare – ad avviso dell’inquirente – estraneo a qualunque logica commerciale.

Il Tribunale ha evidenziato come il G.i.p. abbia riconosciuto valore indiziante: a) al ricorso sistematico da parte della TIRRENOAMBIENTE all’affidamento diretto in favore di società che non figuravano nell’organico societario, quali la OSMON S.p.A., dunque in violazione delle disposizioni sulla evidenza pubblica e dell’art. 5 dello Statuto societario; b) all’affidamento diretto di lavori, servizi e forniture a società facenti parte dell’organico societario, quali la EDERAMBIENTE s.c., eccedendo sensibilmente, per tipologia e valore, il campo di attività della società affidataria; c) alle anomalie nella gestione della TIRRENOAMBIENTE, rilevate anche dall’Autorità nazionale anticorruzione (di cui in avanti A.N.A.C.) nella Delib. 10 dicembre 2015, n. 155; d) all’intreccio soggettivo esistente tra i vertici della TIRRENOAMBIENTE e delle altre società, atteso che (avendo riguardo ai soli ricorrenti) I.G. era stato amministratore delegato della TIRRENOAMBIENTE e amministratore delegato di EDERAMBIENTE; N.L.D.R.C. era stato amministratore delegato della GE.NE.SU., che a sua volta detiene il 10% del capitale sociale della TIRRENOAMBIENTE e A.G. aveva ricoperto per un periodo, in parte coincidente, la veste di legale rappresentante della OSMON e di amministratore delegato della TIRRENOAMBIENTE.

Il Collegio messinese ha dunque rimarcato come, sulla scorta di tali elementi, il primo giudice abbia ritenuto: a) i legali rappresentanti delle società fornitrici responsabili, in termini di fumus commisi delicti, del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8, per avere emesso fatture per operazioni inesistenti al fine di consentire alla TIRRENOAMBIENTE l’evasione dell’imposta sui redditi e dell’IVA (di cui alle contestazioni sub capo A) a carico di I. per TIRRENOAMBIENTE, sub capo B) a carico di N.L.D. per GE.NE.SU. e sub capo C) a carico di A. per OSMON); b) i rappresentanti legali della TIRRENOAMBIENTE responsabili – sempre in termini di fumus – del reato di cui all’art. 2 stesso decreto, per avere indicato nelle dichiarazioni fiscali annuali dette passività inesistenti al fine di evadere le imposte sui redditi e dell’IVA (in particolare, sub capo G) per C.); c) gli amministratori della TIRRENOAMBIENTE – incaricati di un pubblico servizio – responsabili, in termini di fumus, del reato di peculato, per avere disposto il pagamento delle suddette operazioni in tutto o in parte inesistenti (in particolare, sub capo J) a carico di I., sub capo K) a carico di N.L.D. e I. e sub capo L) a carico di A.).

1.3. Tanto premesso e passando alla disamina delle deduzioni mosse nei ricorsi per riesame, il Tribunale ha innanzitutto argomentato la ritenuta veste pubblicistica della TIRRENOAMBIENTE S.p.A., richiamando sul punto la giurisprudenza di questa Suprema Corte, secondo cui deve riconoscersi la qualifica di incaricato di pubblico servizio al legale rappresentante e/o al dipendente di una società di diritto privato che gestisca un servizio volto al soddisfacimento di finalità tipicamente pubblicistiche, quale appunto quella di raccolta di rifiuti solidi urbani, dovendo essere considerate alla stessa stregua anche le prestazioni di beni e servizi svolte in favore della società in oggetto, in quanto strumentali all’attività di gestione dei rifiuti.

Indi, ha evidenziato che, come già notato dal primo giudice, non è stato possibile procedere al sequestro diretto del profitto del reato per incapienza della TIRRENOAMBIENTE, la quale, al marzo del 2018, aveva disponibilità finanziarie per soli 61.992,09 Euro, a fronte del profitto del reato di cui al capo G) pari a 405.950,89 Euro, di tal che si è ineccepibilmente disposto nei confronti dell’indagato C.F. i(sequestro preventivo per equivalente del profitto del reato e, in caso di incapienza, di altri beni.

Per quanto concerne le contestazioni di peculato (sub capo 3) nei confronti di I., sub capo K) nei confronti di I. e N.L.D. e sub capo L) nei confronti di A.), il Collegio ha stimato esattamente individuato il profitto di tali incolpazioni nelle somme indicate nei correlativi capi concernenti i(reato di cui al Decreto n. 74 del 2000, art. 8 nonchè corretto il sequestro per equivalente in relazione alle somme di cui gli indagati si appropriavano successivamente all’entrata in vigore della L. 6 novembre 2012, n. 190, che ha esteso la confisca per equivalente, oltre che al prezzo, al profitto del reato. Il Tribunale ha poi osservato che, per quanto riguarda il reato di cui al capo K) contestato a N.L.D. e I., non essendo stata individuata la misura della quota di prezzo del reato attribuibile a ciascuno dei concorrenti, il G.i.p. ha correttamente disposto il sequestro dell’intero importo del prezzo per ciascun concorrente.

1.4. Con specifico riguardo alle deduzioni mosse nell’interesse di I., il Tribunale ha ribadito la natura pubblicistica di TIRRENOAMBIENTE, evidenziando come detta società fosse pertanto tenuta ad applicare il D.Lgs. n. 163 del 2006 per l’affidamento diretto alle società non figuranti nell’organico societario dell’associazione temporanea d’imprese (di qui in avanti A.T.I.); come gli affidamenti diretti anche alle società della A.T.I. abbiano ecceduto sensibilmente, per tipologia e valore, il campo delle attività della società affidataria, come anche rilevato nella delibera di A.N.A.C.; come la difesa non abbia fornito elementi obbiettivi atti a dimostrare la concreta effettuazione dei lavori relativi alle operazioni contabilizzate, inesistenza delle prestazioni confermata dalla sentenza del Tribunale di Torino, Prima Sezione civile, Sezione specializzata in materia di impresa, in cui è stata accolta la domanda della parte attrice TIRRENOAMBIENTE, dichiarando la natura di indebito oggettivo delle somme corrisposte da detta società a EDERAMBIENTE dal 1 gennaio 2005 al 31 dicembre 2013, per l’attività di supervisione e controllo della gestione TIRRENOAMBIENTE e condannando EDERAMBIENTE a restituire la somma di circa 4.700.000,00 Euro, di cui circa 3.900.000,00 Euro per la sorte capitale.

Il Tribunale siculo ha altresì posto in evidenza che- sebbene le società emittenti abbiano registrato nei libri contabili le fatture in contestazione e, dunque, pagato più imposte, compensando le minori imposte pagate dalla TIRRENOAMBIENTE – la vicenda deve essere apprezzata nel suo complesso in quanto finalizzata, in definitiva, allo svuotamento delle casse della TIRRENOAMBIENTE, rimanendo comunque ferma l’integrazione dei reati di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 2 e 8. Ad ogni modo, nei confronti di I., il provvedimento ablativo è stato disposto soltanto in relazione ai reati di peculato di cui ai capi i) e K), risultando inconferente la sollecitata esigenza di disporre il sequestro nei confronti di TIRRENOAMBIENTE, atteso che tale società risulta non beneficiaria delle somme oggetto del peculato, ma parte lesa. Il Collegio ha aggiunto che molte delle fatture emesse dalla EDERAMBIENTE risultano essere state effettivamente pagate, come convalidato anche dalla sentenza del Tribunale torinese.

1.5. Con riferimento alla posizione di N.L.D., il Giudice a quo ha posto in luce come la deduzione difensiva circa l’effettività delle operazioni fatturate da GE.NE.SU. risulti del tutto generica; come, secondo gli elementi valorizzati dal primo giudice, sussista un quadro indiziario convergente nel senso di ritenere che N.L.D. abbia concorso con I. nell’ambito di un’operazione illecita unitaria, emettendo le fatture false per conto della società GE.NE.SU. ed ottenendone poi il pagamento da parte di TIRRENOAMBIENTE, anche approfittando del suo ruolo in seno al consiglio di amministrazione di quest’ultima, così da realizzare lo svuotamento delle casse della TIRRENOAMBIENTE. Il Collegio ha aggiunto che l’intera operazione illecita non avrebbe avuto senso se il denaro fosse rimasto nella disponibilità della società GE.NE.SU., risultando evidente il fine perseguito dagli indagati di conseguire un personale arricchimento illecito. Sotto diverso aspetto, il Tribunale messinese ha rilevato che, in materia di sequestro preventivo a fini di confisca per equivalente, deve essere condiviso il principio solidaristico più volte affermato da questa Corte Suprema e che comunque, in concreto, non v’è stata alcuna duplicazione dell’ablazione disposta nei confronti di N.L.D. e di I..

1.6. In relazione alle censure mosse da A., il Collegio ha osservato quanto alla contestazione concernente la ritenuta parziale inesistenza delle operazioni fatturate da OSMON sulla scorta delle verifiche compiute dalla Guardia di Finanza – come il ricorso per riesame non consenta una valutazione della effettività e del pregio delle prestazioni, indicate come aventi un alto contenuto tecnico, essendo il ricorso all’accertamento peritale incompatibile con l’incidente cautelare.

Quanto al secondo rilievo riguardante la contestata ascrivibilità all’indagato del peculato per le disposizioni di pagamento fatte da TIRRENOAMBIENTE nel periodo antecedente all’assunzione della carica di amministratore delegato, il Tribunale ha evidenziato che, sulla scorta dell’indubitabile carattere unitario della programmazione illecita, l’amministratore della società che emette fatture per operazioni inesistenti (nella specie A. per OSMOS) fornisce un contributo necessario alla realizzazione della fattispecie concorsuale di peculato, dovendosi altresì rilevare come, nel periodo d’interesse, fosse amministratore delegato di TIRRENOAMBIENTE il coindagato I.G., richiamate sul punto le anomalie rilevate da A.N.A.C. nella delibera già citata.

Quanto poi alla richiesta di riduzione del compendio aggredito dal provvedimento cautelare reale (in particolare, di svincolo di taluni beni immobili) alla luce della perizia estimativa allegata al ricorso per riesame, il Collegio del merito cautelare ha notato, per un verso, come l’ablazione sia stata disposta soltanto in relazione agli immobili di cui ai punti 1) e 2) dello schema a pagina 5 della perizia; per altro verso, come il patrimonio di A. risulti incapiente per un valore di circa 400.000 Euro rispetto al disposto il sequestro, sicchè non è possibile disporre la limitazione del provvedimento anche assumendo corretti i valori indicati dal consulente di parte. Il Collegio ha comunque richiamato il principio affermato da questa Corte circa l’impossibilità per il Tribunale del riesame, in caso di ricorso avverso il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, di compiere accertamenti mirati a verificare il rispetto del principio di proporzionalità, dovendo l’interessato presentare un’istanza di riduzione della garanzia al pubblico ministero e, in caso di provvedimento negativo, impugnare la decisione reiettiva con l’appello cautelare. Il Giudice a quo ha aggiunto come non sia possibile procedere al dissequestro delle somme di denaro mantenendo il sequestro per equivalente sul bene immobile, giusta la controversia in ordine al reale valore di questo e la già delineata impossibilità per il Tribunale di disporre accertamenti istruttori sul punto.

1.7. Infine, quanto la posizione di C., occorre rilevare come la motivazione del provvedimento del Tribunale risulti in parte mancante, giusta l’evidente “salto” logico fra l’ultimo periodo della pagina 10 ed il primo periodo della pagina 11. Nella parte leggibile del provvedimento, il Collegio ha posto in luce come C. sia stato Presidente del consiglio di amministrazione di TIRRENOAMBIENTE dal 1 aprile 2010 sino a data non precisata (stante l’evidenziata mancanza di una parte della motivazione); come il dolo specifico di evasione fiscale possa concorrere con l’intenzione di appropriarsi successivamente delle somme pagate da TIRRENOAMBIENTE mediante i reati di peculato; come l’omesso sequestro delle disponibilità finanziarie di TIRRENOAMBIENTE (pari a circa 61.000 Euro) non pregiudichi nella sostanza la posizione del ricorrente, anche considerata l’incapienza del suo patrimonio per circa 40.000 Euro, non avendo la difesa dato prova della diretta derivazione dal reato dei beni indicati, alcuni dei quali strumentali al servizio pubblico espletato dalla società, sicchè non sussiste la manifesta sproporzione necessaria perchè possa addivenirsi ad una riduzione del sequestro nella fase incidentale; come non sia ravvisabile l’errore segnalato dalla difesa nella quantificazione dell’IRES evasa; come – infine – gli immobili siano stati sottoposti a vincolo non secondo il valore catastale – come sostenuto dalla difesa -, bensì secondo il valore di mercato.

  1. Nel ricorso a firma del difensore di fiducia, I.G. chiede l’annullamento dell’ordinanza in epigrafe per i motivi di seguito sunteggiati.

2.1. Violazione di legge penale in relazione alla ritenuta natura pubblicistica della TIRRENOAMBIENTE S.p.A. A sostegno del motivo, la difesa sottolinea come si tratti di una società mista a prevalente capitale pubblico, operante in piena autonomia negoziale senza alcun collegamento con l’ente pubblico nonchè regolamentata dal diritto societario, sicchè, contrariamente a quanto affermato dal Tribunale del riesame, la società non aveva l’obbligo di rispettare le norme di diritto pubblico per le assunzioni, i conferimenti di incarichi e gli affidamenti dei lavori.

2.2. Violazione di legge penale in relazione all’attività svolta dalla TIRRENOAMBIENTE S.p.A., trattandosi di società operante in regime di libero mercato con finalità di lucro, con un rischio d’impresa integralmente a proprio carico e con destinazione degli utili ai propri azionisti e non ad enti pubblici.

2.3. Violazione di legge penale in relazione all’affidamento dei servizi ad EDERAMBIENTE e GE.NE.SU. ed omessa valutazione dei documenti depositati. Al riguardo la difesa sottolinea come la TIRRENOAMBIENTE, in quanto società privata, non avesse l’obbligo di procedere ad alcuna gara per l’affidamento di incarichi, servizi e lavori, essendo del resto pacifica anche in giurisprudenza la legittimità dell’affidamento diretto dei lavori e dei servizi pubblici da parte di una società mista al socio privato, se quest’ultimo è stato scelto con una gara d’evidenza pubblica, a condizione che tali lavori rientrino nell’oggetto della società ed il socio privato abbia i requisiti per svolgere tali lavori o servizi. Situazione – ad avviso del ricorrente – certamente ravvisabile nel conferimento dei servizi da parte di TIRRENOAMBIENTE S.p.A. ad EDERAMBIENTE e GE.NE.SU..

2.4. Violazione di legge penale in relazione ai lavori eseguiti da EDERAMBIENTE e GE.NE.SU. e mancata valutazione dei documenti depositati. A sostegno della deduzione, il ricorrente sottolinea come i lavori affidati ad EDERAMBIENTE siano stati normalmente eseguiti con i propri uomini e mezzi, come il compenso forfettario riconosciuto fosse corretto e come TIRRENOAMBIENTE non abbia mai contestato o restituito le fatture emesse da EDERAMBIENTE; come la sentenza emessa dal Tribunale di Torino con cui EDERAMBIENTE è stata condannata a restituire alla TIRRENOAMBIENTE la somma di circa 4.700.000 Euro per l’attività di “supervisione e controllo della gestione dei servizi” costituisca piana dimostrazione del fatto che, nella specie, si tratta di questioni di natura civilistica.

2.5. Violazione di legge penale in relazione ai presunti vantaggi tratti da TIRRENOAMBIENTE, EDERAMBIENTE e GE.NE.SU. e dallo stesso I.. A tale proposito il ricorrente evidenzia come, nella specie, non si sia realizzata alcuna evasione fiscale, atteso che tutte e tre le società hanno registrato le fatture e pagato l’imposta dovuta nei confronti dello Stato e come, d’altra parte, non vi sia prova del fatto che il ricorrente si sia appropriato di alcuna somma.

2.6. Violazione di legge penale in relazione ai presupposti per disporre il sequestro preventivo nei confronti di I., stante l’assenza del fumus commissi delicti. Il ricorrente, in primo luogo, ribadisce come la TIRRENOAMBIENTE sia soggetto privato, di tal che nella specie non è ravvisabile il reato di peculato; in secondo luogo, evidenzia come EDERAMBIENTE e GE.NE.SU. abbiano effettivamente adempiuto alle prestazioni oggetto di affidamento ed indicate in fattura; in terzo luogo, nota come il sequestro preventivo dovesse essere disposto nei confronti delle società, non avendo I.G. conseguito alcun vantaggio economico dal presunto illecito; in ultimo, sottolinea come non possano essere addebitati all’indagato i fatti successivi all’agosto 2013, allorquando egli usciva di scena a causa di una grave malattia.

  1. Nel ricorso a firma del difensore di fiducia, N.L.D.R.C. chiede che il provvedimento in epigrafe sia cassato per le ragioni di seguito esposte.

3.1. Violazione di legge processuale e vizio di motivazione in relazione al fumus commissi delicti per avere il Tribunale omesso di dare risposta alle specifiche deduzioni mosse nella memoria difensiva sottoposta al vaglio del Tribunale del riesame (allegata al ricorso per cassazione). A sostegno del motivo la difesa rileva come, stando all’ipotesi accusatoria, il ricorrente si sarebbe reso responsabile del reato di peculato nella qualità di componente del consiglio di amministrazione di TIRRENOAMBIENTE nonchè di amministratore delegato di GE.NE.SU. al tempo dei fatti; come il sequestro preventivo abbia ad oggetto il profitto del reato di peculato concernente l’importo di tre fatture degli anni 2011, 2012 e 2013 emesse da GE.NE.SU. all’ordine di TIRRENOAMBIENTE per prestazioni ritenute inesistenti per complessivi 440.000 Euro, assunto che poggia su un errore giuridico di fondo consistente nell’aver ritenuto integrato il reato di peculato sebbene faccia difetto in capo al N.L.D. la qualifica di incaricato di un pubblico servizio. D’altra parte, la difesa osserva come non sia dato di comprendere sulla scorta di quale elemento fattuale, indizio o spunto investigativo, sia possibile affermare che l’indagato abbia disposto il pagamento delle fatture, essendo tale conclusione basata esclusivamente sulla posizione ricoperta dal N.L.D. all’epoca dei fatti nell’ambito di entrambe le società interessate, là dove egli non si occupava della gestione finanziaria dell’azienda in quanto semplice consigliere di amministrazione senza deleghe e senza alcun potere in sede di approvazione del bilancio, compito che lo Statuto assegnava all’assemblea ordinaria. La conclusione secondo la quale N.L.D. avrebbe ordinato il pagamento delle fatture della GE.NE.SU. risulta del resto contraddetta dall’assunto dello stesso G.i.p., secondo il quale sarebbe stato invece l’amministratore delegato, all’epoca I.G., ad attivarsi per autorizzare il pagamento delle fatture, in quanto titolare del potere di spesa. Conclusivamente, N.L.D. non aveva dunque la disponibilità del denaro materiale nè quella giuridica, nè aveva – quale consigliere di TIRRENOAMBIENTE – alcun obbligo di controllo in ordine al pagamento delle fatture emesse da GE.NE.SU..

3.2. Violazione di legge processuale e vizio di motivazione in relazione all’art. 322-ter c.p.p., per avere il Tribunale errato nel confermare il provvedimento di sequestro con riferimento al profitto relativo alle fatture emesse da GE.NE.SU. negli anni 2011 e 2012 atteso che, prima dell’entrata in vigore della L. 6 novembre 2012, n. 190, la confisca per equivalente non era consentita sicchè il profitto del reato di cui all’art. 314 c.p. avrebbe potuto essere sequestrato soltanto in forma diretta nelle casse della società GE.NE.SU. e non, per equivalente, nei confronti dell’indagato, non essendovi prova che N.L.D. sia mai entrato in possesso delle somme riconducibili alle fatture emesse da GE.NE.SU e pagate da TIRRENOAMBIENTE. Quanto poi al pagamento della fattura del 2013, il difensore rileva come il Tribunale abbia omesso di dare risposta circa l’impossibilità di procedere all’ablazione in forma specifica del profitto presso le casse della società GE.NE.SU., con ciò trascurando di considerare che tale impossibilità costituisce presupposto giuridico per poter procedere al sequestro preventivo per equivalente.

  1. Nel ricorso a firma del difensore di fiducia, A.G. sollecita l’annullamento dell’ordinanza del Tribunale di Messina per i motivi di seguito riassunti.

4.1. Vizio di motivazione e travisamento della prova nonchè mancato esame delle allegazioni difensive tese a dimostrare la totale inconsistenza dell’assunto accusatorio in ordine alla contestata ipotesi di sovrafatturazione strumentale al peculato.

4.2. Violazione di legge penale e vizio di motivazione in relazione all’art. 314 c.p. e art. 24 Cost., per avere i giudici della cautela ravvisato a carico dell’ A. il fumus del delitto di peculato sebbene questi abbia ricoperto la carica di amministratore delegato della TIRRENOAMBIENTE dal 25 ottobre 2013 al 18 luglio 2014, dunque in un periodo successivo all’affidamento dell’appalto delle commesse in contestazione a OSMON, dallo stesso amministrata dal 29 marzo 2005 al 29 dicembre 2014 e, in seguito, dal 22 settembre 2014 fino al 31 ottobre 2015. La difesa rimarca come il Collegio del gravame, nel ridisegnare la partecipazione dell’ A. nel peculato sub capo L), anzichè quale intraneus come contestato, ma quale extraneus in concorso con I. (legale rappresentante dell’epoca di emissione delle fatture ritenute inesistenti di OSMON), abbia violato il principio di necessaria correlazione fra accusa e provvedimento cautelare reale, ledendo il diritto di difesa costituzionalmente presidiato. D’altra parte, sottolinea come non vi sia comunque alcuna prova del concorso dell’odierno ricorrente con il coindagato I. nel reato di peculato. Aggiunge che, ad ogni modo, il reato di peculato è contestato solo ed esclusivamente in relazione alle fatture emesse da EDERAMBIENTE e non già per quelle emesse da OSMON. Il ricorrente rileva che, con il secondo motivo di riesame, si era evidenziato come all’ A. fosse in ipotesi contestabile il peculato solo in relazione alle disposizioni di pagamento effettuate da TIRRENOAMBIENTE nei confronti di OSMON nel periodo in cui questi risultava amministratore di entrambe le società, con conseguente richiesta di riduzione del sequestro, essendo le disposizioni di pagamento effettuate da A. in favore di OSMON pari a circa 209.000 Euro e non a circa 1.379.000 Euro come contestato.

4.3. Violazione di legge penale, vizio di motivazione e travisamento della prova in relazione all’omessa valutazione degli elementi risultanti dalla perizia di parte decisiva ai fini della decisione con riferimento alla dedotta sproporzione del sequestro e non adeguatezza del valore attribuito ai beni ai fini della legittimità della ablazione. La difesa evidenzia come, nel provvedimento di sequestro, si faccia richiamo al valore catastale dei beni immobili, mentre il Tribunale ha precisato essersi fatto in effetti riferimento al valore di mercato senza però dare conto delle modalità di calcolo di tale valore, con conseguente sproporzione del disposto sequestro, stante la sottovalutazione delle unità immobiliari sottoposte a vincolo reale (stimate complessivamente avere un valore di 532.000 Euro a fronte del valore effettivo di 1.632.000 Euro, come da valutazione compiuta dal consulente di parte e depositata nell’udienza di riesame). Sotto diverso aspetto, il ricorrente sottolinea l’errore in cui sono incorsi i giudici del merito cautelare là dove hanno ritenuto sussistente un’incapienza di 418.861,86 Euro, senza considerare il maggior valore degli immobili aggrediti e dunque l’insussistenza dei presupposti per sottoporre ad ablazione per equivalente la somma di ben 841.229,78 Euro. Si duole infine dell’omessa pronuncia del Tribunale del riesame in ordine all’eccepita impossibilità di aggredire il c.d. fondo patrimoniale.

  1. Nel ricorso a firma del difensore di fiducia, C.F. chiede l’annullamento del provvedimento del Tribunale del riesame per i motivi di seguito illustrati.

5.1. Mancanza assoluta di motivazione con riferimento al fumus del reato contestato di cui all’art. 81 c.p., comma 2, e D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2 commesso quale Presidente del Consiglio di amministrazione della TIRRENOAMBIENTE dal 1 aprile 2010 al 25 ottobre 2012. La difesa rimarca come non vi siano elementi sufficienti per affermare che C. sia coinvolto nell’appropriazione delle somme pagate per prestazioni in tutto o in parte inesistenti, essendo fatto storico pacifico e condiviso che le fatture pagate dalla TIRRENOAMBIENTE attengono a prestazioni concretamente rese. C., nella qualità di presidente del Cda, era stato dunque chiamato al pagamento di fatture afferenti ad operazioni realmente eseguite con conseguente legittima deduzione dei costi per esse sostenute.

5.2. Mancanza di motivazione in relazione al disposto sequestro preventivo a fini di confisca per equivalente, in assenza della previa verifica circa l’impossibilità di aggredire in forma diretta il profitto nelle casse della società TIRRENOAMBIENTE. La difesa rileva che i giudici della cautela si sono fermati a dare conto del rinvenimento di un saldo di 61.992,09 Euro trascurando sia il principio di diritto affermato dalla Corte di cassazione a Sezioni Unite nella sentenza Gubert – in relazione alle ragioni di impossibilità anche transitorie e irreversibile per disporre il sequestro preventivo in forma specifica -, sia il fatto che la società dispone anche di plurimi beni immobili, crediti e beni strumentali, come emerge dalla comunicazione di notizia di reato della Guardia di Finanza ed evidenziato dalla difesa nella memoria depositata nell’udienza di riesame.

5.3. Violazione di legge penale e vizio di motivazione in relazione alla quantificazione dell’IRES evasa da TIRRENOAMBIENTE, per avere i giudici della cautela omesso di considerare che la stessa Guardia di Finanza (a pagina 60 della comunicazione di notizia di reato) ha determinato l’imposta a debito evasa pari a 236.822,81 Euro e non anche l’importo erroneamente indicato nel decreto di sequestro di 405.000 Euro. Sotto diverso aspetto, la difesa censura la valutazione del valore degli immobili compiuta dal Collegio del riesame tenuto conto dei valori catastali e non anche del valore di mercato degli stessi.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

  1. I ricorsi sono fondati per le ragioni e nei limiti di seguito illustrati.
  2. Deve essere innanzitutto sgombrato il campo dal motivo – dedotto dalle difese di I. e N.L.D. sub punti 2.1, 2.2, 2.3 e 3.1 del ritenuto in fatto – con cui si è contestata la natura pubblicistica di TIRRENOAMBIENTE S.p.A. e, di conseguenza, la possibilità di ravvisare in capo ai diversi legali rappresentanti pro tempore il reato – proprio – di peculato.

2.1. Al riguardo, va preliminarmente rammentato come, a seguito della novella normativa ad opera della L. 26 aprile 1990, n. 86, il legislatore abbia impostato la nozione di pubblico ufficiale e di incaricato di un pubblico servizio secondo una concezione oggettivo-funzionale. In ossequio all’attuale formulazione dell’art. 357 c.p., “agli effetti della legge penale”, è pubblico ufficiale colui il quale esercita una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa, dovendosi ritenere amministrativa la funzione “disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi e caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi”.

La veste di pubblico ufficiale postula, pertanto, che il soggetto agente svolga in concreto mansioni tipiche dell’attività pubblica, che può manifestarsi nelle forme della pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa, mentre prescinde dall’esistenza di un rapporto di dipendenza con l’ente. Ne discende che, ai fini del riconoscimento della qualifica di pubblici ufficiali o di incaricati di un pubblico servizio “agli effetti della legge penale”, non deve aversi riguardo alla natura dell’ente da cui gli stessi dipendono, nè alla tipologia del relativo rapporto di impiego, nè ancora all’esistenza di un formale rapporto di dipendenza con lo Stato o l’ente pubblico, ma deve valutarsi esclusivamente la natura dell’attività effettivamente espletata dall’agente ancorchè soggetto “privato”.

Il criterio oggettivo-funzionale della nozione di “pubblico ufficiale” impone dunque un’attenta valutazione dell’attività concretamente esercitata dal soggetto, la ricerca e l’individuazione della disciplina normativa alla quale essa è sottoposta, quale che sia la connotazione soggettiva del suo autore, e la verifica della presenza dei poteri tipici della potestà amministrativa, come indicati dall’art. 357 c.p., comma 2, id est la constatazione che, nel suo svolgimento, l’agente abbia concorso alla formazione o alla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione ovvero esercitato poteri autoritativi o certificativi (Sez. U, n. 10086 del 13/07/1998, Citaristi, Rv. 211190; Sez. 6, n. 1943 del 13/01/1999, Mascia ed altro, Rv. 213910).

Con riguardo alla qualifica di “incaricato di un pubblico servizio”, l’art. 358 c.p. definisce tale colui il quale, a qualunque titolo, presta un servizio pubblico, a prescindere da qualsiasi rapporto d’impiego con un determinato ente pubblico. Il legislatore del 1990 (con L. 26 agosto 1990, n. 86, art. 18), nel delineare la nozione di incaricato di pubblico servizio, ha difatti privilegiato il criterio oggettivo – funzionale, utilizzando la locuzione “a qualunque titolo” ed eliminando ogni riferimento, contenuto invece nel vecchio testo dell’art. 358 c.p., al rapporto d’impiego con lo Stato o altro ente pubblico (Sez. 6, n. 53578 del 21/10/2014, Cofano, Rv. 261835).

Non si richiede, dunque, che l’attività svolta sia direttamente imputabile a un soggetto pubblico, ma è sufficiente che il servizio, anche se concretamente attuato attraverso organismi privati, realizzi finalità pubbliche. Il medesimo art. 358, comma 2 esplicita il concetto di servizio pubblico, ritenendolo formalmente omologo alla funzione pubblica di cui al precedente art. 357, ma caratterizzato dalla mancanza dei poteri tipici di quest’ultima (poteri deliberativi, autoritativi o certificativi). Il parametro di delimitazione esterna del pubblico servizio è dunque identico a quello della pubblica funzione ed è costituito da una regolamentazione di natura pubblicistica, che vincola l’operatività dell’agente o ne disciplina la discrezionalità in coerenza con il principio di legalità, senza lasciare spazio alla libertà di agire quale contrassegno tipico dell’autonomia privata, con esclusione in ogni caso dall’area pubblicistica delle mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale (Sez. 6, n. 53578 del 21/10/2014, Cofano, Rv. 261835; Sez. 6 n. 39359 del 07/03/2012, Ferrazzoli, Rv. 254337).

In applicazione di tale regulae iuris, questa Corte Suprema ha così avuto modo di affermare che riveste la qualità di incaricato di pubblico servizio il legale rappresentante di una società privata in relazione all’attività svolta per il perseguimento di un interesse pubblicistico. (Fattispecie relativa a peculato commesso dal legale rappresentante di una società privata incaricata della gestione di fondi finanziari erogati da un ente pubblico destinati al sostegno delle persone in condizioni di difficoltà economica e dunque per uno scopo di pubblico interesse) (Sez. 6, n. 39350 del 03/07/2017, Marano, Rv. 270943). Stesso principio di diritto ha affermato in relazione all’amministratore e legale rappresentante di una società privata incaricata della gestione del servizio di riscossione di tributi comunali, in considerazione della connotazione prettamente pubblicistica del servizio predetto. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza impugnata che aveva ritenuto configurabile il peculato nella condotta del soggetto autorizzato alla riscossione delle imposte comunali che aveva omesso di versare le somme di denaro ricevute nell’adempimento della funzione pubblica, trattandosi di denaro entrato nella disponibilità della P.A. nel momento stesso della riscossione). (Sez. 6, n. 46235 del 21/09/2016, Froio, Rv. 268127).

Si è quindi chiarito che, ai fini della configurazione del reato di peculato, i soggetti inseriti nella struttura organizzativa e lavorativa di una società per azioni possono essere considerati pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, allorquando la ragione d’essere della società medesima risieda nel generale perseguimento di finalità connesse a servizi di interesse pubblico, a nulla rilevando che dette finalità siano realizzate con meri strumenti privatistici. (Fattispecie nella quale la Corte ha riconosciuto la qualifica di incaricato di pubblico servizio al presidente di una società per azioni, operante secondo le regole privatistiche ma partecipata interamente da un comune, avente ad oggetto la gestione di servizi di manutenzione del verde pubblico e dell’arredo urbano). (Sez. 6, n. 1327 del 07/07/2015 – dep. 14/01/2016, Caianiello, Rv. 266265).

2.2. Di tali condivisibili linee guida ha fatto ineccepibile applicazione il Tribunale messinese nel dare risposta all’omologa deduzione mossa in sede di ricorso per riesame, là dove ha riconosciuto veste di incaricati di un pubblico servizio al legale rappresentante pro tempore della TIRRENOAMBIENTE S.p.A., in considerazione dell’attività in concreto svolta dall’ente, a prescindere dalla natura privatistica dell’ente in quanto società per azioni.

Non è invero revocabile in dubbio che l’attività gestione dei servizi pubblici municipali o provinciali in materia di rifiuti e di reflui fognari – quale appunto quella demandata alla TIRRENOAMBIENTE S.p.A. – sia strettamente funzionale al soddisfacimento di finalità tipicamente pubbliche, conferendo pertanto ai dipendenti dell’ente – in relazione allo svolgimento di dette attività – la veste di incaricato di pubblico servizio (Sez. 6, n. 49286 del 07/07/2015, Di Franco, Rv. 265702).

Veste pubblicistica che non può non riconoscersi – come ineccepibilmente rilevato dal Collegio della cautela reale – anche in relazione all’affidamento diretto di lavori, servizi e forniture a società facenti parte dell’organico societario della TIRRENOAMBIENTE ovvero ad esso estranee, in quanto strumentali alla realizzazione del suddetto interesse pubblico. Con il conseguente assoggettamento delle procedure di affidamento alle regole pubblicistiche.

  1. Coglie, di contro, nel segno il rilievo (mosso con lo stesso primo motivo sub punto 3.1 del ritenuto in fatto) con cui la difesa di N.L.D. ha denunciato la violazione di legge penale ed il difetto assoluto di motivazione del provvedimento nella parte in cui i giudici del merito cautelare hanno ravvisato il fumus del delitto di peculato in capo al ricorrente in considerazione del ruolo apicale di amministratore delegato ricoperto all’epoca delle disposizioni di pagamento delle fatture emesse in relazione ad operazioni in tutto o in parte inesistenti.

Giova sin d’ora rilevare come l’accoglimento di tale motivo non possa non interessare anche le posizioni di I. e di A., in virtù della regula iuris di cui all’art. 587 c.p.p., trattandosi di una questione di diritto di carattere generale circa i criteri d’imputazione della responsabilità penale in capo al soggetto investito della carica di amministratore delegato al momento dell’atto dispositivo, in ipotesi d’accusa integrante il delitto di peculato.

3.1. Orbene, nel dare risposta all’analoga questione posta dal N.L.D. col ricorso per riesame, i Giudici dell’impugnazione cautelare si sono soffermati a valorizzare l’interscambio delle cariche ricoperte nel tempo dagli indagati nella compagine associativa della TIRRENOAMBIENTE e delle società fornitrici dei servizi (e quindi emittenti le fatture per operazioni ritenute, in tutto o in parte, inesistenti), ma non hanno indicato gli specifici elementi sulla base dei quali abbiamo ritenuto provata – sia pure in termini di fumus boni iuris – la riconducibilità delle disposizioni di pagamento – effettuate dalla prima società a vantaggio delle seconde – al N.L.D. (così come all’ I. ed all’ A.).

In particolare, i decidenti siciliani non hanno chiarito sulla scorta di quali dati obbiettivi – di carattere strutturale ed organizzativo dell’ente, con particolare riguardo alla gestione delle risorse finanziarie dell’ente, ovvero relativi all’emissione dei mandati di pagamento delle specifiche fatture oggetto di incriminazione – sia possibile imputare ai tre ricorrenti la responsabilità penale per la distrazione dei fondi dell’ente amministrato, non potendo essa discendere dal mero fatto che essi ricoprissero la veste di amministratore delegato pro tempore, in forza di una mera di responsabilità di posizione. Trattandosi di una società per azioni di dimensioni non modeste, v’era invero da verificare se, nell’ambito della compagine associativa, la gestione finanziaria fosse stata o meno delegata ad un soggetto o ad una struttura ad hoc ovvero se dipendesse direttamente dall’apicale o comunque se lo stesso fosse tenuto a supervisionare in ordine a tale gestione e se, dunque, ne fosse in qualche modo responsabile. In sintesi, i giudici della cautela reale avrebbero dovuto verificare se le disposizioni di pagamento – in ipotesi d’accusa – distrattive siano o meno oggettivamente e soggettivamente imputabili ai tre indagati, quantomeno in termini di consapevole e volontario contributo materiale o morale al fatto materialmente realizzato da altri.

  1. E’ fondato anche il motivo con cui A. attacca il provvedimento in verifica nella parte in cui il Tribunale siciliano ha confermato la ritenuta sussistenza del fumus boni iuris per il delitto di peculato di cui al capo L), con riguardo alle disposizioni di pagamento del periodo antecedente a quello in cui egli aveva assunto la veste di amministratore delegato della TIRRENOAMBIENTE.

4.1. Nel dare risposta all’omologa censura mossa col ricorso ex art. 309 c.p.p., il Collegio del merito cautelare ha dato atto del fatto che – come evidenziato dalla difesa – effettivamente A. non ricopriva la veste di amministratore delegato della TIRRENOAMBIENTE S.p.A. all’epoca delle disposizioni di pagamento a favore di OSMON S.p.A. delle fatture (per operazioni inesistenti) di cui al capo E) negli anni 2011, 2012 e 2013 (allorquando egli era invece amministratore delegato di questa ultima società). Il Tribunale ha tuttavia ravvisato comunque gli estremi del fumus del concorso del ricorrente nel delitto in ragione del fatto che, stante il carattere unitario della programmazione illecita, egli – in quanto amministratore della società OSMOS emittente le fatture per le operazioni inesistenti – aveva comunque fornito un contributo necessario alla realizzazione della fattispecie concorsuale di peculato, in unione al coindagato I.G., amministratore delegato di TIRRENOAMBIENTE dell’epoca.

Non può peraltro non essere rilevata l’apoditticità dell’argomentare dell’organo dell’impugnazione cautelare, là dove ha poggiato il fumus boni iuris del contributo causale assicurato dall’ A. alla commissione della condotta di peculato per le disposizioni di pagamento fatte da TIRRENOAMBIENTE nel periodo antecedente all’assunzione della carica di amministratore delegato di tale ente sulla mera base della ritenuta unitarietà della programmazione illecita.

4.2. D’altra parte – e soprattutto -, il Tribunale ha ritenuto integrato il fumus commissi delicti in relazione ad una contestazione provvisoria completamente diversa da quella posta a base della cautela reale, essendo ivi ascritto all’ A. – come correttamente evidenziato dalla difesa – di avere commesso il fatto quale intraneus (cioè quale amministratore delegato della TIRRENOAMBIENTE) e non anche quale extraneus (cioè quale amministratore di altra società non incaricata di un pubblico servizio in concorso con l’intraneus I.) come invece ravvisato dal Collegio messinese.

Evidente si appalesa allora la violazione del principio di necessaria correlazione fra contestazione e provvedimento giurisdizionale.

In ossequio al principio del iura novi curia – diretta espressione del principio di legalità – cristallizzato nel combinato disposto degli artt. 521 e 522 c.p.p., il giudice è investito del potere/dovere di dare la corretta qualificazione giuridica al fatto descritto nel capo d’incolpazione, mentre gli è impedito di affermare la penale responsabilità o, in fase cautelare, di riconoscere i gravi indizi di colpevolezza (quanto alla cautela personale) o il fumus commissi delicti (quanto alla cautela reale) per un fatto, inteso come accadimento storico-fattuale, diverso da quello contestato ed in relazione al quale l’indagato è stato chiamato a difendersi (nel processo o nel procedimento incidentale de libertate).

Deve dunque essere ribadito il principio di diritto – anche di recente riaffermato da questa Corte regolatrice – secondo cui il giudice del riesame cautelare reale, pur avendo il potere di confermare il provvedimento applicativo della misura per ragioni diverse da quelle indicate nel provvedimento impugnato, trova un limite nella necessaria correlazione ai fatti posti a fondamento della misura cautelare, che non possono essere sostituiti o integrati da ipotesi accusatorie autonomamente formulate in base a dati di fatto diversi, spettando, invece, al pubblico ministero il potere di procedere nella fase delle indagini preliminari, in qualsiasi momento ed anche nel corso dell’udienza per il riesame delle misure cautelari, alle modificazioni fattuali della contestazione (da ultimo, Sez. 2, n. 10255 del 26/02/2019, PMT Mezzini, Rv. 275776).

  1. L’ordinanza impugnata deve, pertanto, essere annullata nei confronti di I., N.L.D. e A. in relazione alla ritenuta sussistenza del fumus commissi delicti quanto all’ascrivibilità delle condotte distrattive realizzate mediante il pagamento di fatture per prestazioni (in ipotesi d’accusa) in tutto o in parte inesistenti.

Con specifico riguardo alla posizione di A., in sede di giudizio di rinvio, il Tribunale dovrà valutare la ricorrenza del fumus commissi delicti con rigorosa aderenza rispetto alla specifica contestazione cautelare posta a base del provvedimento di sequestro.

  1. Sebbene assorbite dalla sopra delineata fondatezza delle deduzioni concernenti il fumus boni iuris, ai fini dell’esame che il Tribunale sarà chiamato ad espletare in sede di rinvio, giudica il Collegio necessario fare brevemente cenno alle ulteriori doglianze mosse dalle difese.

6.1. Sotto un primo aspetto, deve essere rilevato come la confisca per equivalente (detta anche confisca c.d. di valore) e, dunque, anche il sequestro finalizzato a tale tipologia di ablazione abbiano ad oggetto somme di denaro, beni o altre utilità di cui l’imputato/indagato abbia la disponibilità per un valore corrispondente al profitto del reato.

Secondo il chiaro dato testuale dell’art. 322-ter c.p., comma 2, tale forma di ablazione può essere disposta nel caso in cui non sia possibile procedere all’ablazione diretta del profitto (“quando essa non è possibile”). Prima di poter procedere alla confisca di valore – e dunque anche al sequestro preventivo a ciò finalizzato -, è dunque imprescindibile che l’A.G. abbia infruttuosamente tentato l’apprensione diretta dei beni costituenti profitto del reato, ove identificati o identificabili.

6.2. Sotto diverso aspetto, va evidenziato che, come sancito dalle Sezioni Unite di questa Corte, qualora il profitto sia costituito da una somma di denaro bene fungibile per eccellenza -, essa non è assoggettabile a confisca per equivalente, in quanto il denaro è sempre oggetto di confisca diretta, e la sua trasformazione in beni di altra natura, fungibili o infungibili, non è di ostacolo al sequestro preventivo, che può avere ad oggetto il bene di investimento così acquisito (Cass. Sez. U n. 10561 del 30/1/2014, Gubert, Rv. 258647). Nella medesima pronuncia a composizione allargata, questa Corte ha altresì affermato il principio secondo il quale, nei confronti di una persona giuridica, è sempre consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato (nella specie tributario) commesso dagli organi della persona giuridica stessa, quando tale profitto (o beni direttamente riconducibili ad esso) sia ancora nella disponibilità dell’ente (Sez. U n. 10561 del 30/1/2014, Gubert Rv. 258647).

Va ancora sottolineato che sono assoggettabili a confisca c.d. di proprietà, dunque anche a sequestro preventivo finalizzato ad ablazione diretta, anche le trasformazioni subite dal denaro collegabili causalmente al reato quale profitto immediato e soggettivamente attribuibile all’autore, cioè i c.d. surrogati: in particolare, allorquando il denaro sia stato impiegato per un investimento finanziario (Sez. U., Sez. U, n. 10280 del 25/10/2007 – dep. 06/03/2008, Miragliotta, Rv. 238700 nonchè nelle motivazioni di Sez. U., n. 10561 del 2014, Gubert cit. e di Sez. U., n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn) ovvero per l’acquisto di un bene immobile (nella motivazione di Sez. U., n. 31617 del 26/06/2015, Lucci).

6.3. Tirando le fila delle considerazioni che precedono, allorchè nel patrimonio dell’autore del reato ovvero di taluno dei concorrenti, siano individuabili il denaro costituente profitto del reato ovvero altri beni costituenti trasformazione del profitto (c.d. surrogati), prima di poter ordinare la confisca per equivalente (con la sentenza o con il provvedimento cautelare reale), è necessario previamente tentare di disporre l’ablazione in forma diretta dei valori costituenti provento di reato, essendo l’ablazione di valore legittima soltanto nel caso in cui il tentativo di aggressione diretta del profitto si sia rivelato infruttuoso.

6.4. Da un ulteriore punto di vista, va notato come, secondo l’insegnamento del più ampio consesso di questa Corte regolatrice, ai fini della confisca e quindi del sequestro preventivo a fini di confisca, il profitto del reato è costituito dal lucro, e cioè dal vantaggio economico che si ricava per effetto della commissione del reato (Sez. U del 03/07/1996, n. 9149 Rv. 205707); si tratta dunque del “beneficio aggiunto di tipo patrimoniale” di “diretta derivazione causale” dall’attività del reo, dunque dell'”utilità creata, trasformata od acquisita proprio mediante la realizzazione della condotta criminosa” (si veda nella motivazione della sentenza Sez. U del 24/05/2004, n. 29951, Focarelli, Rv. 228166; richiamata da Sez. U del 25/10/2005, n. 41936, Muci, Rv. 232164). E’ dunque escluso che possano farsi rientrare nell’alveo del profitto confiscabile quelle conseguenze positive, pur economicamente valutabili, derivanti dal reato che non costituiscano risultato immediato e diretto della condotta illecita.

Con specifico riguardo al delitto di peculato che viene in rilievo nella specie, il profitto è dunque rappresentato dal denaro o dalla cosa mobile “altrui” che costituisca oggetto di appropriazione o di distrazione (rientrando anche tale ultima condotta nel perimetro dell’art. 314 c.p. allorchè alla res sia impressa una destinazione diversa da quella consentita dal titolo del possesso per soddisfare un interesse di natura privatistica; ex plurimis, Sez. 6, n. 25258 del 04/06/2014, Pg in proc. Cherchi e altro, Rv. 260070).

6.5. Ai principi testè delineati non si è attenuto il Tribunale nel provvedimento in verifica.

Ed invero, nel ratificare il provvedimento di sequestro preventivo a fini di confisca, il Tribunale ha omesso di verificare se, prima di disporre l’aggressione cautelare per equivalente nei confronti dei singoli indagati, sia stata acclarata da parte degli inquirenti l’obbiettiva impossibilità di acquisire in forma diretta il denaro costituente profitto delle condotte di peculato in contestazione sub capi J), K) ed L) nelle casse degli enti a favore dei quali venivano pagate da TIRRENOAMBIENTE S.p.A. le fatture per le prestazioni in tutto o in parte inesistenti o comunque beni costituenti trasformazione di tale profitto (c.d. surrogati) presenti nel patrimonio degli enti medesimi.

D’altra parte, il Tribunale ha omesso di accertare se, prima di disporre il sequestro a fini di confisca per equivalente, il denaro versato da TIRRENOAMBIENTE a favore delle società emettenti le fatture per operazioni ritenute in tutto o in parte inesistenti sia stato trasferito sui conti correnti degli indagati o se sia stato trasformato in beni costituenti c.d. surrogati aggredibili in forma specifica nel patrimonio dei prevenuti, non essendo appagante – giusta l’evidente congetturalità – la considerazione svolta al riguardo, secondo la quale essi erano mossi dal fine specifico di conseguire un personale arricchimento illecito.

  1. Occorre fare un’ulteriore precisazione in relazione al passaggio della motivazione del provvedimento impugnato nel quale il Tribunale ha ritenuto legittima l’adozione del provvedimento di sequestro preventivo a fini di confisca indifferentemente nei confronti di ciascuno dei concorrenti.

7.1. Al riguardo occorre rilevare come, in virtù del principio solidaristico, fissato nell’art. 187 c.p. in relazione agli artt. 1292,2055 e 2058 c.c. e posto a base della disciplina del concorso di persone nel reato (in ragione del quale è consentita l’imputazione dell’intera azione delittuosa e dell’effetto conseguente in capo a ciascuno dei concorrenti), l’ablazione dell’intero profitto può essere eseguita nel patrimonio di uno qualunque dei concorrenti, nonostante le somme illecite siano state incamerate, in tutto o in parte, da un altro o da altri correi. In altri termini, il concorrente nel reato può legittimamente essere chiamato a rispondere dell’intero profitto che gli autori del reato hanno ricavato dall’illecito, e non soltanto della quota che di esso egli abbia eventualmente ricevuto (Sez. 3 n. 12580 del 31/3/2010, Baruffa, Rv. 246444; Sez. U n. 26654 del 27/3/2008, Fisia Italimpianti Spa e altri, Rv 239926).

Ciò nondimeno, come le Sezioni Unite di questa Corte hanno avuto modo di affermare a chiare lettere, ferma la possibilità di aggredire contemporaneamente od indifferentemente i beni di uno qualunque dei concorrenti, il vincolo cautelare non può comunque eccedere il valore complessivo del suddetto profitto (Sez. 6, n. 21222 del 25/01/2013, S.i.s.me.r. S.r.l. Rv. 256545; Sez. 6, n. 28264 del 26/03/2013, Anemone e altro Rv. 255610; Sez. 2, n. 21227 del 29/04/2014, Riva Rv. 259716; Sez. U n. 26654 del 27/3/2008, Fisia Italimpianti Spa e altri, Rv 239926).

Rimane ovviamente salvo l’eventuale successivo riparto pro quota tra i medesimi concorrenti, aspetto che, in quanto fatto interno a questi ultimi, non assume peraltro alcun rilievo sul piano penale.

  1. Benchè assorbito da quanto rilevato in punto di fumus commissi delicti, risulta fondato anche l’ulteriore motivo con il quale A. contesta la sottoposizione ad ablazione cautelare di beni per un valore di gran lunga eccedente l’entità del profitto dei reati posti a base del provvedimento di sequestro.

8.1. Non è revocabile in dubbio – e deve pertanto essere ribadito – che in tema di sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente, il decreto del giudice può limitarsi a determinare il valore del prezzo o del profitto del reato, mentre l’individuazione specifica dei beni da apprendere e la verifica della corrispondenza del loro valore al quantum indicato nel provvedimento è riservata alla fase esecutiva demandata al pubblico ministero e alla polizia giudiziaria (da ultimo, Sez. 3, n. 17087 del 15/03/2019, Savarese, Rv. 275944).

8.2. D’altra parte, costituisce ius receptum che, in tema di sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente, il valore dei beni da sottoporre a vincolo deve essere adeguato e proporzionato al prezzo o al profitto del reato e che il giudice, nel compiere tale verifica, deve fare riferimento alle valutazioni di mercato degli stessi, avendo riguardo al momento in cui il sequestro viene disposto. (Fattispecie di sequestro di immobile finalizzato alla confisca e alla acquisizione al patrimonio comunale, in cui la Corte ha ritenuto illegittimo il ricorso al valore catastale del bene, che la difesa aveva evidenziato essere sensibilmente sproporzionato rispetto al valore iscritto nel bilancio del comune beneficiario). (Sez. 3, n. 9146 del 14/10/2015 – dep. 04/03/2016, Fundarò, Rv. 266453).

8.3. E’ ancora pacifico che il Tribunale del riesame, tranne i casi di manifesta sproporzione tra il valore dei beni e l’ammontare del sequestro corrispondente al profitto del reato, non è titolare del potere di compiere mirati accertamenti per verificare il rispetto del principio di proporzionalità, con la conseguenza che il destinatario del provvedimento di coercizione reale può presentare apposita istanza di riduzione della garanzia al P.M. e, in caso di provvedimento negativo del g.i.p., può impugnare l’eventuale decisione sfavorevole con l’appello cautelare (Sez. 2, n. 36464 del 21/07/2015 Armeli e altro Rv. 265057; Sez. 2, n. 26340 del 28/02/2018, Ferrara, Rv. 272882). Ciò nondimeno il Collegio della cautela, ai fini della determinazione del profitto sequestrabile, è obbligato a valutare il contenuto della consulenza tecnica di parte eventualmente presentata e ad indicare puntualmente la sua pertinenza o meno rispetto all’oggetto dell’indagine nonchè i dati tecnici che si sottraggono alla diretta verifica in tale momento procedimentale, in assenza di un accertamento peritale, incompatibile con l’incidente cautelare (Sez. 6, n. 53834 del 26/10/2017, Tibi e altro, Rv. 271575; Sez. 3, n. 29431 del 10/05/2019, Fraone Rv. 276272).

8.4. Sulla scorta delle considerazioni che precedono risulta ammissibile e fondata l’eccezione mossa dall’ A. là dove ha eccepito la violazione di legge e la radicale assenza di motivazione (sostanziante una violazione di legge processuale ex art. 125 c.p.p., comma 3) in relazione alla disposta aggressione reale dei beni immobili in relazione al loro “valore catastale” e “non di mercato”.

Ed invero, nel respingere l’analoga doglianza mossa con il ricorso per riesame, il Tribunale – pur dando conto dell’erroneità dell’ablazione dei beni immobili formalmente disposta dal G.i.p. in ragione del loro “valore catastale” ha poi radicalmente omesso di confrontarsi con il contenuto della perizia estimativa del valore dei beni immobili prodotta dalla difesa in udienza tesa a dimostrare come, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, i beni immobili dell’ A. sia stati anche in concreto aggrediti sulla base del loro valore catastale, fondandosi la richiamata nota della Guardia di Finanza su tale parametro e non sul valore di mercato, come invece prescritto dal c.d. diritto vivente.

  1. E’ invece inammissibile l’ulteriore motivo con il quale A. denuncia l’omessa risposta in ordine alla questione (posta col ricorso per riesame) concernente la non aggredibilità dei beni oggetto del fondo patrimoniale.

9.1. E’ pacifico che l’omessa risposta su di un aspetto potenzialmente rilevante sia suscettibile di dare luogo ad una violazione di legge processuale ai sensi dell’art. 125 c.p.p., comma 3.

Il ricorso per cassazione deve tuttavia ritenersi inammissibile, per carenza d’interesse, allorchè il giudice di secondo grado non abbia preso in considerazione un motivo che risulti ab origine inammissibile per manifesta infondatezza, in quanto l’eventuale accoglimento della doglianza non sortirebbe alcun esito favorevole in sede di giudizio di rinvio (Sez. 2, n. 10173 del 16/12/2014 – dep. 2015, Bianchetti, Rv. 263157).

9.2. Ne discende che, nel caso di specie, in capo all’ A. non è ravvisabile alcun interesse in relazione all’omessa pronuncia del Tribunale messinese quanto al fondo patrimoniale costituito il 13 settembre 2000, trattandosi di doglianza all’evidenza destituita di fondamento là dove, secondo la lezione ermeneutica di questa Corte di legittimità, il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente può avere ad oggetto anche i beni inclusi in un fondo patrimoniale familiare, in quanto su di essi grava un mero vincolo di destinazione che non ne esclude la disponibilità da parte del proprietario che ve li ha conferiti (Sez. 3, n. 40362 del 06/07/2016, D’Agostino, Rv. 268586; Sez. 3, n. 40364 del 19/09/2012 Chiodini Rv. 253681).

  1. Una trattazione a parte merita la posizione di C.F. nei confronti del quale la cautela reale è stata disposta – diversamente dagli altri ricorrenti – in relazione alla contestazione provvisoria di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 2, sub capo G) della rubrica, per avere, quale presidente del Consiglio di amministrazione della TIRRENOAMBIENTE dal 1 aprile 2010 al 25 ottobre 2012, utilizzato quali elementi passivi fittizi delle dichiarazioni annuali della società per l’anno d’imposta di riferimento 2011, 2012 e 2013, fatture per operazioni inesistenti emesse da EDERAMBIENTE s.c. (capo A), GE.NE.SU. S.p.A. (capi B e C), LAUDINIA S.r.l. (capo D) e OSMON S.p.A. (capo E), con conseguente indebito risparmio di IRES da parte della società.

10.1. Mette conto di rammentare che il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti di cui al citato art. 2 punisce “chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi passivi fittizi”. Giusta l’inequivoco enunciato normativo, il reato in oggetto è integrato allorchè l’autore abbia agito con la specifica finalità di “evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto”.

Sempre in linea generale occorre notare come, in sede di riesame dei provvedimenti che dispongono misure cautelari reali, al giudice sia demandata una valutazione sommaria in ordine al fumus del reato ipotizzato relativamente alla sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie contestata, con la conseguenza che lo stesso giudice può rilevare anche il difetto dell’elemento soggettivo del reato, purchè esso emerga ictu oculi (Sez. 3, n. 26007 del 05/04/2019, Pucci, Rv. 276015; Sez. 2, n. 18331 del 22/04/2016, Iomnni e altro, Rv. 266896).

10.2. Sulla scorta di quanto sopra, i giudici della cautela reale – chiamati a delibare la censurata sussistenza del fumus del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2 in relazione al quale è stato disposto il sequestro preventivo nei confronti di C. – avrebbero dovuto verificare se, nella specie, risultasse o meno ictu oculi mancante l’elemento soggettivo del reato fiscale. Verifica ineludibile là dove – secondo la stessa impostazione d’accusa di cui v’è precisa evidenza nello stesso provvedimento in verifica- le fatture per operazioni in tutto o parte inesistenti erano volte, più che a consentire l’evasione delle imposte dovute, a distrarre risorse finanziarie della TIRRENOAMBIENTE S.p.A..

Nell’ordinanza impugnata non v’è traccia di una risposta a tale nodale interrogativo, giusta anche la già sopra rilevata mancanza di alcuni passaggi della motivazione del provvedimento in verifica (segnatamente fra l’ultimo periodo della pagina 10 ed il primo periodo della pagina 11). Materiale mancanza che si traduce in un difetto assoluto di motivazione sul fumus commissi delicti e dunque su di un aspetto rilevante ai fini del mantenimento della cautela reale, dante luogo ad una violazione di legge processuale ex art. 125 c.p.p., comma 3, e coltivabile con il ricorso per cassazione ex art. 325 c.p.p. e art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c).

10.3. L’ordinanza impugnata deve pertanto essere annullata con rinvio anche con riguardo alla posizione del C..

Devono essere integralmente richiamate le considerazioni sopra svolte in relazione alle posizioni degli altri ricorrenti quanto alla possibilità di procedere al sequestro preventivo a fini di confisca per equivalente solo subordinatamente all’acclarata impossibilità di procedere all’ablazione in forma diretta del profitto del reato in ipotesi rinvenibile nella disponibilità della TIRRENOAMBIENTE S.p.A. (che se ne sarebbe appunto avvantaggiata), dunque aggredendo previamente la somma presente nei conti correnti della società (circa 61.000 Euro) ed i beni in cui il profitto del reato fosse stato eventualmente trasformato (c.d. surrogati).

PQM

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Messina, sezione riesame.

Così deciso in Roma, il 27 novembre 2019.

 

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