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Cassazione penale sez. VI, 21/02/2023, n.14236

Massima

L’allontanamento dalla propria abitazione da parte dell’imputato sottoposto agli arresti domiciliari, ancorché comunicato all’autorità preposta ai controlli, integra il delitto di evasione di cui all’art. 385 c.p. non potendosi ravvisare la inoffensività in concreto, ex art. 49, comma 2, c.p. della condotta, che viola la funzione della misura cautelare da ravvisarsi nella esecuzione e adempimento della decisione del giudice emessa al riguardo della limitazione della libertà personale dell’imputato con la prescrizione di non allontanarsi dall’abitazione e rispetto alla quale è servente la funzione di controllo rimessa alla polizia giudiziaria.

Supporto alla lettura

Il delitto di evasione previsto dall’art. 385 c.p., punisce la condotta di colui che, legalmente arrestato o detenuto per un reato, evade, rompendo il vincolo apposto alla sua libertà personale. La disposizione presuppone lo stato di arresto o detenzione integrando il reato in questione la situazione in cui il soggetto evade da una struttura ospedaliera, ad esempio, o più, comunemente, dalla struttura carceraria o dalla propria abitazione (in caso di arresti domiciliari). La norma tutela, dunque, l’esecuzione della misura che restringe la libertà personale in maniera legittima. L’evasione è considerata quale un reato proprio, in quanto la qualità personale dell’autore determina la realizzazione della fattispecie: in particolar modo può essere commesso solo ed esclusivamente da persona legalmente arrestata e/o detenuta, essendo condizione di procedibilità, ai fini della configurabilità, l’elusione della misura restrittiva. Il reato in questione è a forma libera, non sono determinanti le modalità tramite le quali il soggetto riesce ad evadere, quanto l’atto stesso. Presupposto fondamentale è il dolo dell’autore: deve sussistere la precisa, cosciente e concreta volontà del soggetto agente di volersi sottrarre ad un provvedimento che limita la libertà. Ad esempio non può essere imputato per tale reato il soggetto che si allontana dal proprio domicilio a causa di un errata conoscenza del permesso concesso. Il bene giuridico tutelato dall’art. 385 c.p è l’interesse dello Stato, nell’amministrazione della giustizia, al mantenimento ed all’osservanza delle misure restrittive della libertà personale disposte nei confronti dell’indagato, imputato o condannato.

Ambito oggettivo di applicazione

RITENUTO IN FATTO

  1. La Corte di appello di Torino, all’esito di rito abbreviato, ha confermato la condanna di D.N. alla pena di un anno e sei mesi di reclusione per reati di evasione (art. 385 c.p.). La Corte di appello, premesso che non è contestata la materialità dei fatti – poiché è pacifico che l’imputata si allontanava dal luogo ove ristretta agli arresti domiciliari – ha escluso che l’illecito potesse ritenersi scriminato per inoffensività della condotta o la lievità del fatto tenuto conto sia della pluralità degli episodi, sia delle ragioni che determinavano la condotta stessa perché l’allontanamento era funzionale alla partecipazione a manifestazioni di protesta, analoghe a quelle nelle quali erano maturati i fatti per i quali era stata applicata la misura custodiale, confermando e, anzi, aggravando le esigenze cautelari a fondamento del titolo custodiale. La Corte ha valorizzato, altresì, che nelle more del giudizio l’imputata non manifestava segni di resipiscenza perché rifiutava di sottoscrivere gli adempimenti relativi alla notifica.
  2. Con i motivi di ricorso, di seguito sintetizzati ai sensi dell’art. 173 disp. att. c.p.p. nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione il difensore denuncia violazione di legge e vizio di motivazione sulla ritenuta insussistenza della inoffensività della condotta: rileva che l’imputata aveva sempre comunicato alle autorità proposte alla sorveglianza i luoghi nei quali si sarebbe recata, anticipando anche pubblicamente i propri spostamenti e le attività politiche che l’avrebbero coinvolta. La violazione della fattispecie incriminatrice di cui all’art. 385 c.p. non si realizza con il mero allontanamento dal luogo prescritto ma implica un quid pluris consistente nella effettiva sottrazione ai controlli dell’autorità nel caso insussistente con conseguente applicabilità dell’art. 49, comma 2 c.p. e non punibilità del fatto. Lo stesso ufficio del Pubblico Ministero aveva chiesto, a suo tempo, la revoca della misura per insussistenza delle esigenze cautelari ed evidenziando che le condotte non era finalizzate ad evadere ma a “sfidare” la giustizia con conseguente assoluta innocuità o, per certi versi, non tipicità delle condotte.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

  1. Il ricorso è proposto per motivi manifestamente infondati e, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.

Non sussistono i presupposti – della inoffensività della condotta o della mancanza dell’elemento psicologico del reato – per annullare senza rinvio la sentenza impugnata.

Rileva il Collegio che il concetto di offensività della condotta, calibrato anche in relazione al contenuto dell’art. 49, comma 2, c.p., presuppone che un fatto tipico, cioè inquadrabile nella fattispecie incriminatrice in relazione ai suoi elementi costitutivi (condotta materiale, elemento psicologico ed evento), si configuri, in concreto, come del tutto inidoneo a realizzare la offensività del bene protetto dalla fattispecie incriminatrice che, nel caso del reato di evasione di cui all’art. 385 cod. pen., viene individuato nell’esigenza di imporre il rispetto delle decisioni emesse al riguardo della limitazione della libertà personale dell’imputato (o del condannato) dall’autorità giudiziaria. Non va trascurato che la misura cautelare degli arresti domiciliari si inquadra in una vasta gamma di misure attraverso le quali, pur in presenza di esigenze cautelari, tra le quali quella del pericolo di reiterazione delle condotte illecite, la misura della cautelare in carcere costituisce extrema ratio. Al giudice è fatto obbligo, al momento della scelta della misura (art. 275 c.p.p.) di optare per l’applicazione della misura più adeguata e, proporzionata a realizzare il rispetto delle esigenze cautelari. Con la misura degli arresti domiciliari (art. 284 c.p.p.), il giudice prescrive all’imputato di non allontanarsi dalla propria abitazione…, prescrizione alla quale è funzionale l’esercizio dei poteri controllo da parte dell’autorità di polizia giudiziaria addetta (art. 284, comma 4 c.p.p. e art. 98 disp. att. c.p.p.). Il codice di rito delinea la misura degli arresti domiciliari, rispetto a quella di massimo rigore e di natura eminentemente coattiva della custodia in carcere, come una misura di natura fiduciaria nel senso che la sua esecuzione e’, in massima parte, rimessa alla volontà della persona che vi è sottoposta assegnando meri compiti di controllo dell’osservanza delle prescrizioni alla polizia giudiziaria.

Rispetto a tale composita funzione della misura degli arresti domiciliari la inoffensività del fatto, presuppone che si accerti, in concreto, la inidoneità della condotta a realizzare la violazione dell’interesse protetto perché connotata da modalità esecutive che rivelino un disvalore talmente minimale da non compromettere la tutela del bene giuridico che costituisce la descritta ratio della fattispecie incriminatrice e che è ravvisabile nel rispetto della decisione cautelare emessa dal giudice assicurando tutela, in primo luogo, al rispetto della prescrizione di non allontanarsi dal domicilio coatto.

Secondo la prospettazione difensiva nel caso in esame, avendo l’imputata comunicato alla polizia giudiziaria preposta ai controlli l’allontanamento dal domicilio e i luoghi nei quali si sarebbe recata, non è violata “la ratio” della misura impostale poiché l’imputata non si era sottratta alla possibilità di controllo da parte dell’autorità tenuta alla vigilanza, informata dei suoi spostamenti. A questo riguardo la difesa ha richiamato un precedente di questa Corte (Sez. 6, n. 44595 del 06/10/2015, Ranieri, Rv. 265451) reso in un caso in cui era stata, appunto, ritenuta l’inoffensività della condotta per un imputato che si era allontanato dall’abitazione ove era ristretto per farsi trovare fuori di essa dai carabinieri, prontamente informati della sua intenzione di volere andare in carcere.

La estensione alla fattispecie concreta del principio di questa Corte non può essere accolta perché rivela una visione estremamente parziale della ratio della fattispecie incriminatrice ritagliata su un caso che presentava caratteristiche del tutto diverse dalla vicenda in esame nella quale l’imputata effettivamente comunicava all’autorità proposta ai controlli la sua intenzione di allontanarsi ma per recarsi in luoghi distanti e al di fuori delle possibilità di controllo della polizia (a prescindere se in tali luoghi venissero o meno consumati reati analoghi a quelli che avevano determinato l’applicazione della misura), ma violando la prescrizione del giudice che era quella di permanere nell’abitazione.

Le concrete modalità della condotta e la reiterazione dell’allontanamento, escludono che la funzione sostanziale della misura cautelare, da ravvisarsi nella esecuzione e adempimento della decisione emessa al riguardo della limitazione della libertà personale dell’imputata con la prescrizione di non allontanarsi dall’abitazione e rispetto alla quale è servente la funzione di controllo rimessa alla polizia giudiziaria, sia stata in concreto assolta ovvero che si sia in presenza di una “violazione minimale” dell’interesse protetto e, quindi, di una sostanziale inoffensività della condotta.

Non senza trascurare che la disciplina della misura degli arresti domiciliari prevede (art. 284, comma 3, cit.) un efficace sistema – quello dell’autorizzazione diretta al giudice che ha applicato la misura – per realizzare il giusto contemperamento tra esigenze di prevenzione speciale ed esigenze personali, anche connesse all’esercizio dei diritti fondamentali della persona.

Deve dunque affermarsi che l’allontanamento dalla propria abitazione da parte dell’imputato sottoposto agli arresti domiciliari. ancorché comunicato all’autorità preposta ai controlli, integra il delitto di evasione di cui all’art. 385 c.p. non potendosi ravvisare la inoffensività in concreto, ex art. 49, comma 2, c.p. della condotta, che viola la funzione della misura cautelare da ravvisarsi nella esecuzione e adempimento della decisione del giudice emessa al riguardo della limitazione della libertà personale dell’imputato con la prescrizione di non allontanarsi dall’abitazione e rispetto alla quale è servente la funzione di controllo rimessa alla polizia giudiziaria.

Le concrete modalità della condotta e la reiterazione dell’allontanamento denotano, altresì, la consapevolezza dell’imputata di violare le prescrizioni impostele con riguardo ad un reato a dolo generico, caratterizzato dalla consapevolezza di allontanarsi in assenza della necessaria autorizzazione, a nulla rilevando i motivi che hanno determinato la condotta dell’agente (Sez. 6, n. 19218 del 08/05/2012, Rapillo, Rv. 252876) e le conseguenti scelte del Pubblico Ministero, in materia cautelare.

2.Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, indicata in dispositivo, in favore della Cassa delle Ammende.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 21 febbraio 2023.

 

Allegati

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