Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Ancona ha confermato – ma riducendo la pena – la condanna di (Omissis) per calunnia e diffamazione ex artt. 81, comma 2, 110,368 e 595 cod. pen., per avere attribuito, con querele e esposti, agli avvocati (Omissis) condotte penalmente rilevanti (qualificate ex artt. 377-bis e 379-bis cod. pen. nell’imputazione), in relazione al procedimento prima citato, nel quale difendevano le parti civili (Omissis) e i coniugi (Omissis), genitori di (Omissis) e, in ogni caso, per averne offeso la reputazione stigmatizzandone il comportamento professionale, nei modi analiticamente descritti nelle imputazioni.
2. Nei ricorsi congiunti presentati dal difensore di (Omissis) si chiede l’annullamento della sentenza.
2.1. Con il primo motivo di ricorso (nell’interesse di entrambi i ricorrenti), si deduce violazione di legge nel ravvisare una calunnia, nonostante che i ricorrenti non abbiano mai accusato gli avvocati (Omissis) e (Omissis) di avere creato o simulato tracce di reato a carico di (Omissis), ma soltanto stigmatizzato la loro condotta, perché non professionale, addebitando loro di avere basato parte della difesa dei loro assistiti su documenti o informazioni non attendibili. Inoltre, si osserva che le querele e gli esposti presentati dai ricorrenti non contengono l’accusa di avere offerto o promesso utilità patrimoniale alle persone chiamate a rendere dichiarazioni davanti all’autorità giudiziaria o di avere istigato qualcuno a delinquere.
Per altro verso, si argomenta che per la configurabilità del reato di calunnia non basta l’idoneità delle false incolpazioni a fare iniziare le indagini preliminari ma occorre che esse siano idonee a fare esercitare l’azione penale.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso (nell’interesse di entrambi i ricorrenti), si deduce vizio della motivazione circa l’elemento oggettivo del reato, poiché la sentenza non precisa quali sarebbero le espressioni calunniose e a quali elementi tipici dei reati presupposti si riferirebbero.
2.3. Con il terzo motivo di ricorso (nell’interesse dì entrambi i ricorrenti) si deduce vizio della motivazione circa l’elemento soggettivo del reato, per avere trascurato che le condotte attribuite agli imputati si sono sostanziate in esposti disciplinari indirizzati al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Ancona, che è deputato all’azione disciplinare e non all’azione penale.
Si evidenzia che il Consiglio dell’Ordine non ha mai inviato gli esposti alla Procura della Repubblica e che il presente procedimento penale ha origine dalla denuncia-querela presentata dai due avvocati.
Sì rimarca che i due imputati, prima ancora che iniziasse il procedimento davanti al Tribunale di Ancona, parteciparono a sei puntate della trasmissione televisiva “Chi l’ha visto?”, dando al processo una risonanza mediatica dannosa per gli odierni ricorrenti, i quali, comunque, hanno sempre sostenuto l’illegittimità deontologica delle condotte denunziate (con ampi riferimenti alle norme deontologiche violate), ma senza rappresentarsi la possibilità di accusare gli avvocati di parte civile di falsi reati.
Si osserva che la sentenza impugnata neanche ha considerato la possibilità del configurarsi (al più) di un dolo eventuale, che comunque non può costituire l’elemento soggettivo del reato contestato.
2.4. Con il quarto motivo di ricorso (nell’interesse di entrambi i ricorrenti), si deducono violazione di legge e vizio della motivazione a causa della sostanziale trasformazione del fatto contestato rispetto a quello descritto nel capo di imputazione. Infatti, nella imputazione la calunnia è contestata in relazione a una falsa incolpazione per i reati ex artt. 377-bis e 379-bis cod. pen., mentre la sentenza ricostruisce la condotta come falsa incolpazione per il reato di calunnia reale, intralcio alla giustizia e istigazione a delinquere, così compromettendo il diritto di difesa dell’imputato con una riqualificazione giuridica del medesimo fatto storico già nella sentenza di primo grado.
2.5. Con il quinto motivo di ricorso (nell’interesse soltanto di (Omissis) ), si deduce violazione di legge nel ravvisare il reato di calunnia anche con riferimento alle denunce-querele presentate da (Omissis) contro gli avvocati (Omissis) e (Omissis) per diffamazione nei suoi confronti, nonostante che tali denunce siano state archiviate perché le condotte dei denunciati sono state ritenute “legittimo esercizio sia del diritto di manifestazione del pensiero sia del diritto di critica… con conseguente efficacia scriminante delle condotte penali astrattamente ravvisabili”, ritenendosi, quindi, sussistere la diffamazione dal punto di vista oggettivo.
2.6. Con il sesto motivo di ricorso (nell’interesse soltanto di (Omissis) ) si deduce violazione di legge nel ritenere sussistente la calunnia sul presupposto che le archiviazioni relative alle diffamazioni delle quali erano accusati i due avvocati attesterebbero l’insussistenza del fatto, mentre l’archiviazione è un atto neutro, correlato soltanto alla insussistenza dei presupposti per esercitare l’azione penale.
2.7. Con il settimo motivo di ricorso (nell’interesse soltanto di (Omissis) ) si deduce vizio della motivazione nel disconoscere la circostanza attenuante dell’apporto di minima importanza nella commissione del reato ex art. 114 cod. pen. nei confronti di (Omissis) , solo perché la stessa sottoscrisse gli esposti e le successive integrazioni, ma trascurando che ella non sottoscrisse le denunce-querele, giacché, del resto, ebbe un minore coinvolgimento psichico nella vicenda, non essendo accusata nel procedimento penale in cui fu imputato (Omissis).
Correttamente applicando i principi affermati dalla Corte di cassazione, la Corte di appello ha osservato che per la configurabilità della calunnia – che è reato di pericolo – non è necessario l’inizio di un procedimento penale a carico del calunniato, perché occorre soltanto che la falsa incolpazione contenga in sé gli elementi necessari e sufficienti per l’esercizio dell’azione penale nei confronti di una persona univocamente e agevolmente individuabile (Sez. 6, n. 20064 del 03/04/2024, Rv. 286509; Sez. 6, n. 1082 del 22/01/2014, Rv. 259268).
Al riguardo, la Corte di appello ha considerato le accuse ai due avvocati di: aver introdotto nel processo elementi di prova e documenti che sapevano essere falsi; avere sostenuto asserzioni false e mendaci di fatti, circostanze e situazioni; avere fomentato e appoggiato i loro assistiti; avere adoperato espressioni offensive nei confronti di parti del processo, di terze persone e anche di loro colleghi avvocati; avere inibito a possibili testimoni della difesa di assurgere alla qualifica di testimoni; avere introdotto nel processo testimoni in malafede; avere (il solo (Omissis)) cercato di mettere (Omissis) in una difficile situazione processuale.
Tuttavia, relativamente alla fattispecie concreta, si osserva che – a differenza di quanto ritenuto dalla Corte di appello – a nessuna fra le molte espressioni dettagliatamente riportate nel capo di imputazione risulta corretto attribuire la valenza di accuse riguardanti la commissione di un reato, neanche nelle forme – peraltro diverse da quelle menzionate nel capo di imputazione – riconosciute dalla Corte di appello (calunnia reale, intralcio alla giustizia, diffamazione).
Infatti, anche nelle porzioni in cui si riferiscono a condotte che lambiscono i contorni della rilevanza penale (“fomentando ed appoggiando i propri assistiti in propositi criminosi e criminali”, “introdotto nel procedimento, numerosi elementi di prova che, sulla base di una pre-cognizione documentale di partenza, sapevano già essere falsi”, “acquisito e prodotto illecitamente della documentazioni privata”, “avere udito illecitamente e irritualmente i testimoni in sommarie informazioni testimoniali in presenza delle presunte persone offese dal reato e parti civili costituite”), tali espressioni rimangono del tutto generiche e disancorate da precisi riferimenti a specifiche circostanze fattuali.
La vaghezza della loro tonalità calunniatoria si risolve, ridimensionandosi, nei contenuti di esternazioni diffamatorie – nell’ambito delle quali vanno ricondotte anche le denunce alla Autorità giudiziaria poi archiviate – concernenti il rapporto fra le condotte dei due avvocati e i profili deontologici pertinenti al ruolo professionale svolto in relazione al processo in cui fu imputato il ricorrente (Omissis), esternazioni canalizzate nella forma di esposti all’Ordine degli Avvocati.
Da questo esito deriva che perdono rilevanza tutti gli altri motivi di ricorso (terzo, quarto e quinto) inerenti alla sussistenza del reato di calunnia.
2. Relativamente al requisito della comunicazione con più persone – necessario per integrare il delitto di diffamazione – deve ribadirsi che esso è ravvisabile nella condotta di colui che invii un esposto disciplinare al Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, considerando che la destinazione alla divulgazione trova il suo fondamento, oltre che nella esplicita volontà del mittente che ne è autore, nella natura stessa della comunicazione, che è propulsiva di un procedimento che deve essere ex lege portato a conoscenza di altre persone, diverse dall’immediato destinatario (Sez. 5, n. 23222 del 06/04/2011, Rv. 250458; Sez. 1, n. 27624 del 30/05/2007, Rv. 237086; Sez. 5, n. 31728 del 16/06/2004, Rv. 229331).
Nel caso in esame, gli esposti al Consiglio dell’Ordine, come anche le denunce alla Autorità giudiziaria, miravano a ottenere una sanzione nei confronti dei due avvocati, evidentemente a conclusione di un procedimento e, quindi, con il coinvolgimento di più soggetti, senza che possa ricorrere la generale causa di giustificazione di cui all’art. 51 cod. pen., nei termini dell’esercizio del diritto di critica, costituzionalmente tutelato dall’art. 21 Cost., che può, in taluni casi, risultare prevalente rispetto al bene della dignità personale, pure tutelato dalla Costituzione agli artt. 2 e 3.
Infatti, i contenuti delle espressioni utilizzate esuberano rispetto a quelle che potrebbero costituire espressioni dì un legittimo esercizio del diritto di critica, perché si risolvono in affermazioni gratuitamente offensive – con aggressioni, anche molto forti, alla reputazione professionale e all’onorabilità delle due persone offese – e non corredate da una adeguato apparato argomentativo a loro sostegno.
3. Per quel che riguarda il settimo motivo di ricorso (presentato nell’interesse soltanto di (Omissis), risulta non irragionevole la motivazione con cui la Corte di appello ha escluso l’applicazione dell’art. 114 cod. pen., osservando che, sebbene in posizione defilata, la (Omissis) sottoscrisse tutti gli esposti e le relative (numerose) integrazioni, attuando così una condotta di piena rilevanza causale nella divulgazione delle affermazioni diffamatorie.
4. Su queste basi, i fatti vanno riqualificati ex artt. 81, cpv., 110, 595 cod. pen., con conseguente annullamento della sentenza impugnata relativamente alla pena e rinvio per nuovo giudizio sul punto alla Corte di appello di Perugia, alla quale si rimette anche la liquidazione delle spese del presente giudizio in favore delle parti civili.
Così deciso in Roma, il 6 febbraio 2025.
Depositato in Cancelleria il 14 marzo 2025.