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Cassazione penale sez. V, 14/10/2024, n.37737

Massima

In tema di bancarotta fraudolenta, la valutazione relativa all’attenuante della particolare tenuità del danno patrimoniale, di cui all’art. 219, comma 3, l. fall., deve essere correlata alla riduzione complessiva che le azioni del fallito hanno causato all’attivo che sarebbe stato disponibile per la distribuzione in assenza di comportamenti illeciti.

 

Supporto alla lettura

BANCAROTTA

La bancarotta è un reato che consiste nella dissimulazione o destabilizzazione del proprio patrimonio diretta a realizzare un’insolvenza, anche apparente, nei confronti dei creditori.

I reati di bancarotta,  originariamente contemplati all’interno della Legge Fallimentare (Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267), in seguito riscritta dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali), sono confluiti all’ interno del Titolo IX del nuovo  “Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza”. 

Il reato di bancarotta può essere di due tipi:

  • bancarotta propria: riguarda l’imprenditore
  • bancarotta impropria: riguarda la società   

Entrambe le fattispecie si dividono in:

  • bancarotta fraudolenta: l’ agente opera con intento fraudolento e si realizza quando l’imprenditore distrae, occulta, dissimula, distrugge o dissipa in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, espone passività inesistenti ( bancarotta fraudolenta patrimoniale); oppure quando sottrae, distrugge o falsifica, in tutto o in parte, in modo tale da procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li tiene in modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari (bancarotta fraudolenta documentale), oppure ancora, a scopo di favorire taluni creditori rispetto ad altri esegue pagamenti o simula titoli di prelazione (è la bancarotta fraudolenta preferenziale).
  • bancarotta semplice: l’ agente opera senza dolo, ma in modo avventato e imprudente, facendo spese personali o per la famiglia eccessive rispetto alla sua condizione economica; oppure ha consumato una notevole parte del suo patrimonio in operazioni manifestamente imprudenti, ha compiuto operazioni di grave imprudenza per ritardare il fallimento; ha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento o non ha soddisfatto le obbligazioni assunte in un precedente concordato preventivo o fallimentare. Responsabile di bancarotta semplice è anche il fallito che nei tre anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento, ovvero dall’inizio dell’impresa se questa ha avuto una minore durata, non ha tenuto i libri e le altre scritture contabili prescritti dalla legge, oppure li ha tenuti in maniera irregolare o incompleta.

Ambito oggettivo di applicazione

Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 27 febbraio 2024, la Corte d’Appello di Bologna, salvo riformare la decisione del giudice di primo grado in punto di trattamento sanzionatorio, ha confermato la condanna nei confronti di (omissis) per il reato di cui agli artt. 216, primo comma, n. 1, 223 L. fall., commesso in qualità di amministratore unico della (omissis) Srl, dichiarata fallita il 23 aprile 2015. Secondo i giudici di merito, il delitto di bancarotta distrattiva veniva posto in essere dall’imputato attraverso 1) il trasferimento d’azienda – da (omissis) Srl a (omissis) SM Srl, società di diritto sammarinese, amministrata da (omissis) stesso e avente a oggetto medesimi oggetto sociale e sede della fallita e 2) la concessione in sublicenza – da (omissis) Srl a (omissis) SM Srl – del marchio Catch-22 a titolo gratuito; 3) la vendita a prezzo di costo alla (omissis) SM Srl, a esclusivo vantaggio di quest’ultima, di capi di abbigliamento.

2. Avverso la sentenza, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del proprio difensore, Avv. (omissis) , affidando le proprie censure ai cinque motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Con il primo motivo, si duole di vizio di motivazione, con riferimento sia all’elemento soggettivo del reato sia a quello oggettivo, non avendo i giudici dell’appello fornito adeguata replica alle deduzioni, articolate in appello, relative alle dichiarazioni dei testi (omissis) e (omissis), che avevano riferito del ritardo con cui i beni (capi d’abbigliamento) erano stati consegnati dal fornitore. Tale ritardo implicò che la merce (che avrebbe dovuto essere consegnata ai negozi ordinanti già nel mese di gennaio 2104) arrivasse già deperita, scolorata e, pertanto, non avrebbe potuto vendersi a prezzo di mercato. Illogicamente, e valorizzando il dato – del tutto inconferente – della data delle fatture (24 febbraio e 3 marzo 2014) emesse dal fornitore dei capi d’abbigliamento (omissis), la Corte d’Appello ha invece ritenuto che i beni avrebbero potuto essere venduti a prezzo di mercato dalla fallita, anziché a prezzo di costo.

Altrettanto illogiche sono le considerazioni riservate dalla Corte territoriale alla cessione del marchio Catch-22 e al valore economico dello stesso, posto che esso, di proprietà delle singole persone fisiche e non delle società coinvolte nel procedimento, era stato sempre utilizzato a titolo gratuito dalle stesse, in forza di contratti di licenza d’uso. La cessione del marchio dalla fallita alla (omissis) SM Srl (che aveva peraltro rinunciato, sempre a titolo gratuito, alla sub-licenza in data 27 febbraio 2015) è stata illogicamente considerata alla stregua di una condotta distrattiva, senza riguardo alcuno alla assenza di valore economico del marchio in parola.

Infine, si contesta l’affermazione di responsabilità relativa alla cessione d’azienda, non avendo la Corte territoriale indicato o quantificato il presunto valore di avviamento della stessa; non sarebbe stata, pertanto, fornita prova alcuna della capacità della fallita di generare profitto.

2.2 Col secondo motivo, si eccepisce mancanza di motivazione in relazione al denegato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 219, terzo comma, L. fall. A tal proposito, la difesa ricorda, come già in atto d’appello, 1) il principio ribadito in giurisprudenza, che impone al giudice di considerare il concreto importo della distrazione, non già l’entità del passivo fallimentare; 2) le ridottissime dimensioni della fallita società; 3) il fatto che le merci non siano state sottratte, bensì vendute, benché a prezzo di costo.

2.3 Il terzo motivo ha a oggetto violazione di legge e vizio di motivazione, per avere i giudici di merito, una volta riconosciute le circostanze attenuanti generiche, ridotto la pena non già di un terzo, ma di un sesto. Inoltre, la Corte distrettuale avrebbe illogicamente minimizzato l’argomento della gestione di fatto dell’azienda, svolta non già dall’imputato, ma da altri (omissis).

2.4 Col quarto motivo, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione, per la mancata conversione della pena detentiva in quella sostitutiva ex art. 53 I. 689/1981.

2.5 Con il quinto motivo, si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale rigettato il motivo di appello relativo alla richiesta di non menzione della condanna nel casellario giudiziale.

3. Sono state trasmesse, ai sensi dell’art. 23, comma 8, D.L. 28/10/2020, n. 137, conv. con L. 18/12/2020, n. 176, a) le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, (omissis) , il quale ha chiesto pronunciarsi l’annullamento con rinvio dell’impugnata sentenza in accoglimento delle censure di cui ai motivi quarto e quinto del ricorso e il rigetto nel resto.

Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato, a eccezione del motivo quarto, per le ragioni di seguito esposte.

1.1 Il primo motivo è, nel suo complesso, infondato. Per quel che concerne la vendita a prezzo di costo (e, dunque, senza alcun ricarico) dei capi d’abbigliamento prevenienti dal fornitore (omissis), la Corte d’Appello, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, non si è limitata a sottolineare il profilo della data d’emissione delle fatture (profilo, in ogni caso, non privo di rilevanza, sul quale si tornerà a breve) delle merci, valorizzando, piuttosto, il dato – dirimente ai fini della tenuta dell’ordito motivazionale – della vendita a prezzo di costo della merce alla sola società sammarinese (ciò che provocava alla fallita un mancato guadagno di circa 70.000 Euro), laddove, ad altri clienti diversi dalla Revenge SM, i capi erano stati venduti con un ricarico pari almeno all’80 %. Da ciò – oltre che dalle dichiarazioni del ricorrente medesimo, che aveva riferito di aver trasferito l’attività imprenditoriale a San Marino, in vista del più favorevole regime d’imposizione fiscale-coerentemente la Corte ha tratto la prova della preordinazione della vendita in perdita dei beni aziendali della fallita (Sez. 5, n. 5317 del 17/09/2014, dep. 2015, Franzoni, Rv. 262226-01: in tema di reati fallimentari, la vendita di merce sottocosto, realizzando scopi funzionali all’attività della società, attraverso operazioni economiche, comunque, coerenti con l’attività aziendale, integra il reato di bancarotta per distrazione ove ricorra l’ulteriore elemento della sistematica e preordinata vendita sottocosto o, comunque, in perdita di beni aziendali) al fine di favorire la seconda società.

Va inoltre ricordato l’ulteriore elemento rimarcato dalla Corte territoriale, con motivazione affatto esente dal dedotto vizio, relativo alla data (febbraio e marzo 2014) delle fatture di consegna delle merci: ciò avrebbe consentito al ricorrente come ragionevolmente notato dalla Corte territoriale-di disporre di un utile margine temporale per vendere a prezzo di mercato capi di abbigliamento per la stagione primaverile.

Le eccezioni difensive che insistono sull’illogicità della motivazione in tema di cessione del marchio Catch-22 sono manifestamente infondate, in quanto generiche, reiterative e versate in fatto: come illustrato dalla Corte territoriale, il “prestigio” del marchio in parola è stato rimarcato expressis verbis nei vari contatti di licenza e sub-licenza con cui detto marchio è stato ceduto a titolo gratuito. La prova di quel “prestigio”, ovvero del valore economico del marchio, è stata ricavata dal contenuto di quegli stessi contratti, in cui, tra l’altro, si attribuiva un certo prezzo al segno distintivo, si prevedevano royalties – vale a dire compensi derivanti dalla licenza – e impegni del licenziatario di versare al licenziante le suddette royalties. Dimostrato così il valore del marchio, la Corte d’Appello ha chiarito – con argomentazione logica e non efficacemente contrastata dalle censure difensive, che asseverativamente insistono sulla mancanza di qualsivoglia valore economico del marchio – che il mero dato della mancata richiesta di una controprestazione da parte del licenziante (la cessione, cioè, a titolo gratuito del marchio stesso dalla persona fisica (omissis) alle varie società Revenge, dallo stesso amministrate) non vale anche a provare l’assenza di valore economico del marchio, ma, al limite, l’interesse del ricorrente a non gravare la propria azienda di costi. Detto in altri termini, quei vari. passaggi del marchio (dalla persona fisica – (omissis) – alle varie aziende Revenge: dove tutti i vari soggetti, fisici o giuridici, coincidevano con il ricorrente) avevano a oggetto, tutti, dei rapporti giuridicamente ed economicamente valutabili. Ora, secondo il consolidato insegnamento di questa Corte, ai fini della configurabilità del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, è necessario che la distrazione sia riferita a rapporti giuridicamente ed economicamente valutabili (ex multis, Sez. 5, n. 26542 del 19/03/2014, Riva, Rv. 260689).

Tale ultimo passaggio presta l’abbrivio per valutare le censure vertenti sulle considerazioni della Corte territoriale in tema di cessione d’azienda. Si nota, a tal proposito, che la condotta distrattiva ascritta al ricorrente (realizzata, come si è ricordato, per il tramite della vendita dei beni di magazzino a prezzo di costo e della cessione a titolo gratuito di un marchio, non privo di valore economico) integra, di per sé (vale a dire, sia a volerla considerare cessione di ramo d’azienda sia nei termini di distrazione pura e semplice di beni appartenenti alla fallita), il delitto di cui all’art. 216, primo comma, n. 1 e 223 I. fall., per le ragioni esaustivamente esposte dai giudici di merito e già esaminate in questa sede.

Impregiudicata, dunque, la portata fraudolenta delle ascritte condotte distrattive, può osservarsi che la tesi difensiva (secondo cui non vi sarebbe stata distrazione dell’avviamento aziendale, perché all’epoca della consumazione del reato, il 2014, il valore dei risultati era nettamente negativo) è inconferente, posto che, nel caso di specie, non è in questione la distrazione dell’avviamento commerciale dell’azienda, bensì la distrazione dell’intero magazzino dei prodotti finiti e dei beni strumentali l’azienda stessa. Premesso che può certo condividersi il principio (non centrale nell’economia della motivazione, ma evidenziato dalla Corte territoriale al solo fine di sgombrare il campo dall’inconferente eccezione difensiva), secondo cui il valore dell’avviamento non coincide affatto coi risultati economici dell’azienda (ricomprendendo, quel valore, una congerie ben più ampia di elementi, vale a dire il complesso aziendale inteso secondo la definizione dell’art. 2555 cod. civ., ossia come l’insieme di beni organizzati per l’esercizio dell’attività imprenditoriale: Sez. 5, n. 23577 del 23/04/2024, Falcone, Rv. 286621-01), l’attenzione dei giudici di merito si è giustamente concentrata su altro, vale a dire sugli effettivi oggetti della distrazione contestata. È stato infatti chiarito come la (omissis) Srl avesse trasferito alla sammarinese (omissis) Srl sia l’intero magazzino dei prodotti finiti sia i beni strumentali (come confermato da fatture per totale di Euro 84.000 circa). Tale decentramento a San Marino dell’intera attività commerciale della fallita è avvenuto senza vantaggio per quest’ultima, e, anzi, con netta perdita economica e conseguente danno per i creditori della fallita, posta 1) la natura fraudolenta della cessione del marchio Catch-22 (a titolo gratuito, malgrado fosse definito, nei vari contratti di sub-licenza, quale marchio di prestigio), il cui valore economico è risultato tutt’altro che azzerato, potendo ben essere utilizzato per la commercializzazione delle merci; 2) la vendita a prezzo di costo delle rimanenze di magazzino.

1.2 Il secondo motivo è infondato, mancando la difesa di confrontarsi, in maniera effettiva, con la congrua motivazione resa dai giudici d’appello circa il denegato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 219, terzo comma, L. fall., razionalmente ricondotto 1) al mancato introito di circa 70.000 Euro, derivato dalla vendita senza ricarico della merce e 2) al mancato guadagno per la concessione in licenza a titolo gratuito del marchio. Con ciò, la Corte distrettuale si è esattamente riferita a quel che il ricorrente reputa invece assente dalla motivazione, vale a dire il concreto importo della distrazione. E, del resto, proprio le ridotte dimensioni dell’impresa – enfatizzate dalla difesa – impediscono di convenire sull’entità “modesta” (come affermato dall’allora appellante) delle indicate perdite, mettendo, anzi, in rilievo l’entità rilevante della distrazione, idonea di per sé ad incidere, in misura consistente, sul riparto (cfr. Sez. 5, n. 12330 del 02/11/2017, dep. 2018, Di Niso, Rv. 272663-01, Sez. 5, n. 5300 del 16/01/2008, De Biase, Rv. 239118-01, secondo cui, in tema di bancarotta fraudolenta, il giudizio relativo all’attenuante della particolare tenuità del danno patrimoniale, di cui all’art. 219, terzo comma, I. fall., deve essere posto in relazione alla diminuzione globale che il comportamento del fallito ha provocato alla massa attiva che sarebbe stata disponibile per il riparto ove non si fossero verificati gli illeciti).

1.3. Il terzo motivo è, del pari, infondato. La motivazione sulla determinazione della pena, conseguente alle riconosciute circostanze attenuanti generiche, è infatti adeguata e non manifestamente illogica, al contrario di quanto asserito dal ricorrente, avendo la Corte territoriale esplicitamente disatteso le censure difensive, come si passa a illustrare.

Risulta, invero, efficacemente contrastato tanto l’argomento della marginalità del ricorrente nella gestione della fallita (rispetto all’asserita gestione di fatto di (omissis), cui mai – ha ricordato la Corte – l’imputato aveva fatto riferimento nel corso dell’interlocuzione col curatore fallimentare; a tal proposito, il ricorrente sollecita il Collegio a una rivalutazione del merito – attraverso l’indicazione delle dichiarazioni testimoniali già esaminate dai giudici di merito improponibile in questa sede: cfr. cfr., tra le altre, Sez. 6, n. 25255 del 14/2/2012, Minervini, Rv. 253099; Sez. 5, n. 39048 del 25/9/2007, Casavola, Rv. 238215) quanto l’argomento della ricorrenza di tutti i parametri, di cui all’art. 133 cod. pen., sulla cui base il giudice di primo grado avrebbe concesso le circostanze di cui all’art. 62 bis cod. pen. Anche in tal caso, il ricorrente evita il confronto approfondito con le ragioni rese dai giudici di secondo grado, i quali hanno rimarcato, in maniera argomentata, la fragilità dei motivi con i quali il Tribunale aveva giustificato la concessione delle circostanze attenuanti generiche, ossia i labili elementi di meritevolezza dell’imputato (vale a dire, secondo quanto risulta dalle due sentenze, lo status di persona incensurata del (omissis) , laddove il secondo e ultimo elemento valorizzato dal g.i.p. del Tribunale di Rimini, cioè il comportamento collaborativo del (omissis) in sede processuale, risulta alquanto problematizzato dalla Corte territoriale). L’argomentazione con cui la Corte territoriale ha illustrato i motivi per cui gli scarni elementi di meritevolezza del ricorrente giustificavano la concessione delle predette circostanze in misura inferiore alla massima estensione è, dunque, del tutto logica; è pertanto fuori fuoco la possibilità, ventilata dal ricorrente, del mero errore di calcolo (censura dedotta già in appello e rievocata dalla difesa nell’incipit del motivo in esame dell’attuale ricorso) da parte dei giudici di merito.

1.4 Il quarto motivo è fondato. Va ricordato che, nell’atto d’appello, l’odierno ricorrente aveva correttamente censurato il difetto assoluto di motivazione in cui era incorso il giudice di primo grado a fronte della richiesta della conversione della pena detentiva in una delle sanzioni sostitutive. Sul punto, deve ribadirsi, per un verso, il consolidato principio posto dalle Sezioni unite di questa Corte, secondo cui l’onere di specificità, a carico dell’impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtellì, Rv. 268822-01); per altro verso, va rievocato il principio per il quale, in tema di sanzioni sostitutive di pene detentive brevi di cui all’art. 20-bis cod. pen., affinché il giudice di appello sia tenuto a pronunciarsi sulla loro applicabilità come previsto dalla disciplina transitoria contenuta nell’art. 95 D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (cd. riforma Cartabia), è necessaria una richiesta in tal senso dell’imputato (che non dev’essere formulata necessariamente con l’atto di impugnazione o con la presentazione di motivi nuovi ex art. 585, comma 4, cod. proc. pen., ma deve intervenire, al più tardi, nel corso dell’udienza di discussione del gravame: v., di recente, Sez. 2, n. 12991 del 01/03/2024, Generali, Rv. 286017-01, con ampia citazione dei precedenti giurisprudenziali conformi).

Tale richiesta, come già precisato, era stata formulata dal ricorrente in sede di conclusioni nel primo grado di giudizio, oltre che, in seguito, nell’atto d’appello.

1.5 Il quinto motivo è infondato. Diversamente da quanto ritenuto dal ricorrente, la Corte territoriale ha negato la concessione del beneficio di cui all’art. 175 cod. pen. sulla base di elementi valutativi strettamente attinenti a quelli indicati dall’art. 133 cod. pen. (valorizzando, segnatamente, la gravità in concreto delle condotte distrattive e l’intensità del dolo).

Non può, pertanto, condividersi l’eccezione difensiva che insiste sull’indicazione, operata dalla Corte d’Appello, di elementi eccentrici rispetto a quelli desumibili dal citato art. 133 cod. pen. Più in particolare, il riferimento contestato dalla difesa – alle “preminenti esigenze di conoscenza in capo alla collettività del reato commesso” (v. p. 5 del provvedimento impugnato), lungi dal porsi quale considerazione isolata ed esclusiva rispetto ai canoni valutativi richiesti dalla disciplina codicistica e dalla giurisprudenza di legittimità (arg. ex Sez. 6, n. 48948 del 07/10/2016, Taroni, Rv. 268257-01; più recentemente, v. Sez. 3, n. 13110 del 22/01/2020, P., Rv. 279094), va soltanto ad aggiungersi ai profili – già ricordati e strettamente attinenti a quei canoni stessi – valorizzati dalla Corte distrettuale e non invalida la tenuta complessiva della valutazione espressa in motivazione, del tutto inscritta nei margini della discrezionalità dei giudici di merito (Sez. 2, n. 1 del 15/11/2016, dep. 2017, Cattaneo, Rv. 268971).

Inoltre, va precisato che la concessione dell’invocato beneficio della non menzione, al contrario di quanto asserito dal ricorrente, non consegue affatto, per una sorta di automatismo, dalla concessione della sospensione condizionale della pena (sul punto, cfr, ad es., Sez. 4, n. 34380 del 14/07/2011, Allegra, Rv. 251509).

1.6. Per le ragioni fin qui illustrate, il Collegio annulla la sentenza impugnata limitatamente all’applicazione delle sanzioni sostitutive con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Bologna. Rigetta il ricorso nel resto.

P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente all’applicazione delle sanzioni sostitutive con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Bologna. Rigetta il ricorso nel resto.Così deciso in Roma il 12 settembre 2024.

Depositata in Cancelleria il 14 ottobre 2024.

Allegati

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