Massima

In caso di patteggiamento subordinato alla concessione della sospensione condizionale della pena, non serve che nell’accordo sia esplicitato il consenso dell’imputato ad adempiere alla condizione che la legge impone automaticamente per godere del beneficio. Come l’obbligo di seguire specifici percorsi di recupero previsto per chi si sia macchiato del reato di maltrattamenti in famiglia. La concessione della sospensione condizionale nel caso di condanna per i reati indicati al comma 5 dell’articolo 165 c.p. è forzatamente subordinata all’adempimento della condizione imposta dalla legge. Il giudice non può quindi, in via generale, negare la sospensione della pena per l’assenza di un esplicito consenso al programma di recupero, in quanto la legge non lo richiede, ma impone solo che si realizzi da parte del condannato l’adempimento imposto.

 

Supporto alla lettura

Maltrattamenti in famiglia

Il reato di maltrattamenti in famiglia si colloca nella parte del codice penale dedicata ai delitti contro la famiglia e l’assistenza familiare, caratterizzati dal fatto che l’offesa deriva da membri dello stesso gruppo familiare al quale appartiene la vittima.
In realtà, limitare alla famiglia l’oggetto giuridico del reato ex articolo 572 del codice penale, sarebbe fuorviante.
In primo luogo perché, anche in base alla interpretazione letterale, il bene giuridico protetto è l’integrità psicofisica e morale della vittima.
In secondo luogo perché rispetto agli altri reati previsti nel titolo XI del codice penale, il soggetto passivo non è necessariamente un familiare dell’agente, ma chiunque abbia con lui una relazione qualificata (rapporto di convivenza, sottoposizione per ragioni di autorità, affidamento per ragioni di educazione, cura, istruzione, vigilanza, custodia, esercizio di una professione o arte).
Ne consegue che l’effettivo fondamento giuridico dell’art 572 c.p. deve essere rinvenuto nella stabilità del vincolo affettivo e/o umano tra l’agente e soggetti ritenuti “deboli” ed esposti a episodi di sopraffazione da parte del soggetto “forte”, anche in applicazione di quanto previsto dalla ratificata Convezione di Lanzarote del 2007.
Tra i vari interventi che hanno modificato l’art. 572 c.p. negli anni, si ricorda:

  • la legge n. 172 del 2012 con la quale il legislatore ha incluso i semplici conviventi nel novero delle vittime di maltrattamenti;
  • la legge 69 del 2019 (c.d. Codice Rosso) che ha inasprito il regime sanzionatorio, soprattutto per contrastare episodi di c.d. violenza domestica e che ha inserito l’ultimo comma dell’articolo 572 c.p. che prevede che il minore che assiste ai maltrattamenti familiari debba essere considerato persona offesa.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Bologna, a seguito di gravame interposto dall’imputato Go.An. avverso la sentenza emessa il 24 maggio 2023 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Ferrara, in parziale riforma della decisione ha rideterminato la pena inflitta al predetto imputato, riconosciuto colpevole dei reati di cui al capo a (art. 572 cod. pen. ai danni della convivente Ta.Si.) e b (artt. 582-577 cod. pen. ai danni della convivente Ta.Si.), con condanna al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita.

2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato che con atto del difensore deduce i seguenti motivi.

2.1. Con il primo motivo vizio cumulativo della motivazione in ordine alla affermazione di responsabilità in ordine al reato di maltrattamenti.

La Corte di appello, al pari del Tribunale, ha omesso di valutare e valorizzare le contraddizioni e l’assenza di riscontro estrinseco al racconto della parte offesa.

Tanto si evince sin dal contrasto emergente in ordine ai fatti del 25/11/2022, laddove dai referti del pronto soccorso si escludeva la presenza di traumi recenti al capo, mentre la parte offesa aveva raccontato di essere stata colpita per due volte con una bottiglia al capo. Ancora, non vi era riscontro all’assunto secondo il quale la donna, nei mesi precedenti, si era recata al lavoro con segni sul collo dovuti a violenza fisica, posto che nessuno dei colleghi di lavoro – segnatamente l’Al. – ha confermato la circostanza.

Inoltre, mentre non può assumere valore di riscontro la testimonianza dei vicini di casa, limitata alla percezione del litigio della coppia, non è stato dato rilievo al reiterato abbandono da parte della Ta.Si. della coabitazione con il Gotti, sempre seguito dal riallaccio della relazione.

2.2. Con il secondo motivo erronea applicazione dell’art. 165, comma 5, codi, pen. in ordine alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena – ridotta in sede di appello – in ragione della mancata adesione dell’imputato ai corsi di cui alla detta previsione, non facendo essa riferimento a corsi ai quali l’imputato abbia partecipato o partecipi al momento della decisione, ma riguardando la loro frequenza futura da parte dell’imputato; né potendosi affermare che il Gotti non intendesse aderire alla frequenza di tali corsi, emergendo dagli atti il contrario, avendo l’imputato intrapreso un percorso di valutazione CAM – come risulta in atti – con sua adesione ad intraprendere un percorso di psicoterapia individuale.

Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato per quanto di ragione.

2. Il primo motivo è inammissibile in quanto genericamente proposto in fatto, prospettando una inaccessibile rivalutazione della prova, rispetto al giudizio espresso dalla sentenza impugnata in ordine alla attendibilità della persona offesa e alla sussistenza del riscontro delle sue dichiarazioni, che non incorre in vizi logici e giuridici.

Quanto al primo aspetto, è correttamente apprezzata la perfetta sovrapponibilità delle dichiarazioni nell’immediatezza dei fatti del 25/11/2022 con quelle rese in data 30/11/2022 su delega del pubblico ministero su quanto la donna aveva subito nel periodo di convivenza con l’imputato.

Quanto al secondo aspetto, è, del pari correttamente, apprezzato il riscontro dato alle dichiarazioni della parte offesa da parte della sorella Ta.Da. in relazione all’episodio del 4/10/2021 e all’allontanamento da parte sua, anche dagli altri amici, a partire dall’inizio della relazione con l’imputato per evitare la sua gelosia ossessiva. Come pure sono stati ritenuti riscontri le dichiarazioni dei vicini di casa sulle frequenti liti tra l’imputato e la compagna, durante le quali il primo inveiva nei confronti della seconda che raramente rispondeva. Infine, sono state correttamente considerate anche le dichiarazioni dell’Al. sulle confidenze da lui ricevute dalla donna, perfettamente sovrapponibili a quanto dalla stessa direttamente dichiarato, dando incensurabile giustificazione della mancata percezione da parte dell’Al. di segni di violenza sul corpo della donna e, quindi, della inincidenza di tale particolare sulla attendibilità della persona offesa (v. pg. 11 e sg. della sentenza impugnata). Infine, sono valorizzate, sempre ai fini del riscontro, le annotazioni di polizia giudiziaria e il referto del pronto soccorso del 28/11/2022.

3. Il secondo motivo è fondato.

La Corte di appello ha erroneamente negato il beneficio della sospensione condizionale della pena sul rilievo che ad esso ostava la mancata adesione dell’imputato ai corsi di cui all’art. 165, comma 5, cod. pen.

Rileva questo Collegio che, nell’affermare il principio secondo il quale, in tema di patteggiamento per i reati indicati nell’art. 165, comma quinto, cod. pen., non sussiste il vizio di mancanza di correlazione tra richiesta e sentenza nel caso in cui il giudice subordini d’ufficio la sospensione condizionale della pena, alla cui concessione le parti hanno condizionato l’efficacia della pattuizione, alla partecipazione dell’imputato agli specifici percorsi di recupero di cui alla citata norma, trattandosi di condizione obbligatoria per legge, la cui applicazione è da ritenersi implicitamente accettata al momento della presentazione della richiesta (Sez. 6, n. 30720 del 23/05/2024, A., Rv. 286832), è stato condivisibilmente spiegato che l’applicazione della condizione, oltre a costituire l’effetto di un automatismo normativo, non richiede alcuna mediazione giudiziale, essendo unica l’attività cui va subordinato il beneficio, attività le cui specifiche modalità esecutive possono anche non essere indicate dal giudice della cognizione e determinate dal giudice dell’esecuzione, tanto da poter essere implicitamente accettata dall’imputato all’atto della presentazione della richiesta di applicazione della pena subordinata alla concessione della sospensione condizionale della pena.

Cosicché, a maggior ragione, nella specie, non occorreva alcuna adesione dell’imputato alla attuazione della condizione obbligatoria quale presupposto per valutare la concessione del beneficio, dallo stesso richiesta in appello qualora fosse stata rideterminata la pena nei limiti consentiti.

Deve essere quindi affermato il seguente principio: “Nei casi previsti dall’art. 165, comma quinto, cod. pen., la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena è necessariamente subordinata alla partecipazione a specifici percorsi di recupero pressi enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati per i reati previsti, non occorrendo il consenso dell’imputato a detta partecipazione”.

4. Ne consegue l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente al diniego concessione della sospensione condizionale della pena con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Bologna per nuovo giudizio sul punto. Nel resto il ricorso deve essere rigettato.

5. Il ricorrente, in ragione della definitività della affermazione di responsabilità, deve essere condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Bologna con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 D.P.R. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al diniego della sospensione condizionale della pena con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Bologna. Rigetta il ricorso nel resto. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Bologna con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 D.P.R. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato.

Cosi deciso i Roma, il 13 novembre 2024.

Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2025.

Allegati

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