Massima

In tema di competenza territoriale per connessione, quando si procede per il reato di cui all’art. 74 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (relativo al narcotraffico) e per un reato-fine commesso da un soggetto non accusato di appartenere a un sodalizio, la competenza distrettuale ex art. 51, comma 3-bis, c.p.p. per il reato associativo si estende anche all’altro reato, se vi è una connessione teleologica tra i due, ai sensi dell’art. 12, comma 1, lett. c), c.p.p. Questa connessione non richiede l’identità tra gli autori. Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto corretta la competenza del tribunale distrettuale per un’associazione finalizzata al narcotraffico, anche se uno degli imputati era estraneo al sodalizio.

Supporto alla lettura

LA COMPETENZA  NEL PROCEDIMENTO PENALE 

La competenza nel procedimento penale è disciplinata dagli artt.4 ss. [Libro I, Titolo I, Capo II c.p.p.]. In linea generale, per determinare la competenza si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per ciascun reato consumato o tentato. Non si tiene conto della continuazione, della recidiva e delle circostanze del reato, fatta eccezione delle circostanze aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale [art.4 c.p.p.].

Si distingue, rispettivamente, tra competenza per materia (o ratione materiae); competenza per territorio (o ratione loci) e competenza per connessione. Ad essi va aggiunta, altresì, la competenza per funzione, che , correlata ai tre predetti criteri di cui occorre il previo accertamento, individua il giudice competente in base alla funzione da questi svolta nell’ambito di un medesimo procedimento.

  • Competenza per materia: si applica il criterio qualitativo (che tiene conto del tipo di reato), oltre al criterio quantitativo (che ha invece riguardo al livello della pena edittale) [artt.5-6 c.p.p.]
  • Competenza per territorio: si applica il criterio del luogo in cui il reato è stato consumato [art. 8 comma 1 c.p.p.]. Ad essa seguono altre regole di carattere generale che derogano al criterio del locus commissi delicti in ragione della particolare configurazione della fattispecie criminosa [art.8 commi 2,3,4 c.p.p.], nonché talune regole suppletive che consentono l’individuazione del giudice territorialmente competente quando non è possibile applicare le regole generali [artt.9-11 bis c.p.p.]
  • Competenza per connessione: criterio autonomo di attribuzione della competenza, comportando il confluire davanti ad unico giudice di procedimenti che, in base ai criteri di competenza per materia o per territorio, sarebbero attribuiti a giudici diversi. [artt. 12-16 c.p.p.]

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. Con il provvedimento impugnato, il Tribunale del riesame di Reggio Calabria ha confermato l’ordinanza del Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Reggio Calabria del 13 marzo 2023, che applicava a (omissis) la misura delia custodia cautelare in carcere per i reati di concorso nella importazione, ricezione trasporto e detenzione di ingenti quantitativi di cocaina, occultati in navi giunte al porto di (omissis)(capi Al, A5, A6, A7, C27), nonché per avere offerto in vendita a (omissis) un quantitativo non inferiore a 1 kg. di cocaina (capo A32) e per avere acquistato 100 kg. di cocaina, in concorso con altri, da (omissis).

2. Avverso l’ordinanza ricorre per cassazione l’indagato deducendo i seguenti motivi, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Violazione di legge in relazione all’art. 12 cod. proc. pen.

(omissis) è indagato per diverse ipotesi di cui all’art. 73 D.P.R. 8 ottobre 1990, n. 309 e non per un reato associativo. La competenza per connessione non è in alcun modo evincibile nella contestazione mossa al ricorrente, che, peraltro, non deve rispondere neppure dell’aggravante mafiosa.

Quindi, secondo le regole ordinarie, la competenza per territorio appartiene al Tribunale dì Locri perché i fatti di reato relativi all’odierno ricorrente sono stati ideati e consumati in quel territorio.

Nei fatti in contestazione non è praticabile l’ipotesi di competenza per connessione perché le condotte delittuose non sono state operate in esecuzione di programma associativo, rappresentandosi come fatto diverso, rispetto all’associazione finalizzata al narcotraffico. La descrizione dei fatti relativi ai capi di imputazione impedisce di ritenere le contestazioni connesse alla associazione ex art. 74 D.P.R. cit. sotto qualsivoglia profilo, non potendosi concludere che (omissis) abbia avuto presente l’oggettiva finalizzazione della sua condotta alla commissione di altro reato con specificità tale da permettere di dire che il primo reato sia stato commesso per commettere o occultare quel secondo individuato reato, sola condizione per l’applicazione della regola di cui all’art. 16 cod. proc. pen.

2.2. Vizio di motivazione in relazione alla sussistenza delle esigenze cautelari.

I fatti risalgono al 2020 e l’ordinanza non valorizza la circostanza che al ricorrente non è contestata la fattispecie associativa.

3. La difesa ha depositato motivi nuovi, deducendo la violazione di legge e il vizio di motivazione, per il mancato rilievo della inutilizzabilità del contenuto dei dati contenuti in atti qualificati come “documenti informatici”, acquisiti dall’autorità giudiziaria francese e trasmessi, dopo la “decriptazione”, all’autorità giudiziaria italiana in esecuzione di un ordine di indagine europeo.

Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è, nel complesso, infondato e deve essere rigettato.

2.Il primo motivo di ricorso non coglie nel segno.

2.1. Rileva il Collegio che l’attribuzione delle funzioni inquirenti per i reati di cui all’art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen. all’ufficio del Pubblico ministero presso il Tribunale del capoluogo del distretto, nel cui ambito ha sede il Giudice competente, comporta una deroga assoluta ed esclusiva alle regole sulla competenza per territorio, anche fuori dagli ambiti distrettuali, perché stabilisce la vis attractiva del reato ricompreso nelle attribuzioni di quell’ufficio inquirente nei confronti dei reati connessi, anche se di maggiore gravità, con la conseguenza che, ai fini della determinazione della competenza, occorre avere riguardo unicamente al luogo di consumazione del reato previsto nel catalogo suindicato. Si tratta di principio affermato ripetutamente in sede di legittimità (Sez. 1, n. 43599 del 05/07/2017, Di Palma, n. m.; Sez. 4, n. 4484 del 09/12/2015, dep. 2016, Breshanj, Rv. 265944; Sez. 2, n. 6783 del 13/11/2008, dep. 2009, El Abbouli, Rv. 243300).

Nonostante la competenza “distrettuale” per il reato previsto all’art. 74 D.P.R. 8 ottobre 1990, n. 309 (ricompreso nell’elenco di cui all’art. 51, comma 3-bis cod. proc. pen.), contestato a tutti i coimputati ((omissis) e (omissis) indagati per associazione di cui al capo A; (omissis) e (omissis) indagati per associazione di cui al capo C), l’unica ipotesi di connessione che, nella specie, può assumere rilievo, ai fini dello spostamento della competenza per il diverso reato previsto dall’art. 73 D.P.R. cit., di cui deve rispondere (omissis), è quella teleologica contemplata dalla lett. c) dell’art. 12, cod. proc. pen. Essa, infatti, è la sola che non esige l’identità fra gli autori dei reati (in tal caso non ricorrente), ferma restando la necessità di accertare che l’autore del reato mezzo abbia avuto presente l’oggettiva finalizzazione della sua condotta alla commissione o all’occultamento di quello fine (Sez. U., n. 53390 del 26/10/2017, G., Rv. 271223).

2.2. Non può disconoscersi che la connessione teleologica fra il reato associativo e quelli-fine costituisce ipotesi tutt’altro che comune, una volta che il primo presenta un programma rivolto a una platea indeterminata di condotte. Sicuramente la configurazione di tale connessione resta preclusa ove la rappresentazione del reato-fine, secondo le sue caratteristiche oggettive, si realizzi solo dopo che l’associazione sia stata costituita e sia divenuta operativa, poiché in tal caso la commissione del reato associativo risulta già integrato secondo il programma indeterminato in origine concepito e, pertanto, la sua consumazione non può più costituire il mezzo per eseguire un certo reato-fine, secondo un nesso oggettivamente percepibile nell’iniziale struttura di entrambi. Ma può, invece, accadere che il programma associativo, pur nella sua indeterminatezza in divenire, abbia fin dall’inizio focalizzato la commissione di un particolare reato-scopo e predisposto la propria organizzazione come mezzo per eseguirlo, per rimanere poi la stessa organizzazione ulteriormente operativa, in modo da dare vita a tutte le caratteristiche di stabilità del vincolo di natura associativa funzionale alla consumazione di un numero indeterminato di reati. Tali ultime condizioni ben possono trovare il loro terreno realizzativo proprio nel caso dell’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, per cui è richiesta la costituzione di un’organizzazione (pur rudimentale) volta a commettere un solo genere di reati, concernenti le violazioni della disciplina sugli stupefacenti. In tal caso accade spesso che la serialità della consumazione dei reati che si realizza nel tempo, cioè dopo la sperimentazione dei primi traffici, costituisce la manifestazione stessa della stabilità di un effettivo programma associativo, via via posto a servizio di un numero indeterminato di condotte dello stesso tipo (Sez. 1, n. 20155 del 20/04/2021, non mass.).

2.3. Proprio tale percorso si coglie nelle contestazioni mosse nella specie. Ed infatti, la descrizione dei reati di cui all’art. 74, D.P.R. cit., configura la costituzione di un’associazione operante dal mese di dicembre del 2019 al mese di giugno del 2021, quanto al capo A), dal 2020 al gennaio 2022, quanto al capo C), che assumeva, come specifico e ben delineato programma criminoso, l’importazione dai Paesi del sud America di ingenti quantitativi di cocaina, tramite un’organizzazione, nella quale i coimputati comparivano anche come promotori e finanziatori dei traffici, congegnati a mezzo del trasporto in Italia dello stupefacente a bordo di navi, stupefacente che era, poi, esfiltrato dal porto di Gioia Tauro, grazie all’aiuto di associati e successivamente consegnato agli acquirenti.

2.4. La stessa imputazione di cui al capo A) e al capo C) fa, altresì, specifico riferimento, sempre nell’ambito delle indicazioni in ordine alla costituzione dell’associazione, a specifici traffici.

Il primo di essi – quanto alla associazione di cui al capo A) – all’importazione di chilogrammi 169 di cocaina, in cui si sostanzia il reato di cui all’art. 73 D.P.R. cit., ascritto al ricorrente, in concorso con gli associati (omissis) e (omissis). Tale ultima condotta viene contestata, sotto il profilo temporale, come accertata a partire da data anteriore al 14 dicembre 2019. Il ruolo ricoperto da (omissis) è quello di avere importato, ricevuto, trasportato e detenuto. Essa risulta essere la prima andata a buon fine fra quelle attribuite, in tutte le imputazioni rubricate, all’attività dell’organizzazione.

2.5. Tutti i chiari indicatori appena evidenziati, quanto ai profili della sequenza e del concreto orientamento finalistico delle condotte, consentono di constatare, secondo la descrizione dei fatti contestati, che al momento stesso della costituzione dell’associazione, (omissis) e (omissis) si rappresentavano che l’organizzazione da loro stessi promossa e finanziata veniva ad esistere e ad operare, anzitutto, come mezzo per eseguire lo specifico traffico, in concorso con l’indagato, che in quegli stessi giorni era da loro congegnato e avviato.

Tratti, questi, che configurano oggettivamente la connessione teleologica, fra il reato associativo e quello previsto dall’art. 73, D.P.R. cit., entrambi ascritti agli originari coimputati di (omissis).

Da ciò deriva, in applicazione dei principi sopra esposti, l’attribuzione della competenza “distrettuale” al G.u.p. del Tribunale di Reggio Calabria per entrambi i reati.

3.Il secondo motivo è generico e manifestamente infondato, a fronte della puntuale motivazione del Collegio del riesame.

(omissis) risulta coinvolto in un numero elevato di ipotesi delittuose, connotate da particolare gravità, alla luce delle modalità di realizzazione che fanno da sole ritenere persistente la sussistenza delle esigenze cautelari. Le contestazioni hanno interessato ingenti incarichi carichi di cocaina che (omissis), tramite i contatti e la stabile e assidua vicinanza con i componenti dell’associazione acquistava per poi commercializzarli presso terzi. Egli, quindi, è risultato avere contatti con ambienti criminali impegnati nel traffico nazionale e internazionale; la costante realizzazione delle condotte almeno per un anno dimostra la spiccata proclività a delinquere dell’indagato e la tendenza di questi a trarre le proprie fonti di sostentamento dal traffico di stupefacenti.

4. Il motivo deve essere affrontato alla luce dei principi di recente affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte, che si sono pronunciate in merito alle questioni di diritto sollevate dal ricorrente, (Sez. U, n. 23756 del 29/02/2024, Giorgi; Sez. U, n. 23755 del 29/02/2024, Gjuzi).

Anche nei casi sottoposti alle Sezioni Unite il compendio indiziario posto alla base delle misure cautelari personali era costituito principalmente da elementi acquisiti tramite o.e.i. da parte dell’autorità giudiziaria italiana (nella specie il Pubblico ministero) e segnatamente da comunicazioni scambiate su chat di gruppo mediante un sistema cifrato, e già a disposizione dell’autorità giudiziaria francese.

4.1. Le Sezioni Unite, dopo avere illustrato le ragioni per cui nei casi esaminati, analoghi a quello rilevante in questa sede, non può farsi riferimento, per giustificare l’acquisizione delle chat, all’art. 234-bis cod. proc. pen. – che risulta applicabile nel diverso caso della diretta acquisizione di documenti e dati informatici, conservati all’estero, se del caso previo consenso del detentore, come peraltro già rilevato in alcune pronunce, che nondimeno avevano escluso la sussistenza di cause di inutilizzabilità (in tal senso Sez. 6, n. 46833 del 26/10/2023, Bruzzaniti, Rv. 285543, Sez. 6, n. 48838 del 11/10/2023, Brunello, Rv. 285599, Sez. 6, n. 46482 del 27/09/2023, Bruzzaniti, Rv. 285363) -, ha riconosciuto la sostanziale legittimità degli ordini europei di indagine: comunque voglia qualificarsi l’attività di indagine autonomamente svolta in Francia -riconducibile o meno ad attività di intercettazione-, è stato al riguardo sottolineato che: 1) si trattava di acquisire atti già nella disponibilità dell’A.G. francese; 2) in tale prospettiva sussisteva il requisito dell’ammissibilità in un caso interno analogo, di cui all’art. 6, parag. 1, lett. b) della direttiva 2014/41/UE, venendo in rilievo gli strumenti che assicurano la circolarità della prova, anche nel caso di intercettazioni telefoniche, secondo quanto previsto dall’art. 270 cod. proc. pen., comunque non implicanti l’intervento autorizzatorio del giudice, fermo restando che venivano in rilievo reati di criminalità organizzata; 3) sussisteva il requisito della proporzionalità in rapporto al mirato quadro di indagine; 4) non erano ravvisabili in fase di esecuzione degli ordini europei di indagine violazioni di diritti fondamentali, comunque non specificamente allegate e comprovate dalla parte interessata; 5) non era necessaria, ai fini dell’utilizzabilità del dato probatorio, la disponibilità dell’algoritmo utilizzato per la decriptazione, incidente sull’affidabilità del dato piuttosto che sulla sua utilizzabilità, fermo restando che sul piano tecnico solo il corretto algoritmo avrebbe assicurato un risultato attendibile in mancanza di specifica allegazione di elementi tali da far dubitare della reale corrispondenza del dato criptato a quello risultante dalla decriptazione; 6) non avrebbe potuto prospettarsi la competenza del giudice all’adozione dell’ordine europeo di indagine, neppure nella prospettiva che venisse in rilievo corrispondenza, essendo anche a tal fine sufficiente il provvedimento del Pubblico ministero, diversamente da quanto, sulla scia di arresti della Corte di giustizia dell’Unione Europea, è ora previsto ai fini dell’acquisizione di tabulati recanti i dati esterni di traffico e ubicazione, dall’art. 132 D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, che fa riferimento all’acquisizione direttamente presso un gestore di servizi telefonici e telematici e non all’acquisizione di dati già nella disponibilità di altra Autorità Giudiziaria; 7) è onere gravante sulla parte che deduca un profilo di inutilizzabilità allegare documentazione a riguardo, tanto più se ciò avvenga in sede di legittimità, ove risulta rafforzato l’onere di allegazione e di prova dì elementi tali da comprovare vizi e carenze da cui discenda l’inutilizzabilità di elementi acquisiti; 8) Per quanto concerne la mancata notifica ex art. 31 della Direttiva 2014/41/UE, l’obbligo di notifica sorge quando l’autorità procedente viene a conoscenza che l’intercettazione riguarda persone il cui “indirizzo di comunicazione” è utilizzato nel territorio di un altro Stato. L’eventuale intempestività della comunicazione non è sanzionata di per sé, e, in ogni caso, opera la garanzia della possibile dichiarazione di inutilizzabilità da parte dell’autorità competente dello Stato in cui è fatto uso dell’indirizzo di comunicazione. Sulla base della disciplina di cui all’art. 31 della Direttiva cit., l’inutilizzabilità dei risultati di intercettazioni disposte da autorità di altro Stato ed effettuate nei confronti di persone il cui “indirizzo di comunicazione” è attivato in Italia sussiste solo se l’autorità giudiziaria italiana rileva che le captazioni non sarebbero state consentite “in un caso interno analogo”, perché disposte per un reato per il quale la legge nazionale non prevede la possibilità di ricorrere a tale mezzo di ricerca della prova.

5. Declinati i suddetti principi in relazione al caso in esame, il motivo aggiunto sopra richiamato non può portare all’annullamento dell’ordinanza impugnata. Invero, il procedimento seguito per l’acquisizione a mezzo o.e.i. delle chat criptate utilizzate a carico del ricorrente – del tutto identico a quello scrutinato dalle Sezioni Unite – è legittimo, concernendo delitti per i quali nell’ordinamento interno può essere disposta l’intercettazione ai sensi dell’art. 266 cod. proc. pen., né il ricorrente ha evidenziato specifiche e concrete violazioni dei diritti fondamentali idonee a integrare l’invalidità della prova acquisita, ed essendo del tutto legittima l’acquisizione delle chat trasmesse con l’o.i.e.

6. Conclusivamente, sulla base di quanto premesso, il ricorso deve essere rigettato, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.Così deciso in Roma, il 9 luglio 2024.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2024.

Allegati

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