• Home
  • >
  • Cassazione penale Sez. VI, 25/09/2025, n. 31919

Cassazione penale Sez. VI, 25/09/2025, n. 31919

Massima

In tema di estradizione, ai sensi dell’art. 4, comma 1, lett. b), della L. 3 maggio 2004, n. 135 (ratifica del Trattato di estradizione tra Italia e Perù), la prescrizione dell’azione penale secondo la legge di una delle Parti costituisce una causa di rifiuto obbligatoria della consegna.

Supporto alla lettura

RAPINA

Si configura il delitto di rapina (art. 628 c.p.) quando l’impossessamento di un bene mobile altrui è realizzato con violenza o minaccia alla persona, posta in essere prima dell’impossessamento, proprio al fine della sua attuazione, oppure immediatamente dopo di esso, per assicurare a sè o ad altri l’impunità.

Si tratta di un reato complesso in cui la condotta tipica del reato di furto (art. 624 c.p.) si accompagna alla violenza o minaccia tipiche, invece, del reato di violenza privata (art. 610 c.p.).

Il reato di rapina può distinguersi in:

  • rapina propria: quando la violenza o la minaccia precedono l’impossessamento del bene altrui e costituiscono invece il mezzo per ottenerlo, quindi il reato si considera consumato nel momento in cui si verifica l’impossessamento, corrispondendo a tutti gli elementi costituitivi del delitto. In questo caso il primo elemento costitutivo del reato, la violenza, si distingue a sua volta in propria o impropria, dove quest’ultima va intesa come l’utilizzo di qualsiasi mezzo idoneo, eslcusa la minaccia, a coartare la volontà del soggetto passivo annullandone la capacità di azione o determinazione; per violenza propria invece si intende l’impiego di energia fisica sulle persone o sulle cose, esercitata direttamente o per mezzo di uno strumento. Il secondo elemento costitutivo del reato, la minaccia, è inteso come la prospettazione di un male ingiusto e notevole, eventualmente proveniente dal soggetto minacciante.
  • rapina impropria: la violenza o la minaccia sono poste in essere successivamente alla sottrazione, al fine di assicurare a sè o ad altri il possesso della cosa o per procurare a sè o ad altri l’impunità. Quindi il reato si considera consumato al verificarsi della violenza o minaccia, il che deve aver luogo immediatamente dopo l’impossessamento perchè altrimenti si tratterebbe di un concorso materiale tra un reato di violenza o minaccia ed un furto, non di una rapina.

Il delitto di rapina può dirsi anche aggravato quando sussistano le circostanze previste dall’art. 628, c. 3, c.p., per esempio quando il reato venga commesso mediante l’utilizzo di armi o da persona travisata.

Ambito oggettivo di applicazione

SVOLGIMENTO

1. Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte di appello di Roma ha dichiarato sussistenti le condizioni per l’estradizione verso la Repubblica del Perù di A.A., accusato di aver perpetrato, in concorso con altri, rapine aggravate dall’uso di armi.

 

2. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di A.A., denunciando i motivi di annullamento, di seguito sintetizzati.

 

2.1. Violazione di legge in relazione all’art. 4 del Trattato di estradizione tra l’Italia e il Perù, sottoscritto a Roma il 24 novembre 1994 e ratificato con L. 3 maggio 2004, n. 135, per essere i reati ascritti al ricorrente prescritti, secondo la legge italiana vigente al momento della loro commissione (gennaio-maggio 2000).

Nella prospettazione difensiva i reati ascritti all’estradando si sarebbero prescritti prima della data in cui è pervenuta la richiesta di estradizione, essendo decorso il termine massimo di 18 anni e 9 mesi (calcolato aumentando di un quarto il termine ordinario di 15 anni), e ciò a prescindere da eventuali atti interruttivi o sospensivi verificatisi in Perù, non esattamente individuati nella sentenza impugnata.

 

2.2. Violazione di legge in relazione agli artt. 698, 704 e 705 cod. proc. pen. non avendo la Corte adeguatamente considerato il rischio di sottoposizione dell’estradando a trattamenti disumani e degradanti.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso è fondato e ha carattere assorbente.

L’art. 4, comma 1, lett. b), L. 3 maggio 2004, n. 135 (ratifica del Trattato di estradizione tra Italia e Perù), prevede il rifiuto della consegna “se alla data del ricevimento della richiesta sia prescritta, secondo la legge di una delle Parti, la pena o l’azione penale relativa al reato per il quale si richiede l’estradizione”. Trattandosi di causa di rifiuto obbligatoria della consegna, l’individuazione dei presupposti è necessariamente rimessa alla valutazione dell’autorità giudiziaria dello Stato richiesto che, pertanto, vi provvede sia valutando la prescrizione secondo la normativa interna, sia verificando l’eventuale estinzione del reato secondo la normativa dello Stato richiedente.

 

2. La valutazione della prescrizione deve essere effettuata applicando la legge vigente al momento della commissione del fatto.

La regola del tempus regit actum e dell’autonoma determinazione della prescrizione (secondo gli ordinamenti dello Stato richiedente e dello Stato richiesto) discende dal principio di doppia incriminabilità e -per ciò stesso- di doppia procedibilità, con la conseguenza che la legge applicabile a fini prescrizionali è necessariamente quella del momento di commissione del reato oggetto della domanda di estradizione (Sez. 6, n. 11495 del 21/10/2013, PG in proc. Opoka, Rv. 260878 – 01).

 

3. Quanto al termine finale per il calcolo della prescrizione, secondo il condivisibile orientamento di questa Corte, va considerata la data in cui è pervenuta la domanda estradizionale o quella dell’arresto per fini estradizionali, che, come nel caso di specie, costituisce il primo atto della procedura estradizionale (Sez. 6, n. 17999 del 29/03/2018, Reut, Rv. 272892; Sez. 6, n. 29359 del 10/06/2014, Juravliov, Rv. 261644).

Nel computo dei termini “nazionali” di prescrizione, infatti, si deve dare rilievo anche agli atti processuali dell’Autorità richiedente, sempreché tale rilevanza sia prevista dalla normativa italiana in materia di sospensione o interruzione del termine prescrizionale.

Diversamente argomentando si perverrebbe alla illogica conseguenza di far scadere il termine ordinario nello Stato richiesto, finendo così per frustrare le legittime aspettative dello Stato richiedente che intende perseguire il soggetto che nel frattempo è riparato all’estero.

 

4. Nel caso di specie dagli atti emerge che, per i fatti per cui è ora richiesta l’estradizione, era stato emesso un primo mandato di cattura dal Tribunale di Lima il 14 maggio 2000 e che il ricorrente è stato tratto in arresto a fini estradizionali il successivo 27 maggio 2011. La procedura si è definita con ordinanza di non luogo a provvedere del 29 agosto 2011, per revoca dell’ordine di cattura peruviano.

Il ricorrente è, poi, stato nuovamente tratto in arresto, sulla base dell’ordine di cattura emesso il 6 marzo 2023, il 5 maggio 2023, poi liberato per decorso del termine di 90 giorni per la presentazione della domanda di estrazione, tardivamente presentata nell’ottobre del 2023.

 

5. Orbene, l’art. 157 cod. pen., vigente all’epoca dei fatti, stabiliva, per i delitti puniti con la pena della reclusione non inferiore a dieci anni (come il delitto di rapina aggravata, punito, ai sensi dell’art. 628, comma 2 cod. pen., con la pena di anni venti di reclusione), il termine ordinario di prescrizione di quindici anni.

Il successivo art. 161 cod. pen. prevedeva, all’ultimo comma, che l’interruzione della prescrizione non poteva aumentare i termini stabiliti nell’art. 157 “oltre la metà”.

Quindi, il termine ordinario di prescrizione per i reati ascritti al ricorrente (l’ultimo dei quali è commesso il 5 maggio 2000) è il 5 maggio 2015, mentre quello massimo è il 15 novembre 2022.

Il termine massimo di prescrizione, dunque, era irrimediabilmente decorso nel momento in cui è pervenuta la domanda di arresto a fini estradizionali (6 marzo 2023), nonostante gli atti interruttivi sopra riportati.

Per questo, in applicazione dell’art. 4, comma-1, lett. b), L. 3 maggio 2004, n. 135 (ratifica del Trattato di estradizione tra Italia e Perù), la consegna doveva essere rifiutata, essendo i reati ascritti al ricorrente prescritti secondo la legge italiana.

 

6. In conclusione, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio e che la domanda di estradizione va respinta.

 

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e respinge la domanda di estradizione, manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 203 disp. att. cod. proc. pen.

 

Conclusione

Così deciso in Roma l’11 settembre 2025.

 

Depositata in Cancelleria il 25 settembre 2025.

Allegati

    [pmb_print_buttons]

    Accedi