Svolgimento del processo
1. La Corte di appello di Napoli, con la sentenza del 9 dicembre 2024, ha confermato la sentenza del 20 gennaio 2020 del Tribunale di Nola che aveva condannato (omissis) a pena ritenuta di giustizia per il reato di cui all’art. 385 cod. pen., commesso il g. 8 settembre 2017.
2. Con i motivi di ricorso, sintetizzati ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen. nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione, il difensore dell’imputato, avvocato (omissis), denuncia:
2.1. violazione di legge, in relazione agli art. 168-bis cod. pen. e 464-bis cod. proc. pen. e vizio di motivazione. Sostiene il ricorrente che la Corte di appello ha, erroneamente, ritenuto che non fosse presente agli atti la procura speciale conferita al difensore di fiducia per proporre la richiesta di ammissione alla messa alla prova, comunque richiamata nel verbale stenotipico dell’udienza del 27 maggio 2019. Del resto, tale carenza, non era stata evidenziata dal giudice monocratico in sede di rigetto della richiesta. Il mancato rinvenimento della procura speciale, ovvero il suo smarrimento successivo, non sono imputabili a comportamento del difensore o dell’imputato;
2.2. violazione di legge (in relazione agli artt. 168-bis cod. pen. e 464-bis e ss. cod. proc. pen.) nonché apparenza della motivazione della sentenza impugnata che ha disatteso le censure difensive, sulla mancata applicazione della messa alla prova, per ragioni in parte diverse da quelle del Tribunale – che aveva rigettato la richiesta perché la messa alla prova sarebbe stata incompatibile con il perdurare della misura cautelare degli arresti domiciliari, frustrandone le finalità -ma incorrendo, parimenti, nel vizio di erronea applicazione delle disposizioni che regolano l’istituto. La Corte di appello, oltre a dare atto che la richiesta di messa alla prova nell’interesse dell’imputato non era stata formulata da difensore munito di procura speciale e non era tempestiva, riteneva, altresì, ostativa all’accoglimento della messa alla prova la pericolosità sociale dell’imputato, condannato in via definitiva per il tentato omicidio della moglie, reato per il quale gli era stata applicata la detenzione domiciliare perché aveva violato l’obbligo di permanenza in casa essendo stato controllato mentre vi faceva ritorno in compagnia della vittima. Sostiene il ricorrente che la motivazione dei giudici del merito è fondata su una valutazione parziale degli atti e si pone in contrasto con la ratio dell’istituto, quale enucleata dalle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui la valutazione del giudice deve fondarsi sul complesso degli elementi che denotano il fatto.
3. Il ricorso è stato trattato con procedura scritta, ai sensi dell’art. 611, comma 1-bis cod. proc. pen. modificato dall’art. 11, comma 3, D.L. n. 29 del 6 giugno 2024, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 120 del 8 agosto 2024 n. 120.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo di ricorso è fondato poiché, dalla verifica degli atti consentita alla Corte di legittimità in ragione del vizio dedotto, risulta che in data 16 novembre 2017, l’indagato aveva depositato presso la Procura della Repubblica di Nola dichiarazione di nomina del difensore di fiducia, avvocato (omissis), che ha assistito l’imputato fino al giudizio di appello, nomina contenente la procura speciale relativa anche alla richiesta di messa alla prova (cfr. sul punto la documentazione allegata dal Pubblico Ministero contenuta nel fascicolo processuale).
2. Sono, parimenti, fondati gli ulteriori motivi di ricorso: la richiesta di messa alla prova, infatti, era stata avanzata dal difensore fin dalla prima udienza in cui veniva costituito il rapporto processuale (l’udienza del 27 settembre 2018) e, su autorizzazione del giudice monocratico, la richiesta era stata depositata presso l’Ufficio UEPE competente, in ragione della residenza dell’imputato, ufficio che, pur riscontrandola, dava atto che l’esame della richiesta, con la predisposizione del programma, non era stato ancora effettuato e che sarebbe stato compiuto compatibilmente con i tempi processuali – la data di celebrazione del processo – e degli altri impegni dell’ufficio stesso, con invito al difensore a depositare, in vista di tale udienza, il programma proposto.
Rispetto a tali precisazioni risulta perlomeno generica la motivazione con la quale il Tribunale, all’udienza del 27 maggio 2019, aveva rigettato la richiesta di messa alla prova perché ritenuta incompatibile con le modalità di esecuzione della pena, in regime di detenzione domiciliare, con autorizzazione allo svolgimento di attività lavorativa.
Questa Corte, infatti, ha precisato – con sentenze rese, per vero, in relazione al provvedimento adottato dalla magistratura di sorveglianza competente sulla esecuzione della detenzione domiciliare seguita dall’ammissione alla messa alla prova – che la misura alternativa della detenzione domiciliare può coesistere con la messa alla prova successivamente disposta, ex art. 168-bis cod. pen., nell’ambito di altro procedimento, quando risulti possibile armonizzare le relative prescrizioni (Sez. 1, n. 41185 del 31/10/2024, Giuffrida, Rv. 287147).
Il giudice del merito, al quale sia stata avanzata la richiesta di messa alla prova da parte dell’imputato che si trovi in stato di detenzione domiciliare è, parimenti, tenuto a svolgere un’analisi di compatibilità dell’esecuzione della messa alla prova e della misura della detenzione domiciliare, verifica di compatibilità che è il risultato non di un mero automatismo ma dell’analisi, in concreto della situazione processuale dell’imputato e delle prescrizioni che gli sono applicate con la misura alternativa alla detenzione quella di messa alla prova.
Il Tribunale di Nola non ha compiuto tale verifica limitandosi ad una generica affermazione di non compatibilità tra la detenzione domiciliare con autorizzazione a svolgere attività lavorativa e la mera richiesta di messa alla prova che non era stata ancora esaminata dal competente UEPE con la definizione del relativo programma.
3. Il vulnus denunciato dal difensore con i motivi di appello non è stato sanato dalla Corte di appello che, pur dando atto della mancanza di procura speciale e del programma proposto all’UEPE, ha, comunque, ritenuto ostativa all’accoglimento della richiesta, la pericolosità sociale dell’imputato che, sebbene non gravato da ulteriori condanne, era da considerarsi persona pericolosa in ragione del tentato omicidio commesso in danno della moglie e che, violando l prescrizione della misura della detenzione presso il domicilio, era evaso, per uscire con la moglie, sua vittima.
La valutazione della Corte di appello – per come correttamente rilevato nel ricorso- incorre nel vizio di apparenza della motivazione perché, a fronte di un reato che consente il ricorso alla messa alla prova, in ragione della pena edittale prevista, ha valorizzato fatti risalenti – il reato di tentato omicidio commesso nell’anno 2017 – trascurando, invece, le valutazioni che il giudice del merito, prima, e il magistrato di sorveglianza, poi, avevano posto a fondamento dell’applicazione della misura degli arresti domiciliari e della detenzione domiciliare.
L’analisi compiuta dalla Corte di appello, rispetto ad un istituto che persegue scopi special preventivi in funzione del raggiungimento della risocializzazione del soggetto, ha pretermesso completamente la verifica delle modalità del fatto per cui si procede (il reato di evasione, giustificato dall’imputato con la necessità di recarsi a casa della figlia minorenne perché febbricitante e in un quadro di recuperati rapporti con la moglie che, infatti, era alla guida dell’auto con la quale l’imputato veniva identificato al rientro nell’abitazione di Cimitile ove trascorreva la semidetenzione) e degli indici che possono determinare l’applicazione della messa alla prova, previa sospensione del processo.
Tale misura, infatti, è subordinata alla duplice condizione dell’idoneità del programma di trattamento e, congiuntamente, della prognosi favorevole in ordine all’astensione dell’imputato dal commettere ulteriori reati: una prognosi volta al futuro, sulla base del positivo espletamento del percorso di prova, e non solo condizionata dalla commissione del reato per cui si procede e, soprattutto, come nel caso in esame, dalla valutazione dei precedenti penali.
La giurisprudenza di questa Corte, con riferimento all’imputato maggiorenne, ha precisato che il giudice del merito, nell’esercizio della discrezionalità che ne connota i poteri, è chiamato ad esprimere un duplice giudizio, orientato alla possibilità di rieducazione e di inserimento del soggetto nella vita sociale, guidato dai parametri indicati dall’art. 133 cod. pen., inerenti sia alle modalità della condotta che alla personalità del reo, giudizio che è espressione di una valutazione prognostica che, alla luce della personalità dell’imputato, consente di ritenere che l’imputato si asterrà dal commettere ulteriori reati, come richiesto dall’art. 464-quater, comma 3, cod. proc. pen.. Il giudice del merito esercita, in tal caso, i suoi poteri discrezionali esprimendo un giudizio prognostico, insindacabile in sede di legittimità se sorretto da adeguata motivazione (cfr. Sez. 6, n. 37346 del 14/09/2022, Boudraa, Rv. 283883).
L’ammissione alla misura della sospensione del processo con messa alla prova presuppone un giudizio prognostico positivo per la cui formulazione non può prescindersi dal tipo di reato commesso, dalle modalità di attuazione dello stesso e dai motivi a delinquere, al fine di valutare se il fatto contestato debba considerarsi un episodio del tutto occasionale.
4. Alla luce delle predette considerazioni l’impugnata sentenza deve essere annullata, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Napoli, che valuterà, facendo uso dei suoi poteri discrezionali alla luce del principio di diritto innanzi enunciato, la richiesta dell’imputato, proposta fin dall’udienza del 27 settembre 2018, di definizione del processo con messa alla prova.
Il reato ascritto al (omissis), commesso il g. 08 settembre 2017, non è prescritto perché il termine di prescrizione, facendo applicazione delle regole dettate dalla L. n. 107 del 2019, è rimasto sospeso dal 19 aprile 2020 (scadenza del termine previsto per il deposito della motivazione della sentenza di primo grado) al 9 dicembre 2024, data della pronuncia del dispositivo della sentenza di appello: il termine massimo di prescrizione maturerà il g. 8 settembre 2025.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli.
Così deciso in Roma, l’1 luglio2025.
Depositata in Cancelleria il 16 luglio 2025.
