Massima

In materia di Mandato d’Arresto Europeo, il rischio sistemico di trattamenti inumani e degradanti negli istituti penitenziari dello Stato emittente, ancorché quest’ultimo abbia adottato piani d’azione per le migliorie strutturali, impone all’Autorità Giudiziaria dello Stato di esecuzione di acquisire informazioni individualizzate sulle specifiche condizioni detentive riservate al consegnando, in conformità agli artt. 3 CEDU e 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, non essendo sufficiente il generico richiamo a tali piani per escludere un concreto pericolo di violazione dei diritti fondamentali della persona.

Supporto alla lettura

MANDATO ARRESTO EUROPEO

Il mandato d’arresto europeo (“MAE”) è un procedimento giudiziario semplificato di consegna ai fini dell’esercizio dell’azione penale o dell’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privativa della libertà. Un mandato emesso dalle autorità giudiziarie di uno Stato membro è valido in tutto il territorio dell’Unione europea. Il mandato d’arresto europeo è operativo dal 1° gennaio 2004. Esso ha sostituito i lunghi procedimenti di estradizione tra gli Stati dell’UE.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Milano ha disposto la consegna di St.Ra. in esecuzione del mandato di arresto europeo emesso dall’Autorità Giudiziaria rumena in data 8 maggio 2025, ai fini dell’esecuzione della condanna alla pena di anni 1 mesi 9 di reclusione per i reati di danneggiamento e disturbo della pubblica quiete di cui alla sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Viseu de Sus il 20 novembre 2024.

Convalidato l’arresto di St.Ra., avvenuto in data 10 maggio 2025, è stata applicata nei suoi confronti, in vista della consegna, la misura cautelare degli arresti domiciliari.

2. Ha proposto ricorso il consegnando a mezzo del difensore di fiducia, Avv. Giovanni Benedetto, deducendo, con un unico motivo, la violazione degli artt. 2 e 16 legge 22 aprile 2005, n. 69, 3 CEDU e 6 del Trattato di Lisbona.

Sussiste in Romania un rischio sistemico di sottoposizione dei detenuti a trattamenti inumani e degradanti, anche in ragione delle endemiche problematiche di sovraffollamento e di scarsa igiene degli istituti penitenziari di quel Paese.

Tale rischio è suffragato dalla documentazione prodotta innanzi al Tribunale in merito: a) al caso di cronaca di Mo.Fi., cittadino italiano detenuto nel carcere di P da due anni, dapprima sottoposto ad isolamento per 21 giorni in una cella infestata dai topi ed escrementi e successivamente trasferito in una cella di 35 mq., condivisa con 24 detenuti in condizioni igienico sanitarie precarie; b) alla conseguente interrogazione parlamentare promossa da un deputato del Parlamento italiano; c) al rapporto del Comitato per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani e degradanti (CPT), che ha chiesto, a seguito della visita effettuata in loco nel maggio 2021, di porre rimedio ad alcune gravi e persistenti lacune, ad oggi non risolte in molti istituti penitenziari.

La Corte territoriale non ha riscontrato la richiesta difensiva di formulare richiesta di informazioni integrative individualizzate, ai sensi dell’art. 16 I. n. 69 del 2005, all’Autorità giudiziaria rumena, in ordine alle condizioni detentive che saranno riservate al ricorrente e agli spazi di vivibilità che gli saranno garantiti all’interno della cella di destinazione.

3. Il Sostituto Procuratore generale, nella persona di Raffaele Gargiulo, ha chiesto il rigetto del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato per le ragioni che di seguito si espongono.

2. La Corte di merito ha disatteso la richiesta di informazioni integrative presso l’autorità giudiziaria dello Stato di emissione in ordine alle condizioni detentive che saranno assicurate alla persona richiesta in consegna, con specifico riguardo alle strutture penitenziarie di destinazione.

Ha richiamato, al riguardo, una pronuncia dì questa Corte che ha rilevato come la Romania abbia recentemente adottato un piano di azione generale per il quinquennio 2021-2025, già favorevolmente valutato dagli organi europei per le migliorie strutturali degli istituti penitenziari, alla luce del quale la consegna alle Autorità di quello Stato non comporta astrattamente il rischio di valutazione di violazione dell’art. 3 CEDU (Sez. 6, n. 10119 del 07/03/2024, Sindilaru, Rv. 286166 – 01).

Tale principio è stato confermato nelle più recenti pronunce, sempre riferite alle condizioni degli istituti penitenziari rumeni, all’esito delle informative richieste alla Autorità giudiziaria emittente e dalla stessa puntualmente acquisite (Sez. 6, n. 21256 del 4/06/2025, Turda, non mass.; Sez. 6, n. 14760 del 11/04/2025 Stoian, non mass.).

3. Deve al riguardo considerarsi che la questione del sovraffollamento carcerario va affrontata con criterio di rigore, in quanto idonea a riverberarsi in un rischio di trattamento inumano o degradante per il detenuto.

La Grande Camera della Corte di Giustizia con sentenza del 5 aprile 2016 (C 404/15, Aaranyosi, e C-659/15, Caldararu) ebbe ad affermare che l’esecuzione del mandato di arresto europeo non può mai condurre ad un trattamento inumano o degradante, sulla base del divieto posto dall’art. 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, a sua volta corrispondente all’art. 3 CEDU, che costituisce un valore fondamentale dello spazio eurounitario, avente carattere assoluto, in quanto connesso al rispetto della dignità umana.

Perché si attivi la garanzia invocata, è necessario che il pericolo paventato dal consegnando, di trattamenti disumani e degradanti, non sia meramente supposto o ipotetico.

Già l’originario art. 18, lett. h), della legge 22 aprile 2005, n. 69 richiedeva espressamente che il pericolo di trattamenti lesivi della dignità umana si connotasse come “serio” e tale opzione interpretativa è stata confermata nel vigore della nuova disciplina, introdotta con D.Lgs. 2 febbraio 2021, n. 10, essendosi ritenuto, da questa Corte di legittimità, che sussiste continuità normativa tra l’art. 18, comma 1, lett. h), legge n. 69 del 2005, abrogato dall’art. 12 D.Lgs. n. 10 cit. ed il novellato art. 2 legge cit., relativamente al rifiuto della consegna, ove sussista il rischio di sottoposizione del consegnando a trattamenti di tale natura, correlati alle condizioni detentive (così, tra le molte, Sez. 6, n. 14220 del 14/04/2021, Zlotea, Rv. 280878).

Si è anche precisato che il ricorrente ha quantomeno un onere di puntuale allegazione e che l’accertamento di un rischio concreto di tale natura, una volta puntualmente sollecitato dalle indicazioni difensive, va svolto attraverso la richiesta allo Stato emittente di tutte le informazioni relative alle specifiche condizioni di detenzione previste per l’interessato (v. Sez. 6, n. 10822 del 16/03/2021, Istrate, Rv. 280852, in linea con quanto era stato affermato, nel vigore della vecchia legge da Sez. 6, n. 23277 del 01/06/2016, Barbu, Rv. 267296).

4. Con riferimento alla Romania, a seguito della sentenza della Corte EDU del 25 aprile 2017, Rezmives c. Romania del 25 aprile 2017 (che ha condannato quello Stato per le carenze strutturali delle condizioni di detenzione carceraria, dovute al sovraffollamento ed agli spazi minimi individuali a disposizione dei detenuti) e dell’adozione, da parte dello Stato emittente, in data 25 gennaio 2018, di un action pian per la rimozione delle rilevate criticità, il Comitato dei Ministri aveva esaminato le modifiche poste in essere, dando atto dei consistenti progressi, e dunque della sensibile evoluzione della situazione carceraria, che tuttavia non aveva condotto alla risoluzione definitiva di quelle disfunzioni strutturali, che dovevano essere oggetto di verifiche aggiornate (v. il rapporto n. CPT/inf. 2022-06 e il comunicato del Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa).

Successivamente è stato adottato un piano di azione generale per il quinquennio 2021-2025, già favorevolmente valutato dagli organi europei per le migliorie strutturali degli istituti penitenziari.

5. La Corte di appello, tuttavia, non ha fatto corretta applicazione dei principi indicati in quanto, a fronte di una richiesta puntualmente diretta a sollecitare informative individualizzate presso l’autorità giudiziaria dello Stato di emissione, fondata su fonti aperte ma sufficientemente dettagliate e riferite a specifiche strutture penitenziarie (nel caso in esame, articoli giornalistici ed una interrogazione parlamentare formulata in relazione alle condizioni detentive di un detenuto italiano ristretto in Romania), ha escluso in termini assertivi la sussistenza di un concreto rischio di violazione dei diritti fondamentali della persona sulla base di un piano di azione che ha rilevato in termini generici migliorie nelle condizioni strutturali degli istituti penitenziari, senza attivare la necessaria interlocuzione con le autorità di emissione.

6. La sentenza deve conseguentemente essere annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello, che si atterrà ai principi indicati, acquisendo informazioni individualizzate al riguardo, al fine di verificare che le condizioni di detenzione che saranno riservate alla persona richiesta in consegna non siano lesive dei diritti della persona ristretta in carcere secondo le suindicate coordinate interpretative.

7. Alla Cancelleria sono demandati gli adempimenti comunicativi di cui all’art. 22, comma 5, legge n. 69 del 2005.

P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Milano. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 22, comma 5, legge n. 69 del 2005.Così deciso in Roma il 16 giugno 2025.

Depositato in Cancelleria il 18 giugno 2025.

Allegati

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