2. (omissis) ricorre per cassazione deducendo quattro motivi, di seguito riassunti nei termini strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Violazione dell’art. 17, comma 4, legge n. 69 del 2005, in quanto il mandato di arresto europeo si limita a elencare i reati di cui il ricorrente è accusato senza indicare o allegare le fonti di prova a suo carico.
2.2. Violazione dell’art. 18-ter, comma 1 e 6, comma 1 -bis, legge n. 69 del 2005.
2.3. Violazione degli artt. 3 e 6 CEDU, 47 Carta di Nizza in relazione alle condizioni di carcerazione in Polonia, alla luce delle criticità segnalate dal Comitato per la prevenzione della tortura e alla procedura di infrazione avviata nei confronti dello Stato richiedente a seguito dell’entrata in vigore della riforma giudiziaria.
2.4. Violazione dell’art. 18-bis, comma 1, lett. a) legge n. 69 del 2005 in quanto il mandato di arresto europeo concerne reati commessi in Polonia e “altrove”, ma non specifica “il tempus e il locus commissi delicti”.
3. Il secondo motivo è manifestamente infondato in quanto lamenta la violazione di una norma che si riferisce al mandato di arresto europeo esecutivo e non a quello processuale.
4. Il terzo motivo è complessivamente infondato.
4.1. Il profilo di doglianza relativo alle condizioni di detenzione non è consentito in quanto è stato posto per la prima volta, in termini estremamente generici, con il ricorso per cassazione.
4.2. Con riferimento, invece, al tema, meramente accennato in ricorso, concernente le criticità correlate alla riforma della magistratura polacca, il ricorrente si è limitato a richiamare la sentenza della Corte di Giustizia, Grande Sezione, del 5/6/2023, C-204/21 senza, tuttavia, illustrarne le ricadute ai fini della presente decisione.
Va, in primo luogo, considerato che tale sentenza non ha sospeso l’esecuzione del mandato di arresto europeo nei confronti della Polonia, ma ha riscontrato la violazione del diritto dell’Unione da parte di detto Stato in relazione a specifiche riforme concernenti la magistratura.
Accogliendo parzialmente il ricorso della Commissione europea, la Corte di Giustizia ha, infatti, affermato che: 1) avendo trasferito alla Sezione disciplinare del Sad Najwyzszy (Corte suprema), la cui indipendenza e imparzialità non sono garantite, la competenza a decidere in merito a controversie aventi incidenza diretta sullo status e sullo svolgimento della funzione di giudice e di giudice ausiliario, come, da un lato, le domande di autorizzazione all’esercizio dell’azione penale nei confronti dei giudici e dei giudici ausiliari o all’arresto degli stessi, e, dall’altro, le controversie in materia di diritto del lavoro e della previdenza sociale riguardanti i giudici del Sad Najwyzszy (Corte suprema), nonché le controversie in materia di pensionamento di questi ultimi, la Repubblica di Polonia è venuta meno agli obblighi a essa incombenti in forza dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE; 2) avendo adottato e mantenuto in vigore l’art. 107, par. 1, punti 2 e 3, della legge relativa all’organizzazione degli organi giurisdizionali ordinari, del 27 luglio 2001, e l’art. 72, par. 1, punti da 1 a 3, della legge sulla Corte suprema, che consentono di qualificare come illecito disciplinare la verifica del rispetto dei requisiti del diritto dell’Unione europea di indipendenza, imparzialità e precostituzione per legge dei giudici, la Repubblica di Polonia è venuta meno agli obblighi a essa incombenti in forza del combinato disposto dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e dell’articolo 47 della Carta, nonché in forza dell’articolo 267 TFUE; 3) avendo adottato e mantenuto in vigore l’articolo 42a, paragrafi 1 e 2, e l’art. 55, paragrafo 4, della legge relativa all’organizzazione degli organi giurisdizionali ordinari, e l’art. 29, paragrafi 2 e 3, della legge sulla Corte suprema, l’art. 5, paragrafi la e lb, della legge relativa all’organizzazione degli organi giurisdizionali amministrativi del 25 luglio 2002, nonché l’art. 8 di quest’ultima legge, che impediscono a tutti gli organi giurisdizionali nazionali di verificare il rispetto dei requisiti derivanti dal diritto dell’Unione e relativi alla garanzia di un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge, la Repubblica di Polonia è venuta meno agli obblighi a essa incombenti ai sensi del combinato disposto dell’articolo 19, par. 1, secondo comma, TUE e dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali, nonché in forza del principio del primato del diritto dell’Unione; 4) avendo adottato e mantenuto in vigore l’art. 26, paragrafi 2 e da 4 a 6, e l’art. 82, paragrafi da 2 a 5, della legge sulla Corte suprema, nonché l’art. 10 di quest’ultima legge, che trasferiscono alla Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche della Corte suprema la competenza esclusiva a esaminare le censure e le questioni di diritto riguardanti la mancanza di indipendenza di un organo giurisdizionale o di un giudice, la Repubblica di Polonia è venuta meno agli obblighi a essa incombenti ai sensi del combinato disposto dell’art. 19, par. 1, secondo comma, TUE e dell’art. 47 della Carta, nonché in forza dell’articolo 267 TFUE e del principio del primato del diritto dell’Unione; 5) avendo adottato e mantenuto in vigore l’articolo 88a della legge relativa all’organizzazione degli organi giurisdizionali ordinari, l’art. 45, par. 3, della legge sulla Corte suprema, e l’art. 8, paragrafo 2, della legge relativa all’organizzazione degli organi giurisdizionali amministrativi, la Repubblica di Polonia ha violato il diritto al rispetto della vita privata e il diritto alla tutela dei dati personali, garantiti all’art. 7 e all’art. 8, par. 1, della Carta dei diritti fondamentali, nonché all’art. 6, par. 1, primo comma, lettere c) ed e), all’art. 6, par. 3, e all’art. 9, par. 1, del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati).
4.3. In assenza di alcuna statuizione di sospensione dell’esecuzione del mandato di arresto europeo nei confronti della Polonia, deve, dunque, farsi riferimento, quanto alla possibilità di rifiuto della consegna in conseguenza della carenza di indipendenza del potere giudiziario, all’interpretazione adottata dalla Corte di Giustizia, Grande Sezione, con la sentenza del 22 febbraio 2022, C-562/21 e C-563/21.
In tale sentenza la Corte di Giustizia ha affermato che l’art. 1, parr. 2 e 3, della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, come modificata dalla decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009, deve essere interpretato nel senso che, quando l’autorità giudiziaria dell’esecuzione chiamata a decidere sulla consegna di una persona oggetto di un mandato d’arresto europeo dispone di elementi che attestano l’esistenza di carenze sistemiche o generalizzate concernenti l’indipendenza del potere giudiziario dello Stato membro emittente, per quanto riguarda segnatamente la procedura di nomina dei membri di tale potere, la suddetta autorità può rifiutare la consegna della persona in parola soltanto laddove:
– nell’ambito di un mandato d’arresto europeo emesso ai fini dell’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà, detta autorità constata che sussistono, nelle particolari circostanze della causa, seri e comprovati motivi di ritenere che, tenuto conto segnatamente degli elementi forniti dalla persona di cui trattasi e relativi alla composizione del collegio giudicante che ha conosciuto della sua causa penale o di qualsiasi altra circostanza rilevante ai fini della valutazione dell’indipendenza e dell’imparzialità di siffatto collegio, il diritto fondamentale della stessa persona a un equo processo dinanzi a un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge, sancito dall’articolo 47, secondo comma, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, sia stato violato;
– nell’ambito di un mandato d’arresto europeo emesso ai fini dell’esercizio di un’azione penale, questa stessa autorità constata che sussistono, nelle particolari circostanze della causa, seri e comprovati motivi di ritenere che, tenuto conto segnatamente degli elementi forniti dalla persona di cui trattasi e relativi alla sua situazione personale, alla natura del reato per il quale quest’ultima è sottoposta a procedimento penale, al contesto di fatto in cui tale mandato d’arresto europeo si inserisce o a qualsiasi altra circostanza rilevante ai fini della valutazione dell’indipendenza e dell’imparzialità del collegio giudicante verosimilmente chiamato a conoscere del procedimento a carico della persona in parola, quest’ultima corra, in caso di consegna, un rischio reale di violazione del diritto fondamentale di cui trattasi.
4.4. Letto alla luce di tali chiare coordinate interpretative, il motivo di ricorso non può essere accolto in quanto, tenuto conto della natura processuale del mandato di arresto emesso nei confronti del ricorrente, non allega alcun elemento specifico da cui dedurre la sussistenza di un rischio di pregiudizio individuale correlato alla carenza di indipendenza e imparzialità del giudice chiamato a conoscere del procedimento a suo carico.
Va, dunque, affermato che, in tema di mandato di arresto processuale, fin tanto che il mandato d’arresto europeo non sia sospeso, ai sensi dell’art. 7, par. 2, T.U.E., nei confronti dello Stato membro, la possibilità di rifiutare la consegna in relazione a carenze sistemiche concernenti l’indipendenza del potere giudiziario dello Stato emittente, va riconosciuta, alla luce di quanto affermato dalla sentenza della Corte di Giustizia, Grande Sezione, del 22 febbraio 2022, C-562/21 e C-563/21, soltanto nel caso in cui l’autorità giudiziaria di esecuzione accerti, sulla base delle allegazioni del consegnando, che vi sono motivi seri e comprovati per ritenere che la persona richiesta corra, a seguito della consegna, un rischio reale di violazione del suo diritto fondamentale ad essere giudicato da un giudice indipendente, come riconosciuto dagli artt. 6 CEDU e 47 Carta di Nizza.
5. Il quarto motivo è inammissibile in quanto si limita ad enunciare in termini assolutamente aspecifici ed esplorativi la dedotta violazione di legge, senza alcuna allegazione di elementi, trascurati dalla sentenza impugnata, sintomatici della sussistenza di una delle condizioni previste dalla lettera a) dell’art. 18-bis, comma 1, legge n. 69 del 2005 (reato commesso in tutto o in parte in territorio italiano o reato commesso fuori dal territorio dello Stato di emissione per il quale la legge italiana, sussistendo la medesima condizione, non consente l’esercizio dell’azione penale).
6. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 17 giugno 2025.
Depositata in Cancelleria il 18 giugno 2025.
