Svolgimento del processo
1. Il 15/05/2013, la Corte di appello di Palermo confermava la sentenza emessa il 09/06/2011 dal Tribunale della stessa città nei confronti dei coniugi (omissis) ed (omissis), ritenuti responsabili di fatti di bancarotta correlati alla gestione della (omissis) s.a.s. di (omissis) & C, società dichiarata fallita nel (omissis) e della quale i due imputati erano stati – in tempi diversi – soci accomandatari. Al (omissis), condannato ad anni 3 di reclusione, era stato in particolare ascritto il reato di bancarotta documentale, per avere sottratto tutte le scritture contabili della società, allo scopo di procurarsi un ingiusto profitto ed arrecare pregiudizio ai creditori; la (omissis), accomandataria fino al 01/09/2005, era stata invece condannata ad anni 2 di reclusione per la distrazione di un autoveicolo a lei intestato, non consegnato alla curatela.
2. Il difensore dei due imputati propone, con atto unico, un comune ricorso per cassazione nell’interesse di entrambi.
Per il (omissis) si lamenta:
violazione ed erronea applicazione di legge penale, per insussistenza del reato; violazione dell’art. 530 c.p.p..
La difesa segnala che dall’istruttoria dibattimentale era emerso come il ricorrente avesse lasciato tutta la documentazione contabile all’interno dei locali dove la ditta svolgeva la propria attività imprenditoriale (in particolare, all’interno di un armadietto che era stato trovato chiuso all’atto dell’inventario, ma dove poi una teste aveva dichiarato di avere effettivamente rinvenuto i libri de quibus a distanza di tempo); in ogni caso, i giudici di merito non avevano tenuto presente che la condotta in ipotesi ascrivibile all’imputato era da collocare in un periodo in cui egli era afflitto da gravi problemi di salute a seguito di un incidente stradale, il che avrebbe dovuto giustificare la sua assenza al momento dell’inventario (protrattosi assai a lungo) e l’omessa presentazione al curatore per rendere interrogatorio.
Deduce inoltre la difesa del (omissis) che il curatore fallimentare non avrebbe comunque potuto deporre su quanto accaduto all’atto dell’apposizione dei sigilli, non essendo stato presente in quella circostanza; lo stesso curatore aveva poi reso dichiarazioni imprecise sul contenuto della documentazione rinvenuta, rappresentando però che negli armadietti vi erano dei sacchi neri chiusi, come confermato dalla teste m. nel descrivere gli involucri dove ella sosteneva di aver trovato in seguito i libri medesimi.
Secondo la tesi difensiva, non si era comunque prodotto alcun danno per i creditori in ragione del temporaneo non rinvenimento delle scritture, e non corrisponde al vero – come invece sostenuto dai giudici di merito -che sarebbe stata rilevata la mancanza di fatture di vendita per il periodo dal dicembre 2005 al luglio 2006 – inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 216 e 222 L. Fall., in punto di ravvisabilità dell’elemento soggettivo.
Il difensore del (omissis) evidenzia che non sarebbe emersa la prova della finalità in ipotesi perseguita dall’imputato, risultando carente l’accertamento relativo allo scopo che egli avrebbe avuto di mira e dovendosi ricondurre la mera mancanza dei libri alla fattispecie della bancarotta semplice; non vi sarebbe in particolare dimostrazione del necessario dolo specifico, perchè non vi sono stati danni per i creditori (nè profitto per il ricorrente, che anzi risulta avere colmato parte rilevante dei debiti con apporti propri e del padre).
Secondo la difesa, non esisterebbe altresì divario fra attivo e passivo della società, in quanto la maggiore esposizione riguarda il mutuo ipotecario contratto dal (omissis) e dalla (omissis) per l’acquisto della casa di abitazione, esposizione che non potrebbe ricondursi alla (omissis) – violazione dell’art. 521 c.p.p. per omessa derubricazione e mancata declaratoria di intervenuta prescrizione.
Con riguardo alla dedotta ravvisabilità del meno grave reato di bancarotta semplice, nell’interesse del (omissis) si rappresenta che l’addebito avrebbe dovuto intendersi prescritto già alla data della sentenza di appello. Per la (omissis) si rappresenta invece – violazione ed erronea applicazione di legge penale, per insussistenza del reato; violazione dell’art. 530 c.p.p..
A dispetto di quanto si legge nelle pronunce di merito, l’imputata non si rifiutò realmente di consegnare la vettura indicata in rubrica: ella non aveva infatti ricevuto alcuna comunicazione formale a quel fine (essendo separata dal marito, non abitava più all’indirizzo dove gli organi della procedura concorsuale aveva inviato la corrispondenza) ed ebbe successivi contatti telefonici con il curatore al quale aveva spiegato le esigenze personali che le rendevano indispensabile disporre ancora dell’auto. In seguito, al momento del programmato rilascio, era soltanto accaduto che la Mi. non intese consegnare il veicolo in mano ad un sedicente meccanico presentatosi all’appuntamento in asserita vece del curatore, tanto più che le era stata chiesta una “Daimler Chrysler” mentre l’auto in suo possesso era una “Mercedes”.
inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 216 e 222 L. Fall., in punto di ravvisabilità dell’elemento soggettivo.
Per le stesse ragioni esposte al punto precedente, deve ritenersi che l’imputata non agì con dolo, ipotesi peraltro da escludere avendo ella financo presentato istanza di concordato fallimentare, assumendo così un comportamento in antitesi con la volontà di cagionare danni di sorta ai creditori violazione dell’art. 521 c.p.p. per omessa derubricazione e mancata declaratoria di intervenuta prescrizione.
La difesa, analogamente a quanto già argomentato per il coimputato, sostiene che l’addebito avrebbe dovuto riqualificarsi come bancarotta semplice, con conseguente presa d’atto della già maturata prescrizione.
Motivi della decisione
1. I ricorsi non possono trovare accoglimento.
1.1 Quanto alla bancarotta documentale contestata al (omissis), deve prendersi atto che la ricostruzione accusatoria si fonda su una logica lettura delle indicazioni offerte dal curatore fallimentare, secondo cui le scritture rinvenute (solo in un secondo momento) si erano rivelate complete soltanto a fini fiscali, con la conseguente impossibilità di ricostruzione del movimento degli affari della società per il 2006; sul piano dell’elemento materiale, non ha poi pregio la considerazione della difesa circa la necessità di imputare la gran parte del passivo a debiti contratti iure proprio dai due coniugi, visto che il fallimento riguarda una società di persone.
E’ altresì necessario ricordare che l’ipotesi accusatoria riguarda una condotta di sottrazione delle scritture contabili, che richiede – come affermato dalla costante giurisprudenza di questa Corte, “per espresso dettato della L. Fall., art. 216, comma 1, n. 2, (…), il dolo specifico, consistente nello scopo di procurare a sè o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori; mentre per le ipotesi di irregolare tenuta della contabilità, caratterizzate dalla tenuta delle scritture in maniera da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari, è richiesto invece il dolo intenzionale, perchè la finalità dell’agente è riferita ad un elemento costitutivo della stessa fattispecie oggettiva – l’impossibilità di ricostruire il patrimonio e gli affari dell’impresa – anzichè a un elemento ulteriore, non necessario per la consumazione del reato, quale è il pregiudizio per i creditori” (Cass., Sez. 5, n. 5905 del 06/12/1999, Amata, Rv 216267; v. anche, nello stesso senso, Cass., Sez. 5, n. 21075 del 25/03/2004, Lorusso).
Tanto premesso, deve rilevarsi che l’imputato, come si ricorda nel ricorso, fu comunque presente all’apposizione dei sigilli, nonostante i problemi di salute evocati: già in quella sede, pertanto, egli si trovava nella ragionevole condizione di far presente dove si trovassero le scritture contabili, se è vero che – come poi sostenuto attraverso la deposizione della teste m. – i libri in questione erano stati sistemati dentro alcuni sacchi neri, riposti all’interno di uno o più armadietti.
A quel punto, il curatore ben potè testimoniare su quanto avvenne nel momento dell’apposizione dei sigilli pur non essendo stato presente (è evidente che riferì su quanto era stato riportato nel relativo verbale, ovvero su quanto, non risultando a verbale, doveva intendersi non accaduto), e per sconfessare la fondatezza della tesi difensiva assume rilievo decisivo la circostanza che, fra le carte presentate come successivamente rinvenute, vi era documentazione recante una data successiva all’apposizione dei sigilli. Circostanza, questa, ragionevolmente sottolineata dalla Corte territoriale, laddove da contezza di dichiarazioni dei redditi presentate il 24 e 25 ottobre 2006, quando i sigilli erano stati apposti il 29 agosto:
come si legge a pag. 4 della sentenza impugnata, “il sopra descritto comportamento del (omissis), che ha sottratto le scritture contabili alla verifica del curatore, per poi produrre in giudizio documentazione frutto di apposita scelta, costituisce sicuro indice della sussistenza del dolo specifico richiesto dalla norma incriminatrice”.
Nel ricorso la difesa sostiene la tesi secondo cui “pare lecito ritenere che, essendosi protratte le operazioni di inventario ben oltre il 20 settembre 2006, possano essere state lasciate dal (omissis) in azienda anche le dichiarazioni reddituali dei soci comunicate telematicamente nell’ottobre dello stesso anno”; tesi obiettivamente inconsistente, visto che quel “lasciare in azienda” deve essere letto non già in termini generici, ma piuttosto come inserimento dei documenti in questione all’interno dei ricordati sacchi neri, se è vero che il tutto fu poi rinvenuto dentro gli armadi. Ne deriva l’impossibilità di sostenere che il (omissis), essendo già stato invitato dal curatore alla consegna dei libri, non si sia avveduto di dove fosse stata riposta la contabilità, e la definitiva conferma dell’impianto accusatorio (con la conseguente, palese non configurabilità di una mera bancarotta semplice).
1.2 Le osservazioni della difesa quanto alla posizione della (omissis) si risolvono in censure afferenti il merito, a fronte di una motivazione della sentenza impugnata fondata su chiare emergenze di fatto: l’auto non fu consegnata nella sostanzialmente ammessa consapevolezza dell’obbligo di provvedervi. Appaiono peraltro pretestuosi i rilievi sulla presunta non coincidenza della marca del veicolo, a fronte di altri dati identificativi niente affatto equivoci, o sulla contestata legittimazione del soggetto delegato al ritiro del mezzo.
Il secondo motivo di doglianza costituisce un evidente refuso, dovuto alla ripetizione anche nell’interesse della (omissis) degli argomenti esposti per il coimputato in vista di una possibile derubricazione (ictu oculi non configurabile neppure in astratto, a fronte di una contestata bancarotta per distrazione).
2. Il rigetto dei ricorsi comporta la condanna di entrambi gli imputati al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi, e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 19 settembre 2014.
Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2014
