Svolgimento del processo
1. Con il provvedimento in epigrafe indicato, la Corte di appello di Messina ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Messina in data 10 gennaio 2022 con cui l’imputato (omissis) è stato condannato per i reati di cui agli artt. 337, 582, 585 c.p., art. 576 c.p., comma 1, lett. 5-bis), e L. n. 110 del 1975, art. 4 per avere usato violenza ai danni del carabiniere (omissis), per avere cagionato al predetto pubblico ufficiale lesioni personali guaribili in quindici giorni, con l’aggravante dello stato di ubriachezza abituale (fatti del (omissis)).
2. Tramite il proprio difensore di fiducia, (omissis) ha proposto ricorso per cassazione, deducendo i motivi di seguito sintetizzati.
2.1. Violazione di legge e vizio della motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), per avere la Corte ritenuto sussistente l’aggravante dell’ubriachezza abituale in difetto dell’accertamento che all’abuso di sostanze alcoliche corrispondesse anche un effettivo stato di abituale alterazione fisiologica dovuta all’ubriachezza.
2.2. Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio della motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), in ordine alla riconosciuta sussistenza della aggravante di cui all’art. 576 c.p., comma 5-bis, per avere la Corte territoriale disatteso lo specifico motivo dell’appello avanzato sul punto, affermando l’esistenza della circostanza aggravante di cui al predetto articolo, sebbene il fatto nel quale si sostanzia tale aggravante sia già elemento costitutivo del delitto di resistenza a pubblico ufficiale, con la conseguente violazione del principio del “ne bis in idem” sostanziale.
2.3. Con il terzo motivo deduce violazione di legge in relazione alla disposta riduzione di un terzo per il giudizio abbreviato estesa per effetto della continuazione anche al reato satellite meno grave di natura contravvenzionale, in violazione del principio del favor rei che impone che la decurtazione per il reato contravvenzionale sia operato nella misura della metà, anche quando i reati in continuazione sono di specie diversa ed il reato più grave sia un delitto.
A supporto dell’assunto si richiama l’orientamento espresso dal precedente n. 14068/2019 della Sez. 2 della Corte di Cassazione.
3. Si deve dare atto che il ricorso è stato trattato, ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, commi 8 e 9, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176 senza l’intervento delle parti.
Motivi della decisione
1. I primi due motivi in merito all’aggravante dell’ubriachezza abituale ex art. 94 c.p. e di quella prevista dall’art. 576 c.p., comma 5-bis, nel caso di concorso del reato di lesioni con il reato di resistenza a pubblico ufficiale sono manifestamente infondati.
Sul primo punto nella impugnata sentenza con motivazione esente da vizi logici si chiarisce che lo stato di ubriachezza abituale è stato ritenuto accertato sulla base della testimonianza resa dalla madre dell’imputato, oltre che dai ripetuti controlli amministrativi che ne hanno verificato lo stato di ubriachezza in sede sanitaria (vedi referto di pronto soccorso) e per l’ulteriore riferimento ad un precedente per guida in stato di ebrezza.
Non si tratta, quindi, di semplice abuso di alcolici, ma di soggetto che per effetto di tale abuso versava abitualmente in stato di ubriachezza.
2. Sul secondo punto va ribadito l’orientamento seguito da questa stessa Sezione della Corte di cassazione (Sez. 6, 9/11/2017, De Feo, Rv. 272203), secondo cui l’aggravante di cui all’art. 576 c.p., comma 1, n. 5-bis, consistente nell’aver commesso il fatto nei confronti di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza, nell’atto o a causa dell’adempimento delle funzioni o del servizio, è configurabile in relazione al delitto di lesioni personali volontarie anche quando lo stesso concorre con quello di resistenza a pubblico ufficiale.
Ciò perchè l’aggravante in esame introduce un elemento specializzante, riferito alle condotte poste in essere contro una particolare categoria di pubblici ufficiali, il cui disvalore non è assorbito da quello della fattispecie incriminatrice di cui all’art. 337 c.p..
Secondo questo orientamento appare corretto ritenere che lo specifico apprezzamento di disvalore espresso dall’art. 576 c.p., comma 1, n. 5-bis), in riferimento alle condotte poste in essere contro una particolare categoria di pubblici ufficiali, (specifica, e ben delimitata, categoria di pubblici ufficiali, e precisamente “contro un ufficiale o agente di polizia giudiziaria, ovvero un ufficiale o agente di pubblica sicurezza”) nell’atto o a causa dell’adempimento delle funzioni o del servizio, non può ritenersi assorbito da quello rilevato dalla fattispecie incriminatrice di cui all’art. 337 c.p., concernente condotte oppositive nei confronti di qualunque pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, mentre compie un atto di ufficio o di servizio.
3. Quanto al motivo sulla riduzione della pena in abbreviato nel caso di reato contravvenzionale unito dalla continuazione a delitto, si deve registrare un contrasto in sede di legittimità.
E’ stato affermato da alcune pronunce che la misura della decurtazione “fissa” della pena inflitta per le contravvenzioni (indicata nella metà), prevista dalla L. n. 103 del 2017, si configura come norma penale di favore ed impone che quando sia ritenuta la continuazione tra delitti e contravvenzioni la riduzione per il rito si debba effettuare distintamente sugli aumenti disposti per le contravvenzioni, nella misura della metà, e su quelli disposti per i delitti nella misura di un terzo (vedi, Sez. 2, n. 14068 del 27/02/2019, Selvaggio, Rv. 275772).
Ritiene il Collegio che sia senz’altro più corretto l’opposto e più recente orientamento (vedi, Sez. 3, n. 41755 del 06/07/2021, A., Rv. 282670) che assimila la contravvenzione al delitto nel caso in cui la pena sia stata determinata in modo unitario in applicazione della regola del cumulo delle pene concorrenti ex art. 76 c.p., quindi in termini di reclusione e multa, e non di arresto o ammenda.
In tale caso si deve considerare omogenea la pena del reato continuato ex art. 81 c.p. rapportata alla pena per il delitto quale reato più grave, sia pure determinata secondo le modalità specificate dalle Sez. U, n. 40983 del 21/06/2018, Giglia, Rv. 273751 che hanno affermato, quanto al “genere”, che l’aumento di pena per il reato satellite sebbene debba essere effettuato secondo il criterio della pena unica progressiva per “moltiplicazione”, rispettando tuttavia in ossequio al principio di legalità della pena e del favor rei, il “genere” della pena del reato “satellite”, sicchè l’aumento della pena detentiva del reato più grave dovrà essere ragguagliato a pena pecuniaria della multa, ai sensi dell’art. 135 c.p. nel caso in cui il reato satellite sia una contravvenzione punita con sola pena pecuniaria dell’ammenda.
Nel caso di specie il reato previsto dalla L. 18 aprile 1975, n. 110, art. 4 legge armi è punito con la pena congiunta dell’arresto e dell’ammenda – salvo il caso dei fatti di lieve entità punito con la sola ammenda che qui non ricorre quindi, l’aumento di pena è stato computato in mesi tre di reclusione per detto reato contravvenzionale in relazione alla pena base determinata per il più grave reato di cui all’art. 337 c.p. ed incluso nella pena finale di anni quattro e mesi nove di reclusione, comprensiva dell’aumento di pena per le lesioni, ridotta correttamente nella misura unitaria di un terzo prevista per il rito abbreviato nel caso di procedimento per delitto.
Non trova alcuna giustificazione sul piano della disciplina sanzionatoria della continuazione la invocata scomposizione della pena per la contravvenzione ai fini della applicazione della riduzione prevista per il giudizio abbreviato nella misura di metà, proprio in forza dei principi affermati dalla citata pronuncia delle Sezioni Unite che, per favor rei, hanno previsto la conversione della pena detentiva in pena pecuniaria corrispondente, e quindi sempre della specie prevista per il delitto anche quando il reato satellite è punito con la sola pena pecuniaria dell’ammenda. In conclusione, dovendosi ritenere nel complesso infondate le doglianze dedotte, il ricorso deve esser rigettato con la conseguente condanna ai sensi dell’art. 616 c.p.p. del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 7 novembre 2022.
Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2022
