SVOLGIMENTO
1. La Corte di appello di Milano rigettava la istanza di remissione in termini e di rescissione del giudicato proposta da A.A. in relazione alla sentenza di condanna pronunciata nei suoi confronti dal Tribunale di Milano il 2 luglio 2018, divenuta irrevocabile il 18 settembre 2018, in ordine ai reati di evasione commessi rispettivamente il 27 dicembre 2015 e il 22 aprile 2016.
2. Avverso il provvedimento ha proposto ricorso A.A. per il tramite del difensore di fiducia, deducendo violazione di legge in relazione agli art. 175 e 629 – bis cod. proc. pen.
La A.A. sarebbe venuta a conoscenza della sentenza di condanna solo nel corso del mese di dicembre del 2024, di guisa che le due istanze depositate il 10 dicembre 2024 sarebbero tempestive.
2.1. Ad ogni buon conto, nonostante la formale ritualità della notifica della vocatio in iudicium, la A.A. non sarebbe venuta a conoscenza del processo a suo carico a seguito della rinuncia al mandato da parte del difensore di fiducia e non avendo istaurato alcun rapporto professionale con il difensore d’ufficio. Peraltro, in relazione all’ulteriore episodio di evasione, quello del 22 aprile 2016 (il cui processo era stato riunito all’altro relativo alla precedente evasione), la A.A. non aveva né eletto domicilio né nominato un difensore di fiducia.
3. L’udienza si è svolta in forma non partecipata. Il Pg ha presentato conclusioni scritte richiamante in epigrafe.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato.
2. In limine litis occorre evidenziare come i Giudici di appello avessero correttamente rilevato nell’incipit del provvedimento impugnato che la duplice istanza presentata nell’interesse della ricorrente – volta ad ottenere la remissione in termini e/o la rescissione del giudicato – fosse stata redatta in modo generico non essendo stato nemmeno allegato il dies a quo della sicura conoscenza della sentenza definitiva di condanna da parte della A.A. e che anzi dagli elementi in loro possesso fosse emersa una conoscenza degli atti e della stessa sentenza e, in generale, del procedimento sin dal mese di settembre del 2022.
2.1. La acclarata inammissibilità delle istanze per omessa individuazione del dies a quo è argomentazione ineccepibile in fatto, a nulla rilevando che con il presente ricorso il termine sia stato indicato- peraltro genericamente – nel “mese di dicembre 2024”, e in diritto, essendo onere della parte fornire la dimostrazione della tempestività della istanza rispetto al momento di effettiva conoscenza dell’atto con il corredo della relativa documentazione e/o l’indicazione di altri elementi utili allo scopo.
3. Ad ogni buon conto, al netto della preliminare ed assorbente causa di inammissibilità, va precisato che nell’attuale sistema processuale – all’indomani del D.Lgs. 10 ottobre 2022 n. 150 (c.d. riforma “Cartabia”) – i due rimedi ripristinatori della rescissione del giudicato ex art. 629 – bis cod. proc. pen. e della remissione in termini per impugnare ex art. 175 cod. proc. pen. abbiano assunto, nell’ambito del procedimento in absentia, un rilevante ambito applicativo. Essi, sebbene concorrano fra loro, rimangono tuttavia distinti per natura, peiitum, operatività ed effetti conseguibili, posto che – nell’attuale formulazione delle norme – il condannato può ottenere la rescissione del giudicato qualora provi che il processo in assenza sia stato svolto in mancanza dei presupposti previsti dall’art. 420-bis cod. proc. pen. mentre l’imputato giudicato in assenza è restituito, a sua richiesta, nel termine per proporre impugnazione, salvo che vi abbia volontariamente rinunciato, se, nei casi previsti dall’articolo 420-bis, commi 2 e 3, fornisce la prova di non aver avuto effettiva conoscenza della pendenza del processo e di non aver potuto proporre impugnazione nei termini senza sua colpa. Dunque, il citato articolo 175, comma 2.1., limita la possibilità di istanza di restituzione nel termine ai soli casi in cui il processo in assenza si sia svolto in mancanza dei presupposti previsti dai commi 2 e 3 del cìt. art. 420-bis.
Inoltre, nel caso di rescissione, il condannato deve dare prova di essere stato dichiarato assente in mancanza dei presupposti previsti dal citato art. 420-bis e di non aver potuto proporre impugnazione della sentenza nei termini senza sua colpa, mentre nel caso di restituzione del termine, il condannato deve fornire prova di non aver avuto effettiva conoscenza del processo e di non avere potuto proporre impugnazione nei termini senza sua colpa.
Infine, la rescissione del giudicato ha una più ampia portata rispetto alla restituzione nel termine per impugnare, potendo portare alla regressione del processo fino alla fase e al grado in cui si è verificata la nullità.
4. Occorre poi rilevare che ai fini dell’applicabilità di tali “rimedi ripristinatori” nei termini modificati con la riforma “Cartabia”, questa Corte di cassazione ha precisato che le disposizioni dell’art. 175, comma 2.1., cod. proc. pen., stando al testo dell’art. 89 del D.Lgs. n. 150 del 2022, sono applicabili esclusivamente alle impugnazioni proposte avverso le sentenze pronunciate in data successiva a quella di entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2022 (cfr. Sez. 2, Sentenza n. 20899 del 24/02/2023, Delfino, Rv. 284704, secondo cui “in tema di restituzione nel termine per proporre impugnazione, la disposizione di cui all’art. 175, comma 2.1, cod. proc. pen., come modificato dal D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, si applica alle sole impugnazioni proposte avverso sentenze pronunciate in data successiva a quella di entrata in vigore di detto decreto”).
Dunque, la norma in oggetto, nella sua attuale portata, non è applicabile nel caso in esame posto che la sentenza di condanna è stata emessa il 2 luglio del 2018 ed è divenuta res iudicata il successivo 18 settembre 2018. Si rammenta, poi, che con la legge 28 aprile 2014, n. 67, il legislatore, nell’ambito di una riforma di ampia portata, con la quale aveva abrogato l’istituto della contumacia e aveva introdotto, per la prima volta, il processo in “assenza”, aveva completamente rivisto il sistema dei rimedi ripristinatori, introducendo, da un lato, il nuovo istituto della rescissione del giudicato e, dall’altro, eliminando dall’art. 175 cod. proc. pen. ogni riferimento alla restituzione nel termine per impugnare la sentenza, perimetrando il rimedio della restituzione al solo caso del condannato con decreto penale e in relazione ai soli processi contumaciali (cfr. Sez. 2, n. 12630 del 4/3/2015, Rv. 262929; Sez. 2, n. 23882 del 27/5/2014, Rv. 259634).
4.1. In relazione all’istituto della rescissione del giudicato, la Corte di cassazione- pronunciatasi nel suo massimo consesso (Sez. Un. n 11447 del 24/10/2024, Lacatus, Rv. 287693) – ha chiarito che “la successione di norme in materia di rescissione è regolata dall’art. 89, comma 1, D.Lgs. n. 150 del 2022, in forza del quale in caso dì istanza riguardante un procedimento, nel quale l’assenza è stata dichiarata in base alle norme previgenti e che debba considerarsi pendente… deve in ogni caso applicarsi la disciplina in materia di rescissione immediatamente anteriore alla riforma, cioè quella introdotta dalla legge n. 103 del 2017”.
Posto che, nel caso in esame, la dichiarazione di assenza è stata dichiarata prima del D.Lgs. n. 150 del 2022, deve pertanto concludersi che debba aversi riguardo alla disciplina previgente con riferimento sia alla materia dell’assenza che a quella della rescissione.
Nondimeno la soluzione della questione in tali termini non assume alcuna rilevanza concreta per quanto si dirà qui di seguito.
5. Ed infatti, passando allo specifico tema di indagine, gli atti resi disponibili a questa Corte, le cui relative scansioni processuali sono state puntualmente riportate nel provvedimento impugnato e non sono oggetto di contestazione con il ricorso, consentono di affermare che la dichiarazione di assenza della A.A. relativamente al processo di primo grado venne effettuata in modo rituale, Risulta, infatti, che la notificazione della vocatio in iudicium venne effettuata infruttuosamente presso la struttura residenziale ove la A.A. aveva formalmente dichiarato domicilio, essendo ivi detenuta in regime di detenzione domiciliare, e poi, constatatane l’assenza per l’allontanamento sine titulo della A.A., presso lo studio del difensore di fiducia a mente dell’art. 161 cod. proc. pen. (ex multis, Sez. U n. 28451 del 28/04/2011, Pedicone, Rv. 250120). Deve, dunque, rilevarsi che l’impossibilità della notificazione ad personam del decreto di citazione è stata causata dalla condizione di volontaria irreperibilità dell’imputata presso il domicilio regolarmente dichiarato o eletto e che la stessa A.A. aveva interrotto i contatti con il proprio difensore di fiducia, il quale per tale ragione – dopo la notifica degli atti – aveva rinunziato al mandato (pag. 2 ord. impugnata).
5.1. Al descritto contesto si attaglia il principio di diritto sancito dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui – in tema di rescissione del giudicato- deve escludersi l’incolpevole mancata conoscenza del processo, con conseguente rigetto del ricorso di cui all’art. 629-bis cod. proc. pen., nel caso in cui risulti che l’imputato, pur in presenza degli avvertimenti di rito, abbia, nella fase delle indagini preliminari, dichiarato domicilio, derivando da ciò una presunzione di conoscenza del processo che legittima il giudice a procedere in sua assenza, a seguito della rituale notifica della “vocatio in iudicium” presso l’originario domicilio indicato. Tale esegesi è peraltro rispettosa del diritto vivente che – sin dalla pronuncia delle SS.UU. “Innaro” (n. 28912 del 28/02/2019, Rv. 275716) e con il successivo intervento sempre a Sezioni Unite (n. 23948 del 28/11/2019, il P.G. c. Ismail Darwish Mhame, Rv 279420)- ha richiamato, in tema di processo in absentia, le fonti sovranazionali (es. Corte EDU sent. 18/5/04 Somogyi c. Italia; Corte EDU sent. 10/11/04, Sejdovic c. Italia), rimarcando come sia possibile procedere alla celebrazione del processo anche se l’imputato ignori la vocatio in .ius, nel caso in cui sia raggiunta la prova, della sua volontaria sottrazione alla conoscenza del medesimo. Tra gli indici valutabili per ravvisare prova della “volontaria sottrazione” alla conoscenza del procedimento è stata enunciata anche “la manifesta mancanza di diligenza informativa”, incombendo sull’imputato un generale onere di diligenza, che si declina nel dovere di mantenere i contatti con il proprio difensore e in quello di informarsi costantemente dell’andamento e dello stato di progressione del procedimento a suo carico. In conclusione, ai fini della conoscenza del processo, deve essere positivamente valutata sia l’avvenuta dichiarazione e/o elezione di domicilio sia la nomina del difensore di fiducia.
5.2. I Giudici di merito nel provvedimento impugnato hanno correttamente declinato detti principi di diritto: la A.A. – evadendo dal luogo degli arresti – si era resa irreperibile e non si era mai messa in contatto con il proprio difensore di fiducia. È il caso di aggiungere che non ha allegato elementi idonei a dimostrare la sussistenza di un qualche impedimento ad acquisire notizie sulle sorti del processo o a mantenersi in contatto con il proprio difensore. Né una eventuale scarsa diligenza del difensore, nel caso nemmeno allegata, avrebbe inciso sull’onere in capo all’imputato di mantenersi in stabile contatto con chi lo difende, di informarsi sulle sorti del procedimento a suo carico e di vigilare sull’esatta osservanza dell’incarico conferito.
Non inficia la correttezza delle conclusioni cui sono giunti i decidenti di merito il fatto- dedotto con il ricorso- che in relazione all’ulteriore delitto di evasione del 22.4.2016 la A.A. non avesse nominato un difensore né dichiarato domicilio, dal momento che i due processi furono riuniti e trattati unitariamente, dovendosi viepiù ribadire la radicale causa di inammissibilità tratteggiata retro sub 2.
6. Alla inammissibilità del ricorso segue – ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. – la condanna al pagamento della ricorrente delle spese del procedimento e di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si stima equo fissare in tremila euro, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (vedi Corte Costit., sent. n 186 del 13 giugno 2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Conclusione
Così deciso in Roma il 27 giugno 2025.
Depositata in Cancelleria il 25 settembre 2025.
