Massima

In tema di richiesta di giudizio abbreviato incondizionato nel procedimento a giudizio immediato, a seguito della L. n. 479 del 1999, l’omessa notifica dell’istanza al Pubblico Ministero non comporta più la decadenza prevista dall’art. 458 c.p.p., comma 1, la quale ricorre esclusivamente in caso di deposito intempestivo dell’istanza stessa, stante la funzione meramente informativa della notifica in assenza di richieste di integrazione probatoria. Le decisioni che, basandosi sulla previgente disciplina, dichiarano inammissibile il giudizio abbreviato per omessa notifica si pongono in contrasto con la più recente giurisprudenza di legittimità.

Supporto alla lettura

RITO ABBREVIATO

Il sistema processuale penale italiano è un sistema di stampo accusatorio: esso impone che all’accertamento della responsabilità dell’imputato si pervenga con il massimo delle garanzie e nel rispetto del principio del contraddittorio nella formazione della prova. Le garanzie comportano una maggiore complessità delle forme e un allungamento dei tempi del processo, ma soprattutto del dibattimento, nel quale le prove dichiarative devono essere assunte con il metodo dell’esame incrociato. Quindi si è posta l’esigenza di prevedere procedure alternative, finalizzate a semplificare i meccanismi processuali e a consentire forme di definizione anticipata rispetto al procedimento ordinario. Il giudizio abbreviato costituisce la rinuncia dell’imputato alle garanzie del dibattimento, decidendo lo stesso di essere giudicato sullo stato degli atti d’indagine ricevendo in compenso per tale rinuncia una riduzione sull’eventuale pena finale di 1/3. Il giudizio abbreviato è stato introdotto nel codice di rito del 1988 agli artt. 438-443 c.p.p., sulla base dell’art. 2 n. 53 della legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81. I presupposti di accesso al rito erano tre: la richiesta dell’imputato, il consenso del pubblico ministero e la valutazione del giudice per le indagini preliminari circa la possibilità di definire il processo “allo stato degli atti”. Intervenne la l. 479/1999(c.d. legge “Carotti), per ottemperare ai moniti della Corte costituzionale, riscrivendo i presupposti di accesso al rito abbreviato con l’eliminazione dei requisiti del consenso del pubblico ministero e della valutazione preliminare del giudice sulla definibilità del processo allo stato degli atti, al fine di rendere la nuova disciplina più semplice e più “attrattiva” della precedente. Quindi, venuti meno questi due requisiti, conditio sine qua non del giudizio abbreviato resta la richiesta dell’imputato. La novella del 1999 ha introdotto due diverse modalità di accesso al rito abbreviato: l’imputato può scegliere se formulare una richiesta “semplice”, ex art. 438 comma 1 c.p.p., oppure, “condizionata”, subordinando la richiesta stessa ad un’integrazione probatoria, ex art. 438 comma 5 c.p.p. La l. 103/2017, nota nel gergo come “riforma Orlando”, ha previsto l’opportunità per l’imputato di presentare istanze subordinate di rito abbreviato «allo stato degli atti» (c.d. semplice o secco) e financo di patteggiamento, nel caso in cui la richiesta (principale) di giudizio abbreviato condizionato non sia accolta. Le finalità del legislatore, nell’introduzione di tale previsione, appaiono chiaramente deflattive, riconoscendo alla difesa una valida alternativa al rigetto dell’istanza di cui al co. 5, prodromica ad impedire che il processo prosegua nelle forme del rito ordinario. Con la Legge 12 aprile 2019, n. 33, ha introdotto il co. 1bis nell’art. 442 c.p.p. che, nell’esclusivo caso in cui si proceda per i delitti per cui è prevista la pena dell’ergastolo, esclude l’applicazione del rito abbreviato, la cui richiesta determina la dichiarazione di inammissibilità del giudice dell’udienza preliminare.

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Sull’appello proposto da (omissis) avverso la sentenza del Tribunale monocratico di Brindisi sez. dist. di Mesagne in data 25.02.2003, con la quale era stato dichiarato colpevole del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990art. 73 per detenzione a fine di spaccio di cocaina e, concessegli le attenuanti generiche, era stato condannato alla pena di anni cinque e mesi quattro di reclusione ed Euro 17.400,00 di multa, la Corte di Appello di Lecce, con sentenza in data 25-01-2006, confermava il giudizio di 1^ grado, ritenendo infondata l’eccezione difensiva in merito all’erronea dichiarazione di inammissibilità dell’invocato giudizio abbreviato in sede di giudizio immediato, per omessa notifica della richiesta al PM, manifestante infondata apparendo l’eccezione di incostituzionalità dell’art. 458 c.p.p., comma 1, e ribadendo la comprovata responsabilità dell’imputato in ordine al reato ascrittogli, inequivocamente dovendosi ritenere l’accertato possesso di cocaina destinato allo spaccio.

Avverso tale sentenza il prevenuto anzidetto ha proposto ricorso per Cassazione, deducendo, a motivi del gravame:

1) Violazione di legge, in punto di omessa risposta motivazione all’eccezione di legittimità costituzionale dell’art. 458 c.p.p., comma 1, in punto di decadenza della richiesta di giudizio abbreviato in sede di giudizio immediato per omessa notifica dell’istanza al PM e difetto di motivazione sulla ribadita sussistenza delle condizioni legittimanti l’accoglimento della detta richiesta;

2) Mancanza e manifesta illogicità della motivazione in ordine al denegato contenimento del trattamento sanzionatorio, fermo restando l’altrettanto immotivato rigetto dell’invocata ipotesi di detenzione dello stupefacente ad esclusivo uso personale.

Il motivo sub 1) è fondato nella parte in cui: censura l’erronea esclusione di ammissibilità della richiesta di giudizio abbreviato in sede di giudizio immediato per omessa notifica di tale richiesta al PM, con conseguente manifesta infondatezza dell’eccezione di legittimità costituzionale dell’art. 458 c.p.p., comma 1.

Ed invero, la decisione sia del 1^ giudice che della Corte territoriale sul tema oggetto della doglianza difensiva si pone in evidente contrasto con la più recente giurisprudenza di questa Corte di legittimità, segnatamente riferita alla corretta lettura dell’art. 458 c.p.p., comma 1. Infatti, giova ribadire il principio di diritto secondo cui, in tema di richiesta di giudizio abbreviato da parte dell’imputato al quale, come nella specie, sia stato notificato il decreto di giudizio immediato, ricorre l’ipotesi di decadenza prevista dall’art. 458 c.p.p., comma 1, solo nel caso di intempestivo deposito dell’istanza (che,nella specie è da escludersi all’esito di opportuna verifica degli atti), in quanto, a seguito delle modifiche introdotte dalla L. n. 479 del 1999, è escluso che l’effetto decadenziale consegua anche all’omessa notifica al P.M., non più chiamato ad esprimere il proprio consenso sulla richiesta e titolare di un limitato potere di interferenza solo nel caso di istanza condizionata ad integrazione probatoria (che, nella specie è da escludersi stante la richiesta incondizionata avanzata dalla difesa nell’interesse dell’imputato).

In particolare, come puntualmente evidenziato da questo giudice di legittimità in termini (cfr. Cass. pen. Sez. 2 – 19-4-2002, n. 26303, P.G. in proc. Vitale; idem Cass. pen. sez. 1, 4.9.2002 n. 31997, Falaschetti), i giudici di merito si sono uniformati all’orientamento giurisprudenziale di questa Corte riferito, però, alla previgente disciplina dell’istituto, non più mantenibile dopo le recenti riforme.

Si è, in proposito, testualmente rilevato che l’originaria disciplina del rito abbreviato ha subito nel corso del tempo una sostanziale metamorfosi, a partire dalla decisione in data 31-01-1992 n. 23 della Corte Costutuzionale, sino alle recenti modificazioni di cui alla legge menzionata.

Infatti, all’esito di tale sostanziale trasformazione degli elementi essenziali dell’istituto, è stata anche esclusa per il giudizio speciale, non più sottoposto al consenso del PM, secondo il nuovo testo dell’art. 438 c.p.p., con l’abrogazione dell’art. 440 c.p.p., (L. n. 479 del 1999art. 28 dianzi cit.), la deliberazione del giudice sulla decidibilità del processo allo stato degli atti, condizione questa che, appunto, avrebbe potuto provocare il dissenso del P.M..

Del resto, com’è noto, una decisione discrezionale del giudice è prevista soltanto allorchè l’imputato chieda “un’integrazione probatoria”, ex art. 438 c.p.p., comma 5″, con una disposizione che chiude la vicenda normativa riguardante il giudizio” abbreviato, aperta con la sentenza della consulta innanzi cit.

Conseguentemente il legislatore ha soppresso l’ultima ipotesi di cui al cit. art. 458 c.p.p., comma 1, riguardante il termine entro il quale il P.M. avrebbe dovuto esprimere il proprio consenso e;

ovviamente, al comma 2; l’espressione di detto consenso condizionante l’ammissibilità dell’istanza.

In siffatto contesto normativo,pertanto, l’interpretazione che estende la sanzione della decadenza, prevista dall’art. 458 c.p.p., comma 1, con inequivoco riferimento al termine di presentazione dell’istanza di rito abbreviato, anche alla irregolarità determinata dalla omessa notifica di tale istanza al PM, non sembra potarsi ritenere giustificata a causa della funzione meramente informativa che la predetta notifica conserva, allorchè non si tratti di istanza condizionata ad integrazione probatoria.

Solo in quest’ultimo caso il PM ha un potere di possibile interferenza, attraverso richieste eventuali di prova contraria,ove l’imputato sia stato ammesso al rito, secondo riscrittura dell’art. 438 c.p.p., dopo la novella cit..

Alla stregua delle considerazioni che precedono,va conclusivamente ritenuto che ricorra decadenza soltanto in caso di intempestività del deposito dell’istanza, il che è da escludere nel caso in esame, avuto riguardo alla data di proposizione dell’istanza di giudizio abbreviato rispetto a quella di notifica del decreto di giudizio immediato.

S’impone, per tanto l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente alla diminuente di cui all’art. 442 c.p.p., comma 2 che, una volta ritenuto infondato il motivo sub 2) (come si vedrà in appresso), può essere in questa stessa sede applicata, con rideterminazione della pena in funzione della canonica riduzione di 1/3 della pena stessa che, valutati i criteri di detta determinazione, in rapporto al computo dei giudici di merito, va opportunamente fissata nella misura di ANNI TRE, MESI SEI e GG. 20 di reclusione ed Euro 11.600,00= di multa.

Come innanzi cennato, il motivo sub 2) è infondato, avuto riguardo alla corretta, puntuale e motivata risposta offerta dalla Corte territoriale leccese ad esclusione dell’invocato uso esclusivamente personale dello stupefacente in sequestro, tenuto conto delle modalità di fatto e circostanze di tempo e luogo emergenti da indagini di p.g. comprovatamente riscontrate dal sequestro della sostanza, anche in punto ponderale e dalla accertata natura di stupefacente della stessa, in carenza di prova ragionevolmente apprezzabile e fondata circa l’asserito stato di tossicodipendenza dell’imputato.

Va, pertanto, rigettato nel resto il ricorso.

L’eccezione di legittimata costituzionale dell’art. 458 c.p.p., comma 1 e la doglianza sulla misura della pena sono intuibilmente assorbiti e superati dalla presente decisione.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla diminuente di cui allo art. 442 c.p.p., comma 2 che applica, rideterminando la pena in anni tre, mesi sei e giorni venti di reclusione ed Euro 11.600,00 di multa.

Rigetta nel resto il ricorso.

Così deciso in Roma, il 8 gennaio 2009.

Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2009

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