• Home
  • >
  • Cassazione penale sez. VI, 16/07/2021, n. 27689

Cassazione penale sez. VI, 16/07/2021, n. 27689

Massima

In tema di revocazione della confisca di prevenzione, ex art. 28 D.Lgs. n. 159/2011, essa non costituisce strumento idoneo a sindacare l’applicazione della misura per asserita illegittimità costituzionale della norma sottostante, specie quando la pronuncia della Corte Costituzionale (quale la n. 24 del 2019 sull’art. 1, lett. b, del Codice antimafia) ne abbia validato l’interpretazione senza effetto demolitorio, non consentendo una rivisitazione critica a ritroso di provvedimenti passati in giudicato.

Supporto alla lettura

CONFISCA

Si tratta di una misura di sicurezza patrimoniale che consiste nell’espropriazione a favore dello Stato dei beni che servirono o furono destinati a commettere il reato (c.d. mezzi di esecuzione del reato) e delle cose che ne sono il prodotto o il profitto.

L’art. 240 c.p. distingue due tipologie di confisca:

  • facoltativa: ha ad oggetto gli strumenti, il prodotto o il profitto;
  • obbligatoria: ha ad oggetto il prezzo, gli strumenti informatici o telematici utilizzati per la commissione di taluni reati specificatamente indicati, le cose il cui uso o detenzione o porto costituisce reato anche se non c’è stata sentenza di condanna.

La L. 300/2000 ha introdotto un’altra tipologia di confisca c.d. per equivalente (disciplinata dall’art. 322 ter c.p.) che deve essere disposta necessariamente dal giudice in caso di condanna o di sentenza di applicazione di pena ex art. 444 c.p., ma anche nel corso delle indagini preliminari con lo strumento del sequestro preventivo.  A tal proposito, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca attualmente opera con una duplice modalità:

  • il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta, avente ad oggetto i beni costituenti il profitto o il prezzo del reato;
  • il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente (o per valore), che interviene laddove non sia possibile procedere alla confisca diretta e che riguarda i beni di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente al profitto o al prezzo del reato senza che sia necessario provare il nesso

Tuttavia, la confisca, a differenza del sequestro che ha natura cautelare provvisoria, comporta l’ablazione definitiva delle utilità patrimoniali in sequestro, secondo il disposto dell’art. 12 bis D.lgs. 74/2000, ed opera quando il procedimento penale viene definito con sentenza di condanna ovvero con applicazione della pena concordata tra le parti (patteggiamento).

L’ istituto in esame è stato esteso ai reati tributari mediante la legge finanziaria del 2008, e in tema di reati contro la Pubblica Amministrazione fa da modello l’art. 322 ter c.p..

Diverse tipologie di confisca sono previste nel d.lgs. 231/2001 sulla responsabilità amministrativa delle società e degli enti. In questo caso l’istituto della confisca si connota in maniera differenziata a seconda del contesto in cui è chiamato ad operare.

Nella legislazione antimafia la confisca è divenuto lo strumento privilegiato di contrasto alla criminalità organizzata e può suddividersi in:

  • confisca di sicurezza (art. 240 c.p.);
  • confisca sanzionatoria (art. 416 bis comma 7 c.p. e 12 sexies D.l. 306/92 per la persona fisica e artt 19 e 24 ter comma 1 d.lgs. 231/2001 per le persone giuridiche);
  • confisca di prevenzione (art 24 d.lgs. 159/11 recante il nuovo codice antimafia e delle misure di prevenzione).

Un’altra figura di confisca è quella c.d. urbanistica (prevista dall’art. 44 d.P.R. 380/2001) che prevede la confisca obbligatoria di terreni e fabbricati oggetto del reato di lottizzazione abusiva.

La L. 157/2019 ha affiancato alle altre ipotesi di confisca la c.d. confisca allargata (o confisca per sproporzione) a carico di coloro che commettono alcune tipologie di reati fiscali.

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo

1. Con il provvedimento descritto in epigrafe la Corte di appello di Perugia ha rigettato la richiesta di revocazione D.Lgs. n. 6 settembre 2011, n. 159, ex art. 28 (Codice antimafia) articolata da (omissis) in relazione alla misura di prevenzione personale e patrimoniale applicata allo stesso dal Tribunale di Roma con decreto del 14 marzo 2017 e confermata in appello con provvedimento del 29 maggio 2018.

2. Con un unico motivo si lamenta violazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 159 del 2011art. 1, lett. b), 4, lett. c), 1624 e 28 nonchè motivazione assente o solo apparente.

Si rimarca che con l’istanza di revocazione la Corte era stata sollecitata per un verso a verificare, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019, l’attuale sostenibilità sia del giudizio di pericolosità sociale, ascritto al (omissis) in origine facendo leva indistinta sulla ritenuta sussistenza dei requisiti previsti dal D.Lgs. n. 159 del 2011art. 1, lett. a), b), sia della misura patrimoniale, in considerazione dei diversi parametri di giudizio imposti dal citato intervento del Giudice delle leggi; per altro verso ad accertare la tenuta della confisca con riguardo ai nuovi elementi di giudizio offerti da due diverse consulenze tecniche, dirette a mettere in discussione le conclusioni assunte all’epoca dai giudici della prevenzione.

Motivi di revocazione, questi, entrambi non riscontrati dalla Corte territoriale con valutazione affetta dalle violazioni rivendicate perchè:

– quanto alla prima rivendicazione, a fronte della evidente e inestricabile commistione tra i due profili di pericolosità sopra evidenziati, il primo dei quali espunto dal sistema per effetto della citata sentenza della Corte Costituzionale, il Giudice della revocazione si sarebbe limitato ad una pedissequa riproposizione degli argomenti decisori espressi nei provvedimenti di primo e secondo grado assunti nel corso del procedimento di prevenzione, trascurando di operare una puntuale verifica con riguardo all’effettivo rispetto del canoni di valutazione imposti dall’intervento interpretativo offerto dal Giudice delle leggi in relazione alla interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 1, lett. b codice antimafia e alle conseguenti ricadute sul giudizio afferente la sproporzione reddituale posta a fondamento della misura patrimoniale;

– quanto alla ritenuta assenza di elementi di novità utili a sostenere la revocazione, perchè gli elementi allegati a sostegno della prima consulenza (datata 7 agosto 2019) dovevano ritenersi nuovi, dato che, anche se preesistenti alle decisioni oggetto di revocazione, non erano mai stati valutati dai giudici della prevenzione e perchè la citata sentenza della Corte costituzionale, dando corpo ad un diverso assetto normativo di riferimento, finirebbe per incidere anche sulle valutazioni rese in ordine alla sproporzione reddituale, imponendo una rivalutazione di elementi altrimenti qualificati in precedenza secondo uno statuto disciplinare delle misure di prevenzione diverso da quello validato dal Giudice delle leggi (con riguardo in particolare alla natura illecita dei rapporti del proposto con il (omissis), tale da influire sulla negata considerazione dei prestiti da questi erogati al (omissis)).

Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile per più concorrenti ragioni.

2. In primo luogo va ribadito che, ad avviso del Collegio, in linea con un orientamento già messo in luce da questa stessa sezione della Corte sul punto (Sez. 6, Sentenza n. 36582 del 28/10/2020, Iannuzzi,Rv. 280183), la revocazione prevista dall’art. 28 codice antimafia non è lo strumento da attivare per fare valere le ricadute sulla base legale di applicazione della misura di prevenzione reale derivanti da una dichiarazione di incostituzionalità del relativo dato normativo di riferimento. Al fine, prescindendo dalla fondatezza nel merito della relativa prospettazione, occorreva rivolgersi al giudice della prevenzione, nelle forme di cui all’art. 11 del codice antimafia: ciò con ancora più fermezza nel caso di specie, laddove l’istanza del soggetto interessato miri anche a travolgere, sulla base del medesimo presupposto in diritto, anche la misura personale che si ritenga travolta dalla declaratoria di illegittimità costituzionale.

3. Ancor più radicalmente, va segnalato che, a differenza di quanto ritenuto dal ricorrente, la sentenza n. 24 del 2019, avuto riguardo al disposto di cui all’art. 1, lett. b citato codice, non ha avuto alcun effetto demolitorio rispetto al dato normativo di riferimento.

Recependo la consolidata lettura “tassativizzante” che questa Corte ha dato del contenuto della norma in questione in termini di diritto vivente, la Corte Costituzionale, con la sentenza citata, ha di fatto (il relativo dispositivo non fa cenno della soluzione adottata) rigettato le questioni sollevate sulla tenuta costituzionale della citata disposizione, nell’occasione messe in dubbio sotto diversi parametri, interni e sovranazionali, ribadendone determinatezza di contenuti e prevedibilità delle conseguenze.

In altre parole, senza peraltro vincolare formalmente l’interprete anche per il futuro (come di norma accade anche per le sentenze che formalmente assumono la veste delle ” interpretative di rigetto” tramite l’utilizzo, nel dispositivo, della formula ” nel senso e nei limiti di cui in motivazione”), la sentenza in questione, ha validato, con l’imprimatur determinato dalla autorevolezza della fonte, linee di lettura fondate su una visione costituzionalmente orientata del dato scrutinato, cosi da garantirne la perdurante sussistenza nel sistema.

Ne consegue che nel futuro una eventuale scelta interpretativa di segno contrario, oltre che aggredibile secondo i normali canoni di verifica giurisdizionale, ove privilegiata dal diritto vivente, finirebbe unicamente per scontare, una probabile declaratoria di illegittimità costituzionale. Ma il tutto sempre in una visione prospettica, senza alcuna ricaduta per gli accertamenti pregressi, che ove sfociati, come nella specie, in decisioni dotate di definitiva stabilità, sono destinati a vincolare i destinatari anche se assunti secondo linee interpretative all’epoca della relativa decisione non coerenti con detta lettura.

Ne consegue che la detta sentenza della Corte costituzionale, quale che sia lo strumento processuale all’uopo attivato, non potrebbe mai legittimare una rivisitazione critica a ritroso di provvedimenti coperti dal giudicato, resi sulla base del detto dato normativo, ritenuto immune ai paventati dubbi di legittimità costituzionale e convenzionale.

4. In ragione di tanto, nella specie, sotto entrambi i versanti sopra riferiti, la Corte territoriale, senza scrutinare nel merito le ragioni poste a fondamento, in parte qua, della chiesta revocazione, avrebbe dovuto pregiudizialmente dichiararne l’inammissibilità.

Sia perchè in radice, lo strumento adottato era inconferente; sia perchè, anche trascurando il primo profilo, una volta accertato che la misura, personale e patrimoniale faceva leva non solo sulla lett. a) ma anche sulla lett. b) dell’art. 1 codice antimafia, non avrebbe dovuto verificare la tenuta della decisione alla luce dei parametri interpretativi dettati dalla sentenza n. 24 del 2019 della Corte Costituzionale avuto riguardo a tale ultima disposizione normativa. E che la Corte perugina, nel caso, abbia comunque effettuato questa verifica di merito, senza peraltro rilevare i profili di inammissibilità sopra riassunti, è aspetto che non impedisce, ora, alla Cassazione di intervenire d’ufficio in tal senso.

5. Altrettando inammissibili si sono rilevate le altre doglianze prospettate dal ricorso, per quanto maggiormente conferenti allo strumento processuale attivato.

In particolare, quanto agli elementi di asserita novità addotti a sostegno della revocazione, va subito evidenziato che la prima delle due consulenze evocate dal ricorso (quella datata 7 agosto 2019) si basava pacificamente su elementi pregressi alla decisione da revocare e non allegati nel corso del giudizio prevenzione: la difesa, consapevole di tanto, ne sostiene l’ammissibilità perchè si tratterebbe di dati mai valutati in precedenza, rivendicando, al fine, la stessa regola di giudizio che la giurisprudenza della Corte detta in materia di revisione.

L’assunto è errato in diritto.

5.1. In parte qua, giova ricordare che l’art. 28 in esame, nel prevedere, oggi, la possibilità di agire per la “revocazione” della confisca di prevenzione, ha costituito la canonizzazione degli sforzi interpretativi attraverso i quali la giurisprudenza di questa Corte, in assenza di una apposita previsione di legge in tema di prevenzione patrimoniale, ha rinvenuto nel sistema un appiglio normativo utile a (ri)mettere in discussione l’ablazione divenuta definitiva, una volta che risulti dimostrata la genetica insussistenza dei presupposti che erroneamente ebbero a giustificarla.

Più in particolare, anteriormente alla entrata in vigore del codice antimafia, a fronte del sopra rappresentato vuoto di disciplina, la giurisprudenza di questa Corte, per un verso ebbe a ritenere inadeguata la strada della applicazione analogica alle misure di prevenzione dello strumento della revisione ex art. 629 c.p.p. (Sez. U, Sentenza n. 18 del 10/12/1997, dep. 1998, Pisco, Rv. 210041); per altro verso finì per recuperare sostanzialmente la funzione di questo istituto anche nel campo dell’ablazione di prevenzione, valorizzando, oltre il dato di relativa collocazione sistematica, lo strumento di cui al citato L. n. 1423 del 1956art. 7, comma 2, quale utile veicolo per intervenire ex tunc anche sulle misure reali affette da invalidità genetica. Se ne è consentita, così, la rimozione, rendendo effettivo il diritto, costituzionalmente garantito, alla riparazione dell’errore giudiziario, non ostando al relativo riconoscimento l’irreversibilità dell’ablazione determinatasi, che non esclude la possibilità della restituzione del bene confiscato all’avente diritto o forme comunque riparatorie della perdita patrimoniale da lui ingiustificatamente subita (Sez. U, Sentenza n. 57 del 19/12/2006, dep. 2007, Auddino, Rv. 234956).

La revoca della confisca di prevenzione, per il periodo antecedente la tipizzazione normativa introdotta dalla novella apportata dal D.Lgs. n. 159 del 2011, è stata dunque costruita in via pretoria sulla falsa riga della revisione penale; e, non diversamente dal rimedio ora previsto dall’art. 28 medesimo decreto, costituisce misura straordinaria, che postula, in primo luogo, l’emergere di una prova nuova rispetto a quanto emerso nel corso del procedimento di prevenzione, in mancanza della quale finirebbe per assumere le connotazioni di una impugnazione tardiva.

La certezza delle situazioni giuridiche comunque sottesa anche alle decisioni divenute definitive in materia di prevenzione patrimoniale impone, altresì, che la prova, oltre ad essere nuova, sia anche decisiva, sia cioè suscettibile di mutare radicalmente i termini della valutazione a suo tempo operata. La nuova emergenza, deve dunque presentarsi, nel quadro di un ponderato scrutinio degli elementi a suo tempo acquisiti, come un fattore che determini una decisiva incrinatura del corredo fattuale sulla cui base era intervenuta la decisione (Sez. 2, Sentenza n. 41507 del 24/09/2013, Rv. 257334).

5.2. Ciò premesso, certa la correlazione dei due istituti, va ora scrutinato il tema della incidenza che la disciplina della revisione penale può assumere rispetto ai profili della prova nuova che, se decisiva, potrebbe legittimare la revocazione della misura di prevenzione patrimoniale. Laddove, infatti, si ritenesse di ricostruire il rimedio che occupa, come pretende la difesa del ricorrente in termini sostanzialmente sovrapposti alla revisione penale, le indicazioni in diritto espresse dalla decisione sottoposta all’odierno scrutinio in ordine al giudizio inerente la novità delle prove addotte a sostegno della revoca dovrebbero ritenersi errate, con conseguente fondatezza del ricorso.

Va infatti ribadito che la giurisprudenza di questa Corte (Sez. U, n. 624 del 26/09/2001, dep. 2002, Pisano, Rv. 220443) è ormai ferma nel ritenere che “prove nuove”, rilevanti a norma dell’art. 630 c.p.p., comma 1, lett. c), ai fini dell’ammissibilità della relativa istanza, devono intendersi sia le prove sopravvenute alla sentenza definitiva di condanna; sia quelle formatesi antecedentemente ma scoperte successivamente ad essa; sia quelle non acquisite nel precedente giudizio; sia quelle acquisite nel precedente giudizio, ma non valutate neppure implicitamente (purchè non si tratti di prove dichiarate inammissibili o ritenute superflue dal giudicante).

In questa cornice, dunque, non assume rilievo la circostanza che l’omessa conoscenza della “prova nuova” da parte del giudicante sia imputabile al comportamento processuale negligente, o addirittura doloso, del condannato, poichè tali ultime circostanze potrebbero al più essere prese in considerazione ai fini del riconoscimento del diritto alla riparazione dell’errore giudiziario (Sez. 3, n. 13037 del 18/12/2013, dep. 2014, Segreto, Rv. 259739).

Ricostruita in questi termini, la prova nuova utile a fondare la revoca della confisca finirebbe, quindi, per abbracciare anche emergenze deducibili e non dedotte nel corso del giudizio di prevenzione; e, altrettanto ovviamente, sarebbe anche inutile scrutinare le ragioni della relativa inerzia nel corso del procedimento di prevenzione, assumendo rilievo finanche la scelta difensiva strategica in tal senso.

5.3. Un siffatto assunto non sembra condivisibile.

Giova in primo luogo evidenziare che dopo l’intervento reso dalle sezioni unite “Auddino”, le interpretazioni offerte sul punto dalla giurisprudenza di legittimità avuto riguardo al perimetro dentro il quale circoscrivere lo spazio di azione della prova nuova utile a fondare la revoca non sono state univoche.

Ciò per il vero per in ragione di una certa contraddittorietà di contenuti già riscontrabile nell’argomentare di quest’ultimo arresto, avendo le Sezioni unite per un verso ribadito che la richiesta di revoca non consente di rimettere in discussione atti o elementi già considerati nel procedimento di prevenzione, tra questi compresi anche quelli “in esso deducibili”; per altro verso, per aver di fatto smentito tale ultima delimitazione, rimarcando, quasi contestualmente, che la “richiesta di rimozione del provvedimento definitivo deve muoversi nello stesso ambito della rivedibilità del giudicato di cui agli artt. 630 c.p.p. e ss.”.

Tale incertezza argomentativa ha avuto puntuale riscontro nell’esperienza interpretativa successiva delle sezioni semplici.

Accanto a sentenze che ricostruiscono lo spettro di operatività della richiesta di revoca legata a nuove emergenze fattuali in termini sostanzialmente identici alla revisione del giudicato penale (Sez. 5, Sentenza n. 148 del 04/11/2015, dep. 2016, Rv. 265922), se ne rinvengono altre (per il vero più numerose) che di fatto, non sempre con il dovuto approfondimento argomentativo, collocano la revoca di prevenzione al di fuori degli schemi probatori propri del procedimento ex art. 629 c.p.p. e ss. così come ricostruiti dalla giurisprudenza di legittimità sul tema. In particolare, secondo siffatto orientamento, non potrebbero essere dedotti con la revoca fatti e prove già nella disponibilità del soggetto interessato, dunque deducibili e ma non dedotte, per qualsiasi motivo, nel corso del giudizio di prevenzione (Sez. 2, Sentenza n. 11818 del 07/12/2012, dep. 2013, Rv. 255530; Sez. 6, Sentenza n. 44609 del 06/10/2015, Rv. 265081; Sez. 5, Sentenza n. 303 1 del 30/11/2017, dep. 2018, Rv. 272104).

5.4. Conflitto valutativo, questo, che ha trovato continuità anche dopo la novella apportata dal codice antimafia.

Pur a fronte della intervenuta tipizzazione del rimedio straordinario previsto per la confisca di prevenzione per il tramite del disposto di cui all’art. 28 più volte citato, si rinvengono arresti che tendono ad interpretare il dato positivo che oggi espressamente disciplina la materia in termini di sostanziale coincidenza con il perimetro di operatività della revisione sempre con riguardo al tema del corredo probatorio che deve sostenere le rispettive istanze (da ultimo, Sez. 2, Sentenza n. 19414 del 12/03/2019, Rv. 276063); e si riscontrano decisioni che pur muovendo dalla stretta correlazione tra revocazione della confisca e revisione del giudicato, distinguono poi i due istituti proprio sul piano delle emergenze probatorie che li sostengono avuto riguardo proprio al tema delle prove deducibili ma non dedotte nel corso del giudizio di prevenzione, senza soffermarsi tuttavia sulla linearità di una tale impostazione (ex multis, Sez. 6, Sentenza n. 31937 del 06/06/2019, Rv. 276472); vi sono arresti, infine, con i quali si ribadisce una più restrittiva interpretazione del dato probatorio utile a giustificare la rivisitazione del giudicato da prevenzione patrimoniale, muovendo da una diversa visione fondo dei due istituti (tra questi, Sez. 6, Sentenza n. 26341 del 09/05/2019, Rv. 276075).

Quest’ultima statuizione, in particolare, merita attenzione perchè, pur senza toccare direttamente il tema della possibilità di addurre a sostegno della revocazione prove deducibili ma non dedotte nel corso del giudizio di prevenzione, muove da una condivisibile ricostruzione dei rapporti che corrono tra revocazione ex art. 28 e revisione del giudicato penale.

Sotto questo versante, nel citato arresto, si evidenzia come “il richiamo alle forme previste dall’art. 630 c.p.p. contenuto nel D.Lgs. n. 159 del 2011art. 28 non consenta di assimilare i due istituti sotto il profilo dei presupposti sostanziali che sono disciplinati in modo autonomo e distinto, senza possibilità di interferenza attesa la diversa materia regolata e la differente natura degli interessi tutelati, oltre che del diverso testo normativo”. Ciò deve ritenersi ostativo alla pedissequa riproposizione, in tema di revocazione della confisca, dell’interpretazione estensiva del concetto di prova nuova seguita in materia di revisione sia per il “dato testuale della norma che disciplina i casi di revisione della confisca prevedendo delle ipotesi specifiche, da intendersi tassative, e che, con specifico riferimento alle prove nuove, richiede che esse, oltre ad essere connotate dal carattere della decisività, siano “prove sopravvenute alla conclusione del procedimento”, quando per contro l’art. 630 c.p.p., lett. c).

“…contempla una nozione più ampia di prova nuova, facendo riferimento non solo al caso della sopravvenienza della prova dopo la condanna ma anche al caso della scoperta di prove nuove, ammettendo quindi in modo espresso che le prove nuove siano non solo quelle sopravvenute dopo la condanna ma anche quelle già esistenti prima della condanna ma di cui sia stata acquisita la conoscenza in epoca successiva”. Si è ancora evidenziato, sempre nella sentenza sopra citata, che “sebbene la diversità del testo normativo non possa indurre ad escludere dalla nozione di prova nuova la sopravvenuta acquisizione di prove preesistenti, essendo il carattere di novità della prova comunque ontologicamente presente anche nel caso della scoperta di prove preesistenti, l’assimilazione tra i due istituti non può però oltrepassare il dato testuale normativo sino ad includere nella nozione di prova nuova anche il caso di elementi di prova non solo preesistenti, ma addirittura anche già acquisiti nel procedimento di prevenzione”. Ne consegue, che pur potendosi “…assimilare anche ai fini della revisione della confisca di prevenzione il caso di sopravvenuta conoscenza di prove preesistenti al caso di prove sopravvenute perchè non ancora esistenti, non è tuttavia possibile prescindere dalla necessaria condizione che si tratti di elementi di prova che non siano stati già acquisiti nel corso del procedimento di prevenzione”; non a caso, del resto, ad avviso della Corte, nella revocazione viene previsto “…un termine di decadenza per la proposizione della richiesta di revisione all’art. 28 cit., comma 3 che oltre a delimitare l’ambito temporale di ammissibilità dell’istituto, segna una evidente differenziazione rispetto al procedimento di revisione della condanna che non è soggetto a limitazioni temporali, essendo ammesso in ogni tempo a favore dei condannati (ex art. 629 c.p.p.) proprio per la diversa natura ed effetti del provvedimento definitivo oggetto dell’impugnazione, essendovi in gioco nel caso di revisione della condanna la tutela della libertà personale da ingiuste compromissioni mentre nel caso di revisione della confisca la tutela della proprietà, quindi la tutela di un bene che seppure tutelato dalla Costituzione non assume la medesima rilevanza, con la conseguente ragionevole diversificazione anche della disciplina della revisione”.

5.5. Sembra al Collegio che proprio prendendo le mosse dalla eterogeneità degli interessi tutelati dalla rivisitazione della confisca definitiva rispetto alla revisione del giudicato penale e dando il dovuto riscontro alla peculiarità di sistema che connota la natura della confisca di prevenzione, estranea allo statuto anche costituzionale proprio delle condanne che irrogano pene (come precisato anche dalla Sentenza della Corte Costituzionale n. 24 del 2019), si possa giungere ad affermare che non tutti i profili sostanziali utili alla revisione del giudicato debbano essere pedissequamente riproposti per dare contenuto alla revoca delle misure di prevenzione reale.

In altre parole, guardando al profilo legato alla base probatoria utile a mettere in discussione la definitività di un intervento ablativo di prevenzione patrimoniale, pare corretto definirne i contenuti attraverso riferimenti normativi alternativi rispetto a quelli garantiti per il superamento del giudicato penale, senza necessariamente riprendere le letture interpretative offerte con riferimento a tale ultimo dato normativo.

Nel caso del giudicato penale, è la natura dell’interesse tutelato, negativamente inciso dall’erronea statuizione che si intende privare di stabilità tramite la revisione, che giustifica l’ampio spettro di deduzione probatoria riconosciuto dalla giurisprudenza.

Un’identica capacità di prospettazione, capace di assorbire i fatti dedotti ma non valutati e anche quelli non dedotti pur se per scelta difensiva, non sembra potersi giustificare laddove sia in gioco la definitività di una misura di prevenzione patrimoniale, pur in presenza della medesima esigenza di limitare gli effetti negativi correlati ad una erronea statuizione. Muta, infatti, e in termini di sensibile differenza, la posizione oggetto di tutela quale parametro di riferimento per verificare l’ambito di azione riconosciuta al soggetto assertivamente pregiudicato dalla statuizione definitiva erroneamente emessa: la misura ablativa posta in discussione, per quanto destinata ad incidere su un diritto costituzionalmente quale quello di proprietà, risente comunque della natura patrimoniale dell’interesse da tutelare nel bilanciamento con l’ulteriore prerogativa della certezza garantita dalla stabilità del giudicato.

Sotto questo versante, dunque, la posizione del proposto o del terzo interessato erroneamente attinti da una misura ablativa si accosta più coerentemente al soggetto leso da una decisione erronea all’esito di una controversia civilistica piuttosto che a quello del soggetto che ha subito una condanna penale. Ciò, del resto, assume ulteriore ragionevolezza, una volta che alla confisca si intenda assegnare, secondo la recente lettura che ne ha offerto il Giudice delle leggi (con la già citata sentenza n. 24 del 2019), una funzione meramente ripristinatoria rispetto ad acquisti effettuati dal pericoloso sociale senza un titolo validamente tutelabile, perchè non conforme alle regole dell’ordinamento giuridico. Tanto rende sempre meno comprensibile, sotto il versante del favor probatorio che può sostenerne la domanda, il riferimento al medesimo metro di giudizio utilizzato per la revisione del giudicato penale; e ciò ancor di più se si tiene a mente la complessiva cornice di sistema sottesa all’intervento in prevenzione, in forza della quale, per l’interesse pubblicistico assunto dal bene confiscato in ragione della destinazione che se ne è data dopo la definitività della confisca, il diritto del soggetto ingiustamente attinto da una confisca ad ottenere la restitutio in integrum delle utilità patrimoniali pretermesse (arg. ex art. 46 codice antimafia) può finire per trasformarsi in una mera pretesa patrimoniale equivalente.

5.6. In questa ottica, proprio il regime delle prove preesistenti, sia quelle acquisite ma neppure implicitamente valutate, sia quelle mai dedotte nel corso del procedimento di prevenzione, merita una regola di giudizio che non può essere pedissequamente ricavata dal sistema di tenuta del giudicato penale. Nulla preclude all’interprete, piuttosto, di trarre dal sistema civilistico la relativa regola di giudizio, considerando l’assonanza di fondo che corre tra le due posizioni pretermesse. E così, mutuando le indicazioni dettate sul punto dall’art. 395 c.p.c., se per un verso deve escludersi ogni rilievo alle prove acquisite ma non valutate, per altro verso, quelle non dedotte potranno supportare la richiesta di revoca solo quando si adduca l’impossibilità di provvedere altrimenti per la riscontrata sussistenza della forza maggiore, così come può desumersi dal tenore del citato art. 395, n. 3 (in termini, in motivazione, Sez. 6, n. 2190 del 29 ottobre 2020).

Da qui l’inconferenza delle prove preesistenti, dedotte solo con l’istanza per fatti comunque imputabili all’interessato.

5.7. Sul piano esegetico, poi, non va trascurato che l’art. 28 codice antimafia contiene diversi collegamenti alla disciplina della revocazione prevista dal codice di rito civile.

Come già chiarito da questa Corte con considerazioni che sono da ritenersi certamente condivisibili (Sez. 5, Sentenza n. 28628 del 24/03/2017, Rv. 270238; nello stesso senso in motivazione, Sez. 5, sentenza n. 32471 del 13/06/2019; Sez. 1, sentenza del 7 marzo 2019 n. 12968) e che di seguito vengono riportate in modo pedissequo “il riferimento alla disciplina della revisione penalistica, contenuto nell’art. 28, è non all’istituto ma, dichiaratamente, soltanto “alle forme” dell’art. 630 c.p.p. (si pensi, in particolare al giudice competente), non avendo il legislatore del 2011, rinunciato a formulare una autonoma casistica delle ipotesi nelle quali la revocazione è richiedibile”.

Piuttosto, va rimarcato che l’art. 28 più volte richiamato contiene diversi collegamenti alla disciplina della revocazione prevista dal codice di rito civile.

Ciò non solo sul piano nominalistico ma anche su quello della sostanza, se si considera che l’art. 395 c.p.p. ammette alla revocazione, tra gli altri casi, quello in cui dopo la sentenza sono stati trovati uno o più documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore…omissis”: una locuzione, questa, che, come si sottolinea nel precedente da ultimo citato (Sez. 5, Sentenza n. 28628 del 24/03/2017) “… rende evidente la volontà di sindacare e scoraggiare i comportamenti negligenti o tattici dell’interessato e si riflette in quella dell’art. 28, comma 1, lett. a)”. A parte le ontologiche differenze tra i due istituti, viene rimarcato che “…in entrambi i casi la disciplina positiva indica come imprescindibile, oltre al requisito della decisività della prova nuova, quello della scoperta di essa dopo la adozione del provvedimento conclusivo da revocare”.

La norma processual-civilistica, ha ribadito la Corte nel citato arresto, è stata interpretata dalla giurisprudenza nel senso che la prova nuova che legittima alla revocazione è solo quella che la parte non abbia potuto a suo tempo produrre per causa di forza maggiore e che sia stata recuperata solo successivamente a tale decisione: una interpretazione che, tuttavia, “potrebbe cooperare alla interpretazione dell’art. 28 la cui lettera rimanda in modo chiaro alle prove che “sono scoperte dopo” oltre a quelle che sono “sopravvenute” alla conclusione del procedimento: l’una espressione, cioè, deve intendersi che, nell’ottica della prevenzione a differenza che in quella processual-civilistica, si aggiunga e rafforzi l’altra con la necessaria integrazione interpretativa di carattere logicosistematico, in base alla quale, ai fini della revocazione della confisca di prevenzione, la necessità della “scoperta” successiva – oggi in modo netto rispetto al passato implica la incompatibilità di tale situazione con quella di un precedente atteggiamento meramente omissivo nella allegazione degli elementi, da parte dell’interessato, nel procedimento concluso con provvedimento di cui, in seguito, si richiede la revocazione”.

5.7. Da qui l’inammissibilità della chiesta revocazione, fondata, avuto riguardo ai dati emergenti dalla consulenza datata 7 agosto 2019, su elementi privi del requisito della novità, definito nei termini sopra rassegnati.

6. Quanto, infine, alla consulenza di parte depositata il 22 ottobre 2020, è altrettanto incontroverso che la stessa rimetteva in discussione profili già considerati e valutati dai giudici della prevenzione, come tali evidentemente insuscettibili di una nuova verifica finalizzata a mettere in discussione il giudicato. Nè una tale conclusione può legittimamente ricavarsi dagli asseriti effetti di sistema derivanti dalla più volte citata sentenza n. 24 del 2019 della Corte Costituzionale, nel caso evocata (da pag 20 del ricorso) in termini di evidente inconferenza rispetto all’obiettivo processuale perseguito.

7. Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio e di una somma in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 18 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2021

Allegati

    [pmb_print_buttons]

    Accedi