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Cassazione penale sez. VI, 05/07/2024, n.33583

Massima

Si configura il reato di resistenza a pubblico ufficiale quando l’agente, con condotte attive come strattonare o tentare di divincolarsi, impiega la forza per impedire il proprio arresto e sottrarsi alla presa del pubblico ufficiale al fine di darsi alla fuga, anziché limitarsi a una mera opposizione passiva.

Supporto alla lettura

RESISTENZA A PUBBLICO UFFICIALE

Il reato di resistenza a pubblico ufficiale si configura quando una persona usa violenza o minaccia nei confronti di un pubblico ufficiale, cioè colui che esercita una funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa. Le prime due funzioni sono riferibili a parlamentari, consiglieri regionali e giudici; la funzione amministrativa, invece, è riferibile a tutti coloro che dipendono da una pubblica amministrazione (es. medici, cancellieri, docenti, carabinieri, poliziotti ecc.)

Caratteristica fondamentale del reato di resistenza a pubblico ufficiale è che l’atto di ufficio sia già iniziato e che la violenza o la minaccia sia contemporanea allo svolgimento dell’attività.

Perché il reato sia configurabile, è necessario che:

  • la condotta dell’imputato sia attiva: deve esserci un’azione concreta diretta a ostacolare il pubblico ufficiale;
  • l’atto sia intenzionale: l’accusato deve aver agito con la volontà di impedire o ostacolare il pubblico ufficiale;
  • il pubblico ufficiale sia in servizio e stia esercitando le sue funzioni: come un controllo stradale, un arresto o un’operazione di ordine pubblico.

In altre parole, la persona che si oppone al pubblico ufficiale o all’incaricato del pubblico servizio deve influire negativamente sulla libertà di movimento del pubblico funzionario.

Il Codice Penale prevede per questo reato una pena della reclusione da 6 mesi a 5 anni.

Se vi sono aggravanti, come l’uso di armi o l’aver causato lesioni al pubblico ufficiale, la pena può aumentare. Inoltre, se il reato viene commesso in concorso con altre persone, le sanzioni possono essere ulteriormente aggravate.

Esistono tuttavia circostanze attenuanti, che possono ridurre la pena, ad esempio:

  • se l’atto di resistenza è stato proporzionato e non ha provocato danni gravi;
  • se l’imputato ha agito in stato di necessità o legittima difesa;
  • se la condotta può essere ridimensionata rispetto all’accusa formulata.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del Tribunale di Trieste del 13 settembre 2023, Sl.Ac. era stato dichiarato responsabile in ordine ai reati di tentato furto aggravato (capo 1), resistenza a pubblico ufficiale (capo 2), ricettazione (capo 3) e porto illegale di un cacciavite ed un coltellino (capo 4) in continuazione tra loro e, riconosciuta l’attenuante di cui all’art. 89 cod. pen. in termini di prevalenza sulla recidiva contestata, condannato alla pena di anni uno e mesi nove di reclusione ed Euro 600,00 di multa, sostituita la pena ex art. 545-bis cod. pen. e artt. 53 e seguenti I. 689 del 1981 con la detenzione domiciliare.

La Corte di appello di Trieste, in parziale riforma della citata decisione, lo ha assolto dal delitto di ricettazione di cui al capo 3), per non aver commesso il fatto, confermando per il resto la decisione impugnata la cui pena è stata rideterminata in un anno e giorni 25 di reclusione.

2. Sl.Ac. , per il tramite del difensore, deduce complessivamente tre motivi di ricorso.

2.1. Con il primo motivo la difesa deduce l’intervenuta estinzione del reato per remissione di querela intervenuta il 29 gennaio 2024 da parte della persona offesa – querelante, munita di apposita delega, De.Pa., in ordine ai fatti di cui al capo 1) di tentato furto aggravato; la querela è stata ritualmente accettata dal procuratore speciale nominato dal ricorrente che si è accollato le spese del procedimento.

2.2. Con il secondo motivo si deducono, quanto al delitto contestato al capo 2, vizi di motivazione e violazione dell’art. 337 cod. pen., degli artt. Ili Cost. e 6CEDU.

La Corte di appello – si assume – è incorsa in errore là dove ha ritenuto essersi integrato il reato in ragione della condotta di mera resistenza passiva consistita, però, nel mero divincolarsi dell’imputato.

La difesa deduce – in subordine – la violazione degli artt. 111 cost. e 6CEDU, essendo stato impedito all’imputato di controesaminare l’unico teste che poteva riferire direttamente in merito ai fatti, sull’errato presupposto dell’utilizzabilità ex art. 195, comma 4, cod. proc. pen. della dichiarazione resa dal teste di polizia giudiziaria escusso sul contenuto di quanto appreso dalla collega.

2.3. Con il terzo motivo si deducono vizi di motivazione e violazione degli artt. 597 e 605 cod. proc. pen., 133, 99 e 62-bis cod. pen.

2.3.1. Si rileva, innanzitutto, la violazione del divieto di reformatio in peius nella parte in cui, a fronte di una pena base che il Tribunale aveva determinato nel minimo edittale in ragione del ritenuto più grave delitto di ricettazione rubricato al capo 3 (da cui il ricorrente è stato poi assolto), la Corte di appello ha ritenuto di rideterminare la pena in misura più che doppia (un anno e mesi due di reclusione) rispetto al minimo edittale in ordine al delitto, divenuto più grave, di cui all’art. 337 cod. pen. La pena così determinata, giustificata dal danno cagionato alla persona offesa e dalle modalità della condotta (la decisione fa espresso riferimento al valorizzato furto programmato in orario notturno) risulta, oltre che applicata in violazione del divieto della reformatio in peius, illogica nella parte in cui poggia sull’asserita gravità di un reato di tentato furto estinto per remissione di querela.

Anche quello ricompreso nell’ipotesi di cui all’art. 4, I. n. 110 del 1975 ricompreso nel capo 4) costituisce fatto di lieve entità che consente di applicare la sola pena dell’ammenda.

2.3.2. In ordine mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche la decisione ha omesso di apprezzare il corretto comportamento processuale ed il risarcimento del danno in favore della persona offesa di cui al tentato furto.

2.3.3. Illogica risulta l’applicazione della recidiva contestata sulla base della circostanza che il furto fosse stato pianificato sfruttando l’ora notturna, circostanza non attuale in ragione dell’intervenuta remissione di querela ed intervenuto risarcimento del danno.

3. Il procedimento è stato trattato ai sensi dell’art. 23, comma 8, della legge n. 176 del 2020, come prorogato dall’art. 94 del D.Lgs. n. 150 del 2022, modificato dall’art. 11, comma 7, del D.L. 30 dicembre 2023, n. 215.

Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato limitatamente alla dedotta estinzione del reato di cui al capo 1) di tentato furto aggravato per intervenuta remissione di querela ed al conseguente trattamento sanzionatorio.

2. Quanto alla dedotta estinzione del reato, costituisce principio di diritto pacificamente enunciato da questa Corte di legittimità quello secondo cui è ammissibile il ricorso per cassazione proposto al solo fine di introdurre nel processo la remissione della querela, ritualmente accettata, intervenuta dopo la sentenza impugnata e prima della scadenza del termine per la presentazione dell’impugnazione da tanto discendendone l’estinzione del reato (Sez. U, n. 24246 del 25/02/2004, Chiasserini, Rv. 227681; Sez. 4, n. 38156 del 05/07/2022, Tomasello, Rv. 283584; Sez. 4, n. 49226 del 19/10/2016, Bestente, Rv. 268625; Sez. 6, n. 2248 del 13/01/2011, Cagnazzo, Rv. 249209).

La difesa ha allegato al ricorso presentato in termini la remissione di querela presentata presso il Commissariato della Polizia di Stato “Polo – S (Questura di T) da parte della persona offesa, querelante e responsabile dell’esercizio commerciale “il Tulipano”, munito di procura speciale, immediatamente accettata dal Procuratore speciale dell’imputato avvocato Matteo Pastore.

Alla remissione di querela debitamente accettata consegue pertanto l’annullamento senza rinvio per intervenuta del reato di cui agli artt. 110,56,624 e 625, n. 2 cod. pen. di cui al capo 1).

3. Il secondo motivo con cui si censura la ritenuta responsabilità dell’imputato, assumendosi che la sua condotta si sia limitata ad una mera resistenza passiva subordinata violazione dei principi contenuti negli artt. 111 Cost. e 6CEDU, è manifestamente infondato.

3.1. Quanto al primo aspetto (resistenza passiva), la Corte di appello ha statuito (pag. 6) che il teste di polizia giudiziaria, sulla base di quanto riferitogli dalla collega, aveva dichiarato che l’imputato si era scagliato contro la stessa, riuscendo infine ad ammanettarlo solo dopo una colluttazione durante la quale aveva tentato di divincolarsi.

Pertinente risulta, pertanto, il principio di diritto espresso da questa Corte di legittimità, condiviso dal Collegio, secondo cui integra il reato di resistenza a pubblico ufficiale la condotta dell’agente tesa a strattonare o tentare di divincolarsi al fine di impedire il proprio arresto, ogni qualvolta quest’ultimo non si limiti a una mera opposizione passiva al compimento dell’atto del pubblico ufficiale, ma impieghi la forza per neutralizzarne l’azione e sottrarsi alla presa, nel tentativo di guadagnare la fuga (Sez. 1, n. 29614 del 31/03/2022, Manusia, Rv. 283376), impiego della forza che, alla luce della descritta condotta, corrisponde proprio a quella posta in essere dall’imputato al fine di sottrarsi all’arresto.

3.2. Manifestamente infondato, oltre che generico, risulta inoltre il motivo con cui si assume che l’accertamento della responsabilità sia stato effettuato in violazione degli artt. 111 Cost. e 6CEDU in ragione dell’utilizzazione delle dichiarazioni de relato riferite dal teste in udienza.

La Corte di appello ha rilevato come nessuna richiesta di esame del teste di riferimento fosse stata formulata in sede processuale, evenienza che, secondo l’art. 195, commi 1 e 4, cod. proc. pen., ha consentito al Tribunale di utilizzare le informazioni che il pubblico ufficiale escusso aveva appreso dalla collega non esaminata in giudizio.

4. Il terzo motivo, con cui, si censura la determinazione della pena è invece fondato.

Deve premettersi come la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, è sufficiente che dia conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. con espressioni di tipo sintetico, come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243; Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, Denaro, Rv. 245596).

Nonostante incomba sul giudicante un limitato onere motivazionale allorché la pena si collochi al di sotto della media edittale, si osserva come la Corte di appello, nel rideterminare la pena per il venir meno del delitto di cui all’art. 648 cod. pen., reato ritenuto più grave dal Tribunale e su cui erano stati operati gli aumenti per i reati satellite, abbia omesso ogni argomentazione in merito, individuando la pena in misura superiore al doppio del minimo edittale per il reato più grave ex art. 337 cod. pen.

Contraddittoria, vieppiù, risulta la parte della decisione che, trattando in generale lo specifico motivo di gravame involgente proprio la quantificazione del trattamento sanzionatorio, ne ha giustificato la congruità attraverso un eccentrico riferimento alla pena determinata nel minimo edittale per il delitto di ricettazione di cui all’art. 648 cod. pen. che la stessa sentenza ha ritenuto, però, insussistente.

L’assenza di ogni riferimento ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen. nel pervenire alla quantificazione della pena complessivamente irrogata impone l’annullamento della decisione in punto di trattamento sanzionatorio, che si dovrà determinare tenendo conto, oltre che dei principi di diritto sopra richiamati, dell’estinzione per intervenuta remissione di querela per il delitto di tentato furto aggravato di cui al capo 1.

La necessità di rideterminare la pena complessiva impone una nuova valutazione anche in ordine ai profili, strettamente connessi, riguardanti le attenuanti generiche e la contestata recidiva.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo 1 di furto aggravato in quanto estinto perché l’azione penale non può essere proseguita per remissione di querela.

Annulla la sentenza con riferimento al residuo trattamento sanzionatorio e rinvia alla Corte di appello di Venezia per nuovo giudizio sul punto.

Rigetta nel resto il ricorso.

Così deciso il 05 luglio 2024.

Depositato in Cancelleria il 4 settembre 2024.

Allegati

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