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Cassazione penale sez. V, 25/01/2008, n. 9575

Massima

In tema di misure di prevenzione, la Corte di Cassazione annulla il provvedimento con cui la Corte d’appello ha confermato l’applicazione della sorveglianza speciale, qualora la motivazione si limiti a un mero richiamo alla decisione di primo grado, senza una e disamina della e della pericolosità sociale.

Supporto alla lettura

MISURE DI PREVENZIONE

Le misure di prevenzione sono misure special-preventive, dirette ad evitare la commissione di reati da parte di soggetti considerati socialmente pericolosi. Vengono applicate indipendentemente dalla commissione di un precedente reato e sono nate per contrastare le organizzazioni criminali ed i patrimoni illecitamente accumulati, oltre che per controllare fenomeni di disagio sociale.

Plurimi interventi normativi hanno nel tempo rimodulato le misure di prevenzione sino a giungere al D. Lgs. n. 159/2011 c.d. Codice Antimafia che ha dato una sistemazione organica alla materia, modificato ed integrato dalla Legge 161/2017.

Possono essere proposte dal Questore, dal Procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo, dai Procuratori della Repubblica presso i Tribunali di distretto ove dimora la persona, nonché dal Direttore della DIA.

I soggetti destinatari delle stesse, sono delinquenti abituali e indiziati di:

  • reati specifici con finalità di terrorismo;
  • reati diretti a sovvertire l’ordine dello Stato;
  • reati a sostegno di organizzazioni mafiose o con fini terroristici.

Si suddividono in:

  • misure di prevenzione personali giurisdizionali: incidono sulla libertà personale del soggetto ritenuto socialmente pericoloso, il quale può essere sottoposto a sorveglianza speciale (da 1 a massimo 5 anni) e obblighi o divieti relativi alla residenza/dimora;
  • misure di prevenzione patrimoniali giurisdizionali: provvedimento cautelare riguardante i beni ritenuti frutto di attività illecite. Tali misure consistono nel sequestro e poi confisca dei beni, e vi è la possibilità di richiedere ed ottenere anche l’istituto del “controllo giudiziario di azienda”.

Ambito oggettivo di applicazione

OSSERVA
(omissis) ricorre avverso il provvedimento della Corte di appello di Catanzaro che in data 22.12.2006 ha rigettato il ricorso dallo stesso proposto avverso il decreto del Tribunale di Crotone del 21.3.2006 con il quale gli è stata applicata la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di PS per la durata di anni 4 con obbligo di soggiorno.

Deduce violazione della L. n. 1423 del 1956, art. 4, comma 11, in relazione alla medesima legge, artt. 3 e 4, comma 10, sostenendo che il giudice di appello ha del tutto omesso la valutazione degli elementi specificamente sottoposti alla sua cognizione con riferimento alla attualità della pericolosità sociale. A fronte delle deduzioni difensive il provvedimento reiettivo ripropone pedissequamente le sole conclusioni espresse dal Tribunale. Sulla base della sola condanna riportata dal (omissis) in sede penale, si pretende di poter presumere la; sua attuale pericolosità, laddove è noto che, in tema di misure di prevenzione, non è applicabile il dettato dell’art. 275 c.p.p., comma 3.

Il ricorso è fondato.

Conseguentemente il provvedimento impugnato va annullato con rinvio per; nuovo esame al medesimo giudice.

Il provvedimento della Corte calabrese, invero, non va oltre un mero richiamo alla pronunzia di primo grado (“il provvedimento impugnato non è meritevole di alcuna censura, essendo sorretto da adeguate argomentazioni logiche e giuridiche; ad esso si fa espresso richiamo per quanto concerne la valutazione di ricorrenza degli elementi necessari a fondare il quadro di pericolosità del (omissis),…”), non chiarendo in base a quali criteri e dati fattuali ha ritenuto che la pericolosità sociale del ricorrente rivestisse i caratteri della rilevanza e della attualità. Si fa invero riferimento sia a una sentenza (omettendo di indicare a quali reati si riferisce la condanna e limitandosi ad elencare i reati per i quali lo stesso fu rinviato a giudizio), sia a un’informativa dei Carabinieri, il cui contenuto rimane ignoto. In sintesi, nessuna compiuta disamina della personalità del (omissis) in relazione alla sostenuta permanenza della sua attitudine a delinquere viene condotta dal giudice di appello, il quale effettivamente, con tale lacunosa motivazione, mostra di non aver dato risposta a quanto dedotto con i motivi di appello.

La sostanziale mancanza di apparato motivazionale integra il vizio di violazione di legge.

P.Q.M.
La Corte:Annulla il provvedimento impugnato con rinvio alla Corte di appello di Catanzaro per nuovo giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 gennaio 2008.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2008

Allegati

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