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Cassazione penale sez. VI, 14/02/2024, n.8113

Massima

La condotta del soggetto che, nel medesimo contesto fattuale, adoperi violenza o minaccia per opporsi a più pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio nel compimento di un atto del loro ufficio o servizio non integra un unico reato di resistenza ai sensi dell’art. 337 c.p., ma una pluralità di reati, in concorso formale, a norma dell’art. 81, comma 1, c.p. (Nel caso di specie, la S.C. ha annullato senza rinvio la sentenza con la quale la corte d’appello aveva rideterminato, escludendo l’aumento per la continuazione fra reati,  la pena inflitta all’imputato per resistenza a pubblico ufficiale, evidenziando come il giudice di merito avesse erroneamente richiamato, in presenza di minacce nei confronti di due appuntati, l’unitario contesto di tempo e di luogo, ritenendo consumato un unico reato).   

Supporto alla lettura

RESISTENZA A PUBBLICO UFFICIALE

Il reato di resistenza a pubblico ufficiale si configura quando una persona usa violenza o minaccia nei confronti di un pubblico ufficiale, cioè colui che esercita una funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa. Le prime due funzioni sono riferibili a parlamentari, consiglieri regionali e giudici; la funzione amministrativa, invece, è riferibile a tutti coloro che dipendono da una pubblica amministrazione (es. medici, cancellieri, docenti, carabinieri, poliziotti ecc.)

Caratteristica fondamentale del reato di resistenza a pubblico ufficiale è che l’atto di ufficio sia già iniziato e che la violenza o la minaccia sia contemporanea allo svolgimento dell’attività.

Perché il reato sia configurabile, è necessario che:

  • la condotta dell’imputato sia attiva: deve esserci un’azione concreta diretta a ostacolare il pubblico ufficiale;
  • l’atto sia intenzionale: l’accusato deve aver agito con la volontà di impedire o ostacolare il pubblico ufficiale;
  • il pubblico ufficiale sia in servizio e stia esercitando le sue funzioni: come un controllo stradale, un arresto o un’operazione di ordine pubblico.

In altre parole, la persona che si oppone al pubblico ufficiale o all’incaricato del pubblico servizio deve influire negativamente sulla libertà di movimento del pubblico funzionario.

Il Codice Penale prevede per questo reato una pena della reclusione da 6 mesi a 5 anni.

Se vi sono aggravanti, come l’uso di armi o l’aver causato lesioni al pubblico ufficiale, la pena può aumentare. Inoltre, se il reato viene commesso in concorso con altre persone, le sanzioni possono essere ulteriormente aggravate.

Esistono tuttavia circostanze attenuanti, che possono ridurre la pena, ad esempio:

  • se l’atto di resistenza è stato proporzionato e non ha provocato danni gravi;
  • se l’imputato ha agito in stato di necessità o legittima difesa;
  • se la condotta può essere ridimensionata rispetto all’accusa formulata.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Ancona, con la sentenza indicata in rubrica, ritenuto sussistente un unico contesto temporale nel quale Di.Gr. aveva minacciato gli appuntati Gi.Ga. e Pr.Se. per opporsi ad un controllo di Polizia (art. 337 cod. pen.), ha rideterminato la pena inflitta in quella di mesi quattro di reclusione, escludendo l’aumento per la continuazione fra reati.

2. Con unico motivo di ricorso il Procuratore generale presso la Corte di appello di Ancona denuncia erronea applicazione della legge penale (art. 81 cod. pen.) sul rilievo che si è in presenza di più reati di resistenza commessi in danno di ciascuno degli agenti che partecipavano all’operazione, fatti segno di minacce per costringerli ad omettere l’operazione di controllo.

Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO

1.11 ricorso è fondato e la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio con rideterminazione della pena – ai sensi dell’art, 622 lett. I cod. proc. pen.- in quella di mesi quattro e giorni quindici di reclusione, pena già così determinata in primo grado e non contestata, con l’appello, dall’imputato che si era limitato a chiedere la esclusione “dell’aggravante” di cui all’art. 81 cod. pen..

La sentenza impugnata ha erroneamente richiamato, in presenza di condotte di resistenza commesse in danno di una pluralità di pubblici ufficiali, l’unitario contesto di tempo e di luogo per ritenere consumato un unico reato e, per l’effetto, ha eliso l’aumento di pena determinato in quello di giorni quindici di reclusione trascurando che, invece, la condotta di chi, nel medesimo contesto fattuale, usa violenza o minaccia per opporsi a più pubblici ufficiali o incaricati di un pubblico servizio mentre compiono un atto del loro ufficio o servizio integra una pluralità di reati, in concorso formale, di reati, a norma dell’art. 81, comma primo, cod. pen.(Sez. U, n. 40981 del 22/02/2018, Apolloni, Rv. 273771).

Si è, infatti, precisato che l’espressione adoperata dal legislatore nella disposizione di cui all’art. 337 cod. pen. – “mentre compie un atto di ufficio o di servizio” – ha la finalità di individuare contesto e finalità della condotta oppositiva e di circoscriverne la rilevanza nell’ambito di un obiettivo nesso funzionale ed di un determinato arco temporale, ricompreso tra l’inizio e la fine dell’esecuzione dell’atto dell’ufficio o del servizio. La condotta del soggetto attivo del reato, si osserva, è volta ad impedire con violenza o minaccia l’attuazione della azione amministrativa che fa capo al pubblico ufficiale sicché l’opposizione-offesa diretta ad “un” (id est ciascun) pubblico ufficiale agente, conduce univocamente a individuare l’interesse protetto dall’art. 337 cod. pen. nel “regolare funzionamento della pubblica amministrazione” e delle persone che, in forza del rapporto organico, ne esprimono la volontà. Ne consegue che l’interesse al normale funzionamento della pubblica amministrazione va inteso in senso ampio, in quanto in esso si ricomprende anche la sicurezza e la libertà di determinazione e di azione degli organi pubblici, mediante la protezione delle persone fisiche che singolarmente ne esercitano le funzioni o ne adempiono i servizi, così come previsto dall’art. 337 cod. pen.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata qualificando il fatto contestato ai sensi degli artt. 81 e 337 cod. pen. e rideterminando la pena in mesi quattro e giorni quindici di reclusione.

Così deciso il 14 febbraio 2024.

Depositato in Cancelleria il 23 Febbraio 2024.

Allegati

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