Le due conformi decisioni di merito hanno ritenuto acquisiti, sulla base delle risultanze dibattimentali, univoci elementi di prova della responsabilità dell’imputata. La materialità delle condotte omissive e di rifiuto dell’incaricata del pubblico servizio sanitario è stata considerata palese alla luce delle dichiarazioni testimoniali del personale medico e infermieristico dell’ospedale che inutilmente ha cercato di reperire la (omissis), stante l’indifferibile esigenza di indagini endodiagnostiche di laboratorio per pazienti ricoverati d’urgenza, nonostante la stessa fosse investita dell’obbligo del turno di “pronta disponibilità” il 12 e il 20 gennaio 2005. Di tal che non sussistono dubbi sul fatto che l’inosservanza dei due turni da parte della prevenuta abbia ingenerato significativi ritardi e comunque l’irregolarità dell’efficace servizio ospedaliere in entrambe le circostanze. Quanto all’elemento soggettivo del reato, in particolare la Corte di Appello (trattandosi di tema centrale del gravame contro la prima decisione) ha evidenziato l’inconferenza della tesi difensiva della (omissis) incentrata sui consigli fornitile (e da lei erroneamente seguiti) dall’allora suo coniuge, convinto nella sua veste di legale che la consorte non fosse obbligata a effettuare, perchè lavoratrice part-time, i servizi di reperibilità come tecnico di laboratorio sanitario. Ribadito che il reato di cui all’art. 340 c.p. è punito a titolo di dolo generico, la Corte territoriale ha posto l’accento sull’oggettivo dato per cui la (omissis) aveva visto respingere dal giudice del lavoro fin dal novembre 2004 (sentenza 9.11.2004) il ricorso presentato a norma dell’art. 700 c.p.c., con il ministero legale del marito, contro l’amministrazione sanitaria per non essere sottoposta ai turni di reperibilità ospedaliera.
2. Con l’odierno ricorso per cassazione si deduce insufficienza e contraddittorietà della decisione di appello sotto duplice profilo.
Impropriamente la Corte dorica ha ipotizzato che l’appello dell’imputata, nel contestare la linearità della sentenza del Tribunale, sarebbe incorso in una sovrapposizione dei contenuti narrativi delle testimonianze afferenti ai due episodi criminosi attribuiti all’imputata. Ma così non è, dovendo – se mai – ascriversi proprio ai giudici di appello una certa confusione tra le deposizioni dei testi (omissis), (omissis) e (omissis). Diversamente da quanto suppongono i giudici del gravame le deposizioni del medico (omissis) e dell’infermiera (omissis) non sono state sovrapposte, poichè entrambe hanno riguardo – per l’episodio del 20.1.2005 – allo stesso paziente per il quale servivano markers cardiaci (esami chimici) in successione temporale (ogni sei ore) già programmata e, quindi, senza reale carattere di urgenza da imporre l’immediata presenza di un tecnico di laboratorio in ospedale.
Incongrua deve comunque considerarsi la valutazione della Corte territoriale in tema di elemento soggettivo del reato. Sia perchè la (omissis) non ha avuto reale consapevolezza del possibile rilievo penale del suo contegno di rifiuto di svolgere i servizi di pronta reperibilità, essendo stata fuorviata – come sembra riconoscere, del resto, la sentenza di primo grado – dagli errati consigli legali del marito avvocato. Sia perchè l’imputata “non ha mai personalmente rifiutato di adempiere al proprio servizio” nei contatti instaurati per i due giorni oggetto di regiudicanda con il presidio ospedaliere.
Le argomentazioni del ricorso sono contestate dalla memoria difensiva (depositata il 26.3.2013) con cui la costituita parte civile (omissis) Marche invoca la declaratoria di inammissibilità o di rigetto dell’impugnazione.
3. Gli esposti motivi di censura, per alcuni versi generici (laddove riproducono temi di doglianza pur ben vagliati dai giudici di appello), sono infondati. Evenienza che, tuttavia, non esime dal constatare – per gli effetti di cui all’art. 129 c.p.p., comma 1 – che il reato ascritto alla ricorrente è attinto da causa estintiva per sopravvenuta prescrizione.
3.1. I rilievi espressi sulla linearità storica e logica della decisione impugnata in tema di ricostruzione degli accadimenti dei giorni 12 e 20 gennaio 2005 non hanno pregio. Dalla congiunta lettura della sentenza di primo grado e dell’atto di appello dell’imputata emerge con chiarezza che correttamente la Corte di Appello ha evidenziato l’erroneità dei richiami difensivi alle testimonianze raccolte nel corso dell’istruttoria dibattimentale, confondendone i rispettivi riferimenti ai detti due giorni.
In vero il 12 gennaio la presenza in ospedale della (omissis) si rendeva necessaria per eseguire con urgenza l’esame delle troponomine (enzima cardiaco) su un paziente condotto in ospedale in emergenza cardiaca dal servizio 118, come affermato dai medici del pronto soccorso, dalla dr.ssa (omissis) (tecnico di laboratorio convocato in ospedale alle ore 20.15 per la conclamata irreperibilità della (omissis)), dall’infermiera (omissis) (invano adoperatasi per rintracciare la (omissis), chiamata più volte senza risposta alcuna sia sull’utenza fissa che sul cellulare personale).
Analoga situazione, imputabile alla (omissis) resasi irreperibile nonostante il turno di disponibilità, si riproduce il 20.1.2005, allorchè si rendeva necessario procedere al secondo esame dei markers cardiaci (da eseguirsi secondo il protocollo sanitario a distanza di sei ore dal primo) su paziente ricoverato in ospedale alle ore 14.00 di quello stesso giorno. Da eseguirsi, dunque, intorno alle ore 20.00. Cioè in pieno orario compreso nel turno di reperibilità (19.30/7.30) della (omissis), la cui indisponibilità a raggiungere l’ospedale per il detto incombente è stata asseverata dalla dr.ssa (omissis), medico di guardia del pronto soccorso dell’ospedale di (omissis), che ha riferito di aver telefonato (alla presenza dell’infermiera (omissis)) a casa della (omissis), ove le ha risposto il marito, comunicandole che la moglie non si sarebbe presentata in ospedale.
Ne discende che sotto l’aspetto della ricostruzione sequenziale dei contegni dell’imputata nei due giorni incriminati non sono configurabili contraddizioni o discrasie di sorta. Tali contegni hanno integrato, nei due citati giorni, un oggettivo ritardo del pubblico servizio ospedaliero, sicuramente sussumibile nella contestata fattispecie dell’art. 340 c.p., a nulla rilevando l’asserita brevità (per altro non certo trascurabile in termini orari) dell’interruzione del servizio. Il reato di cui all’art. 340 c.p. tutela, del resto, non soltanto l’effettivo e ininterrotto funzionamento di un servizio pubblico, ma anche il suo ordinato svolgimento, sì che diviene irrilevante la temporaneità dell’interruzione o il fatto che si sia trattato di un semplice “turbamento” nel regolare sviluppo del servizio stesso (cfr.: Cass. Sez. 6, 26.10.2007 n. 44845, Stante, rv. 238096; Cass. Sez. 6, 22.9.2011 n. 36253, P.G. in proc. Caputo, rv. 250810).
3.2. Se ai fini della sussistenza del reato punito dall’art. 340 c.p. non occorre che la interruzione o il turbamento siano duraturi, essendo sufficiente che l’ordinato svolgersi dell’ufficio o del servizio resti impedito o alterato sia pure per breve tempo, è altrettanto agevole rilevare come non si richieda che la condotta dell’agente sia intenzionalmente diretta a provocare l’interruzione o il turbamento, giacchè l’elemento soggettivo del reato consiste nella consapevolezza che l’azione possa cagionare un risultato previsto come possibile e di cui si siano accettati i rischi, cioè si esprima in forma di dolo generico anche nella sua manifestazione di dolo cd. eventuale (cfr. ex plurimis: Cass. Sez. 6 11.2.2010 n. 896, Notarpietro, rv. 246411).
Ora nel caso della ricorrente la Corte di Appello (come già il giudice di primo grado) ha ineccepibilmente rilevato che nessuna giustificazione può mai rivenire a condotta omissiva e declinante i doveri funzionali del proprio pubblico servizio attuata dalla (omissis) nei pretesi fuorvianti consigli legali fornitile dal coniuge. Non fosse altro perchè l’imputata aveva perfetta contezza della illegittimità del suo rifiuto d svolgere i turni ospedalieri del laboratorio biomedico a seguito del poco precedente rigetto da parte del giudice del lavoro del suo ricorso ex art. 700 c.p.c. su tali specifiche mansioni correlateci suo inquadramento professionale nella struttura sanitaria.
Evenienza che l’imputata ha inteso scientemente ignorare, inviando all’ospedale nel gennaio 2005 esplicite preventive comunicazioni di inottemperanza ai turni di reperibilità per i quali era stata designata.
3.3 L’illustrata infondatezza dei motivi di ricorso non può far velo, nondimeno, al rilievo che il reato ascritto all’imputata è oggi attinto da causa estintiva per decorso del corrispondente termine prescrizionale nella sua massima estensione ex art. 161 c.p. (sette anni e sei mesi). I fatti integranti l’accusa sono cessati, come da imputazione, alla data del 20.1.2005. Il relativo termine massimo di prescrizione è spirato il 20.7.2012 in assenza di eventuali sospensioni legali del termine e, quindi in epoca successiva alla pronuncia della impugnata sentenza di appello. La descritta emergenza impone l’annullamento senza rinvio della sentenza e la declaratoria della sopravvenuta causa estintiva del reato in ossequio all’obbligo di cui all’art. 129 c.p.p., comma 1, in difetto – per le ragioni prima enunciate – di elementi che elidano la responsabilità penale della ricorrente o configurino situazioni suscettibili di ricadere nel paradigma dell’art. 129 c.p.p., comma 2.
Esito da escludersi alla luce della logica e corretta motivazione della sentenza di appello, unico atto in base al quale (in uno alla confermata sentenza di primo grado) questo giudice di legittimità potrebbe individuare il profilarsi di una più favorevole causa liberatoria ex art. 129 c.p.p., comma 2 rispetto alla causa estintiva prescrizionale (cfr.: cass. sez. 4, 18.9.2008 n. 40799, Merlo, rv. 241474; cass. sez. 6, 12.6.2008 n. 257944, Capuzzo, rv. 240955).
Vanno mantenute ferme le statuizioni civili adottate dalle conformi decisioni di merito.
Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2013
