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Cassazione penale sez. VI, 26/03/2019, n.24206

Massima

In tema di maltrattamenti in famiglia, stante la natura di reato abituale, la competenza per territorio si radica innanzi al giudice del luogo di realizzazione dell’ultimo dei molteplici fatti caratterizzanti il reato.

Supporto alla lettura

Maltrattamenti in famiglia

Il reato di maltrattamenti in famiglia si colloca nella parte del codice penale dedicata ai delitti contro la famiglia e l’assistenza familiare, caratterizzati dal fatto che l’offesa deriva da membri dello stesso gruppo familiare al quale appartiene la vittima.
In realtà, limitare alla famiglia l’oggetto giuridico del reato ex articolo 572 del codice penale, sarebbe fuorviante.
In primo luogo perché, anche in base alla interpretazione letterale, il bene giuridico protetto è l’integrità psicofisica e morale della vittima.
In secondo luogo perché rispetto agli altri reati previsti nel titolo XI del codice penale, il soggetto passivo non è necessariamente un familiare dell’agente, ma chiunque abbia con lui una relazione qualificata (rapporto di convivenza, sottoposizione per ragioni di autorità, affidamento per ragioni di educazione, cura, istruzione, vigilanza, custodia, esercizio di una professione o arte).
Ne consegue che l’effettivo fondamento giuridico dell’art 572 c.p. deve essere rinvenuto nella stabilità del vincolo affettivo e/o umano tra l’agente e soggetti ritenuti “deboli” ed esposti a episodi di sopraffazione da parte del soggetto “forte”, anche in applicazione di quanto previsto dalla ratificata Convezione di Lanzarote del 2007.
Tra i vari interventi che hanno modificato l’art. 572 c.p. negli anni, si ricorda:

  • la legge n. 172 del 2012 con la quale il legislatore ha incluso i semplici conviventi nel novero delle vittime di maltrattamenti;
  • la legge 69 del 2019 (c.d. Codice Rosso) che ha inasprito il regime sanzionatorio, soprattutto per contrastare episodi di c.d. violenza domestica e che ha inserito l’ultimo comma dell’articolo 572 c.p. che prevede che il minore che assiste ai maltrattamenti familiari debba essere considerato persona offesa.

Ambito oggettivo di applicazione

1. Con ordinanza n. 290/19 emessa il 7/02/2019, il Tribunale di Roma ha confermato la misura della custodia cautelare in carcere applicata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Latina l’11/01/2019 a L.C.V. ex artt. 94 e 572 c.p. (capo A, fino al 9/01/2019) e ex artt. 582 e 585 in relazione all’art. 576 c.p., comma 1, n. 5 e art. 577 c.p., comma 1, n. 1 e 4 e art. 61 c.p., n. 1) (capo B, il 9/01/2019) per i maltrattamenti e le lesioni in danno della convivente T.A.M. descritte nelle imputazioni provvisorie commessi in (OMISSIS).

2. Nel ricorso presentato dal difensore di L. si chiede l’annullamento dell’ordinanza del Tribunale del Riesame, deducendo: a) inosservanza degli artt. 8 e 12 c.p.p. e vizio della motivazione nel rigettare l’eccezione di incompetenza territoriale, essendo competente il Tribunale di Pistoia perchè il reato di maltrattamenti per il quale si procede si era già consumato (quale reato abituale) nel territorio di Pistoia e già il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pistoia aveva al riguardo emesso ordinanza cautelare; b) erronea applicazione dell’aggravante ex art. 94 c.p. e vizio della motivazione anche per omesso riscontro ai correlati motivi di riesame, mancando sostegno alla contestazione della aggravante della ubriachezza abituale fondata solo sul fatto che la persona offesa riferisce che al momento delle liti L. aveva assunto bevande alcoliche; c) erronea applicazione delle aggravanti ex art. 577 c.p., comma 1, nn. 1 e 4 e art. 61 c.p., nn. 1 e 4 e carenza di motivazione al riguardo; d) erronea applicazione degli artt. 274 e 275 c.p.p., per avere trascurato l’incensuratezza del ricorrente e negato l’applicazione degli arresti domiciliari con il braccialetto elettronico, affermando apoditticamente che l’indagato si sottrarrebbe facilmente alle prescrizioni dell’Autorità giudiziaria e non formulando prognosi circa la prevedibilità di una pena superiore ai tre anni di reclusione ex art. 275 c.p.p., comma 2-bis.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è infondato.

Il reato abituale è una categoria non legislativa, ma elaborata dalla dottrina e recepita dalla giurisprudenza per denominare (altri termini usati sono reato a condotta plurima o reiterata, reato collettivo, reato frequentativo, reato continuativo, reato complesso individuale) condotte (che non necessariamente devono risultare di per sè penalmente illecite) la cui pluralità è elemento costitutivo di una tipologia di reati, in cui rientra anche la fattispecie incriminatrice dei maltrattamenti ex art. 572 c.p., costituito da una serie di fatti, che integrano il reato per la loro reiterazione, la quale si protrae nel tempo, e dalla persistenza dell’elemento intenzionale, con una estensione della condotta che è variabile, nel senso che la sua avvenuta consumazione non ne esclude un prolungamento, come anche la sua ripresa dopo una interruzione (così da potersi configurare una continuazione fra reati di maltrattamenti).

Il reato di maltrattamenti presenta, quindi, una struttura diversa da quella del reato permanente di cui tratta l’art. 8 c.p.p., comma 3, nel regolare la competenza territoriale: poichè i fatti debbono essere molteplici e la reiterazione presuppone un arco di tempo che può essere più o meno lungo, ma comunque apprezzabile, la consumazione del reato si perfeziona con l’ultimo di questa serie di fatti (Sez. 6, n. 3032 del 16/12/1986, dep. 1987, Rv. 175315).

Nel caso in esame, l’ordinanza confermata dal Tribunale di Roma è stata emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Latina l’11/01/2019, per condotte realizzate nel territorio di Latina culminate con le lesioni del (OMISSIS) ma segnalazioni delle quali risalgono al (OMISSIS) (sempre nel territorio laziale), già prima che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pistoia il 18/01/2019 applicasse a L. il divieto di accedere o dimorare nella Provincia di Pistoia senza l’autorizzazione del Giudice (in relazione a condotte realizzate nel territorio di Pistoia) e il cui inizio è collocato “nel corso dei mesi antecedenti al giugno 2018 mentre l’ultimo episodio è del (OMISSIS). In ogni caso, il Giudice di Latina ha deciso, prima di quello di Pistoia su fatti commessi nel suo territorio e successivi a quelli valutati dal secondo Giudice: anche se dovesse configurarsi un’unica condotta unitaria l’ultimo evento consumato e con esso il completamento della fattispecie storica concreta sarebbe avvenuta nel territorio latino.

2. Il secondo e il terzo motivo di ricorso possono trattarsi unitariamente e sono infondati.

E’ inammissibile, per carenza di interesse, il ricorso per cassazione contro un provvedimento de libertate non rivolto a contestare la sussistenza del quadro indiziario e delle esigenze cautelari ma solo la configurabilità di determinate circostanze aggravanti, quando dall’esistenza o meno di tali circostanze non dipende, per l’assenza di ripercussioni sull’an o sul quomodo della cautela, la legittimità della disposta misura (Sez. 3, n. 36731 del 17/04/2014, Rv. 2602560).

Nel sistema processuale penale, la nozione di interesse a impugnare va individuata in una prospettiva utilitaristica, ossia nella finalità, connessa con il sistema normativo, del soggetto legittimato di rimuovere una situazione di svantaggio processuale derivante da una decisione giudiziale o di conseguire un’utilità, ossia di una decisione più vantaggiosa rispetto a quella oggetto del gravame (Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011, dep.2012, Rv. 251693).

L’interesse che costituisce ex art. 568 c.p.p., comma 4, condizione di ammissibilità di qualsiasi impugnazione deve, quindi, necessariamente essere concreto e attuale, mirante a un risultato – correlato agli effetti primari e diretti del provvedimento da impugnare – non soltanto teoricamente corretto ma anche praticamente favorevole (Sez. U, n. 62031 del 11/05/1993, Rv. 193743; Sez. U, n. 9616 del 24/03/1995, Rv. 202018; Sez. U, n. 42 del 13/12/1995, Rv. 203093; Sez. U, n. 29529 del 25/06/2009, Rv. 244110).

Lo scopo dei procedimenti cautelari de libertate non consiste in un’anticipazione del giudizio di merito ma nell’assicurare protezione a interessi di preminente rilievo che risulterebbero compromessi in assenza dell’adozione di cautele, essendo riservata la soluzione di ogni altra questione, che non interessi l’an o il quomodo della misura, al giudizio di merito.

Gli unici casi in cui può sussistere un interesse a contestare la configurabilità di circostanze aggravanti, si hanno quando queste incidono sul computo della pena edittale, in relazione alla disciplina dettata dagli artt. 278 e 280 c.p.p., o incidano sulla competenza, specie se funzionale, o determinino il ricorso a particolari presunzioni (come nel caso della L. 12 luglio 1991, n. 203, art. 7) e più in generale quando dall’esistenza o meno della circostanza aggravante dipenda in modo specifico la legittimità della misura cautelare o la sua durata (o, infine, la prescrizione del reato).

Nel caso in esame se anche le aggravanti (a effetto ordinario) ex art. 94 c.p., art. 577 c.p., comma 1, nn. 1 e 4 e art. 61 c.p., nn. 1 e 4, non fossero configurabili non si avrebbero delle ripercussioni sull’andamento del procedimento cautelare e sulle sorti della misura.

3. Il quarto motivo di ricorso è infondato.

Il Tribunale rinvia alle ragioni espresse nell’ordinanza cautelare genetica per l’esclusione dell’applicabilità dell’art. 163 c.p. e la possibilità di contenere nel limite dei tre anni di reclusione, ma non manca, comunque, di evidenziare al riguardo le “gravi modalità delle condotte ascritte”, l’indole particolarmente violenta del ricorrente (per quanto incensurato) agevolata dall’abuso di sostanze alcoliche che gli causano assoluta incapacità di autocontrollo e, l’assenza di resipiscenza e i precedenti giudiziari analoghi.

Per questa via ha adeguatamente motivato anche la inidoneità della misura degli arresti domiciliari anche con applicazione del braccialetto elettronico a evitare il rischio che egli, allontanandosi dal domicilio, reiteri condotte analoghe a quelle per le quali si procede.

4. Dal rigetto del ricorso deriva ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma alla Cassa delle Ammende che si stima equo determinare in Euro 2000.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

Così deciso in Roma, il 26 marzo 2019.

Allegati

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