RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza dell’8/10/2018 la Corte di appello di Roma ha confermato quella del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma in data 20/11/2015, con cui F.A. è stato riconosciuto colpevole dei delitti di maltrattamenti e di lesioni aggravate in danno della coniuge.
2. Ha presentato ricorso il F. tramite il suo difensore.
2.1. Con il primo motivo deduce violazione di legge in relazione all’art. 572 c.p. e vizio di motivazione in relazione all’attendibilità della vittima e alla valutazione delle prove.
Segnala la mancata valutazione dell’attendibilità della vittima, che tardivamente aveva denunciato altri episodi dopo la querela relativa ai fatti del 26/9/2014 e che, inoltre, era animata da astio e sentimenti di vendetta.
Indebitamente erano state valorizzate le dichiarazioni dei genitori della vittima.
D’altro canto non era stata correttamente ricostruita una condotta tale da determinare uno stato di sopraffazione della persona offesa, assistita dal dolo, che caratterizza il delitto di maltrattamenti.
Gli episodi valutati si erano verificati a distanza di tempo e non erano riconducibili a lesioni procurate alla vittima dal ricorrente.
Peraltro la denunciante aveva ricollegato l’episodio del settembre 2014 alla scoperta da parte del marito di una sua relazione extraconiugale.
Non era dunque emersa nè una condotta abituale nè una condizione di soggezione della persona offesa, a fronte del protrarsi del rapporto di coniugio.
Erronea era anche la valutazione dei messaggi di testo whatsapp scambiati dalle parti dopo gli eventi del settembre 2014, nei quali il ricorrente non aveva formulato minacce.
2.2. Con il secondo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’attenuante di cui all’art. 62 c.p., comma 1, n. 2.
Era ravvisabile l’invocata attenuante avendo il ricorrente agito in stato d’ira dopo la scoperta del tradimento, non potendosi fare riferimento alla circostanza che il ricorrente fosse soggetto violento e maltrattante.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo è inammissibile, perchè volto a sollecitare una diversa valutazione di merito, eccedente i limiti del giudizio di legittimità, e comunque manifestamente infondato.
La Corte territoriale, anche avvalendosi dell’analisi del primo giudice, ha ampiamente dato conto del quadro probatorio alla cui stregua ha ritenuto che fosse configurabile una reiterata serie di condotte vessatorie, aggressive e minacciose, espressione di violenza fisica e morale, tenute dal ricorrente nei confronti della moglie a partire dal 2009, al di là dell’episodio finale del settembre 2014, culminato nelle lesioni di cui al capo C).
In particolare la Corte ha considerato le dichiarazioni della persona offesa, che, pressata dalle minacce del ricorrente, aveva sempre omesso di denunciare i fatti, addebitando i suoi accessi al Pronto soccorso ad eventi accidentali, fino a quando si era verificato l’ultimo grave episodio.
Ha inoltre considerato le certificazioni mediche riguardanti non solo tale ultimo episodio ma anche episodi occorsi nel 2009 e nel 2013, le dichiarazioni dei genitori della vittima, reputate attendibili, che avevano fatto riferimento a liti intercorse tra la figlia e il marito e aggiunto di aver visto due anni prima la figlia con un occhio nero, e la consulenza psicologica del settembre 2014 dalla quale erano emersi il dolore e la paura della donna, a fronte delle aggressioni e delle minacce subite.
Sulla scorta di tali elementi dunque la Corte ha ritenuto che fosse ravvisabile quella serie abituale di condotte che consente di configurare il delitto di maltrattamenti, assistito anche dal relativo coefficiente psicologico, che non ha un contenuto programmatico, ma si risolve nella coscienza e volontà di persistere nell’attività delittuosa, già posta in essere in precedenza (Sez. 6, n. 15146 del 19/3/2014, D’A., Rv. 259677).
Contrariamente a quanto difensivamente dedotto, la Corte ha complessivamente valutato l’attendibilità del racconto e puntualmente esaminato la valenza dei riscontri, mentre le censure esposte nel motivo di ricorso sono volte: 1) a contestare la configurabilità del reato, in realtà correttamente ravvisato, alla luce di plurimi episodi, non limitati a quelli risultanti da certificazioni mediche; 2) a formulare alternative ipotesi ricostruttive, in relazione al protrarsi del menage matrimoniale e alla valutazione delle certificazioni mediche riguardanti episodi pregressi, elementi che la Corte ha sottoposto invero ad attenta analisi, formulando sul punto non illogiche valutazioni di diretta conducenza probatoria; 3) a sminuire il significato delle dichiarazioni dei genitori della vittima, che la Corte ha coerentemente inteso, inserendole nel complessivo mosaico probatorio.
Altrettando deve dirsi per i messaggi di testo whatsapp che i coniugi si erano scambiati dopo l’episodio del settembre 2014, avendo il ricorrente contrapposto sul punto solo assertive e generiche contestazioni alla valutazione della Corte in ordine al contenuto parimenti minaccioso e ingiurioso di quei messaggi, inviati dal ricorrente.
2. Il secondo motivo è infondato.
Non è dubbio, in quanto posto in evidenza nell’immediatezza dalla persona offesa, che l’episodio di lesioni del settembre 2014 si verificò subito dopo che il ricorrente, attraverso l’esame del cellulare della moglie, aveva scoperto una relazione sentimentale intrattenuta dalla donna con un altro uomo.
La Corte ha tuttavia escluso che su tali basi potesse ravvisarsi l’attenuante di cui all’art. 62 c.p., comma 1, n. 2, in quanto il grave episodio del (OMISSIS) aveva rappresentato solo l’ultimo segmento di una condotta complessivamente maltrattante, posta in essere da lungo tempo.
Deve al riguardo osservarsi che l’attenuante della provocazione postula il fatto ingiusto altrui, lo stato d’ira e un nesso di causalità psicologica tra fatto e reazione, che deve essere peraltro escluso ove ricorra una relazione di mera occasionalità, quale attestata dalla sproporzione tra fatto provocante e reazione provocata (sul punto Sez. 1, n. 3334 del 17/10/1979, dep. 1980, Stanco, Rv. 144612).
Tale attenuante non può comunque reputarsi compatibile con un reato a condotta abituale, quale quello di maltrattamenti, connotato da comportamenti antigiuridici di analoga natura, reiterati nel tempo (Sez. 6, n. 12307 del 27/10/2000, Nuara, Rv., 217901).
Orbene, nel caso in esame la Corte ha inteso inquadrare anche l’ultimo episodio nella serie abituale di condotte violente e vessatorie, cui il ricorrente aveva sottoposto la moglie.
Si tratta di valutazione in linea con i principi suesposti, che impediscono di riconoscere l’attenuante con riferimento a reato abituale.
Va d’altro canto rilevato che il giudizio della Corte deve intendersi riferito anche al semplice delitto di lesioni di cui al capo C), nel presupposto che lo stesso, quale frammento di una serie di comportamenti di analoga natura, non possa essere isolatamente valutato, al di fuori del quadro di abitualità descritto: tale valutazione, a ben guardare, sottende il corretto assunto che tra la reazione violenta, che si inscriva in un sistema abituale, all’interno di una relazione familiare, e l’eventuale fatto ingiusto, che parimenti si inserisca in quel tipo di relazione, non possa che individuarsi un inconferente nesso di mera occasionalità, finendo per disperdersi in quel sistema abituale la stessa valenza del fatto ingiusto.
Di qui l’infondatezza dei rilievi difensivi sul punto.
3. In conclusione il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Il presente provvedimento, redatto dal Consigliere R. M. viene sottoscritto dal solo Consigliere anziano del Collegio, V. O. per impedimento alla firma del Presidente e dell’estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a).
Così deciso in Roma, il 5 febbraio 2020.
