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Cassazione penale sez. VI, 10/12/2024, n.45268

Massima

Il provvedimento di sequestro preventivo funzionale alla confisca allargata ex art. 240-bis c.p. deve contenere la concisa motivazione del periculum in mora, che non può essere ritenuto esistente in base alla sola titolarità, da parte del soggetto destinatario della misura, di un patrimonio inferiore a quello suscettibile di confisca, neppure quando l’oggetto del vincolo è costituito da un bene fungibile quale il denaro.

Supporto alla lettura

CONFISCA

Si tratta di una misura di sicurezza patrimoniale che consiste nell’espropriazione a favore dello Stato dei beni che servirono o furono destinati a commettere il reato (c.d. mezzi di esecuzione del reato) e delle cose che ne sono il prodotto o il profitto.

L’art. 240 c.p. distingue due tipologie di confisca:

  • facoltativa: ha ad oggetto gli strumenti, il prodotto o il profitto;
  • obbligatoria: ha ad oggetto il prezzo, gli strumenti informatici o telematici utilizzati per la commissione di taluni reati specificatamente indicati, le cose il cui uso o detenzione o porto costituisce reato anche se non c’è stata sentenza di condanna.

La L. 300/2000 ha introdotto un’altra tipologia di confisca c.d. per equivalente (disciplinata dall’art. 322 ter c.p.) che deve essere disposta necessariamente dal giudice in caso di condanna o di sentenza di applicazione di pena ex art. 444 c.p., ma anche nel corso delle indagini preliminari con lo strumento del sequestro preventivo.  A tal proposito, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca attualmente opera con una duplice modalità:

  • il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta, avente ad oggetto i beni costituenti il profitto o il prezzo del reato;
  • il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente (o per valore), che interviene laddove non sia possibile procedere alla confisca diretta e che riguarda i beni di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente al profitto o al prezzo del reato senza che sia necessario provare il nesso

Tuttavia, la confisca, a differenza del sequestro che ha natura cautelare provvisoria, comporta l’ablazione definitiva delle utilità patrimoniali in sequestro, secondo il disposto dell’art. 12 bis D.lgs. 74/2000, ed opera quando il procedimento penale viene definito con sentenza di condanna ovvero con applicazione della pena concordata tra le parti (patteggiamento).

L’ istituto in esame è stato esteso ai reati tributari mediante la legge finanziaria del 2008, e in tema di reati contro la Pubblica Amministrazione fa da modello l’art. 322 ter c.p..

Diverse tipologie di confisca sono previste nel d.lgs. 231/2001 sulla responsabilità amministrativa delle società e degli enti. In questo caso l’istituto della confisca si connota in maniera differenziata a seconda del contesto in cui è chiamato ad operare.

Nella legislazione antimafia la confisca è divenuto lo strumento privilegiato di contrasto alla criminalità organizzata e può suddividersi in:

  • confisca di sicurezza (art. 240 c.p.);
  • confisca sanzionatoria (art. 416 bis comma 7 c.p. e 12 sexies D.l. 306/92 per la persona fisica e artt 19 e 24 ter comma 1 d.lgs. 231/2001 per le persone giuridiche);
  • confisca di prevenzione (art 24 d.lgs. 159/11 recante il nuovo codice antimafia e delle misure di prevenzione).

Un’altra figura di confisca è quella c.d. urbanistica (prevista dall’art. 44 d.P.R. 380/2001) che prevede la confisca obbligatoria di terreni e fabbricati oggetto del reato di lottizzazione abusiva.

La L. 157/2019 ha affiancato alle altre ipotesi di confisca la c.d. confisca allargata (o confisca per sproporzione) a carico di coloro che commettono alcune tipologie di reati fiscali.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Catanzaro ha confermato il decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca c.d. allargata disposto nei riguardi di (omissis), indagato per il reato di favoreggiamento reale, aggravato ai sensi dell’art. 416-bis 1 cod. pen., per avere detenuto nella propria abitazione la somma di 389.900 Euro frazionata in mazzette di banconote di piccolo taglio; in tal modo (omissis) avrebbe aiutato sua sorella, (omissis), ad assicurare il profitto, il prodotto e il prezzo dei reati di cui agli artt. 416-bis – 644 cod. pen., 132 D.Lgs. n. 385 del 1993 per i quali questa è imputata.

La richiesta di riesame era stata proposta avverso il provvedimento con cui il Giudice per le indagini preliminari aveva disposto la conversione dell’originario decreto di sequestro probatorio.

2. Ha proposto ricorso per cassazione l’indagato articolando due motivi.

2.1. Con il primo si deduce violazione di legge processuale; il tema attiene alla ordinanza di conversione che, si sostiene, difetterebbe di autonoma valutazione quanto al requisito del periculum in mora.

Il Tribunale si sarebbe limitato a ricopiare la richiesta cautelare e a valorizzare il pericolo di dispersione del bene in ragione della sua fungibilità, senza, tuttavia, indicare nessun indice rivelatore della volontà da parte dell’indagato di utilizzare quelle somme.

2.2. Con il secondo motivo si lamenta violazione di legge in relazione ai presupposti del sequestro preventivo.

Quanto al periculum in mora, il pericolo di dispersione sarebbe stato fatto discendere dal Giudice per le indagini preliminari dalla sproporzione tra la somma rinvenuta e la capacità reddituale di (omissis), senza, tuttavia, considerare i principi affermati dalla Corte di Cassazione secondo cui l’incapienza patrimoniale non sarebbe un parametro di per sé esaustivo ai fini della prova di detto pericolo.

Il Tribunale, pur integrando la motivazione dell’originario titolo cautelare, avrebbe comunque errato, da una parte, quanto al requisito della sproporzione tra i redditi del ricorrente e la somma rinvenuta, per non aver preso in considerazione il nucleo familiare del ricorrente, e dall’altra, per aver ritenuto sussistente il periculum in mors facendo riferimento: a) alle modalità di occultamento del denaro; b) alle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia (omissis); c) agli inviti al silenzio rivolti al ricorrente dai di lui famigliari nei momenti susseguenti la perquisizione.

Si sostiene che si tratterebbe di elementi non dimostrativi della intenzione di sottrarre le somme.

Quanto, invece, al requisito del fumus, il Tribunale non avrebbe considerato che al 21.12.2023 (data di contestazione del reato) la sorella del ricorrente sarebbe stata detenuta da oltre un anno e dunque si sarebbe dovuto verificare se le condotte oggetto dei reati presupposto fossero state commesse prima del reato di favoreggiamento per cui si procede.

Sul punto la ordinanza sarebbe silente.

Né sarebbe stata compiuta un’adeguata valutazione sulla sussistenza della contestata aggravante di cui all’art. 416-bis 1 cod. pen., sotto la forma della finalità agevolatoria, atteso che la condotta sarebbe stata posta in essere al più al solo scopo di favorire la sorella del ricorrente e non vi sarebbero elementi dimostrativi in senso contrario, non potendo, diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale, assumere valenza la suddivisione del denaro in mazzette.

Né sarebbe decisiva la conversazione intercettata – di cui si riproduce uno stralcio – quattro anni prima del sequestro.

L’assunto secondo cui (omissis) sarebbe venuto in possesso nel 2019 di quel denaro, riconducibile al clan (omissis), presupporrebbe l’esistenza di rapporti privi di criticità tra il clan e il ricorrente e ciò mal si concilierebbe con la vicenda estorsiva di cui lo stesso (omissis) sarebbe stato vittima.

Né sarebbe chiaro perché la condotta dovrebbe essere ricondotta al reato di favoreggiamento reale e non a quello di ricettazione.

Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato limitatamente al secondo motivo, che assorbe il primo, quanto al tema del periculum in mora.

2. Quanto al requisito del fumus commissi delicti – al di là di ogni riferimento al requisito della sproporzione, sul quale nulla di specifico è stato dedotto – secondo il Tribunale, il denaro rinvenuto sarebbe riconducibile alla sorella del ricorrente, attinta da un provvedimento custodiate per i reati di associazione di tipo mafioso con condotta apicale, e per plurimi delitti di usura e di esercizio abusivo dell’attività finanziaria; (omissis), nell’ambito del sodalizio mafioso riconducibile a (omissis), avrebbe “curato” la raccolta di denaro per conto del gruppo detenendo oltre la contabilità, anche la c.d. bacinella, cioè la cassa comune.

Su detto dato di presupposizione, il ricorso è obiettivamente silente essendosi il ricorrente sostanzialmente limitato a fare riferimento solo al reato di usura – pur contestato alla sorella dell’indagato – senza, tuttavia, confrontarsi con la motivazione dell’ordinanza impugnata che è invece “costruita” in relazione al reato associativo e, in particolare, al ruolo specifico ricoperto all’interno del sodalizio da (omissis)., sorella dell’indagato odierno, che, a sua volta, spiegherebbe la disponibilità di quelle somme da parte del ricorrente.

2.1. Esiste effettivamente in giurisprudenza una riflessione in corso quanto alla configurabilità del favoreggiamento e, in particolare, all’elemento negativo della necessaria previa consumazione del reato presupposto nel caso in cui questo sia costituito da un reato permanente – come appunto il reato associativo – non ancora cessato al momento in cui intervengono gli aiuti da parte del favoreggiatore ma, tendenzialmente, non si ravvisano ostacoli di ordine sistematico all’astratta configurabilità del delitto di favoreggiamento personale rispetto anche agli aiuti forniti rispetto ad una associazione a delinquere non ancora cessata, quando l’aiuto sia prestato al di fuori di una adesione al programma associativo e comunque da parte di un soggetto ritenuto estraneo al sodalizio criminoso (cfr., tra le altre, Sez. 1, n. 48560 del 4.7.2923, Occhipinti, Rv. 285461; Sez. 6, n. 33753 del 25/05/2023, Bulla, Rv. 285152).

Peraltro, pur volendo ragionare diversamente e comunque prescindere dalla genericità del motivo sul punto, nel caso di specie, il tema in esame attiene non tanto alla possibilità che la condotta per cui si procede, ove pure non qualificabile come favoreggiamento reale, assuma contorni di irrilevanza penale, quanto, piuttosto, alla concreta possibilità che la stessa sia ricondotta a più gravi reati quali la partecipazione all’associazione mafiosa e, soprattutto, al concorso esterno all’associazione.

È noto come il discrimine tra il favoreggiamento e la partecipazione all’associazione o il concorso esterno dipende unicamente dalla verifica del tipo di sostegno e di contributo fornito e al profilo psicologico.

Si è osservato al riguardo che le condotte poste a base del concorso esterno devono necessariamente essere ancorate ad un modello “causalmente orientato” che se presuppone da un lato la presa d’atto del non inserimento del soggetto nel gruppo, dall’altro esige la ricostruzione di una condotta capace di realizzare un incremento tangibile del macro-evento rappresentato dalla esistenza e permanenza della associazione (in tal senso, Sez. U., n. 33478 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 236584).

È stato già chiarito che il contributo offerto dal concorrente esterno può essere indifferentemente occasionale o continuativo, ma ove si risolva in un apporto isolato ed occasionale è necessario che abbia avuto una maggiore significativa rilevanza sotto il profilo della sua idoneità causale ad arrecare un effettivo contributo alla esistenza o rafforzamento dell’associazione, senza che sia tuttavia indispensabile che l’associazione versi in una situazione patologica di “fibrillazione” per rischio di sopravvivenza come sostenuto, ma solo a titolo esemplificativo, nella sentenza delle Sez. U., Demitry, n. 16 del 5/10/1994, Rv. 199386.

Dunque, tendenzialmente, non solo nel caso di specie non esistono ostacoli in astratto a configurare il delitto di favoreggiamento rispetto ad un reato associativo la cui cessazione non è stata definitivamente accertata, ma la condotta in concreto contestata si presta ad essere più specificamente accertata e a essere qualificata in termini di maggiore gravità, avendo peraltro il Tribunale spiegato perché, diversamente dagli assunti difensivi, nel caso di specie debba essere comunque escluso il delitto di ricettazione, non essendovi nessun elemento da cui inferire che la detenzione di quel denaro fosse strumentale a conseguire un profitto per sé o per altri (Sez. 2, n. 10980 del 22/01/2018, Quattrocchi, Rv. 272370).

2.2. Né è fondata la parte del secondo motivo di ricorso relativo alla aggravante di cui all’art. 416-bis 1 cod. pen., avendo chiarito il Tribunale e il Giudice per le indagini preliminari come quella somma di denaro fosse custodita nell’abitazione che era stata anche della sorella del ricorrente fino all’1.9.2022 e che, dunque, proprio il contesto abitativo indicato, unitamente alle modalità di custodia e alla consapevolezza del ruolo della di lui sorella da parte dell’imputato, rendono configurabile l’aggravante contestata: quella somma era custodita dall’indagato per conto della sorella e ciò agevolava obiettivamente il sodalizio mafioso.

3. È invece fondato il ricorso quanto al requisito del periculum in mora.

Il Tribunale, ricostruiti con precisione i fatti, la natura, la provenienza di quelle somme, ha sostanzialmente fatto derivare la sussistenza del periculum in mora dal pericolo di dispersione del bene in ragione della sua fungibilità e, in considerazione del complesso di circostanze in cui i fatti devono essere inquadrati, dal pericolo che siano compiuti atti dispositivi.

Si tratta di una motivazione che non può essere condivisa.

Come affermato dalle Sezioni Unite (Sez. U., n. 36959 del 24/6/2021, Eliade, Rv. 281848), il provvedimento di sequestro preventivo di cui all’art. 321, comma 2, cod. proc. pen., deve contenere la concisa motivazione anche del periculum in mora, da rapportare alle ragioni che rendono necessaria l’anticipazione dell’effetto ablativo della confisca rispetto alla definizione del giudizio, salvo restando che, nelle ipotesi di sequestro delle cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituisca reato, la motivazione può riguardare la sola appartenenza del bene al novero di quelli confiscabili ex lege.

In motivazione – e con particolare rilievo al caso in oggetto – la sentenza ha affermato che “nessun utile parametro” può essere rappresentato dalla qualificazione formale della confisca come obbligatoria (per la quale, secondo un certo indirizzo, nessun obbligo motivazionale si porrebbe) o, invece, come facoltativa (per la quale sola, invece, il giudice sarebbe tenuto a motivare): “e ciò non solo perché una tale distinzione appare riposare semplicemente sulla scelta normativa di qualificare in un senso o nell’altro le predette misure non in base alle loro caratteristiche, spesso coincidenti, in ambedue le ipotesi, nei presupposti e nella funzione, bensì in ragione della tipologia di reato cui collegare le stesse, ma soprattutto perché, appunto, non congruente rispetto al criterio di valutazione rappresentato dalla anticipata apprensione di un bene che, ove il giudizio si definisse favorevolmente, non potrebbe essere confiscato, in tale valutazione ben potendo rientrare anche cose definite dal legislatore come obbligatoriamente confiscabili”.

A giudizio del Supremo Collegio, in particolare, questo secondo profilo rende artificiosa e foriera di conseguenze illogiche ogni distinzione tra confisca obbligatoria e facoltativa, non comprendendosi perché – ad esempio, nel caso del sequestro di un bene quale profitto del reato – la prescrizione che imponga la confisca del bene all’esito del giudizio e unicamente a seguito di una pronuncia di condanna o di applicazione della pena dovrebbe, per ciò solo, nel caso di cui all’art. 322-ter cod. pen., esentare il giudice della cautela, a differenza di quanto richiesto dall’art. 240 cod. pen., dall’onere di spiegare perché, ancor prima che tali condizioni si realizzino, il bene debba essere sequestrato, in tal modo finendosi, infatti, per eludere un presupposto posto dal legislatore a garanzia, come già spiegato sopra, del principio di presunzione di non colpevolezza.

Se, dunque, il criterio su cui plasmare l’onere motivazionale del provvedimento di sequestro in oggetto va rapportato alla natura anticipatrice della misura cautelare, deve ritenersi corretto l’indirizzo che afferma la necessità, sia pure facendola impropriamente rientrare nell’alveo dell’esigenza di evitare la protrazione degli effetti del reato (in realtà già insita nel sequestro impeditivo), che il provvedimento si soffermi sulle ragioni per le quali il bene potrebbe, nelle more del giudizio, essere modificato, disperso, deteriorato, utilizzato od alienato; un’esigenza, questa, rapportata appunto alla ratio della misura cautelare, volta a preservare, anticipandone i tempi, gli effetti di una misura che, ove si attendesse l’esito del processo, potrebbero essere vanificati dal trascorrere del tempo.

In definitiva – hanno concluso le Sezioni Unite -, è dunque il parametro della “esigenza anticipatoria” della confisca a dovere fungere da criterio generale cui rapportare il contenuto motivazionale del provvedimento, con la conseguenza che, ogniqualvolta la confisca sia dalla legge condizionata alla sentenza di condanna o di applicazione della pena, il giudice sarà tenuto a spiegare, in termini che, naturalmente, potranno essere diversamente modulati a seconda delle caratteristiche del bene da sottrarre, e che in ogni caso non potranno non tenere conto dello stato interlocutorio del provvedimento, e, dunque, della sufficienza di elementi di plausibile indicazione del periculum, le ragioni della impossibilità di attendere il provvedimento definitorio del giudizio.

In tale contesto non assume rilievo nemmeno lo stato di incapienza: un parametro non pertinente, essendo ben diversa la disciplina – e la ratio – del sequestro preventivo.

Invero, quando si tratta di denaro, la maggiore o minore solidità patrimoniale del soggetto destinatario della misura è certamente un elemento da tenere in debita considerazione nel giudizio in esame, e tuttavia da esso non può farsene derivare alcun automatismo, né in un senso, né nell’altro, ciò che – soprattutto nella prospettiva affermata dal provvedimento qui impugnato – equivarrebbe a vanificare l’obbligo di motivazione che, come detto, le Sezioni Unite hanno inteso rafforzare.

In altri termini, non può ritenersi che, a fronte della titolarità di un patrimonio inferiore a quello suscettibile di confisca, il periculum in mora sia per ciò solo esistente si da esonerare il giudice della cautela dall’obbligo di rendere la necessaria motivazione; diversamente opinando si equiparerebbe il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di una somma di denaro – e, in particolare, alla confisca per equivalente del profitto del reato – al sequestro conservativo di cui all’art. 316 cod. proc. pen., che, come anticipato, rispondendo a una ratio differente, ha presupposti e disciplina differenti da quelli che regolano, appunto, il sequestro preventivo (così, in maniera condivisibile, Sez. 3, n. 45533 del 10/10/2023, non massimata).

Nemmeno pertinente è il richiamo, pure operato dal Tribunale, alle modalità complessive della condotta.

4. Dunque, l’ordinanza impugnata deve essere annullata; il Tribunale, in sede di rinvio, applicherà i principi indicati e verificherà la sussistenza del pericolo che il bene sia modificato, disperso, deteriorato, utilizzato od alienato; a tal fine il Tribunale considererà, in particolare, la assodata riconducibilità di quella somma ad altri soggetti e non all’indagato, e, quindi, la possibile rilevanza dell’occultamento di quella somma nell’abitazione del ricorrente.

P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Catanzaro, competente ai sensi dell’art. 324, comma 5, cod. proc. pen.Così deciso in Roma, il 18 settembre 2024.

Depositata in Cancelleria il 10 dicembre 2024.

Allegati

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