Massima

Il reato di maltrattamenti in famiglia assorbe quello di minacce, anche gravi, mentre le lesioni lievi commesse nel medesimo contesto non integrano l’aggravante del nesso teleologico e, se procedibili a querela, si estinguono con la remissione, anche se successiva al fatto. La validità probatoria delle registrazioni occulte effettuate da un interlocutore e l’irrilevanza del successivo ripensamento della persona offesa sul piano della credibilità delle sue dichiarazioni iniziali sono confermate, così come la sufficienza della motivazione relativa alla sussistenza del dolo nei maltrattamenti e alla non configurabilità della provocazione in caso di linguaggio scurrille.

Supporto alla lettura

Maltrattamenti in famiglia

Il reato di maltrattamenti in famiglia si colloca nella parte del codice penale dedicata ai delitti contro la famiglia e l’assistenza familiare, caratterizzati dal fatto che l’offesa deriva da membri dello stesso gruppo familiare al quale appartiene la vittima.
In realtà, limitare alla famiglia l’oggetto giuridico del reato ex articolo 572 del codice penale, sarebbe fuorviante.
In primo luogo perché, anche in base alla interpretazione letterale, il bene giuridico protetto è l’integrità psicofisica e morale della vittima.
In secondo luogo perché rispetto agli altri reati previsti nel titolo XI del codice penale, il soggetto passivo non è necessariamente un familiare dell’agente, ma chiunque abbia con lui una relazione qualificata (rapporto di convivenza, sottoposizione per ragioni di autorità, affidamento per ragioni di educazione, cura, istruzione, vigilanza, custodia, esercizio di una professione o arte).
Ne consegue che l’effettivo fondamento giuridico dell’art 572 c.p. deve essere rinvenuto nella stabilità del vincolo affettivo e/o umano tra l’agente e soggetti ritenuti “deboli” ed esposti a episodi di sopraffazione da parte del soggetto “forte”, anche in applicazione di quanto previsto dalla ratificata Convezione di Lanzarote del 2007.
Tra i vari interventi che hanno modificato l’art. 572 c.p. negli anni, si ricorda:

  • la legge n. 172 del 2012 con la quale il legislatore ha incluso i semplici conviventi nel novero delle vittime di maltrattamenti;
  • la legge 69 del 2019 (c.d. Codice Rosso) che ha inasprito il regime sanzionatorio, soprattutto per contrastare episodi di c.d. violenza domestica e che ha inserito l’ultimo comma dell’articolo 572 c.p. che prevede che il minore che assiste ai maltrattamenti familiari debba essere considerato persona offesa.

Ambito oggettivo di applicazione

Svolgimento del processo

1. Con il provvedimento in epigrafe, la Corte d’appello di Firenze ha confermato la sentenza del 4 giugno 2014, con cui il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Livorno, all’esito del giudizio abbreviato, ha condannato (omissis) alla pena di legge per i reati di maltrattamenti e lesioni personali aggravate dal nesso teleologico.

2. Avverso il provvedimento ha presentato personalmente ricorso (omissis) chiedendone l’annullamento per i motivi di seguito sunteggiati ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.:

2.1. violazione di legge processuale e mancata assunzione di prova decisiva in relazione agli artt. 521 e 415-bis cod. proc. pen., art. 24 Cost. e atr. 6 CEDU e art. 124 cod. pen., per avere i giudici di merito pronunciato condanna per fatti diversi da quelli oggetto di contestazione e, segnatamente, per fatti risalenti al 2010 mentre nella imputazione di cui al capo a) si fa riferimento a fatti commessi “a partire dall’anno 2012”;

2.2. violazione di legge processuale e vizio di motivazione in relazione all’utilizzazione come prova di una registrazione occulta disposta ed acquisita in violazione delle regole processuali sulle prove atipiche;

2.3. violazione di legge penale e processuale e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell’elemento materiale e psicologico dei maltrattamenti, giusta l’assenza del requisito dell’abitualità e del dolo;

2.4. violazione di legge penale e processuale e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta insussistenza della circostanza attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4;

2.5. violazione di legge processuale e vizio di motivazione per avere la Corte omesso di ritenere le lesioni personali e le minacce assorbite nel delitto di maltrattamenti;

2.6. violazione di legge penale e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta integrazione della circostanza aggravante del nesso teleologico, là dove le lesioni lievi venivano commesse in attuazione della condotta propria di maltrattamenti.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è fondato per le ragioni e nei termini di seguito esposti.

2. Sono fondate le deduzioni concernenti le contestazioni di cui ai capi B) e C) della rubrica (sub punti 2.5 e 2.6 del ritenuto in fatto).

2.1. Ed invero, quanto al reato di lesioni personali di cui al capo B), va rilevato che, per costante giurisprudenza di questa Corte, la circostanza aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 2 non è configurabile in relazione al reato di lesioni personali lievi commesso in attuazione della condotta propria del delitto di maltrattamenti in famiglia, atteso che il nesso teleologico necessario per la sussistenza della suddetta aggravante esige che le azioni esecutive dei due diversi reati che essa pone in relazione siano distinte (v. da ultimo Sez. 6, n. 5738 del 19/01/2016, R., Rv. 266122).

Situazione, quest’ultima, che – avendo riguardo alla ricostruzione storico fattuale compiuta dai Giudici di merito – non risulta ricorrere nella specie.

D’altra parte, non risulta essere mai stata contestata, neanche in fatto, la circostanza aggravante dell’art. 576 c.p., comma 1, n. 5), (id est della commissione del fatto in occasione del delitto di cui all’art. 572 cod. pen.).

Ne discende che, in applicazione del disposto dell’art. 129 c.p.p., il delitto di lesioni personali, in quanto non aggravato e procedibile a querela, risulta improcedibile in considerazione della remissione di querela da parte della persona offesa e della correlativa accettazione del (omissis).

2.2. Coglie nel segno anche la doglianza difensiva concernente il reato di minacce aggravata dall’uso dell’arma sub capo C), rispondendo ad un principio di diritto ormai acquisito che il reato di maltrattamenti in famiglia assorbe il delitto di minacce anche gravi (quale quello contestato nella specie) (Sez. 6, n. 13898 del 28/03/2012, S., Rv. 252585; Sez. 2, n. 15571 del 13/12/2012 – dep. 2013, Di Blasi, Rv. 255780).

3. E’ infondata la dedotta violazione del principio fissato nell’art. 521 cod. proc. pen. in relazione al delitto sub capo A) (sub punto 2.1 del ritenuto in fatto).

3.1. Sotto un primo profilo, va notato che la prospettata violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza non risulta essere stata eccepita in appello, con il che – dando in ipotesi luogo ad una nullità a regime intermedio – non può essere dedotta per la prima volta in sede di legittimità (Sez. 4, n. 19043 del 29/03/2017, Privitera, Rv. 269886).

3.2. Ad ogni modo, l’eccezione si appalesa destituita di fondamento atteso che, nonostante l’indicazione – quanto al tempus commissi delicti – “a partire dall’anno 2012”, nella parte descrittiva del fatto oggetto di contestazione, si fa riferimento ad una condotta ripetuta nel tempo e viene espressamente menzionato anche l’episodio occorso nel 2010, sicchè non è revocabile in dubbio che R. sia stato posto in grado di conoscere compiutamente tutte le accuse per le quali è stato dichiarato colpevole e di svolgere appieno le proprie difese.

4. Va disattesa anche l’eccezione processuale concernente l’utilizzazione come prova della registrazione occulta compiuta dalla persona offesa (sub punto 2.2 del ritenuto in fatto).

4.1. Come questa Corte regolatrice ha avuto modo di chiarire in plurime occasioni (pronunciandosi anche nel suo più ampio consesso), la registrazione di un colloquio che un interlocutore esegua, anche all’insaputa degli altri partecipi alla conversazione, costituisce non un’intercettazione, ma soltanto un documento funzionale alla memorizzazione fonica e, pertanto, non è soggetta al regime di autorizzazione proprio di questa delineato negli artt. 266 e seguenti cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 6297 del 10/12/2009, Rv. 246106; Sez. U, n. 36747 del 28/05/2003, Torcasio, Rv. 225467).

5. Tendono a promuovere uno scrutinio estraneo all’ambito del sindacato di legittimità il terzo ed il quarto motivo di ricorso, con i quali (omissis) attacca la motivazione del provvedimento impugnato, là dove, da un lato, ha ritenuto integrato il delitto di maltrattamenti, sotto il profilo oggettivo e soggettivo; dall’altro lato, ha negato la sussistenza degli estremi della circostanza attenuante della provocazione di cui all’art. 62 c.p., n. 4 (sub punti 2.3 e 2.4 del ritenuto in fatto).

5.1. Avuto riguardo al complessivo discorso giustificativo svolto nella sentenza di primo e di secondo grado (che – per costante giurisprudenza concorrono a formare un unico complessivo corpo argomentativo; v. Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595), i Giudici della cognizione risultano avere ben argomentato, con considerazioni solidamente ancorate alle emergenze processuali e scevre da illogicità manifesta, la ritenuta “abitualità e protrazione nel tempo delle condotte sopraffattorie dell’imputato”, alla luce delle dichiarazioni rese dalla persona offesa e dei riscontri obbiettivi evinti dai referti sanitari acquisiti al fascicolo (v. pagina 4 della sentenza in verifica).

5.2. Nè può stimarsi affetto da irragionevolezza il passaggio dell’iter argomentativo della sentenza impugnata, là dove il Giudice a quo ha ritenuto ininfluente ai fini del giudizio di responsabilità la circostanza che la persona offesa abbia successivamente rimesso di querela e chiesto al Gip di revoca della misura cautelare applicata al congiunto.

Come convincentemente notato anche dai decidenti di merito, non è invero infrequente riscontrare nella prassi un’ambiguità di sentimenti nei rapporti tra soggetto maltrattante e vittima delle violenze suscettibile di portare quest’ultima, nonostante le sofferenze cagionate dal partner, a tornare sui propri passi e a revocare la richiesta di procedere nei suoi confronti, accettando della prosecuzione della relazione. Il “ripensamento” della persona offesa può invero trovare spiegazione razionale nell’esistenza di un forte legame affettivo talvolta sfociante in dinamiche di vera e propria dipendenza; nella condizione di soggezione psicologica determinata proprio dall’azione di coartazione esercitata dall’agente o, comunque, nella paura di subire gravi reazioni aggressive da parte di chi si sappia aduso abbandonarsi ad accessi violenti; nel timore di compiere scelte che possano provocare la dissoluzione dell’unità familiare e comportare pregiudizi di natura economica o scompensi affettivi per i figli.

Nondimeno, tale atteggiamento “ambivalente” non rende di per sè inaffidabile la narrazione delle violenze e delle afflizioni subite dall’autore dei maltrattamenti, ma costituisce un elemento da considerare ai fini della valutazione della credibilità intrinseca del dichiarante al pari di tutte le circostanze concrete che possono influire su tale delibazione, imponendo al Giudice soltanto una maggiore prudenza nell’analisi delle dichiarazioni nel quadro di tutti gli elementi conoscitivi a sua disposizione, una volta che essi siano stati compiutamente acquisiti, ricostruiti e riscontrati.

Giova, d’altronde, ribadire come il delitto di maltrattamenti in famiglia possa essere integrato non soltanto dalle percosse, lesioni, ingiurie, minacce, privazioni e umiliazioni imposte alla vittima, ma anche da atti di disprezzo e di offesa alla sua dignità che si risolvano in vere e proprie sofferenze morali (Sez. 6, n. 44700 del 08/10/2013, P, Rv. 256962) e finanche da atti che, di per sè, non costituiscono reato (Sez. 6, n. 13422 del 10/03/2016, O., Rv. 267270).

5.3. Del tutto generica è la censura in merito al dolo del delitto di maltrattamenti ín famiglia, che, ad ogni modo, non richiede la rappresentazione e la programmazione di una pluralità di atti tali da cagionare sofferenze fisiche e morali alla vittima ed è pacificamente integrato dalla mera coscienza e volontà di persistere in un’attività vessatoria, già posta in essere in precedenza, idonea a ledere la personalità della vittima (Sez. 6, n. 25183 del 19/06/2012, R., Rv. 253042; Sez. 6, n. 15680 del 28/03/2012, F., Rv. 252586).

6. Quanto al rilievo in ordine alla denegata applicazione della circostanza attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 2, il Giudice a quo ha fatto corretta applicazione dei consolidati principi di legittimità in tema di circostanza attenuante della provocazione, la quale ricorre quando il reato sia commesso non già in un generico stato di emozione, agitazione, timore o paura, bensì in uno “stato d’ira”, essendo necessario che l’agente abbia perduto il controllo di sè stesso in conseguenza di un fatto che sia privo di giustificazione nei contenuti e nelle modalità esteriori, capace di alterare i freni inibitori, come tale costituente eccezione al principio generale, secondo cui gli stati emotivi non sono causa di diminuzione della imputabilità (Sez. 1, n. 40177 del 01/10/2009, Gaudino, Rv. 245666; Sez. 1, n. 684 del 04/11/1992 – dep. 26/01/1993, Farina, Rv. 192773).

6.1. Presupposti che i decidenti di merito hanno escluso poter ravvisare nella vicenda sub iudice, evidenziando – non irragionevolmente – come il linguaggio scurrile utilizzato dalla persona offesa in occasione del colloquio da ella stessa registrato sia indicativo di un logoramento del rapporto e della mancanza di affetto tra i partner, ma non possa in alcun modo essere considerato dante luogo ad un “fatto ingiusto” scatenante uno “stato d’ira” in capo al (omissis), idoneo a mitigare il disvalore della condotta maltrattante.

7. Dalla pronuncia di parziale annullamento senza rinvio in ordine ai reati sub capi B) e C) discende la necessità i rimettere ad altra sezione della Corte d’appello di Firenze la rideterminazione della pena in relazione al capo A).

7.1. A tale adempimento non può invero provvedere questa Corte ai sensi dell’art. 620 c.p.p., comma 1, lett. l), là dove i Giudici della cognizione hanno proceduto alla determinazione del trattamento sanzionatorio applicato al R. in termini omnicomprensivi, senza indicare le pene applicate per la pena base e per ciascuno dei reati unificati sotto il vincolo della continuazione (superato dalla presente decisione), sicchè l’operazione implica valutazioni di merito estranee all’ambito del sindacato di legittimità.

7.2. A norma dell’art. 624 c.p.p., comma 2, può nondimeno essere dichiarata l’irrevocabilità della sentenza impugnata in relazione al delitto di cui al capo A).

P.Q.M.

annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di lesioni di cui al capo B), escluse le aggravanti contestate, perchè estinto per remissione di querela ed al reato di cui al capo C), esclusa l’aggravante contestata, perchè assorbito nel delitto di cui al capo A); rigetta nel resto il ricorso. Dichiara la sentenza impugnata irrevocabile quanto al residuo delitto di cui al capo A) e rinvia per la determinazione della relativa pena ad altra sezione della Corte d’appello di Firenze.

Così deciso in Roma, il 22 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 3 maggio 2018

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