Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 15 novembre 2024, la Corte d’Appello di Ancona ha confermato la decisione di primo grado, che ha ritenuto (omissis) responsabile del delitto di cui all’art. 570, secondo comma, n. 2, cod. pen., di cui al capo a) dell’imputazione e del delitto di atti persecutori di cui ai capi b) -contestato dal dicembre 2014 al dicembre 2016 – e c) – contestato in epoca successiva (2019-2020) e oggetto di un procedimento distinto, riunito al precedente.
2. Avverso la sentenza, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del proprio difensore, Avv. (omissis), affidando le proprie censure agli undici motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con i primi due motivi, si duole di violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 570, secondo comma, n. 2, cod. pen., per avere la Corte d’Appello ritenuto sussistente il reato sulla base della mera presunzione dello stato di bisogno del minore, smentito, nel caso di specie, dal dato delle molteplici attività formative e culturali svolte dalla ragazza. Difetta altresì la prova dell’elemento psicologico del reato, avendo la Corte territoriale omesso di considerare gli accordi di natura economica intercorsi tra l’imputato e l’ex convivente, con riguardo, in particolare, a un’automobile e alle relative spese, che compensavano quanto altrimenti dovuto dal Po.Pi. per il mantenimento della figlia e dell’ex compagna.
2.2 Col terzo motivo, si deduce violazione di legge, in relazione alla mancata pronuncia di estinzione dei reati di cui ai capi a) e b). Nella determinazione della pena, il giudice di merito ha ritenuto la recidiva contestata equivalente alle riconosciute attenuanti generiche; non avendo comportato alcun aumento di pena, la recidiva non doveva essere considerata ai fini del calcolo del termine prescrizionale.
2.3 Con i motivi quarto e quinto, si eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione al reato di atti persecutori di cui al capo b) della rubrica, ritenuto erroneamente sussistente sulla base di un unico episodio, nel corso del quale, peraltro, le asserite molestie avvennero solo per il tramite di messaggi telefonici, dal tenore canzonatorio e non minaccioso.
2.4 Col sesto motivo, si deduce la prescrizione del reato di cui al capo b), intervenuta in seguito all’adozione della sentenza impugnata, e si reiterano le considerazioni espresse nel motivo terzo sulla recidiva.
2.5 Con i motivi settimo e ottavo, si contesta violazione di legge, in relazione al capo b) (motivo settimo) e vizio di motivazione, in relazione al reato di cui al capo c). L’atto di querela, del 25 gennaio 2020, denunciava un unico episodio, non riferito, peraltro, alla forma aggravata contestata. I “tre fatti” contestati in rubrica sarebbero eccentrici rispetto al contenuto della querela, oltre che precedenti alla stessa. La Corte distrettuale non ha fornito risposta al motivo d’appello, che denunciava l’inutilizzabilità delle trascrizioni dei messaggi vocali, operata dalla p.g.
2.6 Con i motivi nono e decimo, si contesta violazione di legge e vizio di motivazione, per avere i giudici di merito ritenuto il reato di cui al capo c) aggravato dalla minaccia grave, di cui ai secondo comma dell’art. 612 cod. pen. La sussistenza dell’evento, asseritamente aggravato alla minaccia grave, non risulta in alcun modo argomentato in motivazione.
2.7 Col motivo undicesimo, si invoca l’estinzione dei reati di cui ai capi b) e c), posta l’intervenuta remissione di querela, in epoca successiva (3 gennaio 2025) alla sentenza impugnata, contestualmente accettata dall’imputato.
3. Sono pervenute 1) le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, Nicola Lettieri, il quale ha chiesto pronunciarsi il rigetto del ricorso; memoria nell’interesse dell’imputato, in replica alle conclusioni depositate dal Sostituto Procuratore generale, con cui si osserva che: 1) dal capo d’imputazione si evince che la recidiva è stata contestata esclusivamente per i reati sub b) e c) e quindi la prescrizione per il reato sub a) è comunque maturata; 2) al ricorso sono state allegate copie della remissione di querela e dell’accettazione, che, intervenute dopo la sentenza impugnata, e prima della scadenza del termine per la presentazione dell’impugnazione, avrebbero dovuto comportare la declaratoria di estinzione del reato. A conforto della propria tesi, la difesa cita Sez. U. Rv. 227681, Chiasserini.
Considerato in diritto
1. Va preliminarmente esaminato il terzo motivo di ricorso, perché esso, aspirando all’annullamento senza rinvio della gravata sentenza anche in relazione al capo a), per intervenuta prescrizione, assume carattere pregiudiziale rispetto ai primi due motivi di ricorso (sui quali, v. infra, sub 2).
L’assunto su cui poggia il motivo è infondato, dal momento che, diversamente da quanto asserito dal ricorrente, ai fini del computo del termine di prescrizione in caso di sospensione e di interruzione del corso dello stesso, la recidiva assume rilievo sol che sia stata riconosciuta. Come chiarito, infatti, dalle Sezioni Unite di questa Corte, “la disciplina della prescrizione offre un nitido punto di ancoraggio per la tesi della rilevanza della recidiva anche quando il giudizio di bilanciamento l’abbia vista subvalente; l’art. 157, terzo comma, cod. pen. esclude espressamente che possa tenersi in considerazione il giudizio di cui all’art. 69 cod. pen. ai fini della determinazione della pena massima del reato di cui trattasi, fattore di riferimento per il computo del termine di prescrizione. E poiché l’art. 161 cod. pen. richiama talune ipotesi di recidiva coordinando la regola al tempo necessario a prescrivere, definito secondo quanto previsto dall’art. 157 cod. pen., resta confermato che, anche ai fini del computo del termine di prescrizione in caso di sospensione e di interruzione del corso dello stesso, la recidiva assume rilievo solo che sia stata riconosciuta” (Sez. U, n. 20808 del 25/10/2018, dep. 2019, Schettino, Rv. 275319 – 01, in motivazione; in precedenza, v. anche Sez. 7, n. 15681 del 13/12/2016, dep. 2017, Esposito, Rv. 269669 – 01; successivamente alla citata Sez. U, Schettino, Rv. 275319 – 01, v., ex multis, Sez. 2, n. 4687 del 15/11/2018, dep. 2019, Dongarra’, Rv. 275639 – 01. Tale conclusione è ripresa, sempre in motivazione, da Sez. U, n. 30046 del 23/06/2022, Cirelli, Rv. 283328 – 01 (punto 5.5. del Considerato in diritto).
Nel caso in scrutinio, peraltro, la ritenuta recidiva è stata considerata, nel giudizio di bilanciamento, equivalente alle riconosciute attenuanti generiche; mette conto, a tal proposito, ribadire che “il giudizio di equivalenza tra recidiva e circostanze attenuanti generiche comporta l’applicazione della recidiva, rilevante ai fini del computo del termine di prescrizione, in quanto la circostanza aggravante deve ritenersi, oltre che riconosciuta, applicata, non solo quando esplica il suo effetto tipico di aggravamento della pena, ma anche quando produca, nel bilanciamento tra circostanze aggravanti e attenuanti di cui all’art. 69 cod. pen., un altro degli effetti che le sono propri, cioè quello di paralizzare un’attenuante, impedendo a questa di svolgere la sua funzione di concreto alleviamento della pena da irrogare (Sez. 5, n. 41784 del 27/05/2016, Scalici, Rv. 268271 – 01)
Tanto premesso, si osserva che, per il reato di cui al capo a) della rubrica, permanente fino al dicembre 2016, la ritenuta recidiva ex art. 99, quarto comma, cod. pen., innalza la soglia prescrizionale ad anni 10 di reclusione, con la conseguenza che il reato di cui all’art. 570 cod. pen. non sarà prescritto prima del dicembre 2026, al netto di eventuali sospensioni.
Si rimarca, infine, che la circostanza aggravante in parola deve ritenersi senz’altro contestata e correttamente ritenuta, posto che 1) dal punto di vista grafico, la contestazione della recidiva segue entrambe le imputazioni sub a) e sub b); 2) la censura del ricorrente, secondo cui la recidiva non sarebbe riferita anche al delitto di cui al capo a), proposta in sede di memoria di replica alle conclusioni del Sostituto Procuratore generale, è del tutto contraddittoria rispetto a quanto espresso nel motivo in esame, nei quali la difesa espressamente ricorda come la recidiva sia stata affermata in giudizio d’equivalenza.
2. Impregiudicato quanto appena osservato in merito all’infondatezza dell’eccezione tesa a invocare la prescrizione anche del reato di cui al capo a), il Collegio ritiene che i primi due motivi siano fondati, non risultando adeguatamente approfondito in motivazione il profilo della correlazione tra l’asserito inadempimento e il venir meno dei mezzi di sussistenza dovuti al minore (su tale correlazione, cfr., ad es., Sez. 6, n. 32039 del 08/07/2024, T., Rv. 286853 – 01).
Ritiene il Collegio che la Corte territoriale, eludendo le doglianze difensive, non abbia fornito adeguate ragioni in merito a quanto dedotto dall’imputatato circa i contributi economici, da lui messi a disposizione, non già per l’acquisto dell’auto (tale essendo, invece, il solo profilo su cui insiste la Corte d’Appello), bensì per i costi legati alla gestione della stessa. In relazione a tali costi, e indipendentemente dall’esistenza di un accordo formalizzato, la Corte d’Appello dà per provato il pagamento di contributi che non risultano essere stati rifiutati dalla destinataria, senza valutarne l’incidenza economica sull’adempimento dei doveri di assistenza familiare gravanti sul ricorrente.
Pertanto, in relazione al delitto contestato ai sensi dell’art. 570, comma 2 n. 2, cod. pen., la gravata sentenza deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio sul punto alla Corte di appello di Perugia, affinché colmi l’indicato deficit motivazionale.
3. In relazione al delitto di cui al capo b), deve prendersi atto dell’intervenuta remissione di querela, contestualmente accettata dall’imputato, in epoca successiva (3 gennaio 2025) rispetto alla sentenza impugnata. A tal proposito, va ribadito il principio secondo cui “la remissione di querela, intervenuta in pendenza del ricorso per cassazione e ritualmente accettata, determina l’estinzione del reato, che prevale su eventuali cause di inammissibilità e va rilevata e dichiarata dal giudice di legittimità, purché il ricorso sia stato tempestivamente proposto” (Sez. U, n. 24246 del 25/02/2004, Chiasserini, Rv. 227681 – 01).
Ciò che, comportando la sopravvenuta improcedibilità dell’azione penale e realizzando, ai sensi del 152 cod. pen., una causa di estinzione del reato, in difetto dei presupposti di cui all’art 129, comma 2, del codice di rito, determina l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, limitatamente al delitto di atti persecutori consumato fra il 2014 ed il 2016, di cui al capo b), con assorbimento dei motivi 4, 5 e 6, nonché del motivo undicesimo limitatamente alla parte riferita al capo b) dell’imputazione.
Va aggiunto, per completezza, che l’annullamento senza rinvio per il reato di cui al capo b) comporta la caducazione delle relative statuizioni civilistiche (v. Sez. 4, n. 45594 del 11/11/2021, Vitucci, Rv. 282301 – 01: la remissione di querela, intervenuta nel corso del giudizio di cassazione, determina l’estinzione del reato
anche in presenza di eventuali cause di inammissibilità del ricorso e il travolgimento delle statuizioni civili collegate), con conseguente necessità che l’ammontare del risarcimento del danno venga rimodulato dal giudice del rinvio, in vista di quanto si esporrà infra, sub 4).
4. I restanti motivi 7, 8, 9 e 10, nella parte in cui si riferiscono all’imputazione di atti persecutori aggravati di cui al capo c) dell’imputazione, oltre che l’undicesimo motivo, limitatamente alla parte riferita al delitto di atti persecutori di cui al capo c), sono infondati, lambendo, in taluni punti, l’inammissibilità per difetto di specificità (sulla mancanza di specificità del motivo intesa come difetto di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, v., ex plur., Sez. 3, n. 44882 del 18/7/2014, Cariolo, Rv. 260608 – 01; Sez. 5, n. 28011 del 15/2/2013, Sammarco, Rv. 255568 – 01; Sez. 4, n. 18826 del 9/2/2012, Pezzo, Rv. 253849 -01).
Per quel che concerne le censure di cui ai motivi nono e decimo, esse sono inammissibili, per le ragioni di seguito illustrate.
Che le condotte persecutorie, di cui al capo c), contemplassero anche reiterate minacce di morte è riferito a chiare lettere in motivazione. In particolare (v. p. 8 della gravata sentenza), la Corte distrettuale ha reso adeguate ragioni in merito alle condotte ascritte, riferendosi all’enorme mole dei messaggi, anche vocali e anche di morte, inviati alla vittima; sul punto – ha ricordato la Corte -, era stata escussa non soltanto la persona offesa – il cui narrato è stato ritenuto attendibile dai giudici di merito, con valutazione esente dalle dedotte censure: cfr, ex multis, Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell’arte, Rv. 253214- 01 -, ma anche l’agente di p.g. che aveva curato la trascrizione dei messaggi stessi, riferendo, in dibattimento, circa il contenuto di questi ultimi.
Ne consegue che, correttamente, è stata ritenuta la circostanza aggravante di cui all’art. 612, secondo comma, cod. pen., peraltro espressamente contestata in rubrica, ove si fa riferimento, infatti, a gravi minacce di morte, con relativa esemplificazione (sul punto, cfr., in ogni caso, Sez. 5, n. 34412 del 11/05/2023, M., Rv. 284992 – 01: “in tema di atti persecutori, ai fini dell’irrevocabilità della querela non è necessario che la gravità delle reiterate minacce sia oggetto di specifica contestazione, non costituendo una circostanza aggravante, ma una modalità di realizzazione della condotta”; in motivazione, la Corte ha precisato che la gravità delle minacce è demandata alla valutazione del giudice e deve essere comunque ricavabile dalla compiuta descrizione della condotta nell’imputazione. Nel medesimo senso, v. Sez. 5, n. 9403 del 24/01/2022, B., Rv. 282983 – 01. Diversamente, vale a dire per il caso in cui nell’imputazione non sia esposta la natura grave della minaccia, o direttamente, o mediante l’impiego di formule equivalenti, ovvero attraverso l’indicazione della relativa norma, v. Sez. 5, n. 25222 del 14/07/2020, Lungaro, Rv. 279596 – 03; Sez. 5, n. 13799 del 12/02/2020, Turè, Rv. 27915802).
Da ciò deriva, altresì, la manifesta infondatezza della censura di cui all’undicesimo motivo, limitatamente alla parte riferita al delitto di atti persecutori di cui al capo c), posto che, ex art. 612 bis, quarto comma, cod. pen., la querela è irrevocabile, qualora il reato sia commesso con minaccia grave ex art. 612, secondo comma, cod. pen.
I motivi settimo e ottavo sono infondati. In disparte il carattere caotico dell’esposizione (il ricorrente sembra riferirsi, infatti, a tre fatti contestati al capo c), pur citando, nell’epigrafe del motivo 7, il reato dì cui al capo b) della rubrica; di poi, egli procede a contestare il mancato riferimento, in querela, a fatti precedenti l’episodio del 24 gennaio 2020. Sicché non si comprende se la difesa si stia dolendo del mancato riferimento, in querela, a fatti concernenti il capo b) ovvero a fatti riguardanti il capo c), la difesa manca il confronto, effettivo e critico, con le ragioni rese dalla Corte d’Appello, che ha chiarito come la persona offesa, lungi dal riferire soltanto l’episodio del 24 gennaio 2024 – sul quale la difesa insiste, osservando che soltanto tale evento sarebbe contenuto in querela – ha narrato invece, in dibattimento, di una molteplicità di condotte ricomprese, tutte, nella querela.
Più precisamente, si osserva che, alla doglianza relativa all’asserita eccentricità dei fatti contestati in rubrica rispetto al contenuto della querela, la Corte d’Appello fornito sufficiente motivazione, puntualizzando che il narrato della vittima -giudicato attendibile, con valutazione, come già accennato, non scalfita in alcun modo dalle eccezioni difensive – ha riguardato una serie di fatti di molestie e minacce, “tutti rientranti nel periodo rientrante nella querela” (v. p. 8 della parte motiva). Le deduzioni difensive sono generiche, non avendo la difesa preso posizione alcuna rispetto al segmento motivazionale summenzionato: si ricorda, tal proposito, l’onere di specificità gravante sulla difesa, che deve tradursi in una critica puntuale al provvedimento (ex plur., Sez. 6, n. 23014 del 29/04/2021, B., Rv. 281521 – 01).
Infine, l’eccezione, reiterata in questa sede, relativa all’in utilizzabilità delle trascrizioni dei messaggi vocali, operata dalla p.g., è infondata: i giudici d’appello ne hanno, infatti, già disatteso l’insussistenza, rimarcando, come già precisato, l’attendibilità dell’agente, escusso in dibattimento, che aveva curato la trascrizione dei predetti messaggi. Su questo punto della motivazione, che correla la prova del contenuto dei messaggi alle deposizioni dell’agente di p.o., oltre che della persona offesa, il ricorso omette di svolgere una critica argomentata alle ragioni offerte dalla sentenza impugnata.
5. Per le ragioni illustrate, il Collegio annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente al delitto di atti persecutori consumato fra il 2014 ed il 2016, perché il reato è estinto per remissione di querela. Annulla la medesima sentenza limitatamente al delitto contestato ai sensi dell’art. 570, comma 2 n. 2, cod. pen. con rinvio per nuovo giudizio sul punto alla Corte di appello di Perugia. Rigetto nel resto. Spese al definitivo. L’inerenza della vicenda a rapporti familiari impone, in caso di diffusione della presente sentenza, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente al delitto di atti persecutori consumato fra il 2014 ed il 2016 perché il reato è estinto per remissione di querela. Annulla la medesima sentenza limitatamente al delitto contestato ai sensi dell’art. 570, comma 2 n. 2, cod. pen. con rinvio per nuovo giudizio sul punto alla Corte di appello di Perugia. Rigetto nel resto. Spese al definitivo. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 D.Lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 6 giugno 2025.
Depositato in Cancelleria il 19 settembre 2025.
