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Cassazione penale sez. VI, 19/06/2024, n.36431

Massima

Nel reato di resistenza a pubblico ufficiale, l’elemento oggettivo dell’opposizione si concretizza nell’uso di violenza o minaccia contro il pubblico ufficiale durante l’esecuzione di un atto d’ufficio, finalizzato a coartarne l’agire funzionale. La condotta deve essere diretta, anche implicitamente, all’impedimento o turbativa dell’azione dell’ufficiale, con dolo specifico e contestualmente alla commissione dell’atto. È necessario individuare in modo preciso l’atto ufficiale contestato, al di fuori del quale la violenza o minaccia assumono rilevanza diversa. La mancanza di specificità nell’identificazione dell’atto d’ufficio nell’ambito della condotta contestata determina un vizio strutturale della sentenza e non configura il reato di resistenza.

 

 

Supporto alla lettura

RESISTENZA A PUBBLICO UFFICIALE

Il reato di resistenza a pubblico ufficiale si configura quando una persona usa violenza o minaccia nei confronti di un pubblico ufficiale, cioè colui che esercita una funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa. Le prime due funzioni sono riferibili a parlamentari, consiglieri regionali e giudici; la funzione amministrativa, invece, è riferibile a tutti coloro che dipendono da una pubblica amministrazione (es. medici, cancellieri, docenti, carabinieri, poliziotti ecc.)

Caratteristica fondamentale del reato di resistenza a pubblico ufficiale è che l’atto di ufficio sia già iniziato e che la violenza o la minaccia sia contemporanea allo svolgimento dell’attività.

Perché il reato sia configurabile, è necessario che:

la condotta dell’imputato sia attiva: deve esserci un’azione concreta diretta a ostacolare il pubblico ufficiale;
l’atto sia intenzionale: l’accusato deve aver agito con la volontà di impedire o ostacolare il pubblico ufficiale;
il pubblico ufficiale sia in servizio e stia esercitando le sue funzioni: come un controllo stradale, un arresto o un’operazione di ordine pubblico.
In altre parole, la persona che si oppone al pubblico ufficiale o all’incaricato del pubblico servizio deve influire negativamente sulla libertà di movimento del pubblico funzionario.

Il Codice Penale prevede per questo reato una pena della reclusione da 6 mesi a 5 anni.

Se vi sono aggravanti, come l’uso di armi o l’aver causato lesioni al pubblico ufficiale, la pena può aumentare. Inoltre, se il reato viene commesso in concorso con altre persone, le sanzioni possono essere ulteriormente aggravate.

Esistono tuttavia circostanze attenuanti, che possono ridurre la pena, ad esempio:

se l’atto di resistenza è stato proporzionato e non ha provocato danni gravi;
se l’imputato ha agito in stato di necessità o legittima difesa;
se la condotta può essere ridimensionata rispetto all’accusa formulata.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza con cui Pa.Gi. è stato condannato per il reato di resistenza a pubblico ufficiale.

L’imputato, detenuto in carcere, avrebbe proferito una serie di frasi minacciose all’indirizzo dì Cr.Fr., agente della Polizia penitenziaria, che, compiendo un atto dell’ufficio, lo “invitava a mantenere un comportamento consono”.

2. Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato articolando un unico motivo con cui si deduce violazione di legge.

Si sostiene che il fatto sarebbe riconducibile all’art. 341-bis cod. pen., essendosi l’imputato limitato ad apostrofare come “femminuccia” l’agente di polizia penitenziaria dopo averlo chiamato all’interno della propria cella di pernottamento; le successive espressioni, si aggiunge, dovrebbero considerarsi quali prosecuzione delle offese iniziali e non come autonome minacce.

Né vi sarebbe neppure la prova che le offese furono proferite in presenza di più persone.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.Il ricorso è fondato.

2. Dalla sentenza impugnata emerge che: a) il 13.9.2019 l’agente di polizia penitenziaria Cr.Fr., durante lo svolgimento del proprio turno di lavoro presso la Casa di reclusione di Milano Opera, fu chiamato dall’imputato che, in quel momento, era all’interno della sua cella di pernottamento; b) l’agente, arrivato alla cella, fu oggetto di scherno; c) l’agente, dopo aver richiamato all’ordine l’imputato, fu attinto da frasi minacciose, nel senso che fu invitato dall’imputato ad allontanarsi dalla cella altrimenti sarebbe stato colpito con oggetti.

3. Le Sezioni unite hanno già spiegato che la condotta tipica del delitto in esame si concreta nell’uso della violenza o della minaccia da chiunque esercitata per “opporsi a un pubblico ufficiale” (o a un incaricato di un pubblico servizio o a coloro che, richiesti, gli prestano assistenza) mentre compie un atto dell’ufficio o del servizio.

L’elemento oggettivo del reato risulta tipizzato sul piano modale e teleologico, essendo sanzionata ogni condotta diretta a conseguire lo scopo oppositivo indicato dalla disposizione attraverso l’uso di violenza o minaccia nei confronti del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio agente.

I suddetti elementi fattuali rilevano nella loro idoneità e univocità a impedire o a turbare la libertà di azione del soggetto passivo, sicché il reato è integrato da qualsiasi condotta che si traduca in un atteggiamento, anche implicito, purché percepibile, che impedisca, intralci o valga a compromettere, anche solo parzialmente o temporaneamente, la regolarità del compimento dell’atto dell’ufficio o del servizio, restando così esclusa ogni resistenza meramente passiva, come la mera disobbedienza.

La struttura della fattispecie sotto il profilo fattuale, prevede, dunque, una condotta commissiva-oppositiva connotata: a) dalla violenza o dalla minaccia (esclusa, come detto, la mera resistenza passiva) rivolta (in modo diretto o indiretto, esplicito o implicito) esclusivamente contro il pubblico ufficiale o il soggetto normativamente ad esso equiparato, siccome tesa a coartarne o a impedirne l’agire funzionale; b) dalla volontà (dolo specifico) di ostacolare il soggetto passivo nel momento dell’esercizio della funzione pubblica.

L’espressione adoperata dal legislatore – “mentre compie un atto di ufficio o di servizio” – ha la finalità di individuare contesto e finalità della condotta oppositiva e di circoscriverne la rilevanza nell’ambito di un obiettivo nesso funzionale ed di un determinato arco temporale, ricompreso tra l’inizio e la fine dell’esecuzione dell’atto dell’ufficio o del servizio; sicché, al di fuori del suddetto ambito, la violenza o la minaccia rivolte al pubblico ufficiale o all’incaricato di un pubblico servizio configurano fattispecie diverse, quali ad esempio la violazione dell’art. 336 cod. pen. nel caso in cui la violenza e la minaccia siano antecedenti all’atto dell’ufficio (così, testualmente, Sez. U, n. 40981 del 22/02/2018, Apolloni, Rv. 273371).

4. Sulla base di tale quadro di riferimento, la sentenza rivela il suo vizio strutturale; rispetto al reato di resistenza a pubblico ufficiale non è stato infatti individuato l’atto dell’ufficio che il pubblico ufficiale sarebbe stato intento a compiere al momento in cui fu commessa la condotta, atteso che: a) l’imputato, al momento in cui chiamò l’agente di polizia penitenziaria, era già all’interno della propria cella; b) la condotta non fu volta ad opporsi ovvero a impedire alcunché ma soltanto ad “insultare” l’agente; c) l’atto, diversamente da quanto affermato dai Giudici di merito, non può essere individuato nel generico riferimento al “regolare svolgimento della attività di vigilanza”, ovvero nell’invito rivolto dal pubblico agente ad avere “un comportamento consono” che, peraltro, non fu né impedito, né, di fatto, ostacolato.

5. Né è stato provato, ai fini di una possibile riqualificazione dei fatti e della loro riconducibilità al reato previsto dall’art. 341-bis cod. pen., che le offese furono proferite in presenza di più persone.

6. Ne consegue che la sentenza deve essere annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.

Così deciso in Roma il 19 giugno 2024.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2024.

Allegati

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