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Cassazione penale sez. V, 23/02/2024, n.19201

Massima

Non assume alcuna rilevanza ai fini della configurabilità del reato di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, la circostanza che la vittima abbia prestato il suo consenso a farsi ritrarre o riprendere nel video oggetto si successiva divulgazione, purché il consenso non riguardi anche detta divulgazione.

Supporto alla lettura

REVENGE PORN

L’ Art. 612 ter c.p. punisce la diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, il cd. revenge porn, che appartiene alla categoria dei reati contro la persona ed in particolare dei delitti contro la libertà individuale. Si prevede che:

“1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5.000 a euro 15.000.

2. La stessa pena si applica a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video di cui al primo comma, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento.

3. La pena è aumentata se i fatti sono commessi dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici.

4. La pena è aumentata da un terzo alla metà se i fatti sono commessi in danno di persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza.

5. Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale. Si procede tuttavia d’ufficio nei casi di cui al quarto comma, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio”

Il bene giuridico tutelato è la libertà personale e morale della persona.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza di primo grado, previa riqualificazione del fatto di cui al capo B) dell’imputazione nel delitto di violenza privata, rideterminava il trattamento sanzionatorio comminato al ricorrente.

2. Avverso la richiamata sentenza, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, mediante i difensori di fiducia, avv.ti (Omissis), articolando cinque motivi di impugnazione, di seguito enunciati entro i limiti previsti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Con il primo motivo il Lo.Pe. denuncia violazione degli artt. 129, comma 1, cod. proc. pen. e 612-ter cod. pen. e correlato vizio di motivazione, in quanto la Corte territoriale avrebbe erroneamente disatteso il motivo di appello con il quale era stato chiesto di non doversi procedere per mancanza di querela per i fatti di cui al capo a) in quanto le denunce in data 5 maggio 2020, riferita a detti fatti, e quella integrativa del 5 dicembre 2020, relativa ai fatti di cui agli altri capi, per i quali la stessa Corte d’appello aveva chiesto, dopo la riforma di cui al D.Lgs. n. 150 del 2022, ai Carabinieri di L di interpellare la persona offesa circa la volontà della medesima di presentare querela, erano intrinsecamente correlate, talché non avrebbe potuto ritenersi solo per la prima che la Ma. avesse espresso la volontà di far punire il colpevole, considerato che, peraltro, detta volontà non era ritraibile dalle espressioni utilizzate.

2.2. Mediante il secondo motivo il ricorrente denuncia, sempre rispetto al capo a) dell’imputazione, violazione dell’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. e 612-ter cod. pen., assumendo che, a fronte di dichiarazioni contraddittorie della persona offesa, la decisione di condanna per il reato di c.d. revenge porn dell’imputato si sarebbe fondata su mere congetture, stante, peraltro, l’omesso rinvenimento sui dispositivi in uso al Lo.Pe. ed ai suoi familiari del video per cui è processo, né di traccia di uploads dello stesso sulla rete.

Rileva, inoltre, che neppure sarebbe stata accertata la data dell’ipotetico caricamento del video sul sito Pornhub, circostanza non irrilevante stante l’introduzione del delitto di cui all’art. 612-ter cod. pen. solo ad opera della legge 19 luglio 2019, n. 29 (c.d. Codice Rosso).

2.3. Con il terzo motivo il ricorrente, in relazione al capo b) dell’imputazione, lamenta violazione degli artt. 192, comma 2, cod. proc. pen. e 610 cod. pen., nonché correlato vizio di motivazione, poiché, sebbene fosse emerso dalle dichiarazioni della teste Ba. che in un precedente episodio cui essa aveva assistito nel novembre 2020, sempre presso l’abitazione dell’imputato, era stato quest’ultimo a dover sottostare agli impeti derivanti dalle condotte aggressive scatenate dalla gelosia della Ma., rispetto al di poco successivo episodio avvenuto il 2 dicembre 2020, la persona offesa era stata ritenuta attendibile, pur avendo contraddittoriamente la Corte territoriale riconosciuto che ella aveva “scatenato l’azione”, non potendosi del resto considerare la Ma., la quale nel riferire dell’accaduto era incorsa in omissioni e contraddizioni, priva di interesse economico perché non si era costituita parte civile in quanto avrebbe potuto in seguito richiedere il risarcimento dei danni in sede civile.

2.4. Mediante il quarto motivo l’imputato denuncia, rispetto al capo c) dell’imputazione, violazione dell’art. 192, comma 2, cod. proc, pen., e degli artt. 582,585,577, comma 2, cod. pen., e correlato vizio di motivazione, poiché, in assenza di referto medico, non vi sarebbe alcuna prova delle lesioni subite dalla persona offesa, i cui lividi, già al momento della denuncia, tre giorni dopo i fatti, non erano più visibili.

2.5. Il ricorrente lamenta, infine, con il quinto motivo, violazione degli artt. 81,610,582,585,577, comma 2, cod. pen., nonché D.Lgs. n. 150 del 2022, e art. 4, comma 1, lett. a) e 63 del D.Lgs. n. 274 del 2000, per irrogazione di un trattamento sanzionatorio illegale, quanto alla parte di pena della reclusione posta in continuazione, per i fatti di cui al capo c), con quelli di cui al capo b).

Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo è manifestamente infondato.

A riguardo, va premesso che, ai fini della validità della querela, non è necessario l’uso di formule sacramentali, restando irrilevante la qualifica assegnata alla dichiarazione orale dalla polizia giudiziaria che l’ha ricevuta ed essendo sufficiente la denuncia dei fatti e la chiara manifestazione della volontà della parte offesa di voler perseguire penalmente i fatti denunciati (v., da ultimo, Sez. 3, n. 24365 del 14/03/2023, G., Rv. 284670-01).

In sostanza, se un soggetto si presenta dinanzi alle autorità preposte per rappresentare fatti che potrebbero costituire reati commessi ai suoi danni chiedendo che le proprie dichiarazioni vengano verbalizzate, già questo è un elemento che, nell’apprezzamento pur riservato al giudice di merito circa la qualificazione dell’atto, induce a ritenere che, al di là della denominazione formale dello stesso, sussiste la volontà di richiedere la punizione del colpevole (cfr. Sez. 2, n. 9968 del 02/02/2022, Saottini, Rv. 282816-01).

Orbene, nella fattispecie per cui è processo, al di là della denominazione formale, non vi è dubbio che entrambi gli atti con i quali la persona offesa ha rappresentato i fatti avvenuti esprimevano la volontà della Ma. di richiedere che si procedesse nei confronti del Lo.Pe. e, a fronte di ciò è irrilevante, in quanto derivante solo da un eccesso di scrupolo da parte del Tribunale, la richiesta inviata al Comando dei Carabinieri di L affinché fosse chiesta alla vittima la volontà di presentare querela per il delitto di cui all’art. 612-ter cod. pen.

2. Quanto al secondo motivo, occorre premettere che l’art. 612-ter cod. pen., rubricato “Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”, introdotto dalla legge n. 69 del 2019 (c.d. Codice Rosso), punisce, nel primo comma, la condotta di chi, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate.

Pertanto, quello che caratterizza la condotta illecita è che la persona offesa, della quale viene violata la sfera più intima che costituisce il bene protetto dalla norma incriminatrice, non abbia prestato consenso alla divulgazione delle proprie immagini sessuali a soggetti differenti da quelli con i quali abbia realizzato le immagini o il video a contenuto sessualmente esplicito.

In altri termini, non assume alcuna rilevanza, ai finì della configurabilità del delitto, la circostanza che la vittima abbia prestato il suo consenso a farsi ritrarre o riprendere nel video oggetto di successiva divulgazione, purché il consenso, beninteso, non riguardi anche detta divulgazione (cfr. Sez. 5, n. 14927 del 22/02/2023, T., Rv. 284576-01).

La fattispecie incriminatrice di cui al comma primo è proprio quella che viene in rilievo nel processo in esame, che attiene alla realizzazione da parte dell’imputato di un video con il proprio cellulare mentre era intento a consumare un rapporto sessuale con la persona offesa, video che è stato poi diffuso sulla rete, mediante il caricamento sul sito Pornhub.

In una ipotesi siffatta, ai fini della configurabilità del delitto è sufficiente il dolo generico, e dunque la consapevolezza e volontà di consegnare, cedere, pubblicare o diffondere le immagini o i video a contenuto sessualmente esplicito che dovevano restare privati, senza il consenso delle persone rappresentate.

Se, invece, la stessa condotta è posta in essere dal soggetto che queste immagini o video abbia ricevuto da altri egli può essere chiamato a rispondere del delitto solo se ha agito con il dolo specifico di arrecare danno ai soggetti che vi sono rappresentati.

In sostanza, l’art. 612-ter cod. pen. sanziona due fattispecie identiche per condotta (invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate) e oggetto materiale (immagini o video a contenuto sessualmente esplicito destinati a rimanere privati), ma diverse per presupposto (nel primo caso, aver realizzato o sottratto, nel secondo caso, aver ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video) e per fine (irrilevante, nel primo caso, trovandoci quindi in presenza di fattispecie a dolo generico; essenziale, nel secondo, il “fine di recare nocumento” alla vittima costituendo l’oggetto del dolo specifico).

La norma sanziona, così, condotte di carattere plurioffensivo, che non comportano solo la lesione dell’onore e della reputazione della vittima, come, peraltro, si evince dalla collocazione sistematica del delitto, subito dopo le fattispecie di violenza privata, minaccia e atti persecutori, palesando un’oggettività giuridica che ricomprende l’area della libertà di autodeterminazione, anche (ma non solo) sessuale, in una tutela della sfera intima della persona che si è reso necessario rafforzare anche a fronte della maggiore offensività ai beni protetti derivante dal massiccio utilizzo di mezzi informatici.

Ciò posto, nella fattispecie in esame il Lo.Pe. assume che non vi è alcuna prova che il video sia stato caricato sul sito Pornhub prima dell’entrata in vigore della legge n. 69 del 2019, il che è smentito dalle stesse allegazioni dell’imputato che, come la Ma., ha collocato la ripresa del video del rapporto sessuale tra i due nella data del 30 ottobre 2019.

Non può dunque dubitarsi che la condotta rientri, ratione temporis, sotto l’egida della norma incriminatrice, in vigore dalla data del 9 agosto 2019, perché il caricamento del video sul sito non può che essere cronologicamente successivo al momento della sua registrazione.

Parimenti, come si è già evidenziato, per l’integrazione del delitto di cui all’art. 612-ter cod. pen., non assume alcuna rilevanza il consenso della vittima a farsi ritrarre nel video a contenuto sessualmente esplicito, poiché ciò che è determinante è il non aver prestato consenso alla divulgazione dello stesso ad altri soggetti.

2.1. Quanto alle ulteriori censure spiegate con il medesimo motivo di ricorso, afferenti l’attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, occorre ricordare che, come hanno chiarito da lungo tempo le Sezioni Unite della Corte di cassazione, le regole dettate dall’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, che possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell’Arte, Rv. 253214-01).

Del resto, sin dal giudizio di primo grado, la condanna del Lo.Pe. si è fondata anche su ulteriori riscontri istruttori.

In primo luogo, sono state correttamente valorizzate in tale direzione le dichiarazioni della teste Gi., la quale ha riferito di essere stata lei ad aver avvertito la vittima della pubblicazione dei video e che la Ma. era rimasta sconvolta nell’apprendere tale notizia.

Inoltre, dagli accertamenti effettuati sui dispositivi dell’imputato è risultato che egli, proprio il giorno nel quale la Gi. aveva rivelato quanto scoperto all’amica, ha “compulsato” ripetutamente il sito Pornhub, ciò che ha indotto congruamente i giudici di merito ad inferire che la condotta in questione era volta a eliminare dal sito il video che egli aveva caricato.

Talché, a fronte del congruo apparato argomentativo delle pronunce di merito che, in quanto conformi rispetto al delitto di cui al capo a), si integrano l’una con l’altra, ogni ulteriore sindacato di questa Corte è precluso, poiché l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944-01).

3. Il terzo motivo è, invece, fondato.

Occorre considerare che il Lo.Pe. era stato chiamato a rispondere, in relazione al capo b), del delitto di sequestro di persona, in danno della medesima persona offesa Ma., poiché avrebbe tirato la stessa con forza all’interno dell’appartamento chiudendo la porta a chiave e, poi, dopo averla minacciata di morte qualora non gli avesse dato il telefono, “la trascinava sul pavimento, la gettava con forza sul letto e l’afferrava per il collo, facendole mancare l’aria, lasciando la presa solo quando la persona offesa fingeva di svenire”.

A fronte della condanna in primo grado per tale delitto, la Corte d’Appello ha riqualificato la condotta nel delitto di violenza privata per assenza del dolo del più grave reato di sequestro di persona in quanto sarebbe stata la vittima a “scatenare” l’azione, sicché il ricorrente si sarebbe limitato a condizionarne la libertà morale costringendola a sottostare alla propria volontà.

Tuttavia, la decisione impugnata è sotto tali aspetti assolutamente carente poiché non rende possibile comprendere l’iter argomentativo con il quale è stato accertato il delitto in questione, non consentendo l’individuazione né dei fatti ricostruiti, né quali di essi siano stati posti a fondamento dei passaggi seguiti per derubricare il delitto da sequestro di persona a violenza privata. Non è infatti chiaro, in buona sostanza, una volta assunto che la Ma. stessa ha “scatenato l’azione”, così impedendo la configurabilità del delitto di sequestro di persona, quali siano i segmenti dell’azione considerati per ritenere integrato il delitto di violenza privata.

4. Il quarto motivo non è fondato.

Come è stato invero evidenziato già dalla sentenza di primo grado (pag. 12), la documentazione fotografica prodotta è stata ritenuta attendibile perché mostra esiti coerenti con le dichiarazioni della persona offesa circa le modalità di accadimento del fatto.

Del resto, la malattia concretante il delitto di lesioni può ben essere costituita da lividi (cfr. Sez. 3, n. 43614 del 19/10/2021, F., Rv. 282088-01) e da ematomi, consistenti in versamenti ematici nei tessuti sottocutanei comportanti un’alterazione anatomica alla quale segue un naturale processo riabilitativo (ex plurimis, Sez. 1, n. 31008 del 25/09/2020, Burgio, Rv. 279795-01; Sez. 1, n. 31008 del 25/09/2020, De Silvio, Rv. 279795-01; Sez. 1, n. 11000 del 09/05/1978, Piccinotti, Rv. 139944-01).

5. Il quinto motivo è fondato.

Occorre premettere che, come dedotto dall’imputato, la pena è stata determinata per il delitto di lesioni di cui al capo c), ponendola in continuazione con il più grave delitto di cui al capo b), ed aggiungendo dunque per il reato c.d. satellite una “porzione” di pena detentiva.

Senonché Sez. U, n. 12759 del 14/12/2023, dep. 2024, L.A., ha risolto la questione che si era posta in termini difformi nella giurisprudenza di questa Corte nei mesi immediatamente successivi all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2022, affermando il principio per il quale appartiene al giudice di pace, a fronte delle modifiche introdotte dall’art. 2, comma 1, del predetto decreto, la competenza per materia in ordine al delitto di lesione personale, nei casi procedibili a querela, anche quando comporti una malattia di durata, come nella fattispecie per cui è processo, secondo quanto ritenuto sin dalla sentenza di primo grado, superiore a venti giorni e fino a quaranta giorni (secondo l’orientamento in primis espresso da Sez. 5, n. 12517 del 10/01/2023, Cinquina, Rv. 284375-01), fatte salve le ipotesi espressamente escluse dall’ordinamento (tra le quali, giusta l’espressa previsione dell’art. 582 cod. pen., non può essere ricompresa la circostanza aggravante contestata e ritenuta di cui all’art. 577, secondo comma, del medesimo codice).

Di conseguenza la pena della reclusione per il delitto di cui al capo c) è (divenuta) illegale in quanto non rientrante nel “catalogo” di quelle che possono essere comminate dal giudice di pace, ferma la necessità di un vaglio concreto sulla maggiore gravità del trattamento sanzionatorio “di risulta” ove l’imputato possa beneficiare della sospensione condizionale della pena che non può essere disposta dal giudice di pace (Sez. U, n. 12759 del 14/12/2023, dep. 2024, L.A., cit.).

6. Pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente al reato di violenza privata di cui al capo b), nonché per il trattamento sanzionatorio di cui al capo c), con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte d’Appello di Roma.

Resta fermo che, in relazione al delitto di cui al capo c), poiché l’annullamento è stato disposto ai soli fini della rideterminazione della pena, è ormai definitivo l’accertamento del reato e della responsabilità dell’imputato, con la conseguenza che la formazione del giudicato progressivo impedisce in sede di giudizio di rinvio, di dichiarare l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, maturata successivamente alla sentenza di annullamento parziale (Sez. 2, n. 4109 del 12/01/2016, Serafino, Rv. 265792-01).

7. In caso di diffusione del presente provvedimento occorre omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 del D.Lgs. 196 del 203 in quanto imposto dalla legge, stante la natura dei fatti di reato e i rapporti tra le parti.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di violenza privata di cui al capo b), nonché per il trattamento sanzionatorio di cui al capo c) e rinvia per nuovo esame ad altra sezione della Corte d’Appello di Roma.

Rigetta nel resto il ricorso.

In caso di diffusione del presente provvedimento occorre omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 del D.Lgs. 196 del 2003, in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma il 23 febbraio 2024.

Depositato in Cancelleria il 15 maggio 2024.

Allegati

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