Massima

Non si estende alla confisca per equivalente il criterio di temperamento della “ragionevolezza temporale” fra le acquisizioni patrimoniali e l’attività illecita, richiesto ai fini della confisca di prevenzione e di quella per sproporzione, in quanto, a differenza di queste due ultime forme di ablazione, la confisca per equivalente, quale sanzione di entità commisurata al vantaggio illecito ritratto, consegue all’accertamento della colpevolezza dell’autore in ordine ad uno specifico fatto delittuoso.

Supporto alla lettura

CONFISCA

Si tratta di una misura di sicurezza patrimoniale che consiste nell’espropriazione a favore dello Stato dei beni che servirono o furono destinati a commettere il reato (c.d. mezzi di esecuzione del reato) e delle cose che ne sono il prodotto o il profitto.

L’art. 240 c.p. distingue due tipologie di confisca:

  • facoltativa: ha ad oggetto gli strumenti, il prodotto o il profitto;
  • obbligatoria: ha ad oggetto il prezzo, gli strumenti informatici o telematici utilizzati per la commissione di taluni reati specificatamente indicati, le cose il cui uso o detenzione o porto costituisce reato anche se non c’è stata sentenza di condanna.

La L. 300/2000 ha introdotto un’altra tipologia di confisca c.d. per equivalente (disciplinata dall’art. 322 ter c.p.) che deve essere disposta necessariamente dal giudice in caso di condanna o di sentenza di applicazione di pena ex art. 444 c.p., ma anche nel corso delle indagini preliminari con lo strumento del sequestro preventivo.  A tal proposito, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca attualmente opera con una duplice modalità:

  • il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta, avente ad oggetto i beni costituenti il profitto o il prezzo del reato;
  • il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente (o per valore), che interviene laddove non sia possibile procedere alla confisca diretta e che riguarda i beni di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente al profitto o al prezzo del reato senza che sia necessario provare il nesso

Tuttavia, la confisca, a differenza del sequestro che ha natura cautelare provvisoria, comporta l’ablazione definitiva delle utilità patrimoniali in sequestro, secondo il disposto dell’art. 12 bis D.lgs. 74/2000, ed opera quando il procedimento penale viene definito con sentenza di condanna ovvero con applicazione della pena concordata tra le parti (patteggiamento).

L’ istituto in esame è stato esteso ai reati tributari mediante la legge finanziaria del 2008, e in tema di reati contro la Pubblica Amministrazione fa da modello l’art. 322 ter c.p..

Diverse tipologie di confisca sono previste nel d.lgs. 231/2001 sulla responsabilità amministrativa delle società e degli enti. In questo caso l’istituto della confisca si connota in maniera differenziata a seconda del contesto in cui è chiamato ad operare.

Nella legislazione antimafia la confisca è divenuto lo strumento privilegiato di contrasto alla criminalità organizzata e può suddividersi in:

  • confisca di sicurezza (art. 240 c.p.);
  • confisca sanzionatoria (art. 416 bis comma 7 c.p. e 12 sexies D.l. 306/92 per la persona fisica e artt 19 e 24 ter comma 1 d.lgs. 231/2001 per le persone giuridiche);
  • confisca di prevenzione (art 24 d.lgs. 159/11 recante il nuovo codice antimafia e delle misure di prevenzione).

Un’altra figura di confisca è quella c.d. urbanistica (prevista dall’art. 44 d.P.R. 380/2001) che prevede la confisca obbligatoria di terreni e fabbricati oggetto del reato di lottizzazione abusiva.

La L. 157/2019 ha affiancato alle altre ipotesi di confisca la c.d. confisca allargata (o confisca per sproporzione) a carico di coloro che commettono alcune tipologie di reati fiscali.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. (omissis) è imputato del reato di partecipazione ad un’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti e di due “reati-scopo”, aggravati dall’ingente quantitativo delle sostanze, relativi all’importazione di cocaina dal Sudamerica in Italia, in un caso, per 598 chilogrammi e, nell’altro, per 1.150 chilogrammi, tra novembre e dicembre del 2020.

2. Nei suoi confronti è stato disposto il sequestro preventivo funzionale alla confisca del profitto del reato, per un ammontare di 321.929 euro, da eseguirsi sulle sue liquidità disponibili e, in caso di insufficienza di queste, su altri beni nella sua disponibilità, fino a concorrenza di detta somma, a norma degli artt. 73, comma 1-bis, e 74, comma 1-bis, d. P.R. n. 309 del 1990.

In esecuzione di tale misura, la polizia giudiziaria ha sottoposto a vincolo alcuni immobili, acquisiti al patrimonio dell’imputato molti anni prima di tali vicende delittuose, tra cui, in particolare, la porzione di un terzo dell’immobile a tre piani costruito dai suoi genitori agli inizi degli anni ’80 dello scorso secolo, successivamente donato pro quota ai figli e negli anni destinato ad abitazione delle rispettive famiglie.

3. Con istanza rivolta al giudice procedente, e con il successivo appello proposto ai sensi dell’art. 322-bis, cod. proc. pen., l’imputato, attraverso i propri difensori, ha invocato il dissequestro di tali beni essenzialmente per due ragioni: a) per non avere la polizia giudiziaria, in sede di esecuzione della misura, preventivamente verificato la disponibilità di denaro o di altri beni costituenti profitto del reato e, come tali, da sottoporre con precedenza a confisca diretta, perciò venendo meno ad un preciso obbligo giuridico inerente alla natura punitiva della confisca c.d. “per equivalente”; b) per non avere il provvedimento ablativo fatto applicazione del principio di ragionevolezza, anche sul piano temporale, che solo può giustificare l’ablazione di cespiti patrimoniali in alcun modo ricollegabili al reato e che la giurisprudenza costituzionale e di legittimità ha elaborato per dare una base costituzionale e convenzionale a forme di confisca, come quelle di prevenzione e per sproporzione, meno aggressive rispetto a quella “per equivalente”.

4. Con il ricorso in scrutinio si denuncia, per un verso, l’erroneità della risposta offerta alla prima di tali questioni dal giudice d’appello, che ha ravvisato a carico dell’imputato un onere probatorio sulla capienza del proprio patrimonio liquido, che la legge non prevede; e, per l’altro, la sostanziale elusione della questione sulla necessità di dare applicazione al criterio di temperamento della ragionevolezza anche nella materia della confisca per equivalente.

5. Ha depositato la propria requisitoria la Procura generale, concludendo per l’inammissibilità dell’impugnazione.

Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

A dar torto alla difesa ricorrente è proprio la sentenza delle Sezioni unite di questa Corte da essa citata (n. 10561 del 30/01/2014, Gubert, Rv. 258648), là dove, nell’affermare che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente possa essere disposto anche quando l’impossibilità del reperimento dei beni costituenti il profitto del reato sia transitoria e reversibile, specifica che non è necessaria la preventiva ricerca generalizzata degli stessi. E, in conformità a tale insegnamento, più volte la giurisprudenza di legittimità successiva si è espressa nel senso che al giudice sia consentito emettere un decreto di sequestro per equivalente all’esito di una verifica semplicemente sommaria ed allo stato degli atti dell’impossibilità di procedere al sequestro di somme di denaro, non essendo invece necessario il compimento di specifici ed ulteriori accertamenti preliminari per rinvenire il prezzo o il profitto del reato o per ricercare in forma generalizzata i beni che ne costituiscono la trasformazione, ed incombendo, invece, al soggetto destinatario del provvedimento cautelare l’onere di dimostrare la sussistenza dei presupposti per disporre il sequestro in forma diretta (tra altre: Sez. 3, n. 1738 del 11/11/2014, dep. 2015, Bartolini, Rv. 261929; Sez. 3, n. 41073 del 30/09/2015, Scognamiglio, Rv. 265028)

È sufficiente, allora, osservare che il ricorrente non ha indicato alcuna sua disponibilità liquida, eventualmente suscettibile di essere attinta da un sequestro diretto: circostanza, questa, che l’ordinanza impugnata rimarca e sulla quale il ricorso sorvola.

2. Il secondo motivo non è fondato.

2.1. Il criterio distintivo delle diverse forme di confisca presenti nel nostro ordinamento penale non può essere individuato nell’effetto delle stesse, identica essendone in tutti i casi l’incidenza sul patrimonio del destinatario, che si concreta nel privare quest’ultimo della possibilità di disporre del bene staggito.

L’elemento differenziale tra le varie ipotesi di confisca – e di sequestro ad essa prodromico e funzionale – va piuttosto ricercato negli scopi e nei conseguenti presupposti legali di quelle misure: e, guardando da una tale prospettiva, si coglie agevolmente la peculiarità della confisca per equivalente rispetto a quella di prevenzione o per sproporzione, nonché si comprende perché non possa essere esteso alla prima il criterio della ragionevolezza temporale delle acquisizioni patrimoniali, invece elaborato dalla giurisprudenza per le altre due.

2.2. La “confisca di prevenzione” trova il suo essenziale presupposto giustificativo nella pericolosità sociale del soggetto e nella considerazione logica per cui, essendo generalmente ed abitualmente vocato al compimento di attività illecite naturalmente produttive di ricchezze, ancorché non necessariamente tradottesi in reati specifici e giudizialmente accertati con sentenze definitive, egli abbia in tal modo realizzato dei proventi.

La “confisca per sproporzione”, poi, prescinde completamente da un collegamento del bene con un dato reato, trovando la sua giustificazione di politica criminale nell’assunto, in linea di massima logicamente ragionevole, per cui il soggetto che abbia commesso un reato grave ed idoneo a generare profitti, se dispone di somme sproporzionate al proprio reddito lecito, è probabile che le abbia realizzate illegalmente.

Entrambe tali forme di confisca, dunque, sono completamente sganciate dall’accertamento di un collegamento tra il bene e singoli reati. Ciò non di meno, trovando pur sempre la loro ragione giustificativa nell’attività criminale di un soggetto, non potrebbero presentarsi del tutto disgiunte da questa, risolvendosi altrimenti in forme di ablazioni autoritative indiscriminate e, come tali, inconciliabili con i diritti di libertà del cittadino garantiti dalla Carta costituzionale: di qui, la necessità di rinvenire un criterio di collegamento tra arricchimento ed attività illecita del soggetto, ragionevolmente individuato dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità nella congruenza temporale di massima tra l’uno e l’altra.

2.3. Tale necessità non si avverte, invece, nell’ipotesi della “confisca per equivalente”, la quale, a differenza delle altre, è strettamente legata ad uno specifico fatto delittuoso e presuppone l’accertamento della colpevolezza per lo stesso nonché della realizzazione di un determinato utile economico attraverso di esso. Questa specie di confisca, cioè, è connotata dal carattere afflittivo e dal rapporto consequenziale alla commissione del reato proprio della sanzione penale (così, tra le altre, Sez. U, n. 18374 del 31/01/2013, Adami, Rv. 255037, richiamata sul punto, in motivazione, anche da Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264435), finendo per risultare non dissimile da un’ordinaria pena pecuniaria variabile, con la differenza di essere determinata in misura non discrezionale tra precostituiti limiti edittali, bensì corrispondente al vantaggio economico ritratto dal reato (prezzo, profitto o prodotto), in funzione sostanzialmente ripristinatoria della situazione economica modificata in favore del reo dalla commissione del fatto illecito.

Essendoci, dunque, un collegamento stretto con una specifica condotta penalmente illecita, non v’è alcuna necessità di un’ulteriore giustificazione dell’ablazione per equivalente, non presentandosi essa in tensione né con il principio di personalità della responsabilità penale, né con la tutela costituzionale riconosciuta all’attività economica ed alla proprietà dei privati (artt. 27,41 e 42, Cost.).

3. Al rigetto del ricorso segue per legge la condanna del proponente a farsi carico delle relative spese (art. 616, cod. proc. pen.).

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.Così deciso in Roma, il 10 luglio 2024.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2024.

Allegati

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