Massima

In materia di delitti contro il patrimonio, il reato di appropriazione indebita (art. 646 c.p.) ha per oggetto la “cosa mobile”. Non rientra in tale nozione il bene immateriale quale il dato informatico in sé considerato. Costituisce, tuttavia, “cosa mobile” il supporto materiale su cui il bene immateriale viene trasfuso, acquisendo valore dal suo contenuto. Pertanto, integra il reato l’appropriazione del supporto cartaceo sul quale siano stati stampati dati informatici estrapolati da un sistema (come, nella specie, dati bancari estratti da un sito di home banking), trattandosi di un’entità materiale che incorpora il dato e che, tramite il processo di stampa, costituisce un documento originale e non una mera copia.

Supporto alla lettura

APPROPRIAZIONE INDEBITA 

Il reato di appropriazione indebita è previsto e punito dall’ art. 646 c.p., secondo il quale:

“Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da euro 1.000 a euro 3.000.
Se il fatto è commesso su cose possedute a titolo di deposito necessario, la pena è aumentata”

Il reato in esame colpisce tanto il diritto di proprietà quanto il rapporto fiduciario tra proprietario e soggetto su cui grava l’obbligo di restituire la cosa posseduta. Presupposto del reato in esame è il possesso del bene: chi commette il reato deve trovarsi cioè già in possesso del denaro o della cosa mobile. L’aggravio di pena di cui al secondo comma è giustificato dal fatto che il deposito non è frutto di una libera scelta ma è determinato da una situazione eccezionale e non prevista.

Ambito oggettivo di applicazione

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’appello di Torino confermava la condanna di (omissis) per i reati di accesso abusivo a sistema informatico, trattamento illecito di dati personali e appropriazione indebita, in riferimento al quale ultimo confermava altresì la condanna di (omissis). In parziale riforma della pronunzia di primo grado condannava entrambi gli imputati anche per il reato di turbata libertà dell’industria o del commercio da cui erano stati in precedenza assolti e per converso assolveva il (omissis) dal reato di frode processuale, per il quale era stato invece condannato in prime cure. Conseguentemente la Corte territoriale provvedeva a rimodulare il trattamento sanzionatorio e le statuizioni civili disposte a carico degli imputati.

2. Avverso la sentenza ricorrono entrambi gli imputati a mezzo dei rispettivi difensori.

2.1 Il ricorso del (omissis) articola quattro motivi. Con il primo deduce l’errata applicazione dell’art. 615 ter c.p. per il difetto di tipicità della condotta ascritta all’imputato conseguente alla mancata violazione delle prescrizioni esplicitamente o implicitamente dettate dal titolare del sistema informatico in cui egli si sarebbe illecitamente trattenuto. Con il secondo motivo analogo vizio viene denunciato con riguardo all’applicazione del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 167, rilevando come, a seguito delle modifiche apportate dalla L. n. 214 del 2011, i dati riferibili a persone giuridiche – e cioè la maggior parte di quelli che sarebbero stati oggetto di illecito trattamento – non possono più ritenersi assoggettati alla normativa in materia di tutela della privacy, con conseguente sopravvenuta irrilevanza penale del fatto contestato.

Quanto ai residui dati il ricorrente ne eccepisce in ogni caso l’irrilevanza ai sensi dell’art. 24, comma 1 del decreto summenzionato, trattandosi di nominativi ed indirizzi accessibili a chiunque in pubblici registri o elenchi ovvero su siti internet. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta l’errata applicazione dell’art. 646 c.p. e correlati vizi motivazionali, rilevando come all’imputato sarebbe al più addebitabile l’appropriazione della riproduzione dei dati bancari della (omissis) s.a.s., documento che rappresenta una mera copia e che, in quanto tale, non rientra nella nozione di “cosa mobile” oggetto della condotta tipizzata dalla norma incriminatrice.

Non di meno del tutto illogica sarebbe l’attribuzione al (omissis)  della trasmissione del suddetto documento al (omissis) , presso il quale è stato rinvenuto, posto che quest’ultimo ha abbandonato la (omissis) ben dopo il primo. Con il quarto motivo infine viene denunciata l’errata applicazione anche dell’art. 513 c.p., atteso che la condotta contestata è stata ricostruita dai giudici del merito in termini di mera concorrenza sleale mediante l’utilizzo di mezzi fraudolenti, fattispecie penalmente irrilevante tanto ai sensi della norma incriminatrice menzionato, così come di quella di cui all’art. 513-bis c.p..

2.2 Il ricorso proposto nell’interesse del (omissis) articola due motivi. Con il primo viene dedotta l’errata applicazione dell’art. 646 c.p. rilevandosi come l’oggetto materiale del reato di appropriazione indebita dovrebbe possedere un intrinseco valore patrimoniale invece assente nelle fotocopie e nei dati informatici di cui l’imputato è accusato di essersi illecitamente impossessato.

Trattandosi poi di copie di documenti o di dati di cui il titolare ha continuato a possedere gli originali verrebbe meno l’ulteriore requisito della privazione del proprietario della cosa mobile. Infine difetterebbe anche la prova dell’interversione del possesso, atteso che non risulta che la (omissis) s.a.s., al momento dell’interruzione del rapporto di lavoro con il (omissis) , gli avesse richiesto la restituzione delle cose menzionate. Con il secondo motivo analogo vizio viene denunciato con riguardo all’applicazione dell’art. 513 c.p. con argomenti sostanzialmente sovrapponibili a quelli svolti nel quarto motivo del ricorso del (omissis) .

3. Il 30 luglio 2014 il difensore del (omissis) ha depositato motivi aggiunti con i quali lamenta la violazione dell’art. 646 c.p., rilevando come non sia configurabile il suddetto reato qualora oggetto di appropriazione siano beni privi di materialità, quali per l’appunto i dati informatici di cui alla contestazione mossa all’imputato.

4. Con memoria depositata il 24 settembre 2014 il difensore della parte civile (omissis) ha invece evidenziato come l’intervenuta assoluzione del (omissis) per il reato di frode processuale in quanto ritenuto non punibile ai sensi dell’art. 384 c.p., comma 2 costituirebbe la prova della sussistenza di quello di cui all’art. 615-ter c.p., comunque configurabile in ragione dell’ontologica incompatibilità dell’utilizzo da parte dell’imputato della banca dati aziendale in violazione dei doveri di cui all’art. 2105 c.c. con le ragioni per cui lo stesso era stato autorizzato dal datore di lavoro a consultarla. Circa la configurabilità del reato di cui all’art. 646 c.p. la part civile osserva invece come oggetto di appropriazione non siano stati i dati informati oggetto di consultazione, bensì il supporto cartaceo sul quale gli stessi erano stati stampati dall’imputato. Quanto al contestato illecito in materia di privacy la memoria ammette che siano stati sottratti alla tutela penale i dati relativi alle persone giuridiche, ma al contempo evidenzia come la condotta contestata abbia riguardato anche quelli di alcune persone fisiche clienti della società non ricavabili da elenchi di pubblico dominio. Con riguardo infine al reato di cui all’art. 513 c.p. viene sottolineato che questa Corte, nel separato procedimento nei confronti del coimputato (omissis)  già avrebbe rilevato la configurabilità nel caso di specie dello stesso.

5. All’odierna udienza il difensore del (omissis) ha depositato una nota con la quale deduce il compimento dei termini di prescrizione del reato di cui all’art. 615-ter c.p. contestato al capo b), rilevando in proposito come sia stata la stessa sentenza impugnata a precisare come il fatto sarebbe stato commesso nel febbraio del 2007.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Pregiudiziale è l’esame dell’eccezione di prescrizione sollevata dalla difesa all’odierna udienza con riguardo al reato di cui all’art. 615-ter c.p. contestato al capo b), eccezione che deve ritenersi fondata.Come rilevato dal ricorrente, infatti, sono stati gli stessi giudici di merito a retrodatare la condotta di indebito trattenimento in sistema informatico dal maggio al febbraio del 2007, peraltro sulla base di una valida base fattuale, atteso che in tale mese il (omissis) lasciò definitivamente la (omissis). Conseguentemente il termine prorogato di prescrizione del reato – non risultando che lo stesso abbia subito sospensioni – si è definitivamente compiuto al più tardi il 28 agosto 2014.

2. La presenza delle statuizioni civili impone, ai sensi dell’art. 578 c.p.p., l’esame compiuto anche delle censure proposte dal (omissis) con il primo motivo avverso il capo della sentenza concernente il suddetto reato. Censure che peraltro risultano infondate.

2.1 Come ricordato tanto dalla Corte territoriale, quanto dal ricorrente, recentemente le Sezioni Unite hanno avuto modo di stabilire che integra il delitto previsto dall’art. 615 ter c.p. colui che, pur essendo abilitato, acceda o si mantenga in un sistema informatico o telematico protetto violando le condizioni ed i limiti risultanti dal complesso delle prescrizioni impartite dal titolare del sistema per delimitarne oggettivamente l’accesso, rimanendo invece irrilevanti, ai fini della sussistenza del reato, gli scopi e le finalità che abbiano soggettivamente motivato l’ingresso nel sistema (Sez. Un., n. 4694/12 del 27 ottobre 2011, Casani ed altri, Rv. 251269).

2.1.1 Il Supremo Collegio ha peraltro precisato nella motivazione della sua pronunzia come, al di là della violazione di espresse prescrizioni impartite dal titolare del sistema, la condotta tipica debba ritenersi realizzata anche quando l’agente “ponga in essere operazioni di natura ontologicamente diversa da quelle di cui egli è incaricato ed in relazione alle quali l’accesso era a lui consentito”.

2.1.2 Facendo dunque corretta applicazione del principio ricordato, la sentenza impugnata ha ritenuto sussistente il reato contestato in quanto l’imputato si è trattenuto nel sistema, informatico per duplicare informazioni commerciali riservate, operazione indubbiamente incompatibile con l’espletamento dei compiti per lo svolgimento dei quali egli era autorizzato ad accedere ed utilizzare il sistema e ciò a prescindere dall’ulteriore scopo perseguito dall’imputato attraverso la sua condotta e cioè cedere le informazioni illecitamente carpite ad un concorrente della (omissis) .

2.2 Anche il secondo motivo di ricorso è infondato e per certi versi anche inammissibile. Ed infatti non è dubbio che a seguito delle modifiche apportate al D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 4 dalla L. n. 214 del 2011 il trattamento illecito di dati concernenti persone giuridiche non integra più il reato previsto dall’art. 167 del summenzionato decreto legislativo contestato all’imputato. Peraltro la sentenza impugnata ha precisato come oggetto dell’illecito trattamento sono stati anche dati riferibili a persone fisiche, talchè non sussiste dubbio che il reato sia stato comunque commesso.

Quanto poi all’eccepita irrilevanza della condotta in ragione della notorietà dei dati oggetto dell’illecito trattamento, si tratta di doglianza prospettata in maniera del tutto generica e soprattutto senza la necessaria indicazione della fonte processuale dell’accertamento dell’inserimento dei nominativi e degli indirizzi dei titolari dei dati in pubblici registri od elenchi di libero accesso.

2.3 Infondati e per certi versi inammissibili sono altresì il terzo motivo e i motivi aggiunti proposti dal (omissis).

2.3.1 Il ricorrente eccepisce sotto un primo profilo l’inconfigurabilità del delitto di cui all’art. 646 c.p. in ragione dell’asserito difetto di tipicità dell’oggetto materiale della presunta appropriazione. E ciò in quanto il documento contenente la riproduzione dei dati bancari della (omissis) sarebbe una mera copia.

2.3.2 In proposito va innanzi tutto ribadito che “cosa mobile” oggetto dei reati contro il patrimonio non può essere un bene immateriale, in quanto insuscettibile di fisica detenzione (ex multis Sez. 2, n. 33839 del 12 luglio 2011, P.C. in proc. Simone, Rv. 251179). E’ dunque escluso che nel caso di specie oggetto dell’appropriazione siano stati i “dati” bancari in quanto tali. E’ invece cosa mobile l’entità materiale su cui beni immateriali vengono trasfusi, anche se è il valore del bene trasfuso che conferisce alla fisicità della cosa la funzione strumentale che ne caratterizza la rilevanza penale. Incorporando il bene immateriale, tali entità materiali acquisiscono il valore di questo, diventando cose idonee a soddisfare quei particolari bisogni umani cui il bene è strumentale.

2.3.3 Non può dunque dubitarsi che il supporto cartaceo sul quale siano stati trasferiti i dati estrapolati dal sito di home banking sia cosa mobile ai sensi ed ai fini dell’art. 646 c.p.. Nè il documento in questione costituisce una mera copia, atteso che attraverso la stampa del contenuto del sito è stato formato un documento originale. Infondata è poi l’obiezione secondo cui la titolarità delle informazioni riprodotte sarebbe della Banca e non della (omissis). A tacer d’altro è infatti sufficiente rilevare come quest’ultima comunque poteva legittimamente accedere alle stesse ed utilizzarle liberamente, talchè una volta formato al suo interno il documento in cui le stesse erano state incorporate, questo era nella sua titolarità e l’imputato non poteva appropriarsene.

2.3.4 Generiche per difetto di correlazione con la motivazione della sentenza sono infine le altre doglianze coltivate dal ricorrente sul punto. Ed infatti la Corte territoriale ha ampiamente argomentato in merito all’attribuibilità al (omissis) e al (omissis) in concorso tra loro dell’appropriazione di tutti i documenti sottratti alla (omissis). Non solo quindi della lista degli insoluti ottenuta attraverso la riproduzione dei dati bancari, ma altresì dei fax e delle fatture indicati nel capo d’imputazione, compresi quelli fatti uscire in epoca successiva all’allontanamento dell’imputato dall’azienda. In particolare i giudici del merito hanno ritenuto, in base ad un ragionamento non manifestamente illogico, che esistesse tra i due e il titolare dell’impresa concorrente della (omissis) un vero e proprio accordo criminoso, la cui esecuzione prevedeva – anche in momenti diversi e attraverso azioni autonome separatamente compiute dai due coimputati – la sottrazione dei documenti commerciali di interesse per il (omissis). Con tale motivazione il ricorso non si è sostanzialmente confrontato, limitandosi ad affermare in maniera del tutto apodittica l’attribuibilità al (omissis) della sola sottrazione della lista degli insoluti in ragione del rinvenimento dei documenti in possesso del (omissis) , senza per l’appunto confutare l’effettivo contenuto del discorso giustificativo svolto in sentenza.

2.4 Infondato è infine anche l’ultimo motivo del ricorso del (omissis). Questa Corte, nel separato procedimento a carico del S., già si è pronunziata sulla configurabilità nel caso di specie del reato di cui all’art. 513 c.p. escludendo che l’uso di mezzi fraudolenti volti ad assicurare all’agente un profitto concretizzi solo un’ipotesi di concorrenza sleale ai sensi dell’art. 2598 c.c., comma 3, (Sez. 3, n. 35731 del 22 giugno 2010, PM e PG in proc. Sasso, Rv. 248552). Conclusioni che devono essere qui ribadite, atteso che indubbiamente il fatto contestato corrisponde a quello previsto dalla norma incriminatrice. Non è in dubbio, innanzi tutto, che il (omissis) e i suoi complici abbiano fatto ricorso a mezzi fraudolenti, atteso che tale deve essere qualificato lo sfruttamento dell’accesso alle informazioni aziendali concessogli dal datore di lavoro confidando sulla loro lealtà. In secondo luogo ancor meno può dubitarsi che la condotta tipica sia stata posta in essere al fine specifico di turbare l’attività commerciale della (omissis) (che per l’appunto costituisce l’oggetto del dolo specifico che caratterizza il reato contestato e non il suo elemento materiale come erroneamente sostenuto a p. 10 del ricorso), atteso che lo scopo perseguito, per come risulta dal testo della sentenza, era quello di operare un sistematico storno di clientela sfruttando il know how commerciale di quest’ultima illecitamente carpito e soprattutto alcuni strumenti “sensibili” come le informazioni sul “miglior prezzo” praticato, nel tentativo di paralizzarne la capacità stessa di accedere al mercato di riferimento.

2.5 In definitiva, con riferimento alla posizione del (omissis), la sentenza deve essere annullata senza rinvio ai soli effetti penali – e con conferma dunque – bielle relative statuizioni civili – limitatamente al reato di cui al capo b) per le ragioni illustrate sub 1 e con rinvio alla Corte d’appello di Torino per al conseguente rideterminazione del trattamento sanzionatorio, che non è possibile effettuare in questa sede atteso che il menzionato reato era stato precedentemente giudicato come il più grave e dunque in riferimento allo stesso era stata calcolata la pena base sulla quale erano poi stati effettuati gli aumenti per gli altri giudicati in continuazione. Nel resto il ricorso dello stesso (omissis) deve invece essere rigettato.

3. Infondato è anche il ricorso del (omissis), che ripropone le medesime doglianze già analizzate in precedenza trattando del terzo e del quarto motivo di quello dei (omissis), nonchè dei motivi nuovi proposti nell’interesse di quest’ultimo. Unica questione inedita proposta dal (omissis) risulta quella relativa alla mancata interversione del possesso dei documenti di cui gli è stata contestata l’appropriazione indebita. Questione che si rivela peraltro manifestamente infondata, atteso che la mancanza di una espressa richiesta di restituzione da parte del titolare dei suddetti documenti non era certo presupposto legittimante l’appropriazione dei medesimi, atteso che ai momento in cui l’imputato ha abbandonato l’azienda era comunque suo dovere restituire tutta la documentazione commerciale di cui aveva il possesso esclusivamente in ragione del rapporto di lavoro.

P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata senza rinvio limitatamente al reato di cui al capo b) perchè estinto per prescrizione e con rinvio alla Corte d’appello di Torino per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio nei confronti di (omissis). Rigetta nel resto il ricorso dello stesso.Rigetta il ricorso di (omissis) che condanna al pagamento delle spese processuali e al rimborso di quelle sostenute dalla parte civile liquidate in complessi Euro 2.300 oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 30 settembre 2014.

Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2014

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