SVOLGIMENTO
1. Il Tribunale di Messina, adito in sede di riesame, sostituiva la misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico nei confronti di A.A., indagato per il reato di peculato aggravato ai sensi dell’art. 416 – bis 1 cod. pen. di cui al capo 3) della provvisoria contestazione, così riformando l’ordinanza genetica emessa il 19 dicembre 2024 dal Giudice per le indagini preliminare presso il Tribunale della stessa città.
2. Avverso il provvedimento, A.A. – per il tramite del difensore di fiducia – ha presentato ricorso, articolato in tre motivi, con cui ha dedotto:
– violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 117 cod. pen. Il Tribunale non avrebbe enunciato le ragioni per le quali A.A., dipendente della ditta Bellinvia, avrebbe dovuto essere consapevole del coinvolgimento dell’amministratore giudiziario, B.B., nelle condotte appropriative delle somme di danaro da parte degli Omissis;
– violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al riconoscimento della circostanza aggravante dell’agevolazione mafiosa.
A.A., anche qualora avesse aiutato gli Omissis ad appropriarsi del danaro, non lo avrebbe fatto per agevolare la cosca anche perché non era a conoscenza della natura mafiosa dell’azienda;
– violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 274 cod. proc. pen. per omessa motivazione sul pericolo di recidiva. Non sarebbe sufficiente il mero richiamo alla doppia presunzione posto che A.A. non era contiguo a contesti malavitosi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso è infondato e va rigettato.
1.1.Con il primo motivo si censura il provvedimento de libertate sotto il profilo della gravità del quadro indiziario, deducendo nello specifico la non configurabilità del concorso nel reato di peculato commesso dall’intraneus per mancata consapevolezza in capo al ricorrente della dolosa partecipazione dell’amministratore B.B. alla condotta di appropriazione.
La doglianza nei termini proposti è smentita dalla ricostruzione della vicenda operata dai Giudici di merito. Nel provvedimento impugnato si dà ragionevolmente atto – sulla scorta di una fedele e non travisata lettura del compendio investigativo – del coinvolgimento dell’amministratore giudiziale nell’attività sottrattive e appropriative realizzate dagli Omissis, ma anche della scientia in capo al ricorrente in ordine alla consapevole “inerzia” dell’amministratore B.B.
Sotto il primo profilo, si è evidenziato che l’azienda Bellinvia era stata definitivamente confiscata in sede penale e di prevenzione e che sin dal 2011 B.B. – in qualità di amministratore giudiziario – aveva consentito alla famiglia mafiosa degli Omissis, appartenente alla cosca dei “barcellonesi”, di continuare a gestire l’azienda e di incassare parte dei profitti conseguiti. Ciò era stato di fatto possibile grazie ad un “sistema” – che vedeva coinvolti gli stessi dipendenti dell’azienda, tra cui anche l’attuale ricorrente – per il tramite del quale si provvedeva alla vendita o in nero o mediante sottofatturazione delle merci in modo tale da creare riserve occulte che confluivano in un una cassa parallela a quella ufficiale gestista dal B.B. Tale surplus veniva ripartito tra gli appartenenti alla famiglia degli Omissis e finalizzato a supportare il clan di appartenenza.
Nel descritto contesto operativo, stando alla ricostruzion.e operata dai Giudici della cautela, compariva anche Giuseppe A.A., il quale – analogamente ad altri dipendenti della azienda-era addetto alla vendita in nero delle merci ed era al corrente della gestione aziendale da parte della famiglia Omissis nonostante l’avvenuta confisca. Significativa di tale consapevolezza era la circostanza che lo stesso A.A. si era rivolto agli Omissis e nello specifico alla moglie di C.C. piuttosto che al B.B. per ottenere il permesso di assentarsi dal lavoro (cfr pag. 18 del provvedimento).
1.2. Sotto il secondo profilo – oggetto specifico di censura – l’A.A., per i Giudici della cautela, era altresì consapevole del fatto che l’amministratore B.B. avesse scientemente abdicato alle funzioni di controllo e di gestione che ex lege avrebbe dovuto assolvere e che quindi concorresse volutamente nel descritto sistema di “appropriazione”. Nel richiamare l’attività intercettativa, si è dato congruamente conto di una serie di conversazioni da cui – stando alla lettura datale dai Giudici di merito- trapelava la conoscenza in capo al ricorrente delle dinamiche interne all’azienda. A.A., infatti, sapeva che, contrariamente a quanto avrebbe dovuto essere, l’ufficio amministrativo – da lui stesso definito “cuore e cervello dell’azienda perché lì si muovevano le carte” – fosse nelle mani degli Omissis piuttosto che dell’amministratore (pagg. 25 e ss dell’ordinanza).
Peraltro, il consapevole coinvolgimento dell’amministratore giudiziale nel descritto “sistema” non era all’interno dell’azienda un fatto “riservato”. Ed infatti, i Giudici della cautela hanno congruamente posto in risalto come lo stesso B.B. non avesse adottato alcun particolare accorgimento per schermare la propria inerzia o per nascondere la contiguità alla famiglia Omissis.
Analogamente gli stessi Omissis agivano senza ricorrere a stratagemmi per celare la realtà dei fatti, tanto che la moglie di C.C. utilizzava apertamente e con il consenso del ricorrente il telefono cellulare per intrattenere conversazioni riservate con l’amministrazione giudiziario (pag. 26 del provvedimento).
1.3. Il mancato consapevole esercizio del munus pubblico di gestione e di controllo della contabilità dell’azienda da parte del B.B. era, dunque, percepibile, così come era sotto gli occhi degli stessi dipendenti che una tale condotta fosse lo snodo principale attraverso cui gli Omissis, nonostante l’ablazione dell’azienda, gestivano l’attività di impresa senza soluzione di continuità, incamerando profitti e utili non di loro spettanza.
Sono dunque ineccepibili- quantomeno a livello di gravità indiziaria- le argomentazioni sviluppate dai Giudici di merito in ordine alla scientia in capo al ricorrente del coinvolgimento a pieno titolo del B.B. nel descritto sistema di affari.
Di controlla chiave di lettura offerta dal ricorrente non destruttura l’impianto motivazionale, sia perché omette un effettivo confronto critico con il percorso argomentativo svolto nel provvedimento censurato, sia perché sollecita una rilettura delle informazioni probatorie che non rientra nel sindacato di legittimità (così ex multis, Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828).
2. Quanto al secondo motivo di ricorso con cui si censura la configurabilità della circostanza aggravante dell’agevolazione mafiosa, occorre in limine rilevare il difetto di attualità e concretezza dell’interesse a ricorrere. Il titolo di reato per cui si procede – i.e. art. 314, comma 1, cod. pen. – consente – a prescindere dalla contestazione e configurabilità della indicata circostanza – l’applicazione delle misure cautelari personali, inclusa quella custodiale, di guisa che l’eventuale fondatezza del ricorso in parte qua non sposterebbe i termini della questione non invalidando il titolo.
2.1. Ad ogni buon conto, il motivo è generico per avere i Giudici della cautela correttamente e logicamente rilevato che A.A. – da sempre vicino agli Omissis – non potesse ignorare che la condotta in contestazione fosse funzionale a supportare la cosca mafiosa.
C.C. aveva riportato condanna definitiva per il reato di cui all’art. 416 – bis cod. pn. e gli era stato attribuito un ruolo apicale all’interno della famiglia mafiosa dei “barcellonesi”; l’azienda Bellinvia da sempre gestita e di proprietà degli Omissis era stata definitivamente confiscata in via di prevenzione, ad onta appunto della natura mafiosa dell’impresa.
A.A. conosceva il pedigree criminale degli Omissis e godeva anche di una certa fiducia, tanto che il suo telefono cellulare veniva utilizzato dalla consorte di C.C. per le comunicazioni relative alla gestione aziendale tra gli Omissis e lo stesso amministratore B.B. (pag. 26 del provvedimento).
2.2. Non è, dunque, attaccabile sotto il profilo della logica e della non congruità la conclusione dei Giudici di merito, lì dove – quanto meno a livello indiziario – hanno tratto la convinzione che nel descritto contesto fattuale il ricorrente non potesse ignorare che l’ideato sistema di “appropriazione” venisse utilizzato per deviare profitti aziendali in favore della famiglia mafiosa.
3. In ordine alla censura avente ad oggetto il punto delle esigenze cautelari, i Giudici del merito hanno ravvisato sia il pericolo di inquinamento probatorio che il pericolo di recidiva.
La censura è fondata in relazione al primo profilo, essendo la motivazione in parte qua priva di concreto contenuto giustificativo.
3.1. È, invece, infondata in relazione al secondo profilo. È utile a tal uopo precisare come il pericolo di recidiva ex art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. non debba essere inteso come imminenza del pericolo di commissione di ulteriori reati, ma come prognosi di commissione di analoghi delitti, fondata su elementi concreti e non meramente ipotetici ed astratti.
Nel caso in esame, i Giudici della cautela hanno correttamente applicato tale principio di diritto nell’inferire – con argomentazioni esaustive e per nulla illogiche – la concretezza e l’attualità del pericolo di recidiva dalla natura e dalle modalità della condotta, oggettivamente apprezzabile per la reiterazione delle condotte, nonché dal ruolo di gregario dell’A.A. che aveva supinamente manifestato accondiscendenza .alle direttive criminali degli Omissis dando prova della incapacità di allontanarsi da certi contesti malavitosi.
3.2. La intrinseca logicità del percorso argomentativo posto a fondamento del provvedimento censurato non viene ad essere dequotato dalle allegazioni del ricorso, ove peraltro si richiamano elementi- come quello relativo alla inoperatività dell’azienda – già congruamente valutati dai Giudici di merito, come tali inidonei a incidere sull’attualità del pericolo di recidiva (cfr pag. 26 del provvedimento).
Non coglie nel segno nemmeno l’argomentazione relativa all’assenza di proporzionalità e adeguatezza della misura cautelare in corso, peraltro sostituita con quella degli arresti domiciliari . A tenore dell’art. 275, commi 1 e 2, cod. proc. pen. “… il giudice tiene conto della specifica idoneità di ciascuna (misura) in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto… ogni misura deve essere proporzionata all’entità del fatto e alla sanzione che sia stata o che si ritiene possa essere irrogata”. Imprescindibile è, pertanto, l’apprezzamento del “tipo” di recidiva che si intende contrastare, ovvero delle specifiche esigenze cautelari ravvisabili nel caso concreto.
3.3. Nel caso in esame, i Giudici si sono mossi nel rispetto di tale esegesi , là dove hanno correttamente rilevato come – ad onta della evidenziata “contiguità” con contesti di criminalità organizzata – la misura coercitiva fosse idonea a fronteggiare il rilevato pericolo di recidiva, fungendo da valido deterrente alla reiterazione di ulteriori condotte analoghe a quelle in contestazione.
4. Al rigetto del ricorso segue – ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. – la condanna del ricorrente al pagamento del ricorrente delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Conclusione
Così deciso in Roma il 9 luglio 2025.
Depositata in Cancelleria il 25 settembre 2025.
